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jeudi, 10 mars 2011

La rivincita dell'anti-Sartre: Emil Cioran

La rivincita dell’anti-Sartre: Emil Cioran

di Andrea Rigoni

Fonte: Corriere della Sera [scheda fonte]

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Riscoperta trasversale dello scrittore a cento anni dalla nascita

Da quando, verso la metà degli anni Settanta, ho incominciato a frequentare Cioran, dedicandomi anche alla diffusione della sua conoscenza in Italia, mi sono spesso chiesto in che cosa consistesse la sua singolarità e quale fosse il rapporto fra lo scrittore e l’uomo.
La voce di Cioran si era manifestata in Francia, a partire dal 1949 quando apparve il suo Sommario di decomposizione, come una nota del tutto isolata, diversa e dissonante dal concerto intellettuale e culturale dell’epoca, che era universalmente segnato dal dominio delle ideologie e delle utopie: l’opera e l’attività di Sartre ne rappresentavano allora in Francia, e non solo in Francia, una sorta di emblema. Cioran era l’anti-Sartre. Nel celebre filosofo esistenzialista, nell’eroe dell’engagement, egli non vedeva che un «impresario di idee» , secondo l’innominato ma riconoscibile ritratto che ne ha lasciato nel Sommario: un «pensatore senza destino» , nel quale «tutto è notevole, salvo l’autenticità» , «infinitamente vacuo e meravigliosamente ampio» , ma proprio per questo capace, con un’opera che degrada il nulla al rango di una merce intellettuale, di conquistare e soddisfare «il nichilismo da boulevard e l’amarezza degli sfaccendati» . Era dunque naturale che l’opera di Cioran, con la sua lucidità bruciante e solitaria, vissuta come esperienza e forma di un destino, restasse quasi senza eco: il riconoscimento doveva limitarsi al fulgore inusitato dello stile, che balzava agli occhi, se non di tutti, almeno di alcuni, tra i quali i primi lettori del manoscritto del Sommario, che si chiamavano Jules Romains, André Gide, André Maurois, Jean Paulhan, Jules Supervielle, ma certo anche Paul Celan, che poco dopo ne avrebbe fatto la traduzione in tedesco. Tuttavia sappiamo bene che lo stile, la forma, il tono di un’opera non sono l’abito o l’ornamento estrinseco del pensiero, ma il suo corpo, la sua vita, la sua essenza e che dunque essi rappresentano assai più di un indizio... Cioran affrontava i temi capitali dell’esistenza e del mondo col linguaggio più diretto e più chiaro, ripristinando la superba tradizione che si era perduta dopo Schopenhauer e Nietzsche. È ovvio, nello stesso tempo, che egli rimanesse estraneo alle mode culturali che negli anni Settanta e Ottanta furoreggiavano in Francia e in Europa: la linguistica, lo strutturalismo, la semiologia, la psicanalisi, il decostruzionismo, i cui esponenti o seguaci apparivano ai suoi occhi quanto meno segnati dalla superstizione della scienza e dalla maledizione dell’accademia. Ma qual è dunque il tratto fondamentale che distingue lo stile e il pensiero di Cioran, lo scrittore non meno che l’uomo? La ragione di una presa e di un fascino che oggi hanno conquistato una gamma indefinibile e trasversale di lettori, fino al E. M. Cioran nacque a Rasinari (Romania) l’ 8 aprile 1911 e morì a Parigi il 20 giugno 1995. La sua opera è stata tradotta da Adelphi sotto la direzione di Mario Andrea Rigoni che gli fu amico e che, tra il 1983 e il 1991, ne presentò alcuni scritti sul «Corriere» (raccolti in Fascinazione della cenere, Il Notes magico, 2005). Rigoni ha pubblicato in Francia Cioran dans mes souvenirs (P. U. F., 2009). punto di suscitare in molti un’identificazione spontanea e una devozione fanatica? È difficile non trovare ai singoli temi del pensiero di Cioran, come di chiunque altro, un precedente o un analogo nella letteratura antica o moderna; ma è la quintessenza di lucidità di cui si sostanzia costantemente la sua riflessione che non cessa di impressionare e di affascinare. Essa si fonda, a mio parere, sul carattere diretto e personale dell’esperienza, offerta come testimonianza intima e viva di un essere, anziché di una teoria astratta o di un esercizio professionale. Un aforisma dei Sillogismi dell’amarezza asserisce che «tutto ciò che non è diretto è insignificante» . Mi sembra che questo principio o questo imperativo, che Cioran non ha mai smesso di seguire, definisca molti tratti della sua fisionomia intellettuale e letteraria: la ricerca, anzi l’ossessione, di ciò che è l’essenziale, nella metafisica come nella politica o nella letteratura; l’interesse verso i grandi moralisti e i grandi saggi; l’orrore dell’ufficialità e del professionismo; il culto della chiarezza e il rifiuto del gergo; l’amore della brevità e la pratica dell’aforisma; l’attrazione per i generi letterari che recano l’impronta immediata dell’io, come i diari, le confessioni, le memorie, le lettere, le autobiografie. Cioran era interessato assai più alla vita che alla filosofia; più alle cose che alle idee; più agli istinti e alle emozioni che ai concetti. In un’opera cercava soprattutto l’elemento personale: «Guai al libro che si può leggere senza doversi interrogare a ogni momento sull’autore!» . D’altronde la letteratura, nella sua visione, nasce da una ferita esistenziale e da una tara metafisica: «La scrittura è la rivincita della creatura e la sua risposta a una Creazione abborracciata» . È significativo che nell’opera di Tolstoj egli abbia isolato e commentato La morte di Ivan Il’ic; come pure che, nel saggio su Fitzgerald, abbia trascurato i romanzi e i racconti dello scrittore americano per concentrarsi sulla notte dell’anima, sull’ «esperienza pascaliana» del crollo evocato nelle pagine impietose del Crack-Up. Analogamente Cioran amava più i santi e i mistici che i teologi: donde il rapporto contrastato, se non il dissenso, col suo vecchio amico e maestro Eliade, al quale rimproverava di essere non tanto uno spirito religioso quanto un semplice storico delle religioni, un indifferente cronista e archivista della varietà delle fedi. Si capisce che oggi, al culmine del disincanto al quale siamo giunti, molti di noi abbiano trovato in Cioran ciò che raramente si trova in un autore: non solo uno scrittore e un pensatore eccellente, ma uno spirito fraterno, un sodale, un amico, capace di parlare alla carne e all’anima non meno che all’intelletto. Tale egli era nella vita privata: semplice e immediato, partecipe e arguto, sempre sfiorato dall’ala nera della malinconia ma pronto a mitigarne il colpo con le risorse dell’ironia e dell’autoironia, qualche volta con un divertito esercizio di autodemolizione, anch’esso segno di uno spirito superiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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