Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

Rechercher : guillaume faye

Guillaume Faye - La ragnatela mondiale del sistema

Guillaume Faye

La ragnatela mondiale del sistema

Il conflitto dei tempi a venire Verso un unico modello umano Un pianeta senza poesia L'infezione del sistema Spoliticizzazione della società La tecnica e l'autoaffermazione dei popoli Il falso mito dell'occidente.

Ex: http://www.uomolibero.com/

occident.jpgUn avvenimento considerevole si produce nel mondo contemporaneo, un avvenimento lento, silenzioso, invisibile: le culture, le civiltà, le nazioni, i paesi vengono fusi progressivamente in una struttura tiepida che trascende le divisioni destra/sinistra, est/ovest, nord/sud, che assorbe le distinzioni politiche e ideologiche, che pialla le geografie, che pietrifica la storia.

Questa struttura è il Sistema planetario. « Sistema », e non « civilizzazione ». Non esiste una civilizzazione mondiale, a dispetto delle fantasticherie di Léopold Senghor, giacché una civilizzazione rimane pur sempre culturale, organica, umana. Ora, il Sistema appare come la metamorfosi mostruosa della civilizzazione occidentale in un gigantesco meccanismo tecnoeconomico.

Il grande conflitto dei tempi a venire non opporrà più il capitalismo al socialismo, ma l'insieme delle forze nazionali, culturali, etniche, alla macchina cosmopolita del sistema occidentale, che sostituisce ai territori le sue « zone », alle sovranità le sue regioni economiche, alle culture il suo discorso massificante. La Terra diventa così un grande circo in cui il Sistema è il domatore.

Esso non ha niente di un impero mondiale, poiché non emerge da una potenza politica, ma dalla cancerizzazione della società dei consumi che si spande su tutta la planisfera. Non ha altro sovrano che un individuo astratto — l'homo universalis nato dall'incontro dell'ideologia del diritto naturale e dell'Illuminismo — dai bisogni omogenei e universali. Non ha altro governo che una convergenza di reti economiche e burocratiche transnazionali, che relegano le sovranità politiche e le volontà dei popoli al magazzino degli accessori. Gli è riuscita una rivoluzione: quella di aver smagliato il tessuto delle società, un tempo formate da insiemi organici, istituzioni, tradizioni, mestieri, gruppi e ritmi diversificati, per rifonderne la trama secondo la logica omogenea dei settori di attività tecniche ed economiche, frammentate le une in rapporto alle altre, organizzate in aggregati, come gli ingranaggi di un motore senza nessuno che lo diriga.

La crescita del Sistema è tanto più temibile in quanto i suoi funzionari si pretendono investiti di una missione, quella dell'umanismo mondiale, del pacifismo mercantilista o del socialismo riparatore delle ingiustizie. Per la loro amenità caramellosa, questi ideali appaiono più pericolosi e alienanti di tutti gli imperialismi tradizionali. Il Sistema forma una totalità sprovvista di centro, ma il cui punto focale è la società americana, i suoi trust, il suo mercato ed i suoi costumi. Si espande, dopo l'Europa occidentale e l'estremo oriente, nei paesi socialisti e nelle parti industrializzate del terzo mondo. Questa espansione, che non è più capitalista di quanto non sia socialista, utilizza le società commerciali, le istituzioni internazionali, le burocrazie nazionali come agenti economici intercambiabili, incaricati di diffondere ovunque le stesse mercanzie e le stesse strutture mentali. L'incubo che il gelido ottimismo dei tecnocrati liberali e il mondialismo ingenuo della vecchia sinistra tentano di dissipare, prende forma poco a poco: è il « migliore dei mondi ». L'alchimia della sua crescita tentacolare si compone sempre degli stessi ingredienti: le strutture tecnoeconomiche multinazionali, l'ideologia universalista ed egualitaria, la sottocultura mondiale di massa.

* * *

L'unificazione dei costumi e dei bisogni fonda un tipo umano egemonico: il regno della molle figura del piccolo borghese universale è cominciato. Sul mondo occidentalizzato si installa una borghesia mondiale, in cui prendono il loro posto anche le classi agiate dei paesi poveri e la « nomenklatura » dei paesi socialisti. Allineare i modi di vivere sul presunto modello della classe media americana, è l'aspirazione implicita di tutti i partiti, degli ambienti d'affari e di quel sottoprodotto dei mass-media che si è soliti chiamare « opinione pubblica ». Questa invoca, con buona coscienza, l'argomento dell'innalzamento del tenore di vita; impostura manifesta, che passa sotto silenzio la distruzione delle economie tradizionali e la pauperizzazione di miliardi di uomini. Questo « razzismo » incosciente, che afferma il modello economico mondiale di « sviluppo » come preferibile e superiore alle culture tradizionali dei popoli, rischia di produrre uno psichismo umano unico. La nostra specie, in questo caso, privata della diversificazione delle sue strutture mentali, non sarebbe più in grado di dare, alle sfide globali del mondo a venire, che un solo tipo di risposta, e probabilmente non certo la migliore, né la vincente.

* * *

In questo universo mentale unico, l'uomo occidentale non si definisce più per la sua origine, ma solo per il suo modo tecnoeconomico di esistenza. Un impiegato di banca di Singapore è in questo senso più occidentale di un tirolese o di un bretone radicati nella propria identità.

La Terra si trasforma in un insieme settorializzato di reti e di circuiti che lasciano spalancati degli spazi morti. Spoetizzato (1), il nostro pianeta è oggetto di « messa a frutto » non è più oggetto di conquista. Senza la padronanza del proprio spazio, i popoli non controllano più la propria geopolitica; la loro geografia, quella dell'habitat poetico e del territorio politico, resta cancellata di fronte alla divisione in zone commerciali e amministrative del Sistema. Non siamo più abitanti dei nostri luoghi, ma semplici residenti. Il Sistema non ha distrutto le patrie; le ha fossilizzate sovrapponendovisi. L'idea nazionale non è più condannata; essa è stata neutralizzata, non malgrado, ma a causa delle reverenze accademiche che le fanno con cinismo i discorsi dei politicanti. Ogni nozione di provenienza territoriale langue in questo universo di turismo di massa, d'uniformità alimentare e vestimentale, di diplomi americani, di films internazionali. Pare che Ford intenda realizzare un'automobile « globale », fabbricata in dieci paesi differenti e destinata a tutti gli automobilisti del mondo.

Come gli uomini, così anche gli oggetti non vengono più da nessuna parte. « Penso », dichiarava Gilbert Trigano, del Club Mediterranée (2) « che l'avvenire del Club risieda nell'avvento di un'atmosfera veramente cosmopolita ». Ma l'avvenire del Club Méditerranée non è quello dei popoli di cultura: l'avvento del cosmopolitismo non sarebbe per essi un'apertura come immagina Guy Scarpetta, ma un soffocamento.

Il Sistema, che non « vive », ma « funziona », sottrae i popoli al tempo storico. Fondato su mode, movimenti di consumo, flussi economici, correnti d'opinione, si iscrive puramente nella cronaca. Un popolo, al contrario, va da qualche parte e viene da qualche parte. Per il Sistema la coscienza storica è sovversiva perché essa non forma buoni clienti né buoni telespettatori. Se la caratteristica propria alla Storia è quella di modificare il senso delle cose, il Sistema non è interessato che a cambiare le forme esterne: forme dei prodotti, mode. Ciò che si teme più di tutto sono le perturbazioni della storia, quelle dei Cesari e degli Imam.

Il Sistema è uno stabilizzatore. Nell'ordine mondiale stabile, le microvariazioni delle novità e delle innovazioni contrastano con la macrofissità dell'insieme. Costumi, stili artistici, etichette e ideologie politiche non si evolvono più. Il walkman (3) non è un'innovazione, ma un aggravarsi di una forma di vita già ben installata: il narcisismo tecnologico. Siamo rientrati di fatto nella storia ciclica, nel circolo vizioso dell'eterno ritorno delle « riscoperte » e dei revival. I media accentuano la fissità conservatrice del sistema trasformando le idee in mercanzie che si confrontano con mercati d'opinione stabili.

Evacuata, la storia dei popoli lascia dietro di sé un grande silenzio che il cicaleccio vuoto dei media tenta di coprire; messo da parte, il mondo dei popoli, quello delle strategie continentali, delle rivolte religiose, dei grandi disegni politici, lascia il posto ai piccoli programmi di vita individuale, alla fine dei quali non vi è altro che la pensione. In queste condizioni, il sistema occidentale non lascerà tracce di civiltà. È senza memoria e non se ne conserverà il ricordo. Nella logica dell'ideologia lockiana e del protestantesimo laicizzato, esso ritiene di aver già compiuto la sua rivoluzione. Il suo « progresso » non è che la continuazione, il perfezionamento della sua espansione.

Ciò spiega come i marxisti siano disarmati di fronte alle società contemporanee, che sono, in fondo, postrivoluzionarie; e soccombano come gli altri all'appello del Sistema, appello alla fusione, alla fetalizzazione della specie umana.

* * *

Il Sistema ha conosciuto un precedente storico con la Cristianità. Anch 'essa tentò di costruire — progetto che non è stato d'altronde abbandonato — un mondialismo al di sopra delle singolarità dei popoli.

L'omogeneizzazione delle culture in nome della « salvezza » si è trasformata in omogeneizzazione in nome del diritto alla felicità borghese. Il monoteismo cambia di forma: oggi esso prende quella di complesso economico-culturale.

Il che significa che l'installazione di strutture economiche multinazionali e la diffusione di una cultura mondiale unica, costituiscono due processi globalmente legati. L'imposizione del « sistema di oggetti » occidentale presuppone l'adozione di una cultura semplicista e pragmatica che determina un'involuzione e un impoverimento spirituale. Il Sistema deve acculturare i popoli ai costumi dell'homo consumans internazionale i cui bisogni si postulano unificati. L'economia e l'infracultura del Sistema si sono costituite in insieme reciproco ». Le merci comportano lineamenti culturali e inversamente la sottocultura americano-occidentale prepara gli spiriti al consumo di merci unificate.

Le fasi culturali di entrata nel Sistema sono tre. Prima fase: lo spettacolo. Le popolazioni di cultura sono messe in presenza del modello attraverso l'intermediazione delle loro « élites » occidentalizzate, che funzionano da vetrina. Seconda fase: la normalizzazione. Si tratta di eliminare le scorie culturali « indigene » relegandole in zone « sottosviluppate » o « ritardate » che si è in precedenza contribuito a creare. L'ideologia umanitaria della pretesa lotta contro la miseria serve qui da strumento di penetrazione. Terza fase: il consolidamento. E in opera nei paesi industrializzati. La cultura dominante è completamente incorporata all'economia. Le mode di massa costituiscono le armi di questa spersonalizzazione degli individui in un'esistenza narcisistica e iperpragmatica. Esse compensano la noia di un modo di vivere omogeneo (che rischierebbe di sfociare in rivolte, in rivendicazioni di ritorno alla storia) attraverso lo stordimento indotto dalle pseudonovità. In questa cultura obsolescente, non appare alcuna « nuova generazione culturale ». Non vi è più che un gigantesco prodotto culturale, sottomesso alla funzione mercantilistica, semplice settore contabile nelle colonne di cifre del supermercato mondiale.

Le tradizioni dei popoli sono divenute anch'esse branche di un sistema economico e tecnico. In musei morti, noi celebriamo il nostro passato senza viverlo. Ricordo, ma non più memoria, il passato è visitato, ma non più abitato (4). Un vero popolo interiorizza il suo passato e lo trasforma in modernità. Il Sistema ne ha fatto un ornamento, neutralizzato e sterilizzato, che viene consumato così come si consuma anche l'esotico. Il passato e le tradizioni sono divenuti pianeti nella galassia dei passatempi.

Questa cultura-prodotto universale è più « occidentale » che americana. Oggi l'America è dappertutto. Il Sistema dipende tanto dalla dominazione degli Stati Uniti come nazione quanto dall'estensione a tutta la Terra della società americana. I fondamenti ideologici del Sistema sono gli stessi di quelli dei padri fondatori degli Stati Uniti: mercantilismo e umanitarismo. Ma l'egemonia strettamente americana è probabilmente destinata a declinare: Goldrake è giapponese e le hit-parades sono prodotte in Europa. L'americanomorflsmo succede all'americanismo e rappresenta in fondo l'essenza dell'occidentale. E questo il più grande pericolo. Saremo ancora capaci di rigettare ciò che viene da noi stessi?

L'America è in noi: formula terribile che se diventasse completamente vera starebbe a significare che noi siamo già dei morti viventi.

A dirigere il Sistema non è del resto un potere politico più di quanto sia l'America. Il Sistema non ha capo: non ha nient'altro che dei regolatori, senza progetto d'insieme. Gli stati maggiori delle grandi società, le burocrazie nazionali e internazionali, le reti dei media, incrociano le loro decisioni al di sopra delle sovranità politiche. Carì Schmitt e Jürgen Habermas hanno ben colto la natura oppressiva e invadente di questa autoregolazione anorganica che spoliticizza i popoli. Questa oppressione si giustifica con una pratica e un'ideologia antiautoritarie che sostituiscono alle decisioni, ai destini, ai poteri visibili, l'intruppamento nella placenta delle organizzazioni, in cui gli assoggettati, autoalienati, vivono in seno al sistema come presso ad una madre fraterna. Le finalità settoriali hanno rimpiazzato la politica; le opinioni si spoliticizzano e le ideologie politiche diventano ornamentali. Non viene più cantata l'Internazionale quando la sinistra vince le elezioni, ma ci si dondola al suono di un rock americano. Il Sistema non ha più bisogno di una legittimazione politica: la multinazionale Americana , la banca inglese, la burocrazia francese, i politicanti italiani vedono le loro strategie convergere spontaneamente grazie al cemento dello stesso programma implicito che le abita tutte: realizzare la società mercantilistica mondiale.

La sola politica ancora praticata nel Sistema obbedisce a ciò che Claus Offe qualificava come « sottomissione a imperativi di schivata ». Detto altrimenti, schivare gli sconvolgimenti, evitare le grandi crisi per gestire meglio le piccole.

* * *

In questo deserto del politico, il mondo non ha

Lire la suite

vendredi, 28 octobre 2011 | Lien permanent

Guillaume Faye's Archeofuturism in English Version ! A Must !

Guillaume Faye's Archeofuturism in English Version ! A Must !
This book is the most fundamental work by Guillaume Faye. Faye believes that the future of the Right requires a transcendence of the division between those who wish for a restoration of the traditions of the past, and those who are calling for new social and technological forms - creating a synthesis which will amplify the strengths and restrain the excesses of both: Archeofuturism. Faye also provides a critique of the New Right; an analysis of the continuing damage being done by Western liberalism, political inertia, unrestrained immigration and ethnic self-hatred; and the need to abandon past positions and dare to face the realities of the present in order to realise the ideology of the future. He prophesises a series of catastrophes between 2010 and 2020, brought about by the unsustainability of the present world order, which he asserts will offer an opportunity to rebuild the West and put Archeofuturism into practice on a grand scale.

Guillaume Faye: Archeofuturism (Hardback)

Product Description

Archeofuturism, an important work in the tradition of the European New Right, is finally now available in English. Challenging many assumptions held by the Right, this book generated much debate when it was first published in French in 1998. Faye believes that the future of the Right requires a transcendence of the division between those who wish for a restoration of the traditions of the past, and those who are calling for new social and technological forms - creating a synthesis which will amplify the strengths and restrain the excesses of both: Archeofuturism.

Faye also provides a critique of the New Right; an analysis of the continuing damage being done by Western liberalism, political inertia, unrestrained immigration and ethnic self-hatred; and the need to abandon past positions and dare to face the realities of the present in order to realise the ideology of the future. He prophesises a series of catastrophes between 2010 and 2020, brought about by the unsustainability of the present world order, which he asserts will offer an opportunity to rebuild the West and put Archeofuturism into practice on a grand scale.

Archeofuturism, an important work in the tradition of the European New Right, is finally now available in English. Challenging many assumptions held by the Right, this book generated much debate when it was first published in French in 1998. Faye believes that the future of the Right requires a transcendence of the division between those who wish for a restoration of the traditions of the past, and those who are calling for new social and technological forms - creating a synthesis which will amplify the strengths and restrain the excesses of both: Archeofuturism.

Faye also provides a critique of the New Right; an analysis of the continuing damage being done by Western liberalism, political inertia, unrestrained immigration and ethnic self-hatred; and the need to abandon past positions and dare to face the realities of the present in order to realise the ideology of the future. He prophesises a series of catastrophes between 2010 and 2020, brought about by the unsustainability of the present world order, which he asserts will offer an opportunity to rebuild the West and put Archeofuturism into practice on a grand scale.

This book is a must-read for anyone concerned with the course that the Right must chart in order to deal with the increasing crises and challenges it will face in the coming decades.

Guillaume Faye was one of the principal members of the famed French New Right organisation GRECE in the 1970s and '80s. After departing in 1986 due to his disagreement with its strategy, he had a successful career on French television and radio before returning to the stage of political philosophy as a powerful alternative voice with the publication of Archeofuturism. Since then he has continued to challenge the status quo within the Right in his writings, earning him both the admiration and disdain of his colleagues.

'Archeofuturism is thus both archaic and futuristic, for it validates the primordiality of Homer's epic values in the same breath that it advances the most daring contemporary science.' --Michael O'Meara, from the Foreword

Additional Information

AuthorGuillaume Faye
Full TitleArcheofuturism: European Visions of the Post-Catastrophic Age
BindingHardback
PublisherArktos Media (2010)
Pages249
ISBN978-1-907166-10-5
LanguageEnglish
Short DescriptionThis book is the most fundamental work by Guillaume Faye. Faye believes that the future of the Right requires a transcendence of the division between those who wish for a restoration of the traditions of the past, and those who are calling for new social and technological forms - creating a synthesis which will amplify the strengths and restrain the excesses of both: Archeofuturism. Faye also provides a critique of the New Right; an analysis of the continuing damage being done by Western liberalism, political inertia, unrestrained immigration and ethnic self-hatred; and the need to abandon past positions and dare to face the realities of the present in order to realise the ideology of the future. He prophesises a series of catastrophes between 2010 and 2020, brought about by the unsustainability of the present world order, which he asserts will offer an opportunity to rebuild the West and put Archeofuturism into practice on a grand scale.
Table of ContentsForeword by Michael O'Meara
A Note from the Editor
Introduction

1. An Assessment of the Nouvelle Droite
2. A Subversive Idea: Archeofuturism as an Answer to the Catastrophe of Modernity and an Alternative to Traditionalism
3. Ideologically Dissident Statements
4. For a Two-Tier World Economy
5. The Ethnic Question and the European
6. A Day in the Life of Dimitri Leonidovich Oblomov – A Chronicle of Archeofuturist Times

Lire la suite

mercredi, 06 octobre 2010 | Lien permanent

Guillaume Faye / Dr. Gérard Zwang: Sur la sexualité

Bonjour à tous,

Le libre Journal des Lycéens a été consacré, samedi 20 novembre 2010, à la sexualité et son évolution. Pour nous éclairer sur le sujet, nous avons reçu le Dr Gérard Zwang et Guillaume Faye.
Vous pouvez également vous rendre sur notre blog afin d'écouter les dernières émissions.
A très bientôt, sur Radio Courtoisie bien sûr.

Romain LECAP
Pour écouter Radio Courtoisie :
Paris 95,6 MHz   Caen 100,6 MHz   Chartres 104,5 MHz
Cherbourg 87,8 MHz   Le Havre 101,1 MHz   Le Mans 98,8 MHz ;
pour toute la France, en clair, sur le bouquet satellite Canalsat (canal 526) ;
pour le monde entier sur www.radiocourtoisie.fr.
 

LIBRE-JOURNAL---SEXUALITE---ZWANG---FAYE.jpg

Au cours de cette émission, les animateurs évoqueront la question de la sexualité confronté à la modernité. Comment évoluent nos comportements sexuels en France et en Europe? En quoi le matérialisme et l'individualisme de notre temps ont pu la transformer? Et si au contraire elle n'avait jamais été aussi forte et saine?

Autant de questions que nous poserons à nos deux invités, le Dr gérard Zwang, sexologue mais aussi militant anti-mutilation et Guillaume Faye, pamphlétaire bien connu qui publiera prochainement l'ouvrage Sexe et dévoiement.

De la pornographie à la publicité, des comportements amoureux et personnels à la morale publique et religieuse, nous aborderons toutes les grands sujets relatifs à la sexualité afin de mieux la définir.

Lire la suite

mardi, 23 novembre 2010 | Lien permanent | Commentaires (1)

What Was, Must Be: Guillaume Faye's ”Archeofuturism”

Russolo-XL.jpg

What Was, Must Be

Guillaume Faye's "Archeofuturism"

 
 
 
One thing that always struck me about William Pierce’s broadcasts is that out of the two hundred or so that he recorded during the late 1990s, only one ever talked about the world he aspired to see following his revolution. One. Worse still, his utopian vision was not at all inspiring, being, for all practical purposes, a return to 1933. This, unfortunately, is not uncommon among those who, in some measure or another, share his ideas—even among those who are far less radical and apocalyptic, and think in terms of a ‘velvet revolution,’ or co-opting, or electioneering.

As I have written on previous occasions, if our camp is to catalyze a transvaluation of values, and eventually cause a purge of the top echelons of academic, media, and political power in the West, those whom we seek to inspire need to be given more than just a return to the past: they also need a vision that is forward-looking, indeed futuristic, even if ultimately founded on archaic principles. Otherwise, our camp will condemn itself to irrelevance, perpetuating the impression many ordinary people have that we are just aging nostalgics, who feel left out in the brave new world of progress and equality, and are reduced to waving an angry fist at modernity because we have no new ideas of our own. ‘Bankrupt’ is the term often used within the mainstream to describe our ideas and morality.

To get anywhere, one needs to know where one is going; and to get others to come along and make the hard journey to one’s paradise, one has to be able to at least describe what it looks like.

This is why I was interested in Guillaume Faye’s book, Archeofuturism, which Arktos Media published for the first time in English translation during the Summer of 2010. Along with Alain de Benoist, Faye is a leading exponent of the Nouvelle Droite, the European New Right. Faye, however, is more radical than de Benoist, who has accused him of extremism. And some say he is also more creative. Until recently, I only knew Faye by name and affiliation, having never taken the trouble to read him. Was it because of that photograph I have seen of him, grey-haired and scowling with bug-like mirror shades? Whatever the answer, I was pleasantly surprised when the present tome revealed that Faye’s outlook is very similar to my own. Indeed, it turns out that in Archeofuturism he articulates positions that I have articulated in some of own my articles. No wonder the book’s editor, John Morgan, was keen on my reviewing it.

Readers will easily infer at least one of the positions Faye and I share, as I have reproduced it in the second paragraph of this review. The difference is one of emphasis: I think archeofuturism is necessary to move forward; Faye thinks of it as the paradigm that must replace egalitarian modernity, come what may.

arch%E9ofuturisme.gifThere is no question for him that the liberal project is doomed: although its proponents paint it as good and inevitable, egalitarian modernity is, in fact, a highly artificial condition, an unsustainable one, which will fall victim to the very processes it set in motion. Faye believes that we are currently facing a ‘convergence of catastrophes’. These include: the colonization of the North by Afro-Asian peoples from the South; an imminent economic and demographic crisis, caused by an aging population in the West, falling birthrates, and unfunded promises made by the democratic welfare state; chaos in the countries of the South, caused by absurd Western-sponsored development and development programs; a global economic crisis, much worse than the depression of the 1930s, led by the financial sector; ‘the surge of religious fundamentalist fanaticism, particularly in Islam;’ ‘the confrontation of North and South, on theological and ethnic grounds;’ unchecked environmental degradation; and the convergence of these catastrophes against a backdrop of nuclear proliferation, international mafias, and the reemergence of viral and microbial diseases, such as AIDS. For Faye, the way out is not through reform, because a system that is contrary to reality is beyond reform), but through collapse and revolution. As a catastrophic collapse is inevitable, revolutionary thought and action must today be post-catastrophic in outlook. He further suggests that inaction on our part will only open European civilization to conquest by Islam.

How does Faye visualize the post-catastrophic Earth? For him, the deprecation of modernity results in a two-tier world, in which most of humanity reverts to traditional or neo-Medieval societies (essentially pre-industrial reservations), while an elite minority—composed of Europeans and South East Asians—rebuilds advanced technological societies across Eurasia and parts of North America. These societies are to be, of course, archeofuturistic—hierarchical and rooted in ethnotribalism, fiercely protectionistic, yet also ones that fully exploit science and technology, even if ‘esoteric,’ non-humanistic versions of them, ‘decoupled from the rationalistic outlook.’ There is to be no global flow of capital, spreading wealth and technology everywhere: the world economy is to be inegalitarian, elitist, based on quality over quantity. There are also to be no nation states: the European Imperium is to comprise over a hundred regions, with their own languages, customs, and garb. The United States is to split in to ethnic regions (Dreamland for the Blacks), and is to stabilize for the most part according to an eighteenth-century agrarian model. The world, in sum, and in contradiction to liberal aspirations, is to become more ethnic and more differentiated, not less.

In other words, if Faye rejects modernity it is not because he a nostalgic who dreams of returning to a bygone golden age, like so many White racial nationalists today; but because he is an elitist who thinks the world must be rebuilt on entirely different foundations—foundations that are more in harmony with nature.

In order so that we may get a better sense of what he means, he concludes the book with a Science Fiction novelette, titled One Day in the Life of Dmitri Leonidovich Oblomov, and set in the year 2073. Interestingly, and to Faye’s credit, the latter does not really describe a utopia, where everyone sings and lives happily ever after; but rather showcases Faye’s imagining of what he considers will be the most likely consequence of an archeofuturist new world order. It has its own unique set of problems, as any reasonable person would expect. Yet for Faye dealing with problems is part of living, and the choice is therefore not between having or not having problems, but which set of problems is preferable to another. In any event, one can well imagine Faye’s archeofuturistic vision will make egalitarian liberals, and perhaps even some White Nationalists, shift uncomfortably in their seats.

Oblomov, however, is just a scenario. As I have previously mentioned, and as Faye states repeatedly, we must not forget about Islam. Faye stresses that it is here, among us, facing us, right now, and that no amount of appeasement or accommodating will cause it to become less of a threat. This is because, he argues, Islam is an inherently intolerant, aggressive, theocratic movement that will abide no religious pluralism. Faye believes that Islam, and for that matter the Afro-Asian immigrants colonizing our continent, must be expelled from Europe, as was done in the past.  ‘Where there is a will, there is a way,’ he states. Naturally this presupposes either deposing the White ethnomasochists, the deluded cosmopolitans, the xenophiles, and the immigration fraudsters, or being ready to replace them once they fall by the weight of their own corruption and the catastrophic consequences of their own ideology.

How do we get there? The first step is understanding where we came from, where we are, and where we are going. Faye begins the book by evaluating the current with which he was formerly affiliated, the Nouvelle Droite, and outlining the factors and ideological errors that led to its loss of vitality and eventual eclipsing by the Front National. He then presents his vision, which includes corrections of some previously held positions. This is followed by a series of politically incorrect statements—fast sniper attacks against the contemporary West that aggregate into a global analysis of its present condition. An outline of Faye’s future world system follows, in incremental order. Finally, the reader is immersed in the finished result through an exercise in fiction.

That is the first step.

The next step, having read Faye’s text, understood it, reflected, discussed it, and reached individual conclusions, is elucidating how to put the theory into practice—a task that will require our most astute minds and political operators, not to mention funding, courage, and discipline.

I find Faye’s one of the most lucid analyses and statements of a metapolitical proposition I have yet encountered. It is both creative and logically structured. It is both analytical and refreshingly constructive. And it is both intelligent and unflinchingly radical. What is more, the text flows with urgent velocity, thanks to a skilled English translation, and is copiously supplemented with useful informative notes. What more can you ask?

 

Lire la suite

samedi, 27 novembre 2010 | Lien permanent

Brief Guillaume Fayes an seine Freunde (1987)

guillaume_faye.jpg

Brief Guillaume Fayes an seine Freunde (1987)

Liebe Freunde,

 

Als Kadermitglied und Funktionär des GRECEs seit 17 Jahre, habe ich seine Entfaltung, seinen Höhepunkt (1978-1982) und seinen Untergang (1982-1987) miterlebt.

 

Lange habe ich seinen Zerfall nicht akzeptiert und habe geglaubt, daß die Ursachen dieses Zerfalles konjunkturbezogen waren. Aber in Wirklichkeit sind diese Ursachen eher strukturell und, letzterhand positiv: der GRECE hat seine historische Aufgabe verwirklicht. Heute ist diese Aufgabe beendet. Die Arbeit der GRECE-Bewegung war wirklich grundsätzlich und kann heute befrüchtet werden. Es war eine konstruktive Arbeit, genauer die Rekonstruktion einer Ideologie und einer Weltanschauung. Die Bewegung hat auch Leute ausgebildet, die heute überall in der Zivilgesellschaft aktiv sind.

 

Deshalb, der dumme Wille, den GRECE “regenerieren” zu wollen, seine Botschaft steril zu wiederkauen und sie ständig so wiederholen, wie sie einst war, scheint mir heute völlig utopisch, unnötig und unmöglich zu sein. Ein solches nostalgisches Verhalten wäre nur eine Rückwärtsbewegung. Der GRECE war  ein Erfolg. Es künstlich im Leben zu halten wollen, würde notwendigerweise zu einem Fiasko führen. Der GRECE hat seine metapolitische und kulturelle Aufgabe optimal beendet. Mit den Meilsteinen, die er gelegt hat, können wir uns orientieren, um sein Werk in anderer Form zu vertiefen und für die Zukunft zu gestalten. Eine solche Transformation ist nicht nur notwendig, weil unsere Zeit es fordert, aber auch um die gestrige Arbeit des GRECEs effizient zu machen. Wir müssen diesen geistig-intellektuellen Korpus mehr Potenz und so denkend, ihm organisationell eine andere Gestalt geben.

 

Hauptaufgabe ist es, die ideologische Erbschaft fruchtbar zu machen. Wir müssen jetzt, ab sofort, zurück zur Wirklichkeit und deshalb eine moderne und interventiongerichtete Strategie entwickeln. Das ist der Grund, warum wir denken, daß das Werk des GRECEs jetzt abgeschlossen ist. Darum, höre ich heute auf, Mitglied des GRECEs zu sein. Und ich hoffe, daß die meisten von euch die gleiche Analyse wie ich machen werden. Obwohl ich nicht mehr Mitglied des GRECEs bin, bleibe ich trotzdem ein treuer Mitkämpfer unseres Kampfgemeinschaft.

 

Zwei Neuorientierungen scheinen mir interessant: ab 1992 wird Europa anfangen, als eine reale politische Wirklichkeit zu existieren. Die Grenzen werden sich tatsächlich öffnen. Bald wird eine gemeinsame Währung kommen, usw. Wir müssen notwendigerweise diese Möglichkeiten benutzen, die uns unsere Feinde geben. Diese bauen praktisch einen europäischen Großraum für uns und geben uns so die Möglichkeit, eine gesamteuropäische Kampforganisation zu schaffen, die der Kern einer künftigen gesamteuropäischen Gemeinschaft für unsere eigene Weltanschauung sein wird.

 

Die Ideologie, die wir seit vielen Jahren innerhalb der GRECE-Denkfabrik ausgearbeitet haben, war von einer spezifischen Kernidee im Leben gehalten und diese Idee war die Befreiung des gesamteuropäischen Kontinents, damit an die Schaffung einer gesamteuropäischen Reichsgemeinschaft gearbeitet werden könnte. Aber eine solche Idee hat nie in der Geschichte Wirklichkeit gefunden.

 

Die Amerikaner leben in einer antiquierten Welt, weil der amerikanische Traum schon da ist, und deshalb, weil er da ist, ist er unwiederruflich alt. Der amerikanische Traum ist eine alte Sache, ist schon volle Wirklichkeit geworden. Aber unser Traum ist hypermodern, weil er noch nicht da ist, liegt vor uns in einer noch relativ fernen Zukunft. Deshalb ist unser Traum jugendhaft.

 

In diesem Sinn und mit einem Optimismus, die wir von dem Bewußtsein unserer in den GRECE-Jahren erarbeiteten Tradition und unserer langen Gedächtnis geerbt haben, kann unser Projekt entstehen und sich entfalten: wir werden eine flexible Organisation stiften, die nicht nur Frankreich-zentriert sein wird, aber sich überall in allen Ländern des Kontinents entwickeln wird, wir werden in allen möglichen Schichten und Dimensionen der Gesellschaft intervenieren, aber immer mit dem Vorhaben, eine Reichsvision für das künftige Europa zu schmieden.

 

Die zweite Neuorientierung ist die folgende: die Ideen, die der GRECE verbreitet hat, eben unter den völlig inadequaten Namen der “Neuen Rechten”, leben und verbreiten sich sehr weit über die engen Grenzen aller möglichen rechtskonservativen Denkschulen. Deshalb sollte die post-GRECE-istischen Nachfolger-Bewegung total modernistisch sein, alles, was die soziologische Rechte darstellt, überwinden, sich an allen neuen Impulsen aus der Gesellschaft öffnen, und hauptsächlich die nostalgisch-folkloristische Rechte eine definitive Absage erklären. Diese neue Bewegung wird als Beruf haben, alle Leute aus allen möglichen Horizonten zu gruppieren, wenn sie grundsätzlich unser Programm zustimmen. Zusammen müssen wir entschieden alle Formen der Abhängigkeit und der Unterwerfung, irgendeiner Rechten oder Linken gegenüber, zurückwerfen.

 

Ziel ist es, die Grundlagen einer Bewegung zu erarbeiten:

- 1. die sich in allen Ländern des Kontinents verbreiten wird;

- 2. die alle alten Schablone und Spaltungen überwindet;

- 3. die die Erbschaft unserer Arbeit in den GRECE-Jahren fruchtbar macht;

- 4. die als Ziel haben wird, konkret eine neue politische und aktive Elite zu schmieden, um positiv in der Zivilgesellschaft intervenieren zu können.

 

Eine solche Arbeit wird lang, schwer und mühsam sein. Sie ist aber lebenswichtig und soll sofort von jetzt ab angefangen werden. Es wäre auch notwendig und logisch, daß die meisten Mitglieder und Sympathisanten des GRECEs sich in dieser neuen Bewegung einen, weil diese die allein mögliche historische Kontinuität darstellen wird. Natürlich neue Menschen, die aus allen Horizonten zu uns kommen werden, werden sich mit uns in diesem Kampf verbrüdern. Um der realen Welt die Stirn bieten zu können, um in dieser realen Welt Aktion führen zu können, werden wir dringend diese neuen Menschen brauchen.

 

Auf der juridischen Ebene, ist der Kern dieser neuen Bewegung (die weder eine Partei noch ein Apparat ist!), die dazu bestimmt ist, neue Energie in unserer Bewegung einzufliessen, ist schon gestiftet worden. Er hat die juridische Gestalt einer Stiftung und heißt: EUROPA.

 

Diese neue Bewegung steht noch in seiner Vorbereitungsphase und wird nur real und konkret auf europäischer Ebene am Anfang des nächsten Uni-Jahres, also im September 1987 existieren. Geburtsstunde wird die Sommeruni 1987 sein, die wir im Region Nivernais Ende August halten werden (wir können über unseren üblichen Versammlungsort in der Provence dieses Jahres nicht verfügen). Während dieser Sommeruniversität werden wir die Grundlagen unserer künftigen Arbeit festlegen.

 

Es ist notwendig, daß viele von euch sich sofort einschreiben.

 

Jetzt zur Arbeit, liebe Freunde!

Mit meinen freundlichsten Grüßen,

 

Ihr, Guillaume Faye, Mai 1987.

Lire la suite

samedi, 29 août 2009 | Lien permanent

Conférence de Guillaume Faye en Allemagne en 2006

Conférence de Guillaume Faye

en Allemagne en 2006

Lire la suite

jeudi, 11 avril 2013 | Lien permanent

Boganmeldelse af Guillaume Fayes ‘Mon programme’

Boganmeldelse af Guillaume Fayes ‘Mon programme’

 

Vi bringer en boganmeldelse, som blev bragt i Den Danske Forenings blad Danskeren nr. 4, 2012. (Ikke online før næste nummer udkommer)

Et ægte systemskifte

Guillaume Faye:
Mon programme.
(Les Éditions du Lore, 2012. 221 sider. 20 euro).

Faye,%20Guillaume%20-%20Mon%20Programme.jpgEt yndet argument mod dem, der ønsker befolkningsudskiftningen og globalismen tilbagerullet, er, at det er urealistisk eller ganske enkelt ikke kan lade sig gøre. Det har derfor stor værdi, at den franske filosof Guillaume Faye nu for sit eget lands vedkommende har skrevet et meget konkret og udførligt program for national genopretning med undertitlen: ”Et revolutionært program, der ikke skal ændre spillets regler, men ændre selve spillet.”

Faye ser økonomien som nøglen til en nations magt, men den er dog kun noget sekundært i forhold til den nationale overlevelse, som afhænger af nationens ”antropo-biologiske germen” – dens demografiske kim eller kerne – samt af kvaliteten og videreførelsen af dens kultur.

Men ikke mindst i Frankrig har socialismen og bureaukratiseringen gået sin sejrsgang i en sådan grad, at kampen mod dette kvælertag på et frit samfund har høj prioritet. Som Faye påpeger, er venstrefløjens kritik af de borgerliges ”ultraliberalisme” og ”kommercialisering” jo helt ude af proportioner i et land, hvor skattetryk og administrationens dødvægt kun slår nye rekorder. Krisen er fremkaldt af bl.a. for lidt økonomisk liberalisme, ikke af for meget. Globaliseringen er et ideologisk valg, for så vidt som 70 % af de firmaer, der er flyttet ud af Frankrig, ville være blevet, hvis der havde været en mere fornuftig skattepolitik. Socialstaten udspringer i bund og grund af misundelse, ikke af seriøs økonomisk analyse. Og den støtter kun, den hjælper ikke grundlæggende. Den lammer og fratager folk modet (også nationalt), og den har skabt en arbejdsløshedskultur, som derpå skaber ”behov” for indvandring: Alene i Frankrig kan man ikke finde indfødte ansøgere til en halv million job. Lediggang er mere indbringende. Det samme er paradoksalt nok kommet til at gælde for de indvandrere, man angiveligt har lukket ind for at løse problemet. Muslimerne i Frankrig (og hele Vesteuropa) forfordeles jo ikke eller holdes som slaver, tværtimod har de fået mere støtte end nogen indfødt gruppe. Sammen med de indfødte bureaukrater i beskyttede stillinger udgør muslimerne (som i bogen kaldes et nyt fødselsaristokrati) i Fayes øjne nutidens udbyttende klasse eller ”parasitter”, som han maner til klassekamp imod på vegne af det produktive folk og de marginaliserede indfødte franskmænd.

Faye foreslår derimod et system, der giver franskmænd incitament til at arbejde, og samtidig giver indbyggere med ikke-europæisk baggrund incitament til at udrejse – altså så lidet tiltrækkende vilkår, at de ikke har grund til at blive i landet. Statslige ydelser såsom børnepenge begrænses til franskmænd, og så snart ikke-vestlige i landet ophører med at være selvforsørgende, skal de ud uanset tidligere status. Illegale indvandrere kan aldrig nogensinde legaliseres og skal selvfølgelig altid udvises umiddelbart.

Desuden er det mht. indvandringen nødvendigt at gå til ondets rod, hvilket de i dag anerkendte ”internationale forpligtelser” ikke muliggør. Derfor må retten til at søge asyl ophæves. Udgifterne til den tvangsmæssige behandling af disse for det meste grundløse sager er jo uhyre. Ej heller kan asylsøgere, der er godkendt andetsteds i EU, få indrejsetilladelse til Frankrig. Flygtninge skal kun anerkendes som en absolut undtagelse via et særlig, personligt dekret fra præsidenten. Endelig overskygges princippet om, at love ikke må have tilbagevirkende kraft, af national nødret.

Faye gør op med den herskende misforståede læsning af Montesquieu, hvorefter domstolene skulle udgøre en ”tredje magt” i samfundet på linje med regering og parlament. Af denne forfejlede læsning udspringer nutidens juristvælde, hvor politikerne angiveligt er magtesløse. Ideen var dog oprindelig, at domstolene kun skulle være en myndighed med en bestemt autoritet, underlagt folkesuveræniteten.

I kriminalitetsbekæmpelsen slagter Faye flere hellige køer. Betingede straffe afskaffes. Enten straffes man eller ej. Og straffens formål skal ikke være ”resocialisering”, men netop straf. Det modsatte fører logisk set i sidste instans til ophævelse af enhver straf, fordi alle ugerninger kan forklares psyko-socialt. Et enkelt og inappellabelt straffesystem har i USA ført til mere end en halvering af kriminalitet på få måneder, og samme resultat kan selvfølgelig nås i Europa. I modsætning til i USA vil Faye dog ikke bruge dødsstraf, men total isolation på livstid som højeste straf. Som alternativ til denne frygtelige skæbne kan den dømte så vælge frivillig eutanasi.

Udenrigspolitisk ønsker Faye, at Frankrig kun blander sig, når landets interesser, borgere eller territorium er direkte truede. Han ser de forskellige ”krige mod terrorisme” diverse steder i verden som direkte kontraproduktive, alt imens befolkningsudskiftningen herhjemme kun fortsætter. Det franske forsvar bør derimod indrettes efter den eventualitet, at massive udvisninger af visse befolkningsgrupper eller etnisk borgerkrig i Frankrig fører til straffeforanstaltninger fra fx USA, hvilket franskmændene så må være i stand til at værge sig mod. NATO må derfor gradvist erstattes af et forsvarssamarbejde mellem nationalt sindede europæiske regeringer. Pirat-uvæsnet mod vestlige skibe vil Faye løse på kort tid ved hjælp af hær og flåde uden at tage fanger.

For Faye at se er ulandene ikke ofre for et ”neoliberalt” udbytningssystem. De er derimod deres egne værste fjender. Ulandshjælp-ideologien er den sande nykolonialisme, som må undsiges, fordi den altid har slået fejl. Han afviser, at ulandshjælp kan ses som et forsøg på at hindre indvandringen til Europa. Den har virket modsat, og i sin bog viser han udførligt, at masseindvandringen netop udmærket kan standses uden ulandshjælp som værktøj. Faye påpeger, at man aldrig i historien har set, at en invasion er standset ved, at man har ”stimuleret” aggressoren til ikke at invadere, kun ved at man har forbudt invasionen med trussel om brug af magt.

Principperne i Fayes program udspringer af hans retsfilosofiske grundanskuelse, som han kalder aristotelisk. Den forkaster formalisme og evige principper og ser udelukkende på realiteten og dens konkrete krav (efter den græske filosof Aristoteles’ modsætningsforhold til Platons idealisme). Faye erkender med Aristoteles, at enhver form for politik har en bagside. Enhver god afgørelse er samtidig problematisk. Det afgørende er bare, at det positive med tiden overskygger det negative. Det moderne ønske om at kunne tilfredsstille alle parter er en illusion. Trods ulemperne for nogle må Faye derfor kalde sit program for ”plan A”, den fornuftige løsning. For plan B, hvor lidenskaberne uundgåeligt på et tidspunkt tager over, kender hverken ”elegance, respekt eller nåde”.

Peter Neerup Buhl

Lire la suite

mardi, 08 janvier 2013 | Lien permanent

Guillaume Faye: First look At Donald Trump

gf3365327110.png

First look At Donald Trump

Video interview of G. Faye

Lire la suite

vendredi, 10 février 2017 | Lien permanent

Guillaume Faye aux asisses de la remigration

Assises_remigration_GF_pt.jpg

Lire la suite

vendredi, 07 novembre 2014 | Lien permanent

In Memoriam. Guillaume Faye y Stefano Delle Chiae

memoriasoldat.jpg

In Memoriam. Guillaume Faye y Stefano Delle Chiae

Telmo Alvar de Navas
Ex: http://www.posmodernia.com

Los finales de año se prestan a la memoria.

San Agustín indicaba a la memoria, junto el entendimiento y la voluntad, como una de las potencias del alma que configuran al hombre como tal. La memoria entendida como una dimensión fundamental de quién es el ser humano, de cómo es el ser humano, de lo que construye su humanidad.

Hacer memoria en un mundo que se empeña en el presentismo, que le quiere arrancar raíces, que desea al hombre ausente de sí mismo y centrado exclusivamente en el fuera de si –en el consumo, en el mercado, en la unidimensionalidad de la comodidad-, hacer memoria en este tiempo de ruinas de humanidad, es un acto profundamente resistente y subversivo.

Hacer memoria construye, desarrolla, confronta, humaniza, diviniza. Hacer memoria como herramienta que nos acompaña a crecer, que nos ayuda a pensar quién somos, que nos recuerda dónde estamos, dónde queremos estar. Hacer memoria también como homenaje, como reconocimiento de quienes han caminado antes que nosotros.

Nos construye como hombres la doble dimensión de la acción. Las potencias que ponemos en marcha en la acción diaria y cotidiana, poniendo en ejercicio las dimensiones propias constitutivas del ser humano, y lo recibido de otros. La tradición –lo recibido- como fuego de la acción. La renovación y adaptación de lo recibido, sin romper con lo esencial, como claves que construyen lo humano.

He ahí la dificultad de la Revolución. La que rompe con todo lo heredado, la que se construye diabólicamente contra lo humano dado. La revolución como contraria a la humanidad incapaz de entender cómo es el ser humano, incapaz de entender la paradoja humana de ser creatura. Lo dado y lo recibido, junto a lo construido y renovado. Construir y renovar desde las potencias que nos son dadas.

No es el hombre jamás algo que pueda reinventarse desde cero. No es la sociedad algo que se pueda rediseñar al margen de lo recibido. Esa es la terrible revolución de la modernidad que en la posmodernidad toca revertir en lo posible o quizás recomprender qué significa la Revolución en la Posmodernidad desde lo mejor de la Tradición.

Reflexiones como esas nacen en estos días del año, cuando por puro azar he conocido que en este 2019, se han producido dos fallecimientos que me habían pasado inadvertidos.

El 7 de marzo fallecía Guilleaume Faye, y el 10 de septiembre, Stefano Delle Chiae, ambos tras larga y penosa enfermedad.

GF-da-nov19.jpg

Guilleaume Faye

Junto a Pierre Vial, Dominique Venner y a Alain de Benoist, Guilleaume Faye (Angulema 1949-Paris 2019) era el cuarto componente de estos jinetes franceses que mejor han encarnado la Nueva Derecha Francesa. Grupo del que solo quedan Vial y Benoist tras el suicidio de Venner en 2016 en Notre Dame de Paris con una carga profundamente profética que intentaba sacudir las conciencias europeas ante la debacle que nuestra cultura y sociedades de occidente sufren bajo las amenazas a Europa.

Si Venner era el historiador, Benoist el filósofo y Vial el político, Faye podemos decir que era el agitador.

                  Formado en el prestigioso Instituto de Estudios Políticos de París en Geografía, Historia y Ciencias Políticas, durante sus años de estudiante fue uno de los creadores del Círculo Pareto, agrupación estudiantil independiente que sería seducida por el GRECE para colaborar con ellos, al que se incorpora oficialmente en 1973.

                  Sus años de formación coinciden pues con el burgués y marxistizado Mayo del 68, pero es evidente que sus planteamientos van en otras claves que las masas izquierdistas. Contemplando la amenaza soviética a la par que la amenaza del liberalismo, tocando a su fin esas dos décadas de gobierno de De Gaulle, aquellos hombres que conocen a Gramsci apuestan por la batalla cultural como imprescindible para la batalla política, un gramscismo de derechas que prepare el terreno que habría de venir.

                  gf-stp.jpgDentro del GRECE (Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne – Grupo de Investigación y Estudios para la civilización europea), se dedicó a estudiar con detenimiento la filosofía política -Machiavelo, Hobbes, Hegel, Pareto, Carl Schmitt, Oswald Spengler, Ernst Jünger, Moeller van den Bruck, Heidegger, Arnold Gehlen, Konrad Lorenz, etc.-. También desarrollaría un gran interés por las teorías geopolíticas europeistas de Jean Thiriart. Dueño de un estilo original y de una inteligencia muy lúcida, Faye ocupó un puesto importante en el GRECE y se convirtió en un referente de la Nouvelle Droite. Desde las páginas de Nouvelle École y Eléments puso su pluma al servicio del polo antimodernista del movimiento: por ello sus textos del período se destacan por su duro repudio a las ideas centrales de la Ilustración (y a sus herederos que buscan promoverlas), por su feroz crítica al materialismo y al consumismo burgués, y por sus despiadados ataques contra la tecnocracia. Alain de Benoist, entusiasmado con su ímpetu militante e impresionado con su rigor intelectual, le encomendó en 1974 la dirección de la revista Études et Recherches, la más académica de las publicaciones de la organización.

                  Hacia finales de la década de los 70 se agudiza su crítica al capitalismo liberal, denunciando el sionismo y el imperalismo norteamericano que identifica como motores de ese capitalismo deshumanizador y antieuropeo. También por aquella época se adhiere a un cierto racialismo con las tesis del etno-diferencialismo, teorizando sobre la necesidad de crear una alianza estratégica entre Europa y los países del Tercer Mundo –especialmente los del Mundo Árabe–, para así frenar la decadencia de Occidente.

                  Durante la década de 1980, Faye empezó a abandonar sus posiciones cercanas a Thiriart, para acercarse al pensamiento de Giorgio Locchi, quien también era un ferviente antinorteamericano, pero cuyo discurso se inscribía desde otra posición ideológica. Ello le permitió reformular sus ideas europeístas, revalorizando su concepción acerca de la importancia de la herencia indoeuropea en la formación de la identidad continental. A raíz de ello, tutorado por Jean Haudry y Jean Mabire, comenzó a estudiar el paganismo, y, junto a Pierre Vial y Maurice Rollet, se dedicó a organizar eventos orientados a difundir los rituales paganos en Francia. En compañía de Robert Steuckers y Pierre Freson redactó en 1985 el Petit Lexique du Partisan Européen, un breviario que resume de modo elegante su nuevo ideario político. Una interesantísima clave de su pensamiento en ese momento es la tesis señala en su obra que el igualitarismo de la centroizquierda se combina con el utilitarismo de la centroderecha para atomizar a los individuos, con el propósito ulterior de reconstruir los vínculos sociales siguiendo el ideal de una matriz identitaria cosmopolita y multiculturalista, que ubique al consumo como propósito único de la vida cotidiana.  Pareciera que el tiempo le ha dado la razón.

skyman.png

A principios de 1987 finalmente dejaría de participar en el GRECE, debido a que el movimiento, por iniciativa de Alain de Benoist, había virado hacia las posiciones nacional-comunitaristas de Thiriart que él había sostenido en la década anterior y con las que ahora ya no se identificaba. Los tres siguientes años lo conectan con los movimientos próximos a la asociación EUROPA, asociación que terminaría -ya sin Faye entre sus filas- evolucionando hacia lo que más tarde sería Synergies Européennes. En 1990 se aleja del mundo de la política directa, pero sin abandonar nunca una determinada concepción del mundo.

                  Gracias a su amistad con Pierre Bellanger, Faye se convirtió en locutor de Skyrock, una radio parisina orientada al público joven. Usando el seudónimo de «Skyman», y acompañado primero por Jacques Essebag y después por Bruno Roblès, Faye animó el programa matinal Les Zigotos, ganándose a la audiencia con su fino humor y su vasta cultura puesta al servicio de bromas telefónicas y críticas a la farándula. Fue tan importante su figura para la estación, que las autoridades de la misma le permitieron hacer junto a Olivier Carré el programa Avant-Guerre, en el que filtraba ideas identitarias y difundía a artistas de la órbita del Rock Identitaire Français.

                  gf-colooriginal.jpgEn 1997 Faye reingresa al campo político, reincorporándose al GRECE y uniéndose a Terre et Peuple. Al año siguiente publicará L’Archéofuturisme a través de la editorial L’Ancre, propiedad de Gilles Soulas. El texto denuncia el penoso estado presente de la sociedad europea, y propone aliar el espíritu del futurismo con la tradición ancestral indoeuropea, empleando a la tecnociencia para ultrapasar a la Modernidad en lugar de para consumarla. La obra, además, ataca a la estrategia metapolítica de la Nouvelle Droite, reprochándole el no haberse involucrado más activamente en la lucha electoral, lo que sólo habría perjudicado al pueblo francés. Alain de Benoist recibió con poca simpatía al libro. El discurso racialista y evidentemente en contra de la islamización de Europa de Faye quedó más prístinamente plasmado en La colonisation de l’Europe, publicado en 2000 también por la editorial L’Ancre. El libro señala que el choque de civilizaciones no puede ser resuelto con la integración o la asimilación, sino que la única salida que garantice la persistencia de la raza blanca es la Reconquista, que no sería más que una nueva guerra étnica. La publicación del libro le costó a Faye y a Soulas una onerosa multa, acusados de actuar con la intención de producir literatura que incite a la discriminación y al odio racial. Además, debido a ello, Alain de Benoist expulsó a Faye del GRECE, y acusó al escritor de haber producido una obra delirante y peligrosa.

                  Fuera del GRECE, Faye continuó con sus actividades a través de Terre et Peuple (a la cual terminaría abandonando en 2008), y asesorando en cuestiones programáticas a los movimientos belgas Nation y Vlaams Blok, así como en un activismo que pretendía dotar al movimiento identitario europeo de unas sólidas bases doctrinales y de directivas generales para la acción, fruto de lo cual fueron sus obras Pourquoi nous combattons: manifeste de la résistance européenne (2001) y Avant-Guerre: chronique d’un cataclysme annoncé (2002). En ambos textos denuncia que Europa está atrapada en una espiral descendente hacia su desaparición, y que una guerra étnica es inminente. Si bien el enemigo que Faye señala es la alianza entre el neoconservadurismo norteamericano y la oligarquía petrolera de los países árabes (que entre ambos han producido al terrorismo islámico para beneficiarse de sus acciones), allí también subraya que la entidad sionista de Oriente Medio, que es socia de los enemigos de Europa, va camino a su extinción por no contribuir con la resistencia. En esos textos Faye destaca además la necesidad de acabar con el etnomasoquismo y suplantar al tibio etnopluralismo por un orgulloso etnocentrismo, creando así una entidad geopolítica que una a las Azores con Kamchatka, la cual debería denominarse «Eurosiberia» según su opinión. Europa es clave y central y casi que superior a las propias concepciones nacionales en ese planteamiento.

                gf-convergence.jpg  En 2004 se editan los libros La convergence des catastrophes y Le coup d’état mondial. El primero, que circuló firmado con el seudónimo «Guillaume Corvus», no es más que un resumen del pensamiento de Faye en el que –adaptando las teorías del matemático René Thom a la sociología– alerta que el sistema europeo está en peligro de colapsar debido a que las catástrofes sociales, económicas, demográficas, ecológicas e institucionales pueden confluir en un mismo momento y destruir lo que queda en pie del orden civilizatorio occidental. El otro libro, en cambio, es un análisis sobre el imperialismo estadounidense, al cual repudia, pero destacando que en Norteamérica existe el potencial para contribuir al freno del genocidio blanco (por ello amplía su idea de la Eurosiberia para incluir a los países americanos en una entidad que denominará «Septentrión»). Gracias a estas ideas su pensamiento fue bien acogido por el paleoconservadurismo norteamericano, lo que le permitiría después ser citado como uno de los inspiradores del movimiento Alt Right, gracias a Jared Taylor de American Renaissance.

                  De esa época es también una polémica en torno al sionismo y a la cuestión judía, que le valió el ser considerado por un sector del identitarismo europeo como un agente provocador de Israel en Francia, pues Faye aseguraba que la influencia de los judíos en Occidente ha entrado en declive, citando algunos ejemplos de hebreos que se oponen a la invasión inmigratoria en Europa, y proponiendo una alianza estratégica entre Israel y los identitarios para asegurar la supervivencia de ambos.

                  En el año 2015 publicó el libro Comprendre l’Islam. Allí sostiene que los islamistas avanzan sobre Europa debido a que ellos han adoptado una estrategia arqueofuturista, combinando su herencia ancestral con las nuevas tecnologías de la comunicación y la información para imponerse ante una Europa anestesiada por su defensa suicida de la doctrina de los derechos humanos.

Lire la suite

mercredi, 25 décembre 2019 | Lien permanent

Page : 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11