jeudi, 03 mai 2007
Passaggi al bosco - E. Jünger nell'era dei titani
Bonesio, Luisa & Resta, Catarina
Passagio al bosco. Ernst Jünger nell'era dei titani
Milano, Mimesis, 2000, pp. 223, ISBN - 88-87231-92-3
Recensione di Sandro Gorgone - 26/04/2001
Questa monografia sull'opera del poliedrico scrittore e saggista tedesco morto nel 1998 alla veneranda età di 103 anni, colma una notevole lacuna nel panorama italiano della letteratura filosofica. In una complessiva ricognizione del suo pensiero, essa tratta i temi su cui principalmente si è soffermato Ernst Jünger nei suoi innumerevoli scritti (la cui traduzione in lingua italiana è ormai in stato avanzato): la modernità, il nichilismo, la tecnica, l'osservazione della natura e i futuri assetti planetari, privilegiando soprattutto la riflessione jüngeriana posteriore alla sua opera più celebre e commentata, Der Arbeiter, che vide la luce nel 1932. Le due autrici, autorevoli studiose del pensiero del Novecento, pur accostandosi a Jünger da prospettive e con interessi differenti, si muovono comunque in un medesimo orizzonte ermeneutico. I vari saggi che compongono questo volume seguono, con uno stile piano ed un linguaggio mai per soli addetti ai lavori, lo svolgersi di una scrittura cristallina e letterariamente pregevolissima (Jünger fu insignito del premio Goethe) che "diviene specchio, depurato da ogni enfasi soggettivistica, delle innumerevoli sfaccettature della natura e della vita del singolo, attraverso lo scandaglio di figure e concetti (il Waldgänger, l'Anarca, La Natura, la Tecnica, il ritorno dell'arcaico e la fine della storia) analizzati al di là di quei pregiudiziali quanto riduttivi approcci che troppo spesso hanno finora impedito un reale confronto con uno dei pensieri più lucidi e preveggenti di questo secolo" (dalla quarta di copertina).
Nella prima parte Caterina Resta segue l'avvicendarsi delle varie figure della "soggettività" nelle opere di Jünger e il delinearsi di ordini planetari e processi di globalizzazione che egli intuì con straordinaria acutezza molti anni prima della loro piena manifestazione, scorgendo l'implicazione necessaria tra dominio totale della tecnica ed unificazione politica (teoria dello Stato mondiale) e spirituale del mondo.
Dopo aver analizzato il modo in cui l'Operaio [Der Arbeiter], il nuovo Soggetto forgiato sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale, mobilita il mondo attraverso la tecnica, trasformando lo spazio della nostra civilizzazione (da intendersi in senso spengleriano) in un cantiere, in un paesaggio da officina, ed entrando così in rapporto con le forze elementari della Terra, Resta ci mostra come questa evocazione del tellurico inauguri una progressiva ed inesorabile dissoluzione degli antichi ordini morali, spirituali e politici, di quel secolare Nomos della Terra di cui Carl Schmitt, costante e decisivo interlocutore di Jünger, ci ha narrato storia e decadenza. Ma l'accelerazione della tecnica non è infinita; essa tende ad uno stadio di 'perfezione' in cui si rivela il centro immobile del movimento titanico che scuote il mondo. Alle soglie del Muro del tempo la Forma compiuta, in cui l'esistenza storica si cristallizza, raggiunge la sua immagine 'eterna' e «la storia dell'uomo incontra quella della terra, che procede per ere geologiche e lente stratificazioni, fino ad inserirsi in quella del cosmo» (p. 25). Ma ben presto Jünger si accorge che il Tipo dell'Operaio non può condurre lungo questo rischioso passaggio perché la sua "volontà di potenza", che si attua come pianificazione calcolante del reale, è incapace di realizzare l'"inclusione" cosmica dell'umanità.
È il Waldgänger [colui che passa al bosco] che, nel ritorno alle energie primarie della Madre Terra, della terra selvaggia [die Wildnis], riesce, se pure con estremo rischio, a guadagnare uno spazio di resistenza spirituale e di sovranità interiore inattaccabili dalla potenza annientante della tecnica. Figura solitaria e dis-sociata, il Waldgänger resiste in quanto si abbandona alla legge segreta della Terra e al limite che disegna il mistero del bosco, che Jünger pensa come spazio simbolico di liberazione e rigenerazione. Anche l'Anarca - figura tratteggiata soprattutto in Eumeswil - resiste, in quanto interprete di istanze naturali, al potere dello Stato e della società, ma, a differenza del Waldgänger, egli vive apparentemente integrato nel sistema sociale e politico in cui si trova, sebbene realmente sia del tutto indifferente ad esso. Dopo aver messo in luce affinità e differenze dell'Anarca jüngeriano rispetto all'anarchico di concezione stirneriana, Resta si sofferma sull'«esistenza insulare» dell'Anarca che, abbandonato ogni atteggiamento attivistico ed oppositivo, si consacra ad una pratica quasi ascetica di svuotamento da ogni residuo soggettivistico e di distacco dalla realtà.
L'incantata contemplazione della natura sentita come un tutto vivente e la passione di Jünger per l'entomologia intesa come scienza descrittiva delle forme più elementari della vita, sono l'oggetto del quarto capitolo della prima parte. Ciò che attira l'attenzione di Jünger è la strettissima connessione nell'incessante divenire della natura tra potenza generativa e apparente distruzione: ma ad uno sguardo sensibile al tralucere nel visibile dell'invisibile, ogni terreno svanire rimanda ad un regno di incorruttibile bellezza ed ogni cosa che si annienta viene restituita, come un distillato, al suo puro elemento spirituale: «Altra custodia non si dà, per chi soggiorna nel tempo ed è soggetto alla sua implacabile opera di distruzione, se non in quell'invisibile di cui ogni apparenza risplende e brucia» (p. 71). All'uomo che contempla il prodigioso spettacolo della natura è affidato il compito di testimoniare e custodire il misterioso trasfigurarsi di tutto ciò che trapassa, quella «bellezza trascendente che fiammeggia attraverso il fuggevole ordine mondano» (E. Jünger, Il contemplatore solitario).
Infine Resta analizza i modi in cui il carattere totale del lavoro consente all'Operaio di esercitare il dominio tecnico su scala planetaria e di avviare un processo irreversibile di unificazione politica (sullo Stato mondiale [Weltstaat] Jünger ha scritto pagine decisive e profetiche) e spirituale del mondo: l'uniformizzazione tecnica delle scienze, delle arti e del pensiero sembra inarrestabile. Ma, a differenza dei numerosi studi sul tema della globalizzazione, Jünger qui sottolinea non tanto l'aspetto economico e sociale di questi processi, quanto l'ineluttabile oscurarsi ed impoverirsi dei tempi che solo tramite una conversione spirituale - significativi sono a tale proposito i suoi ripetuti appelli ad una "nuova teologia" - potrebbero condurre ad una rinascita.
Nella seconda parte Luisa Bonesio scandaglia le varie forme in cui si manifesta quella pietas religiosa con cui Jünger si accosta ai misteri della natura e le diverse strategie di osservazione che gli consentono di coglierne le enigmatiche meraviglie. Fondamentale è, per Bonesio, nella scrittura di Jünger l'impegno alla descrizione esatta, impeccabile della natura, che, in un'epoca segnata dalla complessiva mancanza di stile, si carica di una decisiva valenza etica,: «salvare le forme nel linguaggio appare a Jünger come uno dei più importanti compiti epocali» (p. 142). L'incantesimo delle immagini, in cui si rivela il valore ontologico del bello, presuppone misura, distanza e occhio acuto, e soprattutto quella sensibilità "stereoscopica" che consente di percepire le valenze tattili delle forme osservate accrescendo, così, lo stupore di fronte allo spettacolo della natura. Per Jünger la percezione della bellezza è una forma di «reminiscenza e di nostalgia - pressoché del tutto precluse dalla visione materialistica del mondo - dell'appartenenza a un regno da cui l'umanità si è esclusa progressivamente [...] Portare l'uomo nella giusta posizione di fronte all'universo è dunque il compito più importante, cui le "contemplazioni" di Jünger contribuiscono in un modo ineguagliato nel Novecento» (pp. 144-145). Tale visione della natura che richiama da un lato la concezione tipica delle culture tradizionali e dall'altro rinvia al pensiero orientale, implica un ridimensionamento e quasi un rovesciamento dell'antropocentrismo: in ogni aspetto del mondo naturale l'uomo può rispecchiarsi e trarre insegnamenti: ogni cosa vivente è, come l'uomo, sembianza, simulacro di un "totalmente Altro", geroglifico dell'indicibile, immagine dell'invisibile; tutti i fenomeni sono legati da una universale analogia e l'intemporalità dei modelli regna sopra la caducità degli individui. Una profonda vena neoplatonica attraversa, dunque, la contemplazione jüngeriana della natura, insieme con una incontestabile ispirazione metafisico-religiosa: l'intera natura vivente esprime "venerazione" con la sua stessa esistenza nei confronti di quel mistero che si manifesta indisvelabile in ogni immagine di ciò che è. La dimensione sacra di avvicinamento a questa immagine accoglie le opere e i pensieri dell'uomo che, al di là dell'erosione simbolica del mondo operata dalla tecnica, si incammina sulle tracce del «grande reticolo del tutto».
Ma ciò su cui maggiormente si concentrano le riflessioni di Bonesio è la «ritrascrizione in chiave geologica e paleontologica del rapporto dell'uomo moderno con la natura» con cui Jünger riporta «l'attenzione sulla vita del regno minerale, sui suoi linguaggi, le sue leggi e le sue misure temporali al cui confronto l'enfasi moderna sulle meraviglie e i poteri della tecnica appare risibile» (p. 160). Il grande rivolgimento operato dal dominio planetario della tecnica si manifesta in uno sconvolgimento tellurico: ad emergere è la dimensione geologica dell'elementare attraverso una progressiva disanimazione ed una irreversibile metallificazione del mondo. Ma tale irresistibile estendersi del deserto, dell'uniforme e dell'indifferenziato è interpretato da Jünger come il simbolo di quel necessario "imbiancamento" che prelude ad una svolta epocale, a quel Grande Passaggio al di là del muro del tempo in cui l'accelerazione della tecnica si risolve nella quiete "perfetta" di una esitante aurora.
Ciò a cui, per Bonesio, sollecita l'intera opera di Jünger è un «pensiero della Terra nel suo insieme, nella sua sostanziale unità» (p. 164), al di là della frammentazione delle prospettive, che si rivolga verso quella connessione organica di tutti gli aspetti della vita terrestre che, paradossalmente, proprio la tecnica nei suoi effetti distruttivi, rende sempre più evidente. La Modernità è incapace di riconoscere l'esistenza di tutte le dimensioni della vita dell'uomo sulla Terra e della vita della Terra stessa: la sua razionalità non può non trascurare quella direttrice simbolica verticale che dispone l'esistenza della natura, ed in essa dell'uomo, nella polarità Cielo-Terra e fonda quella superiore armonia invisibile che, misconosciuta e violentata dall'attivismo tecnico, si impone comunque, nel modo più traumatico, attraverso il sollevamento del fondo primordiale. Solo una "geografia verticale" in uno con il recupero di una sensibilità "fisiognomica" in grado di riconoscere l'espressività delle forme, può consentire, secondo le riflessioni di Bonesio, una prognosi del futuro e l'accesso alla dimensione simbolica profonda della realtà indivisa del cosmo, cui l'uomo è destinato ad appartenere nonostante i suoi incessanti slanci faustiani.
Indice
Prefazione. Parte prima (di Caterina Resta): I) L'imboscato. II) Il Waldgänger. III) L'Anarca. IV) Tra visibile e invisibile. V) Verso assetti planetari. Parte seconda (di Luisa Bonesio): I) L'uniforme del mondo. II) Immagini e avvicinamenti. Il significato della natura. III) Una geografia verticale. IV) Il cannocchiale dell'archeologo: tempo geologico e tempo umano. V) Il rebus e il cristallo. Immagini della vita nella scrittura diaristica.
Le autrici
Luisa Bonesio insegna Estetica nell'Università di Pavia. Tra le sue pubblicazioni più recenti: La ragione estetica, Milano, Guerini, 1990; La terra invisibile, Milano, Marcos y Marcos, 1993; Geofilosofia del paesaggio, Milano, Mimesis, 1997. Ha curato il volume di AA.VV., L'anima del paesaggio tra estetica e geografia, Milano, Mimesis 1999 e i volumi, di cui è anche coautrice, insieme a C. Resta, Geofilosofia, Sondrio, Lyasis, 1996; Appartenenza e località: l'uomo e il territorio, Milano, SEB, 1996 e Orizzonti della geofilosofia. Terra e luoghi nell'epoca della mondializzazione, Casalecchio, Arianna, 2000.
Caterina Resta insegna Filosofia Teoretica nell'Università di Messina. Tra i suoi ultimi lavori: Pensare al limite. Tracciati di Derrida, Milano, Guerini, 1990; Il luogo e le vie. Geografie del pensiero in M. Heidegger, Milano, Angeli, 1996; La Terra del mattino. Ethos, Logos e Physis nel pensiero di M. Heidegger, Milano, Angeli, 1998 e Stato mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso, Roma, Pellicani 1999.
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