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mardi, 27 décembre 2011

La riconquista della Libia e la putrefazione morale della sinistra europea

La riconquista della Libia e la putrefazione morale della sinistra europea

di Bahar Kimyonpur

Fonte: aurorasito.wordpress

KADHAFI 03.jpgCome è possibile che il movimento contro la guerra abbia lasciato fare? Come è possibile che degli scaltri attivisti siano arrivati ad inghiottire tutto ciò che Sarkozy, TF1, Le Monde, France 24 e BBC hanno rovesciato su Gheddafi? Come è possibile che esseri dotati di coscienza e di acuta intelligenza non abbiano imparato la lezione della tragedia che tuttora si sta svolgendo sotto i loro occhi in Afghanistan e in Iraq? Come è possibile che l’estrema sinistra europea abbia potuto applaudire la coalizione militare più predatrice al mondo? Come è possibile che il linciaggio di un capo del terzo mondo, torturato a calci, pugni e calci di fucile, sodomizzato con un cacciavite; il supplizio di un nonno di 69 anni, che ha visto quasi tutta la sua famiglia spazzata via, compresi dei neonati, abbia riunito nel medesimo coro gli “Allah o Akbar” dei teppisti jihadisti, il “Mazel Tov” del filosofo Legion d’honore franco-israeliano Bernard-Henri Lévy, il cin-cin dei signori della NATO, l’esplosione di gioia cinica di Hillary Clinton sulla CBS e gli applausi dei pacifisti europei?

 


Ricordiamoci che per evitare l’invasione dell’Iraq, il cui regime era molto più dispotico di quello di Muammar Gheddafi, eravamo  dieci milioni in tutto il mondo. Da Jakarta a New York, da Istanbul a Madrid, da Caracas a New Delhi, da Londra a Pretoria, avevamo messo da parte la nostra ostilità nei confronti della dittatura baathista, per fermare l’atto più irreparabile, più distruttivo, più vergognoso, più terroristico e barbaro, e cioè la guerra.
A parte le molte espressioni di sostegno alla Jamahiriya libica, organizzate nel continente africano e, in misura minore, in America Latina e in Asia, la solidarietà con il popolo libico è stata quasi inesistente. Questo popolo composto da una miriade di tribù, di costumi e di volti, questo popolo che ha commesso il crimine di amare il suo dirigente e “dittatore”, di appartenere alla parte sbagliata, alla tribù cattiva, alla zona sbagliata o al quartiere sbagliato, non ha ricevuto alcuna compassione.

 


I media allineati hanno ignorato l’esistenza di questo popolo che, il 1° luglio, di nuovo, era un milione per le strade di Tripoli a difendere la propria sovranità nazionale, la sua vera rivoluzione autentica, e questo in barba dei cacciabombardieri della NATO. Allo stesso tempo, un altro popolo, quasi identico a quello di Tripoli, un popolo altrettanto innocente, che non aveva raccolto più di poche decine di migliaia di manifestanti, anche con l’appoggio schiacciante dei commandos del Qatar [1], dei propagandisti della Jihad di Egitto, Siria e Giordania [2], anche con le ingannevoli tecniche di ripresa di al-Jazeera per amplificare l’effetto della folla, vennero scelti nel ruolo di “unico popolo.”

 


Questo popolo godette di ogni favori e attenzione. Anche di ogni armi e ogni impunità. L’umanesimo paternalistico e interessato della NATO verso questi poveracci, ha commosso i nostri sinistri, al punto di  fargli dire: “Per una volta, la NATO ha fatto bene a intervenire”.
Non c’è dubbio che il miraggio degli sconvolgimenti sociali, chiamati abusivamente “Primavera araba”, ha contribuito a confondere le acque, probabilmente l’inversione di tendenza (in coincidenza con le dimissioni di molti giornalisti indipendenti), dei canali satellitari arabi come al-Jazeera, che ora sono i giocattoli delle monarchie del Golfo e degli strateghi statunitensi, ha creato confusione, non c’è dubbio che la guerra di propaganda questa volta era meglio preparata, probabilmente le farneticazioni di Muammar Gheddafi e del figlio Saif al-Islam, deliberatamente tradotte male dalle agenzie stampa internazionali, hanno aiutato la propaganda occidentale a rendere questi uomini odiosi. Tuttavia, questo può spiegare l’incredibile silenzio di approvazione dei movimenti alternativi europei, che sostenevano il cambiamento sociale.

 

Difendere i deboli contro i forti

 


Sin dagli albori dell’umanità, è una virtù che da sempre ha sollevato l’uomo, il senso della giustizia. Quando la giustizia è assente, a volte, gli uomini sono presi da una sete inestinguibile e lottano per essa, a costo della loro vita. Nel corso della storia, diversi movimenti filosofici e sociali hanno preso la causa della giustizia.
Oggi e nei nostri paesi, le donne e gli uomini che bruciano per Dame Themis, si dicono spesso di essere di sinistra. Hanno fatto della difesa dei deboli contro i potenti la loro lotta, a volte, il loro scopo. Rifiutano categoricamente la legge della giungla. Scrutando la storia, questi amanti della giustizia si pongono quasi per riflesso dalla parte degli Spartani contro le truppe del re persiano Serse, dalla parte dei Galli e dei Daci contro le legioni romane, dalla parte degli Aztechi o degli Incas contro i conquistadores di Pizarro o Cortes, o dalla parte dei Cheyenne contro la Cavalleria USA del colonnello Chivington o del Generale Custer [3].
Il giusto non si lascia ingannare. Sa che è in nome delle nobili cause come civiltà, modernità o diritti umani, che il colonizzatore ha ridotto i “barbari” in stato di schiavitù e distrutto quasi 80 milioni di indiani americani.

 


Sa anche che difendendo il diritto alla vita degli amerindi, ad esempio, indirettamente avvalla società che erano impegnate in conflitti fratricidi e in guerre di annessione, che praticavano sacrifici umani o lo scalpo. Il Giusto è consapevole che se si opponeva alla guerra in Iraq, riconosceva implicitamente la sovranità nazionale dell’Iraq e, quindi, la continuazione del potere di Saddam Hussein. Questo paradosso non ha impedito la giusta indignazione del trattamento da parte del regime iracheno baathista o dalla Jamahiriya libica, dei loro avversari. Ha giustamente denunciato l’abuso di potere e alcuni privilegi del sistema Gheddafi, a cominciare dalla Guida stessa, dalla sua famiglia e dal suo clan, torture e esecuzioni sommarie perpetrate dai servizi di sicurezza libici, le operazioni di seduzione che il regime aveva lanciato verso le potenze imperialiste corrompendone i capi di Stato.
Ma quando i dissidenti libici si sono compromessi coi peggiori nemici del genere umano, quando divennero dei volgari agenti dell’Impero e si sono a loro volta impegnati in tali atti barbarici contro i lealisti, le loro famiglie, i libici neri e i migranti sub-sahariani, i nostri giusti non hanno fatto marcia  indietro. Non hanno denunciato l’impostura. Avrebbero potuto dire “piuttosto che  fare la guerra in Libia, salviamo il Corno d’Africa sacrificato dai mercati finanziari“.

 


Distruggendo il paese più prospero e più solidale dell’Africa, mentre il Corno d’Africa muore di fame e di siccità, l’Impero ci ha dato un’opportunità unica per schiaffeggiarlo. Ma invece di richiamare la realtà crudele ma anche intelligibile e concreta di un semplice slogan di lotta, il nostro giusto si sono rifugiati nel silenzio, accontentandosi di rivangare gli stessi vecchi luoghi comuni sul regime libico, per sentirsi bene e giustificare la loro codardia.
Eppure il giusto non sta mai zitto con gli stolti, come non ulula mai con i lupi. Non accosta mai indietro il piccolo e il grande tiranno. Non che lui apprezzi il piccolo tiranno, ma sente che in un mondo in cui il Leviatano atlantista è caratterizzato da avidità, violenza e criminosità senza pari, sia indegno di unire le forze con esso per schiacciare il piccolo tirano, in questo caso Gheddafi.

 


Se la resistenza anti-regime, che ha avuto inizio in Cirenaica, roccaforte dei monarchici, dei salafiti e di altri funzionari filo-occidentali, avesse rilevato un qualche slogan anti-imperialista, se fosse un poco patriottico, progressista, onesto, coerente e organizzato, allora la questione del sostegno non si sarebbe postam perché con un tale programma e un tale profilo, non riuscendo a corromperla, la NATO avrebbe almeno cercato di sostenere l’altra parte, cioè quella di Gheddafi.

 


Ma dall’inizio della rivolta, era ovvio che la presenza al suo interno di alcuni intellettuali e cyber-dissidenti vuoti, ricevessero un eccezionale sostegno multimediale (anche se, ovviamente, non rappresentavano che se stessi e i loro protettori occidentali), non ne facevano un movimento democratico e rivoluzionario.

 


Pertanto, in Libia, il Giusto doveva difendere Gheddafi, nonostante Gheddafi. Doveva difenderlo non per simpatia per la sua ideologia o le sue pratiche, ma per realismo. Perché, nonostante alcuni aspetti discutibili delle sue manovre diplomatiche e del suo governo, in Libia, in Africa e nel Terzo Mondo, Gheddafi rappresentava con i suoi investimenti economici, programmi sociali, il suo sistema secolare, il tentativo (anche se senza successo) di creare una democrazia diretta garantita dalla Carta verde del 1988, la sua politica monetaria che sfidava la dittatura del franco CFA e, infine, le sue forze armate, l’unica alternativa reale e pratica al dominio coloniale, in assenza di qualcosa di meglio in una regione dominata da correnti oscurantiste e servili.

 

La stupidità del “né-né”

 


Né la NATO né Slobodan. Né Saddam né gli USA. Né gli Stati Uniti né i taliban. In ogni guerra, ci servono la stessa ricetta. Di fronte a un predatore che l’umanità non ha mai sperimentato prima, che ora controlla terra, mare e cielo, un nemico senza legge che ha giurato di mettere l’umanità in ginocchio e di far dominare il secolo americano, il loro motto è un vibrante “né-né”. Mentre il vaso di ferro ha polverizzato il vaso di coccio, ciò che trovano da dire è semplicemente un “né-né”. Questa posizione di apparente innocenza, serve solo a scoraggiare e a smobilitare le forze della democrazia e della pace. Offre quindi un assegno in bianco alle forze che dirigono le operazioni di conquista della Libia.
Tra i “né-né” alcuni intellettuali che si pretendono trotskisti come Gilbert Achcar, che ha tristemente applaudito la guerra di conquista della NATO. [4]

 


Altri, come il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), hanno adottato un atteggiamento schizofrenico, che va dalla critica “formale” della NATO (quando comunque non passano che per dei pro-imperialisti, in ogni caso) e l’approvazione delle sue missioni per eliminare Gheddafi. [5]

 


Altri attivisti vicini allo stesso movimento [6], sono giunti a chiedere di lanciare armamenti ai mercenari jihadisti al soldo della NATO, quegli stessi fanatici che vogliono combattere il nazionalismo di Gheddafi considerato una minaccia al loro progetto pan-islamico, bruciando il suo Libro Verde, tacciato di essere una “opera perversa”, “comunista e atea“, volta a “sostituire il Corano“.

 


Secondo alcuni membri di una IV Internazionale tanto ipotetica quanto inoffensiva, il CNT sarebbe malgrado tutto ancora una “forza rivoluzionaria”. Poco importa se il CNT è composto da ex torturatori di Gheddafi, da mafiosi e  islamisti sgozzatori di “miscredenti laici”, poco importa che il CNT sia nostalgico del fascismo e del colonialismo italiano [7] e che desideri consegnare la Libia all’Impero su un piatto d’argento, se il CNT è finanziato e armato dalla CIA, dai commandos britannici delle SAS, dai regni del Qatar e dell’Arabia Saudita e anche dal presidente sudanese Omar al-Bashir, perseguito dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, indipendentemente dal fatto che la NATO abbia commesso crimini contro la popolazione civile della Jamahiriya, i nostri amici trotzkisti hanno deciso: il CNT è l’avanguardia rivoluzionaria…

 


Nostalgici della guerra civile spagnola come sempre, alcuni di loro mi hanno detto che bisognava offrire ai ribelli libici delle nuove brigate internazionali. Senza dubbio erano contenti quando il bullo dei salotti, il grande amatore delle tirate anti-franchiste, il rinomato BHL li ha dato ascolto. Brandendo la clava della libertà che riflette la sua sacra immagine e con la bandiera fregiata con l’invincibile rosa dei venti, il Durruti miliardario ha sbaragliato le truppe di Gheddafi battendosi il suo petto glabro. Entrò a Tripoli senza fretta alla testa della sua Brigata Internazionale, a cavallo di un missile Tomahawk …

 


Non è forse alquanto ridicolo, per dei sinistri che non hanno mai toccato una pistola nella loro vita e che sputano su tutti i guerriglieri marxisti del mondo, perché sono stalinisti, fare campagna per la consegna di armi prodotti dalla fabbrica bellica belga FN di Herstal, destinate ai mercenari indigeni al soldo della nostra élite?

 


Compagni trotzkisti, diteci allora quante armi avete inviato ai “vostri” liberatori? Quanti brigatisti avete inviato sul campo di battaglia? Quanti corrieri avete reclutato? Onestamente, tra gli ausiliari barbuti della NATO e i soldati dell’esercito di Gheddafi arruolati sotto la bandiera del panafricanismo, chi assomiglia di più alle Brigate Internazionali? Come una tale cecità, un tale decadimento ideologico e morale si sono potuti verificare tra le forze che si pretendono radicali e progressiste?

 


Dopo averci scioccato e, a volte disgustato, per le sue scappatelle, il suo orgoglio e la sua eccentricità, Muammar Gheddafi, al termine della sua vita, ha almeno avuto il merito di riconnettersi con il suo passato rivoluzionario. Al momento più critico della sua vita, ha resistito alla NATO. E’ rimasto nel suo paese, sapendo che l’esito della battaglia sarebbe stato fatale. Ha visto i suoi figli e i suoi nipoti essere massacrati, e tuttavia non ha tradito le sue convinzioni e il suo popolo.

 


Possiamo sperare che un giorno un terzo del quarto del coraggio, dell’umiltà e della sincerità di Gheddafi, sia nei nostri compagni della sinistra europea, nella loro lotta contro il comune nemico del genere umano?

 

Note
[1] Su ammissione del generale Hamad bin Ali al-Attiya, Capo di Stato Maggiore del Qatar. Fonte: Libération, 26 ottobre 2011
[2] Ribelli “libici” che parlavano dialetti provenienti da diversi paesi arabi, sono stati regolarmente mostrati sui canali satellitari arabi.
[3] In tutti questi casi, tribù in lotta con i loro fratelli nemici hanno chiamato o si sono alleati con gli invasori. L’alleanza CNT-NATO è l’episodio finale della lunga storia di guerre di conquista supportate dai popoli indigeni.
[4] Intervista a Gilbert Achcar di Tom Mills sul sito britannico New Left Project, 26 agosto 2011. Versione in francese dell’intervista disponibile su Alencontre.org
[5] Comunicato della NPA del 21 agosto e 21 ottobre 2011.

[6] Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale (VI Internazionale), Partito Operaio argentino…
[7] L’8 ottobre 2011, il Presidente del Consiglio nazionale di transizione (CNT) libico, Mustafa Abdel Jalil ha celebrato il centenario della colonizzazione italiana della Libia assieme al ministro della difesa italiano Ignazio La Russia, del Movimento sociale italiano (MSI), un partito neofascista. Questo periodo di deportazioni, esecuzioni e saccheggi per Abdel Jalil era l’”era dello sviluppo“. Fonte: Manlio Dinucci, Il Manifesto, 11 ottobre 2011

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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