L'opera che più di tutte accompagnò la prima guerra mondiale e che dette il nome alla letteratura della crisi che poi ne seguì, in realtà fu scritta prima del conflitto. Era infatti il 1914, giusto cent'anni fa, quando Oswald Spengler concluse Il tramonto dell'Occidente; poi quel titolo divenne l'epigrafe del dopoguerra e il suo compendio, almeno mitteleuropeo. L'opera vide la luce sul finire della prima guerra mondiale e fu un trionfo di vendite e commenti. Uscì in ritardo per via della guerra, e questo permise a Spengler di rielaborare alcune pagine e aggiungere nuovi particolari. Tuttavia era stata scritta e pensata non alla luce della guerra e del suo esito, ma prima, in uno sguardo epocale alle civiltà del passato e del presente. Per l'avvenire Spengler prevedeva lo scontro finale fra la dittatura del denaro e la civiltà del sangue, del lavoro e del socialismo. Alla fine, vaticinava, la spada trionferà sul denaro perché una potenza può essere rovesciata solo da una potenza.
In fondo la profezia fu azzeccata se consideriamo che poi andarono al potere comunismo sovietico, fascismo e nazionalsocialismo. Spengler aveva visto lontano; ma non lontanissimo. La rivolta del sangue contro l'oro, del lavoro contro il capitale, fu infatti spazzata via da guerre, tragedie e fallimenti, almeno in occidente. E dopo il conflitto tra politica ed economia, il denaro restò a dominare incontrastato. Ma dietro il denaro, notava Spengler, è la tecnica che prima serve l'uomo faustiano ma poi lo assoggetta. Il dominio della tecnica, previde Spengler, «detronizzerà pure Dio». A L'Uomo e la tecnica Spengler dedicò un penetrante saggio, parallelo e divergente rispetto all' Operaio di Ernst Jünger che vide la luce poco dopo. Spengler non nascose però una certa ammirazione per il cesarismo tecnico e finanziario e per i suoi militi: ingegneri, inventori, imprenditori. Nessuna lettura cent'anni fa seppe essere così profetica come quella di Spengler. La storia per Spengler è una costellazione di mondi conclusi chiamati civiltà, ciascuna obbedisce al suo sistema di valori, retto da un determinismo ferreo; ma ciascun sistema è poi relativo rispetto agli altri e al tempo; sicché conosce l'alba, l'apice e il tramonto. Una civiltà è assoluta al suo interno, ma non eterna.
Come per i marxisti, anche per Spengler la teoria è al servizio della prassi, il pensiero è al servizio della storia. La comune matrice è nel Faust di Goethe: «In principio fu l'azione». In Marx prende corpo il soggettivismo rivoluzionario nel nome di Prometeo, in Spengler il soggettivismo eroico nel nome della civiltà faustiana. Ma quando la rivolta del sangue contro l'oro prese corpo in Germania col nazionalsocialismo, Spengler prese le distanze da Hitler e dal suo partito: «Volevamo liberarci dei partiti ma è rimasto il peggiore». Il razzismo per lui è «un'ideologia del risentimento verso la superiorità ebraica» e denota «povertà spirituale». Non fece in tempo a vedere cosa sarebbe poi accaduto perché morì nel '36. Anche Hitler non si professava seguace di Spengler e rifiutava l'idea del Tramonto dell'Occidente. Il regime nazista osteggiò il filosofo. Grande accoglienza ebbe invece Spengler nell'Italia fascista, verso cui nutrì un giudizio positivo ed esprimendo anche in dediche ammirazione al suo duce. Mussolini leggeva Spengler, lo recensì, fece tradurre Anni della decisione (che ristampai negli anni Ottanta) e, come notò De Felice, si fece sempre più spengleriano anche in polemica antitedesca. Trovò in Spengler l'elogio dei popoli giovani, dello spirito mediterraneo e della romanità.
Ma gli idealisti italiani, a cominciare da Croce, considerarono Spengler un dilettante. E per i cattolici era un autore intriso di paganesimo e privo di apertura trascendente. Il Dizionario di Filosofia della Treccani liquidò Spengler come pseudofilosofo (l'autore della voce era Felice Battaglia). Lo apprezzò invece Evola che poi tradusse Il tramonto dell'Occidente (De Felice definì curiosamente Evola «mistico spengleriano») e lo ammirarono Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, Lorenzo Giusso e Vittorio Beonio Brocchieri. Nella cultura italiana più recente ha prevalso la lettura di Furio Jesi che ridusse Spengler a un protonazista, un barbaro erudito, ostile alla cultura nel nome della vita; ispiratore del linguaggio radicale delle «idee senza parole».
A prenderlo sul serio fu Theodor Adorno che definì stupefacenti le sue prognosi e lo ritenne un Machiavelli del '900. «Spengler - scrive Adorno che pure altrove lo giudicò uno sprovveduto - appartiene a quei teorici dell'estrema reazione la cui critica al liberalismo in molti punti si è rivelata superiore a quella progressista». All'idea spengleriana di decadenza e destino, Adorno oppose l'idea marxista di utopia rivoluzionaria. Heidegger lo ammirava ma rifiutava il suo storicismo. Thomas Mann restò impressionato dalla potenza del Tramonto, un affresco grandioso che egli definì «un romanzo intellettuale», paragonando Spengler a Schopenhauer.
In effetti Spengler fu un pensatore tragico e al pessimismo dedicò un intenso saggio (che curai insieme ad altri suoi saggi raccolti in Scritti e pensieri, editi da Sugarco). Un pessimismo storico preludio al fatalismo eroico. Spengler era pessimista nell'indole prima che nella teoria. Dietro la sua durezza prussiana e l'elogio dell'acciaio batteva un cuore delicato, incline alle lacrime, di salute cagionevole; era un solitario malinconico come rivela il suo scritto autobiografico A me stesso (Adelphi). Visse in ristrettezze, coi lasciti di un'eredità famigliare che la crisi economica falcidiò. Spengler cercò di tradurre in visione storica il pensiero di Nietzsche e l'arte di Goethe; condusse Zarathustra in battaglia, portando nella storia la Volontà di potenza e l'Eterno Ritorno, il Superuomo e l'Amor fati. Ma restò il profeta della decadenza dell'Occidente (cantò la gloria dei tramonti e l'onore delle sconfitte), più che il veggente precursore della rinascita. Il pessimismo tragico ingoiò il suo banditore. In realtà il pensiero di Spengler fu divorato dalla sua stessa suggestione faustiana.
Il mito di Faust, analogo al mito di Prometeo del giovane Marx, condusse il pensiero spengleriano al naufragio: perché il faustismo alla massima potenza (come il prometeismo scatenato) era la Tecnica unita alla Finanza, e il loro nichilismo compiuto avrebbe spazzato il faustismo epico ed eroico figurato da Spengler, retaggio romantico delle civiltà precedenti. Faust vendette l'anima al diavolo, e il faustismo rubò l'anima a Spengler, lasciandogli in cambio l'aura melanconica del profeta perdente.
(Il Giornale, 11/08/2014)
In fondo la profezia fu azzeccata se consideriamo che poi andarono al potere comunismo sovietico, fascismo e nazionalsocialismo. Spengler aveva visto lontano; ma non lontanissimo. La rivolta del sangue contro l'oro, del lavoro contro il capitale, fu infatti spazzata via da guerre, tragedie e fallimenti, almeno in occidente. E dopo il conflitto tra politica ed economia, il denaro restò a dominare incontrastato. Ma dietro il denaro, notava Spengler, è la tecnica che prima serve l'uomo faustiano ma poi lo assoggetta. Il dominio della tecnica, previde Spengler, «detronizzerà pure Dio». A L'Uomo e la tecnica Spengler dedicò un penetrante saggio, parallelo e divergente rispetto all' Operaio di Ernst Jünger che vide la luce poco dopo. Spengler non nascose però una certa ammirazione per il cesarismo tecnico e finanziario e per i suoi militi: ingegneri, inventori, imprenditori. Nessuna lettura cent'anni fa seppe essere così profetica come quella di Spengler. La storia per Spengler è una costellazione di mondi conclusi chiamati civiltà, ciascuna obbedisce al suo sistema di valori, retto da un determinismo ferreo; ma ciascun sistema è poi relativo rispetto agli altri e al tempo; sicché conosce l'alba, l'apice e il tramonto. Una civiltà è assoluta al suo interno, ma non eterna.
Come per i marxisti, anche per Spengler la teoria è al servizio della prassi, il pensiero è al servizio della storia. La comune matrice è nel Faust di Goethe: «In principio fu l'azione». In Marx prende corpo il soggettivismo rivoluzionario nel nome di Prometeo, in Spengler il soggettivismo eroico nel nome della civiltà faustiana. Ma quando la rivolta del sangue contro l'oro prese corpo in Germania col nazionalsocialismo, Spengler prese le distanze da Hitler e dal suo partito: «Volevamo liberarci dei partiti ma è rimasto il peggiore». Il razzismo per lui è «un'ideologia del risentimento verso la superiorità ebraica» e denota «povertà spirituale». Non fece in tempo a vedere cosa sarebbe poi accaduto perché morì nel '36. Anche Hitler non si professava seguace di Spengler e rifiutava l'idea del Tramonto dell'Occidente. Il regime nazista osteggiò il filosofo. Grande accoglienza ebbe invece Spengler nell'Italia fascista, verso cui nutrì un giudizio positivo ed esprimendo anche in dediche ammirazione al suo duce. Mussolini leggeva Spengler, lo recensì, fece tradurre Anni della decisione (che ristampai negli anni Ottanta) e, come notò De Felice, si fece sempre più spengleriano anche in polemica antitedesca. Trovò in Spengler l'elogio dei popoli giovani, dello spirito mediterraneo e della romanità.
Ma gli idealisti italiani, a cominciare da Croce, considerarono Spengler un dilettante. E per i cattolici era un autore intriso di paganesimo e privo di apertura trascendente. Il Dizionario di Filosofia della Treccani liquidò Spengler come pseudofilosofo (l'autore della voce era Felice Battaglia). Lo apprezzò invece Evola che poi tradusse Il tramonto dell'Occidente (De Felice definì curiosamente Evola «mistico spengleriano») e lo ammirarono Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, Lorenzo Giusso e Vittorio Beonio Brocchieri. Nella cultura italiana più recente ha prevalso la lettura di Furio Jesi che ridusse Spengler a un protonazista, un barbaro erudito, ostile alla cultura nel nome della vita; ispiratore del linguaggio radicale delle «idee senza parole».
A prenderlo sul serio fu Theodor Adorno che definì stupefacenti le sue prognosi e lo ritenne un Machiavelli del '900. «Spengler - scrive Adorno che pure altrove lo giudicò uno sprovveduto - appartiene a quei teorici dell'estrema reazione la cui critica al liberalismo in molti punti si è rivelata superiore a quella progressista». All'idea spengleriana di decadenza e destino, Adorno oppose l'idea marxista di utopia rivoluzionaria. Heidegger lo ammirava ma rifiutava il suo storicismo. Thomas Mann restò impressionato dalla potenza del Tramonto, un affresco grandioso che egli definì «un romanzo intellettuale», paragonando Spengler a Schopenhauer.
In effetti Spengler fu un pensatore tragico e al pessimismo dedicò un intenso saggio (che curai insieme ad altri suoi saggi raccolti in Scritti e pensieri, editi da Sugarco). Un pessimismo storico preludio al fatalismo eroico. Spengler era pessimista nell'indole prima che nella teoria. Dietro la sua durezza prussiana e l'elogio dell'acciaio batteva un cuore delicato, incline alle lacrime, di salute cagionevole; era un solitario malinconico come rivela il suo scritto autobiografico A me stesso (Adelphi). Visse in ristrettezze, coi lasciti di un'eredità famigliare che la crisi economica falcidiò. Spengler cercò di tradurre in visione storica il pensiero di Nietzsche e l'arte di Goethe; condusse Zarathustra in battaglia, portando nella storia la Volontà di potenza e l'Eterno Ritorno, il Superuomo e l'Amor fati. Ma restò il profeta della decadenza dell'Occidente (cantò la gloria dei tramonti e l'onore delle sconfitte), più che il veggente precursore della rinascita. Il pessimismo tragico ingoiò il suo banditore. In realtà il pensiero di Spengler fu divorato dalla sua stessa suggestione faustiana.
Il mito di Faust, analogo al mito di Prometeo del giovane Marx, condusse il pensiero spengleriano al naufragio: perché il faustismo alla massima potenza (come il prometeismo scatenato) era la Tecnica unita alla Finanza, e il loro nichilismo compiuto avrebbe spazzato il faustismo epico ed eroico figurato da Spengler, retaggio romantico delle civiltà precedenti. Faust vendette l'anima al diavolo, e il faustismo rubò l'anima a Spengler, lasciandogli in cambio l'aura melanconica del profeta perdente.
(Il Giornale, 11/08/2014)