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mardi, 15 février 2011

Rivoluzione d'Egitto - Distruzione creativa per un "Grande Medio Oriente"?

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Rivoluzione d’Egitto – Distruzione creativa per un “Grande Medio Oriente”?

 

Fonte: http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=23131 [1]

Velocemente sulla scia del cambiamento di regime in Tunisia, s’è alzato il movimento di protesta popolare lanciato il 25 gennaio contro l’ordine radicato di Hosni Mubarak in Egitto. Contrariamente all’impressione coltivata con cura secondo cui l’Amministrazione Obama sta cercando di mantenere l’attuale regime di Mubarak, Washington, infatti, sta orchestrando i cambiamenti di regime egiziano e regionali, dalla Siria allo Yemen, alla Giordania e ben oltre, in un processo cui alcuni si riferiscono come “distruzione creativa”.

Il modello per tale cambiamento di regime sotto copertura è stata sviluppata dal Pentagono, dalle agenzie di intelligence degli Stati Uniti e dai vari think-tank come la RAND Corporation. nel corso di decenni, a partire dalla destabilizzazione del maggio 1968 della Presidenza de Gaulle in Francia. Questa è la prima volta dal cambiamento di regime sostenuto dagli USA in Europa orientale, circa due decenni fa, che Washington aveva avviato con operazioni simultanee in molti paesi di una regione. Si tratta di una strategia che nasce dalla disperazione e certo non è senza rischi significativi per il Pentagono e per l’agenda a lungo termine di Wall Street. Cosa ne risulterà per i popoli della regione e per il mondo, non è ancora chiaro.

Eppure, mentre il risultato finale della sfida delle proteste di piazza al Cairo e in tutto l’Egitto e il mondo islamico non è chiaro, le grandi linee di una strategia occulta degli Stati Uniti sono già chiare.

Nessuno può mettere in discussione le motivare genuine rimostranze di milioni di persone scese per le strade, a rischiare la vita. Nessuno può difendere le atrocità del regime di Mubarak e la tortura e la repressione del dissenso. Nessuno può contestare l’aumento esplosivo dei prezzi alimentari, ad opera degli speculatori di materie prime di Chicago e Wall Street, e la conversione dei terreni agricoli americani per la folle coltivazione del mais per l’etanolo combustibile, che ha fatto schizzare i prezzi del grano. L’Egitto è il più grande importatore di grano al mondo, in gran parte dagli Stati Uniti. I futures del grano di Chicago sono aumentati di uno sbalorditivo 74% tra giugno e novembre 2010, portando ad un inflazione dei prezzi alimentari egiziani di circa il 30%, nonostante i sussidi governativi.

Ciò che è largamente ignorato da CNN, BBC e altri media occidentali, nella loro copertura degli eventi in Egitto, è il fatto che tutto qualsiasi siano i suoi eccessi interni, l’egiziano Mubarak costituisce un ostacolo rilevante all’interno della regione, alla maggiore agenda degli Stati Uniti.

Dire dei rapporti tra Obama e Mubarak sono stati congelati fin dall’inizio non è esagerato. Mubarak è stato fermamente contrario alle politiche di Obama sull’Iran e su come trattare il suo programma nucleare, sulle politiche di Obama verso gli Stati del Golfo Persico, la Siria e il Libano, nonché verso i palestinesi. [1] E’ stato una spina formidabile ai grandi ordini del giorno di Washington per l’intera regione, il progetto di Washington del Grande Medio Oriente, recentemente riproposta col meno inquietante titolo di “Nuovo Medio Oriente”.

Reale come i fattori che stanno spingendo milioni in piazza in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente, ciò che non può essere ignorato è il fatto che Washington sta decidendo i tempi e come li vede, cercando di plasmare il risultato finale in un cambiamento di regime globale destabilizzazione tutto il mondo islamico. Il giorno delle straordinariamente ben coordinate manifestazioni popolari che chiedevano a Mubarak le dimissioni, i membri chiave del comando militare egiziano, incluso il capo di Stato Maggiore Gen. Sami Hafez Enan, erano tutti a Washington in qualità di ospiti del Pentagono. Neutralizzando opportunamente la forza decisiva dell’esercito nel fermare la protesta anti-Mubarak, crescente nei primi giorni critici [2].

La strategia era in vari dossier del Dipartimento di Stato e del Pentagono da almeno un decennio o più. Dopo che George W. Bush ha dichiarato la Guerra al Terrore, nel 2001, ciò è stato chiamato programma per il Grande Medio Oriente. Oggi è noto come il meno minaccioso titolo di progetto per il “Nuovo Medio Oriente“. Si tratta di una strategia per spezzare gli Stati della regione dal Marocco all’Afghanistan, la regione definita dall’amico di David Rockefeller, Samuel Huntington nel suo infame saggio Lo Scontro di Civiltà apparso su Foreign Affairs.

Egitto in ascesa?

Lo scenario attuale per l’Egitto del Pentagono si legge come uno spettacolo Hollywoodiano di Cecil B. DeMille, solo che questo ha un cast di milioni di giovani ben addestrati fanatici di Twitter, reti di operatori della Fratellanza musulmana, che operano con militari addestrati dagli USA. Nel ruolo di protagonista della nuova produzione, al momento, non è altro che un premio Nobel della Pace che convenientemente appare tirare tutti i fili dell’opposizione all’ancien régime, in quello che appare come una transizione senza problemi in un Egitto di nuovo sottoposto a un auto-proclamata rivoluzione liberal-democratica.

Alcuni retroscena sugli attori sul terreno sono utili, prima di guardare a ciò che sul piano strategico a lungo termine di Washington, potrebbe accadere al mondo islamico dal Nord Africa al Golfo Persico e, infine, alle popolazioni islamiche dell’Asia centrale, ai confini di Cina e Russia.

Le ‘rivoluzioni‘ soft di Washington

Le proteste che hanno portato al brusco licenziamento dell’intero governo egiziano da parte del Presidente Mubarak, sulla scia del panico per la fuga dalla Tunisia di Ben Ali, verso un esilio saudita, non sono affatto “spontanee“, come la Casa Bianca di Obama, il Dipartimento di Stato della Clinton, o CNN, BBC e altri media importanti dell’Occidente pretendono siano.

Sono stati organizzati nello stile high-tech elettronico ucraino, con grandi reti di giovani collegato tramite internet a Mohammed ElBaradei e ai torbidi e clandestini Fratelli Musulmani, i cui legami con servizi segreti e alla massoneria britannici e statunitensi, sono ampiamente indicati. [3]

A questo punto il movimento anti-Mubarak sembra tutt’altro che una minaccia per l’influenza statunitense nella regione, anzi. Ha tutte le impronte di un altro cambio di regime appoggiato dagli USA, sul modello delle rivoluzioni a colori del 2003-2004 in Georgia e in Ucraina, e della fallita Rivoluzione verde contro l’Iran di Ahmadinejad, nel 2009.

La richiesta di uno sciopero generale egiziano e del giorno della rabbia del 25 gennaio, che ha scatenato le proteste di massa che esigono le dimissioni di Mubarak, sono state lanciate da una organizzazione basata su Facebook e che si fa chiamare Movimento 6 aprile. Le proteste erano così consistenti e ben organizzate che hanno costretto Mubarak a chiedere al suo governo di dimettersi e di nominare un nuovo vice-presidente, il generale Omar Suleiman, ex ministro dell’Intelligence.

Il 6 aprile è guidato da un tale Ahmed Maher Ibrahim, un ingegnere civile di 29 anni, che ha configurato il sito di Facebook per sostenere l’appello ai lavoratori per lo sciopero del 6 aprile 2008.

Secondo il New York Times, dal 2009 circa 800.000 Egiziani, la maggior parte giovani, erano già allora membri di Facebook o Twitter. In un’intervista con la Carnegie Endowment di Washington, il capo del movimento 6 aprile Maher, ha dichiarato: “Essendo il primo movimento giovanile in Egitto ad avere l’uso delle modalità di comunicazione basate su Internet come Facebook e Twitter, ci proponiamo di promuovere la democrazia, incoraggiando il coinvolgimento del pubblico nel processo politico.”[4]

Maher ha inoltre annunciato che il suo Movimento 6 aprile sostiene l’ex capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite, capo e dichiarato candidato presidenziale egiziano, ElBaradei assieme alla coalizione di ElBaradei, l’Associazione Nazionale per il Cambiamento (NAC). Il NAC include tra gli altri George Ishak, leader del Movimento Kefaya, e Mohamed Saad El-Katatni, presidente del controverso blocco parlamentare Ikhwan o Fratelli Musulmani [5].

Oggi Kefaya è al centro degli attuali avvenimenti egiziani. Non lontano, sullo sfondo vi sono i più discreti Fratelli Musulmani.

ElBaradei, a questo punto viene proiettato come figura centrale in un futuro cambiamento democratico parlamentare egiziano. Curiosamente, anche se egli non ha vissuto in Egitto negli ultimi 30 anni, ha avuto l’appoggio di ogni parte immaginabile dello spettro politico egiziano che va dai comunisti ai Fratelli Musulmani, da Kefaya ai giovani attivisti del 6 aprile.[6] A giudicare dal comportamento calmo che presenta ElBaradei in questi giorni verso gli intervistatori CNN, anche lui ha probabilmente il sostegno dei principali generali egiziani contrari al dominio di Mubarak per qualche motivo, così come di alcune persone molto influenti a Washington.

Kefaya è al centro delle mobilitazioni delle manifestazioni di protesta egiziane che supportano la candidatura di ElBaradei. Kefaya di traduce “basta!

Curiosamente, i progettisti della National Endowment for Democracy (NED) di Washington [7] e delle ONG connesse alla rivoluzione colorate, sono apparentemente prive di creatività riguardo degli accattivanti nuovi nomi per la loro Color Revolution egiziana. Nel novembre 2003 per al loro Rivoluzione delle Rose in Georgia, le ONG finanziate avevano scelto una parola attraente, Kmara! Al fine di identificare il movimento giovanile per il cambiamento di regime. Kmara!, anche in georgiano significa “basta!”

Come Kefaya, Kmara in Georgia è stata costruita da consiglieri del NED finanziati da Washington e di altri gruppi come la mal denominata Albert Einstein Institution di Gene Sharp, che utilizza ciò che Sharp aveva una volta identificato come “la non-violenza come metodo di guerra.” [8]

Le diverse reti giovanili in Georgia come in Kefaya sono stati accuratamente addestrate come libera e decentrata rete di cellule, evitando deliberatamente una organizzazione centrale che poteva essere distrutto portando il movimento ad una battuta d’arresto. La formazione degli attivisti alle tecniche di resistenza non-violenta venne fatta in impianti sportivi, facendola apparire innocua. Gli attivisti erano stati assegnati a corsi di formazione in marketing politico, relazioni con i media, tecniche di mobilitazione e reclutamento.

Il nome formale di Kefaya è Movimento egiziano per il cambiamento. E’ stato fondata nel 2004 selezionando intellettuali egiziani presso Abu’ l-Ala Madi, leader del partito Al-Wasat, un partito creato dai Fratelli Musulmani [9]. Kefaya è stato creato come movimento di coalizione unito solo dall’appello per la fine del dominio di Mubarak.

Kefaya come parte dell’amorfo Movimento 6 aprile, ha capitalizzato subito i nuovi media sociali e la tecnologia digitale come suoi principali mezzi di mobilitazione. In particolare, i blog politici, che postano senza censure videoclip e immagini fotografiche su youtube, sono molto abilmente e professionalmente utilizzati. In un raduna già effettuato nel dicembre 2009, Kefaya aveva annunciato il sostegno alla candidatura di Mohammed ElBaradei per le elezioni egiziane del 2011 [10].

RAND e Kefaya

Non di meno un centro di riflessione della dirigenza della difesa statunitense, quale la RAND Corporation, ha condotto uno studio dettagliato su Kefaya. Lo studio su Kefaya come la RAND nota, è stato “promosso da Ufficio del Segretario della Difesa, Stati Maggiori riuniti, Comandi Operativi Unificati, Dipartimento della Marina Militare, Corpo dei Marines, organismi della difesa, e la la comunità d’intelligence della difesa“. [11]

Un gruppetto di simpatici signori e donne più democraticamente orientati difficilmente potrebbe essere trovato.

Nella loro relazione del 2008 al Pentagono, i ricercatori della RAND ha rilevato quanto segue in relazione a Kefaya dell’Egitto:

Gli Stati Uniti hanno professato un interesse a una maggiore democratizzazione nel mondo arabo, in particolare dopo gli attentati del settembre 2001 da parte di terroristi provenienti da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Libano. Questo interesse fa parte di uno sforzo per ridurre dei destabilizzanti violenza politica e terrorismo. In qualità di presidente, George W. Bush ha sottolineato in un discorso del 2003 al National Endowment for Democracy, “Finché il Medio Oriente rimane un luogo dove la libertà non fiorisce, rimarrà un luogo di stagnazione, risentimento e violenza pronta all’esportazione” (The White House, 2003). Gli Stati Uniti hanno utilizzato mezzi diversi per perseguire la democratizzazione, compreso un intervento militare che, anche se è stato lanciato per altri motivi, ha avuto l’installazione di un governo democratico come uno dei suoi obiettivi finali. Tuttavia, i movimenti di riforma indigeni sono nella posizione migliore per far avanzare la democratizzazione del proprio paese.“[12]

I ricercatori della RAND hanno speso anni per perfezionare le tecniche di cambio di regime non convenzionale sotto il nome di “brulichio“, un metodo di diffondere masse folli di gioventù collegata per via digitale e attuare forme di protesta mordi-e-fuggi, muovendosi come sciami di api [13].

Washington e la scuderia di ONG dei “diritti umani“, della “democrazia” e “non violenza” che sovrintende, negli ultimi dieci anni o più, ha sempre più fatto affidamento su sofisticati movimenti di protesta indigena locale spontanei e che si “autoalimentano“, per creare un cambiamento di regime filo-Washington e far progredire l’agenda globale della Full Spectrum Dominance del Pentagono. Così lo studio della RAND afferma, nelle sue raccomandazioni conclusive del Pentagono, che Kefaya:

Il governo degli Stati Uniti già sostiene gli sforzi di riforma attraverso organizzazioni come l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale e il United Nations Development Programme. Data la corrente opposizione popolare contraria agli Stati Uniti nella regione, il sostegno degli Stati Uniti alle iniziative di riforma è meglio effettuato attraverso organizzazioni non governative e istituzioni senza scopo di lucro.“[14]

Lo studio del 2008 della RAND era ancora più concreto sul futuro sostegno degli Stati Uniti al governo egiziano e gli altri movimenti di “riforma“:

“Il governo degli Stati Uniti dovrebbe incoraggiare le organizzazioni non governative offrendo una formazione ai riformatori, tra cui una guida per la costruzione della coalizione e come trattare le differenze interne nel perseguimento delle riforme democratiche. Istituzioni accademiche (o anche organizzazioni non governative associate a partiti politici statunitensi, come l’International Republican Institute o il National Democratic Institute for International Affairs) potrebbero effettuare tale formazione, equipaggiando i leader delle riforme, nel conciliare le loro divergenze in modo pacifico e democratico.

In quarto luogo, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare i riformatori ad ottenere e utilizzare le tecnologie dell’informazione, magari offrendo incentivi alle società statunitensi per investire nelle infrastrutture delle comunicazioni e nelle tecnologie dell’informazione regionali. aziende tecnologiche dell’informazione USA potrebbero anche contribuire a garantire che i siti dei riformatori possano rimanere in funzionamento, e potrebbero investire in tecnologie come l’anonymizer, che potrebbero offrire qualche riparo dal controllo del governo. Questo potrebbe essere raggiunto anche con l’impiego di tecnologie di sicurezza per impedire ai regimi di sabotare i siti web dei riformatori.“[15]

Come la loro monografia su Kefaya afferma, è stata preparata nel 2008 dalla “RAND National Security Research – Divisione per di iniziativa strategica alternativa”, patrocinata dal Rapid Reaction Technology Office presso l’Ufficio del Sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione, la tecnologia e la logistica.

La iniziativa strategica alternativa, proprio per sottolineare il punto, comprende “la ricerca su un uso creativo dei media, della radicalizzazione dei giovani, dell’impegno civile per arginare la violenza settaria, la fornitura di servizi sociali per mobilitare settori danneggiati delle popolazioni indigene e, tema di questo volume, i movimenti alternativi.”[16]

Nel maggio del 2009 poco prima del viaggio al Cairo di Obama per incontrare Mubarak, la segretaria di Stato statunitense Hillary Clinton ha ospitato una serie di giovani attivisti egiziani a Washington, sotto gli auspici della Freedom House, un’altra ONG dei “diritti umani” con sede a Washington e una lunga storia di coinvolgimento in cambi di regime sponsorizzati dagli USA, dalla Serbia alla Georgia all’Ucraina e ad altre rivoluzioni colorate. Clinton e l’assistente al Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, Jeffrey Feltman, hanno incontrato sedici attivisti al termine di una ‘visita‘ di due mesi organizzata dal programma New Generation della Freedom House [17].

Freedom House e la ONG dei cambi di regime, finanziata dal governo di Washington, National Endowment for Democracy (NED), sono al centro delle rivolte che ora attraversano il mondo islamico. Esse si adattano al contesto geografico di ciò che George W. Bush ha proclamato, dopo il 2001, come il suo Progetto di Grande Medio Oriente per portare la “democrazia” e una riforma economica “liberale e per il libero mercato” nei paesi islamici, dall’Afghanistan al Marocco. Quando Washington parla di introdurre la “riforma liberale del libero mercato” la gente dovrebbe guardare fuori. E’ poco più di un codice per portare quelle economie sotto il giogo del sistema del dollaro, e di tutto ciò che esso comporta.

La NED di Washington fa parte di un’agenda più grande

Se facciamo un elenco dei paesi della regione che sono sottoposti a movimenti di protesta di massa dagli eventi tunisino ed egiziano, e li riportiamo su una mappa, troviamo una quasi perfetta convergenza tra i paesi oggi coinvolti nelle proteste e la mappa originale del progetto di Washington per un Grande Medio Oriente che fu per prima presentato durante la presidenza di George W. Bush, dopo il 2001.

La NED di Washington era tranquillamente impegnata nella preparazione di un ondata di destabilizzazioni dei regimi in tutto il Nord Africa e Medio Oriente, dopo l’invasione militare degli Stati Uniti, nel 2001-2003, di Afghanistan e Iraq. L’elenco dei luoghi dove la NED è attiva, è rivelatore. Il suo sito web elenca Tunisia, Egitto, Giordania, Kuwait, Libia, Siria, Yemen e Sudan e, curiosamente, Israele. Casualmente questi paesi sono quasi tutti soggetti oggi a “spontanee” insurrezioni popolari per un cambio di regime.

L’International Republican Institute e il National Democratic Institute for International Affairs citati dal documento della RAND su Kefaya sono organizzazioni affiliate alla National Endowment for Democracy, di Washington e finanziata dal Congresso USA.

La NED è l’agenzia di coordinamento di Washington per la destabilizzazione e il cambiamento dei regimi. E’ attiva dal Tibet all’Ucraina, dal Venezuela alla Tunisia, dal Marocco al Kuwait nel ridisegnare il mondo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in quello che George HW Bush, in un discorso del 1991 al Congresso, proclamò trionfalmente essere l’alba di un Nuovo Ordine Mondiale. [18] Mentre l’architetto e primo capo del NED, Allen Weinstein ha detto al Washington Post nel 1991 che, “molto di quello che facciamo oggi è stato fatto di nascosto 25 anni fa dalla CIA“. [19]

Il Consiglio di Amministrazione della NED comprende o ha incluso, l’ex Segretario alla Difesa e vice capo della CIA, Frank Carlucci del Carlyle Group, il generale in pensione della NATO Wesley Clark; il neo-conservatore Warhawk Zalmay Khalilzad, che fu architetto dell’invasione afghana di George W. Bush e più tardi ambasciatore in Afghanistan, nonché nell’occupato Iraq. Un altro membro del consiglio della NED, Vin Weber, ha co-presieduto una task force indipendente importante sulla politica degli Stati Uniti verso le riforme nel mondo arabo, con l’ex Segretaria di Stato statunitense Madeleine Albright, e fu uno dei membri fondatori dell’ultra-aggressivo think-tank Progetto per un Nuovo Secolo Americano con Dick Cheney e Don Rumsfeld, che auspicava un forzato cambio di regime in Iraq, già nel 1998 [20].

La NED si suppone sia una fondazione privata, non governativa, senza scopo di lucro, ma riceve uno stanziamento annuale per i suoi lavori internazionali dal Congresso degli Stati Uniti. Il National Endowment for Democracy dipende dal contribuente statunitense per il finanziamento, ma perché la NED non è un ente governativo, non è soggetta alla normale supervisione del Congresso.

Il denaro della NED è incanalato ai paesi di destinazione attraverso quattro “basi centrali“, il National Democratic Institute for International Affairs, legato al Partito Democratico, l’International Republican Institute legato al Partito Repubblicano, l’American Center for International Labor Solidarity legata alla federazione del lavoro statunitense AFL-CIO e al Dipartimento di Stato statunitense, e il Center for International Private Enterprise legato alla liberista libero Camera di Commercio statunitense.

La defunta analista politica Barbara Conry aveva osservato che, “La NED ha approfittato del suo presunto status privato per influenzare le elezioni all’estero, attività che è oltre la portata dell’AID o della USIA, e sarebbe altrimenti possibile solo attraverso una operazione segreta della CIA. Tali attività, si può anche notare, sarebbero illegali per dei gruppi esteri che operassero negli Stati Uniti.”[21]

Significativamente la NED dettaglia i suoi vari attuali progetti nei paesi islamici, tra cui oltre all’Egitto, Tunisia, Yemen, Giordania, Algeria, Marocco, Kuwait, Libano, Libia, Siria, Iran e Afghanistan. In breve, la maggior parte dei paesi che attualmente sentono gli effetti del terremoto delle proteste per una riforma radicale in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa, è un obiettivo della NED [22].

Nel 2005 il presidente statunitense George W. Bush ha pronunciato un discorso alla NED. In un lungo discorso incoerente che equiparava il “radicalismo islamico“, con il malvagio comunismo, quale nuovo nemico, e usando un termine più volutamente morbido di “più vasto Medio Oriente” invece di Grande Medio Oriente, che aveva suscitato molto disturbo nel mondo islamico, Bush aveva dichiarato,

Il quinto elemento della nostra strategia nella guerra al terrore è quello di negare future reclute ai militanti, sostituendo l’odio e il risentimento con la democrazia e la speranza attraverso un più vasto Medio Oriente. Si tratta di un lungo e difficile progetto, ma non c’è nessuna alternativa ad esso. Il nostro futuro e il futuro di quella regione sono collegate. Se il più vasto Medio Oriente viene lasciato crescere nell’amarezza, se i paesi rimangono in miseria, mentre i radicali suscitano il risentimento di milioni, allora quella parte del mondo sarà una fonte infinita di conflitto e pericoli montanti, per la nostra generazione e per quella successiva. Se i popoli di quella regione potranno scegliere il proprio destino, e far avanzare la loro energia, con la partecipazione di uomini e donne liberi, gli estremisti saranno marginalizzati, e il flusso del radicalismo violento verso il resto del mondo sarà rallentato, e alla fine finito… Stiamo incoraggiando i nostri amici in Medio Oriente, compreso l’Egitto e l’Arabia Saudita, a prendere la strada delle riforme, per rafforzare la propria società nella lotta contro il terrorismo, rispettando i diritti e le scelte del proprio popolo. Appoggiamo i dissidenti e gli esiliati contro i regimi oppressivi, perché sappiamo che i dissidenti di oggi saranno i leader democratici di domani… “[23]

Il Progetto degli Stati Uniti per un ‘Grande Medio Oriente’

La diffusione di operazioni di cambio di regime di Washington dalla Tunisia al Sudan, dallo Yemen all’Egitto e la Siria, sono assai ben visti, nel contesto della lunga strategia del Pentagono e del Dipartimento di Stato verso l’intero mondo islamico da Kabul in Afghanistan, a Rabat in Marocco.

I rozzi lineamenti della strategia di Washington, in parte basata sulle sue riuscite operazioni di cambio regime nell’ex Patto di Varsavia, il blocco comunista dell’Europa orientale, sono state elaborate dall’ex consulente del Pentagono e neo-conservatore Richard Perle, e poi dall’assistente di Bush Douglas Feith, in un Libro bianco elaborato per l’allora nuovo regime del Likud israeliano di Benjamin Netanyahu, nel 1996.

Tale raccomandazione politica è stata intitolata Un taglio netto: Una nuova strategia per assicurare il Reame. Fu la prima che uno scritto del think-tank Washington chiedeva apertamente la rimozione di Saddam Hussein in Iraq, un atteggiamento militare aggressivo nei confronti dei palestinesi, di colpire la Siria e gli obiettivi siriani in Libano. [24] Secondo quanto riferito, il governo Netanyahu in quel momento seppellì la relazione di Perle Feith, in quanto troppo rischioso.

Con gli eventi dell’11 settembre 2001 e il ritorno a Washington degli ultrafalchi neoconservatori del gruppo di Perle, l’amministrazione Bush diede priorità assoluta alla versione allargata del piano di Feith-Perle, chiamandolo Progetto per un Grande Medio Oriente. Feith fu nominato da Bush Sottosegretario della Difesa.

Dietro la facciata delle annunciate riforme democratiche dei regimi autocratici in tutta la regione, il Grande Medio Oriente era ed è un progetto per estendere il controllo militare degli Stati Uniti e spezzare le economie stataliste in tutto l’arco degli stati dal Marocco fino ai confini della Cina e della Russia.

Nel maggio 2003, prima che le macerie del bombardamento statunitense di Baghdad fossero tolte, George W. Bush, un presidente che non sarà ricordato come un grande amico della democrazia, proclamò la politica di “diffondere la democrazia” in tutta la regione ed aveva esplicitamente sottolineato cosa ciò significava: “La creazione del Medio Oriente come area di libero scambio con gli Stati Uniti entro un decennio.” [25]

Prima del Summit dei G8 del giugno 2004 a Sea Island, Georgia, Washington aveva pubblicato un documento di lavoro, “G8-Greater Middle East Partnership“. Sotto la sezione intitolata opportunità economiche vi era un drammatico appello di Washington per “una trasformazione economica simile, in grandezza, a quella intrapresa dai paesi ex comunisti dell’Europa centrale e orientale”.

Il documento statunitense aveva detto che la chiave di ciò era il rafforzamento del settore privato come strada per la prosperità e la democrazia. E sosteneva, in modo fuorviante, che ciò sarebbe stato fatto attraverso il miracolo della microfinanza, come il documento chiariva, “solo 100 milioni di dollari all’anno per cinque anni saranno creerebbero 1.2 milioni di imprenditori (750.000 dei quali donne), uscendo dalla povertà, attraverso prestiti di 400 dollari a ciascuno.”[26] (Et Voilà, ecco il perché del nobel a Muahmmad Yunus, ideatore della microfinanza per i poveracci… NdT)

Il piano statunitense prevedeva l’acquisizione di banche regionali e finanziarie da parte delle nuove istituzioni apparentemente internazionale ma, come la Banca Mondiale e il FMI, di fatto controllate da Washington, tra cui il WTO. L’obiettivo del progetto a lungo termine di Washington, è quello di controllare completamente il petrolio, controllare completamente i flussi di entrate dal petrolio, controllare completamente le intere economie della regione, dal Marocco fino ai confini della Cina, e tutto ciò che sta in mezzo. E’ un progetto ardito quanto è disperata.

Una volta che il documento del G8 degli Stati Uniti era trapelato nel 2004, su Al-Hayat, l’opposizione ad essa si diffuse in tutta la regione, con una grande protesta per la definizione statunitense del Grande Medio Oriente. Un articolo del francese Le Monde Diplomatique di aprile 2004, aveva osservato che “oltre ai paesi arabi, si estende a Afghanistan, Iran, Pakistan, Turchia e Israele, il cui unico comune denominatore è che si trovano nella zona in cui l’ostilità verso gli Stati Uniti è più forte, in cui il fondamentalismo islamico nella sua forma anti-occidentale è più diffuso.”[27] Va notato che la NED è attiva anche all’interno di Israele, con un certo numero di programmi.

In particolare, nel 2004 vi è stata la veemente opposizione da due leader del Medio Oriente, l’egiziano Hosni Mubarak e il re dell’Arabia Saudita, che hanno costretto i fanatici ideologi dell’amministrazione Bush a mettere temporaneamente il progetto per il Grande Medio Oriente nel dimenticatoio.

Funzionerà?

In questo scritto non è chiaro quale sia il risultato cui porterà finale delle ultime teleguidate destabilizzazioni USA in tutto il mondo islamico. Non è chiaro quale sarà il risultato per Washington e i sostenitori di un Nuovo Ordine Mondiale dominato dagli USA. La loro agenda è chiaramente sia la creazione del Grande Medio Oriente sotto la presa salda degli Stati Uniti, come un maggior controllo dei futuri flussi di capitali e flussi di energia verso Cina, Russia e Unione Europea, che potrebbero portare, uno di questi giorni, all’idea di allontanarsi da questo ordine statunitense.

Essa ha enormi implicazioni potenziali per il futuro di Israele. Come un commentatore statunitense ha ammesso, “Il calcolo israeliano di oggi è che se ‘Mubarak se ne va’ (che di solito viene indicato con ‘Se gli USA permettono che Mubarak vada via’), l’Egitto andrà via. Se va via la Tunisia (stessa storia), anche il Marocco e l’Algeria andranno. La Turchia è già andata (per la quale gli israeliani devono solo incolpare se stessi). La Siria è andata (in parte perché Israele ha voluto escluderla dall’accesso all’acqua del mare di Galilea). Gaza è andata ad Hamas e l’Autorità palestinese potrebbe presto pure andarsene (con Hamas?). Lasciando Israele tra le rovine della politica del dominio militare della regione.” [28]

La strategia di Washington di “distruzione creativa“, sta chiaramente causando notti insonni non solo nel mondo islamico, ma anche a Tel Aviv, e infine da ora anche a Pechino e a Mosca e in tutta l’Asia centrale.


* F. William Engdahl è autore di Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order. Il suo libro A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order è stato appena ristampato in una nuova edizione. È membro del Comitato Scientifico di “Eurasia”.



Note

[1] DEBKA, Mubarak believes a US-backed Egyptian military faction plotted his ouster, February 4, 2011, www.debka.com/weekly/480/. DEBKA Debka è aperto circa i sua buoni legami con l’intelligence e le agenzie di sicurezza di Israele. Mentre i suoi scritti devono essere letti con questo in mente, alcuni rapporti che pubblica spesso inducono a interessanti ulteriori indagini.

[2] Ibid.

[3] The Center for Grassroots Oversight, 1954-1970: CIA and the Muslim Brotherhood ally to oppose Egyptian President Nasser, www.historycommons.org/context.jsp?item=western_support_for_islamic_militancy_202700&scale=0. Secondo il defunto Miles Copeland, un funzionario della CIA di stanza in Egitto durante il periodo di Nasser, la CIA si alleò con i Fratelli Musulmani che si opponevano al regime laico di Nasser, così come all’opposizione dell’ideologia nazionalista alla fratellanza pan-islamica.

[4] Jijo Jacob, What is Egypt’s April 6 Movement?, 1 Febbraio 2011, http://www.ibtimes.com/articles/107387/20110201/what-is-egypt-s-april-6-movement.htm

[5] Ibidem.

[6] Janine Zacharia, Opposition groups rally around Mohamed ElBaradei, Washington Post, 31 gennaio 2011, http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2011/01/31/AR2011013103470_2.html?sid=ST2011013003319.

[7] National Endowment for Democracy, Middle East and North Africa Program Highlights 2009, in http://www.ned.org/where-we-work/middle-east-and-northern-africa/middle-east-and-north-africa-highlights.

[8] Amitabh Pal, Gene Sharp: The Progressive Interview, The Progressive, 1 marzo 2007.

[9] Emmanuel Sivan, Why Radical Muslims Aren’t Taking over Governments, Middle East Quarterly, December 1997, pp. 3-9

[10] Carnegie Endowment, The Egyptian Movement for Change (Kifaya), http://egyptelections.carnegieendowment.org/2010/09/22/the-egyptian-movement-for-change-kifaya

[11] Nadia Oweidat, et al, The Kefaya Movement: A Case Study of a Grassroots Reform Initiative, Prepared for the Office of the Secretary of Defense, Santa Monica, Ca., RAND_778.pdf, 2008, p. iv.

[12] Ibidem.

[13] Per altre discussioni dettagliate sulle tecniche del “brulichio” della RAND: F. William Engdahl, Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order, edition.engdahl, 2009, pp. 34-41.

[14] Nadia Oweidat et al, op. cit., p. 48.

[15] Ibid., p. 50.

[16] Ibid., p. iii.

[17] Michel Chossudovsky, The Protest Movement in Egypt: “Dictators” do not Dictate, They Obey Orders, 29 gennaio 2011, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=22993

[18] George Herbert Walker Bush, State of the Union Address to Congress, 29 gennaio 1991. Nel discorso, Bush a un certo punto ha dichiarato con aria trionfante di celebrazione del collasso dell’Unione Sovietica, “Ciò che è in gioco è più di un paese piccolo, è una grande idea, un nuovo ordine mondiale …

[19] Allen Weinstein, quoted in David Ignatius, Openness is the Secret to Democracy , Washington Post National Weekly Edition, 30 Settembrw 1991, pp. 24-25.

[20] National Endowment for Democracy, Board of Directors, http://www.ned.org/about/board

[21] Barbara Conry, Loose Cannon: The National Endowment for Democracy , Cato Foreign Policy Briefing No. 27, 8 Novembre 1993, http://www.cato.org/pubs/fpbriefs/fpb-027.html.

[22] National Endowment for Democracy, 2009 Annual Report, Middle East and North Africa, http://www.ned.org/publications/annual-reports/2009-annual-report.

[23] George W. Bush, Speech at the National Endowment for Democracy, Washington, DC, 6 ottobre 2005, http://www.presidentialrhetoric.com/speeches/10.06.05.html.

[24] Richard Perle, Douglas Feith et al, A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm , 1996, Washington and Tel Aviv, The Institute for Advanced Strategic and Political Studies, www.iasps.org/strat1.htm

[25] George W. Bush, Remarks by the President in Commencement Address at the University of South Carolina, White House, 9 Maggio 2003.

[26] Gilbert Achcar, Fantasy of a Region that Doesn’t Exist: Greater Middle East, the US plan, Le Monde Diplomatique, 4 Aprile 2004, http://mondediplo.com/2004/04/04world

[27] Ibid.

[28] William Pfaff, American-Israel Policy Tested by Arab Uprisings, http://www.truthdig.com/report/item/american-israeli_policy_tested_by_arab_uprisings_20110201/


Traduzione di Alessandro Lattanzio