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dimanche, 11 janvier 2009

L'enigmatico silenzio di Obama

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L’ENIGMATICO SILENZIO DI OBAMA

http://www.eurasia-rivista.org/

di Daniel Luban

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora duro ad un piano di ripresa economica per il suo paese, ma ancora mantiene il silenzio assoluto sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Il mutismo di Obama combinato con l'appoggio passivo a Israele da parte dell’attuale presidente, George W. Bush, ha fatto sì che gli Stati Uniti restassero ai margini della crisi di Gaza, e sono i leader europei quelli che assumono gli sforzi diplomatici per trovare una via d’uscita dalla grave situazione. Ma, nonostante la reticenza di Obama nel parlare di Gaza non è qualcosa che sorprende la maggioranza degli esperti, semina dubbi sulla posizione che prenderà la sua futura amministrazione sul conflitto israelo-palestinese. Da quando Israele ha iniziato a bombardare Gaza, il 27 dicembre, allo scopo di paralizzare Hamás (acronimo arabo di movimento di resistenza islamica), Obama non ha preso posizione. Il suo portavoce ribadisce che "c'è soltanto un presidente alla volta" e che non prenderà alcuna iniziativa prima di assurgere al ruolo di Capo di Stato, il 20 di questo mese.
Tuttavia, Obama si è mostrato disposto a trattare alcuni affari politici. Lunedì ha visitato i leader del congresso legislativo per dare impulso al suo piano destinato alla ripresa economica. Ha anche espresso la sua opinione sulla politica estera: ha divulgato un comunicato sugli attentati nella occidentale città indiana di Mumbai, in dicembre. Mentre i leader europei come il presidente francese Nicolas Sarkozy ed il cancelliere ceco Karl Schwarzenberg sono andati in Medio Oriente per iniziare gli sforzi diplomatici, il governo di Bush ha accusato Hamás per il conflitto, ma ha evitato di assumere un ruolo attivo.

Il segretario di Stato (cancelliere), Condoleezza Rice, ha annullato un viaggio, previsto lunedì, in Cina per trattare la crisi, ma ancora non è nei suoi piani di trasferirsi nella regione. Dinanzi alla mancanza di una posizione chiara del presidente americano eletto, gli analisti iniziano a speculare.

Alcuni hanno ricordato una dichiarazione di Obama nella località Israeliana di Sderot: "Se qualcuno lanciasse razzi sulla mia casa, dove le mie due figlie dormono di notte, farei tutto ciò che posso per fermarlo".

Questo è stato interpretato come un segnale di appoggio alle rappresaglie israeliane contro Hamás. In una conferenza sul Medio-Oriente tenuta lunedì nello Brookings Institution, gli osservatori hanno prestato particolare attenzione alle dichiarazioni fatte da Martin Indyk, ex ambasciatore americano in Israele e collaboratore del dipartimento di Stato per gli affari del Vicino-Oriente durante il governo di Bill Clinton (1993-2001). È considerato un candidato probabile per un alto incarico legato al Medio-Oriente nel gabinetto del designato e prossimo Segretario di Stato Hillary Clinton. Indyk ha evitato di attribuire colpe per la crisi o di dare prescrizioni per risolverla. Si è richiamato ad un "sollecito cessate il fuoco" ; è stato prudente, evitando di offendere una delle parti. Ha anche sostenuto che il ministro della difesa israeliano Ehud Barak concluderà certamente la campagna militare prima dell'assunzione dell’incarico da parte di Obama cosa che faciliterà la politica estera del nuovo presidente americano.

"Questa settimana ci saranno intense operazioni (militari), e la prossima settimana ci sarà una intensa diplomazia” ha affermato. "Credo che Obama si trovi in una situazione in cui potrà approfittare di questa diplomazia e far sì che le due parti decidono per un cessate il fuoco". Nella conferenza, il politologo Shibley Telhami, dell’Università del Maryland, ha elogiato la decisione di Obama non di parlare della situazione a Gaza prima dell’assunzione dell’incarico. "Non avrà una seconda possibilità di dare una prima impressione. Se dici qualcosa su questa crisi in prima battuta, le mani ti restano legate. E ed è un grande errore se egli interviene in questa crisi". Nel frattempo molti analisti sembrano decidere con Telhami che il silenzio è la cosa migliore, la risposta di Obama rivela l'ambiguità della sua amministrazione sui temi legati alla crisi Israelo-palestinese. Forse deliberatamente, è stato circondato da consulenti la cui cronistoria sull'argomento è difficile da leggere. Hillary Clinton si è guadagnata la reputazione, alla fine degli anni ‘90, di essere aperta alle preoccupazioni palestinesi. Si è richiamata nel 1998 alla "soluzione di dei due Stati"(uno israeliano e l’altro palestinese, coesistenti in modo pacifico), molto prima di convertirsi alla visione di maggior consenso.

Nel 1999 suscitò una polemica quando apparve con Suha Arafat, coniuge dello scomparso leader palestinese Yasser Arafat, durante una riunione nella quale quest'ultimo criticò Israele. Hillary Clinton si è anche guadagnata l’appoggio del mondo arabo con gli sforzi del suo coniuge per promuovere la pace tra palestinesi e Israeliani durante gli ultimi anni della sua amministrazione. Ma da quando si è insediata in senato nel 2001, ha adottato una posizione più filo-Israeliana. Gli Analisti si chiedono se ciò ha prodotto un cambiamento nel suo modo di pensare in quanto senatrice del nordorientale Stato di New York, in cui esiste una Comunità ebraica enorme, nella sua maggioranza schiacciante partigiana delle politiche di Israele. Benché si considerasse Obama inizialmente simpatizzante delle preoccupazioni palestinesi ed era visto con sfiducia dai gruppi ebraici bellicisti, le sue nomine in politica estera sembrano mettere un'ombra su questo. Molti sospettano che condividerà gli stessi principi pro-Israeliani dell’amministrazione di Bush.

Traduzione a cura di G.P.

Fonte:
IPS/Diario DigitalRD.Com

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