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vendredi, 10 mai 2013

Italia sotto attacco

Italia sotto attacco

Marco della Luna: quinte colonne della finanza internazionale presenti nel governo

Federico Dal Cortivo

Federico Dal Cortivo ha intervistato Marco Della Luna, autore del libro “Traditori al governo? Artefici, complici e strategie della nostra rovina”. L’Italia è oramai da anni sotto attacco, non militare, non ve ne è bisogno essendo la penisola dalla fine della Seconda Guerra Mondiale occupata militarmente dagli Stati Uniti, ma economicamente.Gli obiettivi fin troppo chiari: distruggere completamente il sistema Italia che era fatto anche d’imprese anche a partecipazione statale, lo Stato sociale, le regole del mondo del lavoro, la previdenza pubblica e la sanità, la scuola e l’università dello Stato e infine mettere le mani sul nostro patrimonio economico, colonizzando definitivamente la penisola.
 
Avv. Della Luna lei ha recentemente pubblicato un saggio da titolo eloquente, “Traditori al governo”, nel quale analizza in modo esauriente le dinamiche e i personaggi che hanno portato la nostra nazione al punto in cui si trova oggi dopo l’ultimo governo tecnico di Mario Monti . Quali sono stati a suo avviso i passaggi fondamentali che ci hanno portato alla situazione attuale di grave crisi economica?
Le principali tappe della rovina voluta, e finalizzata a dissolvere il tessuto produttivo del Paese, desertificandolo industrialmente e assoggettandolo alla gestione via centrali bancarie fuori dai suoi confini, onde farne territorio di conquista per capitali stranieri, sono i seguenti:
- la progressiva e totale privatizzazione-divorzio dal Ministero del Tesoro della proprietà e della gestione della Banca d’Italia, con l’affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato (operazione avviata con Ciampi e Andreatta negli anni Ottanta);
- l’immediato, conseguente raddoppio del debito pubblico (da 60 a 120% del pil) a causa della moltiplicazione dei tassi, e la creazione di una ricattabilità politica strutturale del Paese da parte della finanza privata;
- la svendita agli amici/complici e ai più ricchi e potenti, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti per le grandi industrie straniere;
- la privatizzazione, con modalità molto “riservate”, ma col favore di quasi tutto l’arco politico, della Banca d’Italia per mezzo della privatizzazione delle banche di credito pubblico (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d’Italia);
- la riforma Draghi-Prodi che nel 1999 ha autorizzato le banche di credito e risparmio alle scommesse speculative in derivati usando i soldi dei risparmiatori e alle cartolarizzazioni di mutui anche fasulli, come i subprime loans americani;
- l’apertura delle frontiere alla concorrenza sleale dei Paesi che producono schiavizzando i lavoratori e bruciando l’ambiente;
- l’adesione a tre successivi sistemi monetari – negli anni Settanta, Ottanta e Novanta – che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi partecipanti – anche l’Euro non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete – con l’effetto di far perdere competitività, industrie e capitali ai paesi meno competitivi in favore di quelli più competitivi, che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli.
Da ultimo, le misure fiscali del governo Monti-Napolitano-ABC, che, tra le altre cose, hanno depresso i consumi,hanno messo in fuga verso l’estero centinaia di miliardi, svuotando il Paese di liquidità; hanno distrutto il 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano, paralizzato il mercato immobiliare così che imprese e famiglie non possono più usare gli immobili per ottenere credito, e l’economia è rimasta senza liquidità, con insolvenze che schizzano al 30% e oltre..
 
Nel suo libro lei parla senza mezzi termini di “tradimento”, di quinte colonne che, neppure camuffate, operano all’interno dei governi per agevolare l’opera di conquista economica, che si traduce anche in politica, dell’Italia. Personaggi che devono avere dei requisiti ben precisi a suo avviso, ce ne può parlare?
Ma io nego che siano definibili “traditori”. Sono piuttosto definibili “nemici”, perché fanno gli interessi stranieri contro quelli nazionali, in modo scoperto. Definisco traditori, invece, i dirigenti dell’ex PCI che sono passati al servizio del capitalismo finanziario sregolato e collaborano con esso alla costruzione di una società e di un nuovo ordinamento nazionale e mondiale al servizio di esso, tradendo il loro elettorato. A dirla tutta, però, non ci sono nemici né traditori: l’Italia è un Paese tanto radicalmente mal assortito e tanto irrimediabilmente entropizzato, che l’unica cosa che razionalmente se ne può fare è ciò che quei signori ne stanno facendo, lasciando ai giovani, ai ricercatori, agli imprenditori la possibilità di emigrare verso paesi più funzionanti. Quindi sono assolti, anche moralmente.
 
Ci dica di Mario Monti e dell’altro Mario, quel Draghi che regge la BCE. Ambedue hanno prestato i loro servizi… alla stessa banca d’affari, la Goldman Sachs. A quali poteri, economici e non, rispondono realmente questi figuri? Per il primo si può ipotizzare oggi il reato di Alto Tradimento?
Per quali interessi lavorino è nella loro storia obiettiva… non è un mistero. Ciò vale anche per Romano Prodi, altra carriera con Goldman Sachs: quando non era suo advisor, era al governo e la nominava advisor del governo per le privatizzazioni… pensiamo specialmente a quella della Banca d’Italia… sono tutte storie di vita e lavoro convergenti… dirlo ieri poteva suonare ardito e fantasioso, dirlo oggi suona per contro ovvio. Il reato di alto tradimento, previsto dall’art. 77 del Codice Penale Militare di Pace, presuppone che l’autore del fatto sia un militare; altra ipotesi di questo reato è quella enunciata dall’art. 90 della costituzione, in relazione al solo capo dello Stato. Quindi un civile in generale, e in particolare un premier, può commettere il reato di alto tradimento solo in concorso o con un militare o col capo dello Stato. Altrimenti, a un civile diverso dal capo dello Stato si possono ipotizzare altri reati, di attentato alla Costituzione e all’indipendenza della Repubblica, commessi con la violenza consistita nel sottoporre il Paese e il popolo a gravi sofferenze e minacce economiche per indurlo a modificare il suo ordinamento costituzionale e a cedere la sua sovranità sancita dall’art. 1 della Costituzione.
 
E veniamo al Presidente Giorgio Napolitano, ha favorito la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, posto sotto ricatto dalla famosa lettera della BCE ,con la quali si ordinava all’Italia di prendere tutta una serie di misure antisociali per favorire i “mercati”. Che ruolo ha avuto e ha tutt’ora colui che fin dai tempi del PCI aveva ottimi rapporti con gli Stati Uniti e quali sono i suoi legami con i poteri finanziari e massonici?
Dico che non so se e che legami abbia coi poteri finanziari forti e con le massonerie. E direi così anche se li conoscessi. Quando si parla di un presidente della Repubblica, bisogna stare attenti. A meno che si parli da un Paese estero, sotto la protezione di un’altra bandiera. Da dove sono, posso dire che egli si intende di macroeconomia, quindi capiva e capisce ciò che stava e sta avvenendo, e che effetti hanno certe manovre.
 
Per un attimo un passo indietro, certe cose non sono solo di oggi come lei ben saprà. Come giudica i precedenti governi, sia di centrosinistra sia di centrodestra, che nulla hanno fatto per tutelare gli interessi nazionali negli ultimi decenni? Si potrebbe, a suo avviso, far partire la loro “negligenza” (ma meglio starebbe il termine “tradimento” degli interessi nazionali) da quella famosa riunione a bordo del panfilo reale Britannia al largo di Civitavecchia nel giugno 1992?
 
Facendo seguito alla mia prima risposta direi che la partitocrazia italiana, complessivamente, dalla fine degli anni ‘70, lavora per rendere il Paese territorio di conquista per i capitali stranieri, come ho già detto. Ciò ha fatto e sta facendo soprattutto la sinistra sotto la copertura di due concetti, quelli del riformismo e dell’europeismo.
 
E veniamo alla cura proposta dalle teste d’uovo di Bruxelles, del FMI e dalla BCE: pareggio di bilancio, privatizzazioni, tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni, riforma del lavoro ecc. Queste cose dove sono state messe in pratica non hanno certo portato prosperità per i popoli, bensì solo per i cosiddetti mercati, che non sono di certo un entità aliena. Ce ne può parlare?
La parola “riformismo”, di cui tutti si riempiono oggi la bocca, ha avuto, dopo la metà degli anni ‘70, un’inversione di significato: dapprima, dalla seconda rivoluzione industriale, e anche nella Carta Costituzionale del 1948, e ancora nello Statuto dei Lavoratori, “riformismo” significava riforma della proprietà agraria per porre fine allo sfruttamento dei contadini da parte dei latifondisti; significava diritti sindacali, previdenziali e di sciopero per por fine allo sfruttamento degli operai da parte dei grandi imprenditori; significava contrastare le sperequazioni di reddito, diritti e opportunità tra lavoratori e capitale finanziario; significava consapevolezza del crescente strapotere delle corporations e del capitalismo rispetto ai cittadini, ai lavoratori, agli elettori, ai risparmiatori, ai piccoli proprietari, degli invalidi (uno strapotere che oggi è moltiplicato dalla globalizzazione e dal carattere apolide della grande finanza). Era un riformismo per la solidarietà, l’equa distribuzione delle opportunità e del reddito, l’accessibilità al lavoro e alla proprietà privata. Da tutto ciò l’art. 1 con la Repubblica fondata sul lavoro; l’art. 3 con la parità dei cittadini e l’obbligo di rimuovere gli ostacoli anche economici che, di fatto, limitano questa parità; gli artt. 35-40 con la tutela del lavoro; l’art. 41, che vieta l’iniziativa economica che sia contro l’interesse sociale o la sicurezza e dignità umane, stabilendo che la legge possa indirizzarla ai fini collettivi; l’art. 42 che assicura le funzioni sociali della proprietà; l’art. 43 che prevede l’esproprio nel pubblico interesse; etc.; fino all’art. 47, che tutela il risparmio, e non le maxifrodi ai danni dei risparmiatori, e i bonus e le cariche pubbliche in favore di chi le ordisce.
Dalla fine degli anni ‘70, “riformismo” ha preso a significare esattamente l’inverso, ossia la demolizione di tutto quanto sopra al fine, dichiarato, di togliere ogni limitazione alla possibilità di azione e profitto del capitale finanziario, della proprietà privata, della privatizzazione di beni e compiti pubblici, sul presupposto che ciò genererà più ricchezza, più equità, più produzione, più occupazione, più libertà, più stabilità, più razionale allocazione delle risorse. Con i risultati che vediamo: crescente estrazione della ricchezza prodotta dalla società da parte di cartelli e oligopoli multinazionali, anzi soprannazionali. È la linea, come dicevo, della scuola economica di Chicago, del Washington Consensus, della CIA, di Thatcher, Reagan, etc. E dell’europeismo. Ma nonostante questi risultati, i vari Monti, Draghi, Rehn, Merkel e compagnia bella non fanno che ripetere che bisogna continuare sulla via delle riforme, altrimenti non c’è speranza, e se qualcosa non funziona, è appunto perché le riforme non sono state abbastanza risolute e complete. In realtà personaggi come la Merkel non sono tanto ottusi da non capire che il modello è radicalmente sbagliato e devastatore, ma alcuni paesi, Germania in testa, traggono vantaggio da esso in quanto la sua applicazione colpisce in modi diversi quei medesimi Paesi e altri, come l’Italia; e l’effetto di tale diversità è che esso, come già detto, spinge capitali, imprese e lavoratori qualificati a trasferirsi nei Paesi più forti, depauperando i più deboli ed eliminandoli come concorrenti. Se vi prendete qualche minuto e leggete attentamente i suddetti articoli della Costituzione, che regolano la sovranità e i rapporti e valori socio-economici, noterete, forse con stupore, che tutto il percorso di riforme in materia di moneta, finanza, lavoro, Banca d’Italia, sistema monetario europeo (Maastricht), globalizzazioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, cartolarizzazioni, finanziarizzazione dell’economia – tutto, dico, è costituzionalmente illegittimo perché va esattamente, intenzionalmente e organicamente contro quelle norme costituzionali e contro lo stesso impianto sociale e valoriale e teleologico della Costituzione, che è appunto teso all’esclusione dell’attività imprenditoriale contraria all’interesse della società e alla realizzazione di una parità anche sostanziale dei cittadini in un quadro di solidarietà e di sicurezza in fatto di lavoro, reddito, servizi, pensioni. E non di “casinò” speculativo che comanda il Paese da piattaforme finanziarie estere attraverso il potere del rating e della manipolazione dei mercati, decidendo irresponsabilmente e insindacabilmente come si debba vivere e morire e governare.

È un disegno eversivo della Costituzione. Illecito. A esso hanno collaborato attivamente quasi tutti i “rappresentanti” del popolo, soprattutto la sinistra parlamentare. Senza farlo capire al popolo, ovviamente. Qui sta il conflitto di interessi vero. L’incompatibilità assoluta con le cariche pubbliche. Quindi i veri e primi incandidabili, ineleggibili, portatori di conflitto di interessi sono proprio i leaders della sinistra, assieme a Monti e Draghi: tra i vivi, Prodi, Bersani, Amato…
 
Lei parla di “ sacrifici senza prospettive e di “ sogno che la crisi finisca”, ma non vede la luce in fondo al tunnel? Eppure Monti e i suoi sodali ci hanno ripetuto fino alla nausea che siamo in ripresa… e che bisogna avere fiducia nei “mercati”. Lei contesta le linee economiche e fiscali imposte all’Italia dai paladini del “libero mercato”. Ci spieghi perché.
L’Italia è vicina alla fine, lo ha detto anche Squinzi il 24 marzo parlando al premier incaricato Bersani. Gli indici sono tutti al peggio, e vengono frequentemente corretti al peggioramento. Non vi è outlook di ripresa. Le migliori risorse del Paese – capitali, imprenditori, cervelli – se ne sono andate o se ne stanno andando. Chi dice che l’Italia stia riprendendosi, o è pazzo o mente. Secondo la tesi adottata dalle istituzioni monetarie, dalla Ue, da quasi tutta la politica che vuole governare, il libero mercato spontaneamente realizzerebbe l’ottimale impiego delle risorse e l’ottimale distribuzione dei redditi, inoltre automaticamente preverrebbe o riassorbirebbe le crisi. I fatti hanno clamorosamente smentito questa tesi. Del resto quella tesi valeva per i mercati dell’economia reale, non per i mercati della speculazione e dell’azzardo della finanza, che sono un’altra cosa.
O meglio, il libero mercato non esiste, perché per essere libero un mercato dovrebbe essere trasparente (cioè con operatori visibili, eleggibili dentro), non dominato da cartelli, non influenzato da asimmetrie informative, etc. etc. I mercati reali sono dominati, cioè manipolati, da cartelli di soggetti che approfittano di enormi asimmetrie informative (anche in fatto di tecnologie), che si mantengono opachi (anche FMI, BCE, Ue, Tesoro Usa, hedge funds, grandi banche…).
E che influenzano, pagandole o ricattandole, le funzioni politiche
 
Nel suo libro non disdegna di toccare la vicenda MPS,l a famosa banca senese da sempre nell’orbita della sinistra, fatti che al momento sembrano essere stati messi a tacere, con una Magistratura tutta impegnata nell’attacco a tutto campo contro Berlusconi. Chi sono i protagonisti principali e perché si è arrivati a questo, e il ruolo del duo Draghi-Monti e del PD di Bersani? Un Bersani che oramai interpreta da tempo, così come tutta la sinistra italiana, il ruolo di “mosca cocchiera dei poteri finanziari antinazionali”.
Volete i protagonisti principali? È una cerchia di nomi che potete individuare ricercando gli amministratori e i beneficiari effettivi di società derivate, di controllo, di gestione, cessionarie di rami di aziende, sicav, siv, stichtingen,… società che ricevono strani e grandi prestiti da banche in condizioni sospette… andate a consultare il Cerved, farete molte interessanti scoperte. E, per i bilanci, guardate in Cebi…Draghi ha prestato in segreto 2 miliardi a MPS già in crisi di liquidità a seguito non solo dell’acquisto di Antonveneta per un multiplo del suo dubbio valore, ma anche per una storia precedente di molti mutui concessi a soggetti che si sapeva non avrebbero pagato, e per le storie Myway e 4you, e per l’acquisizione della Banca del Salento (121)… e Monti presta 4 miliardi pubblici a MPS che in banca ne capitalizza 2,7.
Bisogna salvare MPS, l’ho detto dal mio primo articolo su di esso, del 29.06.11, ma salviamola per farne una banca nazionale di finanziamento all’economia produttiva, non solo per proteggere interessi privati o di uomini politici.
 
Avv. Della Luna i rimedi esistono per uscire da questa situazione, il mercato non è il destino dell’uomo, come non lo sono le banche, le vie alternative al capitalismo esistono, mancano oggi probabilmente gli uomini in grado d’applicarle in Italia e in Europa. Altrove i popoli hanno intrapreso una marcia diversa, e buona parte dell’America Latina ne è un esempio, questo a pochi giorni dalla morte del Presidente della repubblica Bolivariana del Venezuela Chávez, che certamente ha tracciato una via chiara di socialismo del XXI Secolo. Lei che misure adotterebbe per uscire da questo giro infernale usuraio in cui siamo precipitati?
Dalle situazioni non si esce per applicazione razionale e intenzionale di rimedi condivisi, ma perché una situazione si rompe e si cade in un’altra situazione. Non è questione di uomini. Anche il capitalismo finanziario assoluto si romperà, e io mi aspetto che ciò avvenga sia perché il tipo di mondo che esso costruisce per massimizzare la propria efficienza è incompatibile con la vita umana (troppa incertezza, violenza, mutevolezza), sia per effetto della incontrollabile accelerazione e autonomizzazione dei processi informatizzati attraverso cui si realizza lo high frequency computerized algotrading – una rete cibernetica capace di imparare e, in prospettiva, di sfuggire di mano.
 
www.europeanphoenix.com


30 Marzo 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20032

Première ligne

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00:05 Publié dans Affiches | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : affiche, première ligne, france, identitaires | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

Wayne MADSEN:

Ex: Strategic-Culture.org

The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

To scan the list of major American supporters of the Chechen secessionist movement, which at some points can hardly be distinguished from Chechen terrorists financed by U.S. allies Saudi Arabia and Qatar, is to be reminded of some of the most notorious U.S. Cold War players.

Evidence is mounting that the accused dead Boston Marathon bomber Tamerlan Tsarnaev, allegedly killed during an April 19 shootout with police in Watertown, Massachusetts, became a «radicalized» Muslim while participating in a covert CIA program, run through the Republic of Georgia, to destabilize Russia's North Caucasus region… The ultimate goal of the CIA's campaign was for the Muslim inhabitants of the region to declare independence from Moscow and tilt toward the U.S. Wahhabi Muslim-run governments of Saudi Arabia and Qatar.

The Western corporate media largely ignored an important story reported from Izvestia in Moscow: that Tamerlan Tsarnaev attended seminars run by the Caucasus Fund of Georgia, a group affiliated with the neo-conservative think tank, the Jamestown Foundation, between January and July 2012. The U.S. media reported that during this six month time frame, Tsarnaev was being radicalized by Dagestan radical imam «Abu Dudzhan», killed in a fight with Russian security forces in 2012. Tsarnaev also visited Dagestan in 2011. 

However, in documents leaked from the Georgian Ministry of Internal Affairs' Counterintelligence Department, Tsarnaev is pinpointed as being in Tbilisi taking part in «seminars» organized by the Caucasus Fund, founded during the Georgian-South Ossetian war of 2008, a war started when Georgian troops invaded the pro-Russian Republic of South Ossetia during the Beijing Olympics. Georgia was supported militarily and with intelligence support by the United States and Israel, and the American support included U.S. Special Forces advisers on the ground in Georgia. The Georgian intelligence documents indicate Tsarnaev attended the Jamestown Foundation seminars in Tbilisi.

The Jamestown Foundation is part of a neo-conservative network that re-branded itself after the Cold War from being anti-Soviet and anti-Communist to one that is anti-Russian and “pro-democracy.” The network not only consists of Jamestown and the Caucasus Fund but also other groups funded by the U.S. Agency for International Development (USAID) and George Soros’ Open Society Institute (OSI).

Georgia has become a nexus for the U.S. aid to the Russian opposition trying to oust President Vladimir Putin and his supporters from power. In March [2010], Georgia sponsored, with CIA, Soros, and British MI-6 funds, a conference titled 'Hidden Nations, Enduring Crimes: The Circassians and the People of the North Caucasus Between Past and Future.' Georgia and its CIA, Soros, and British intelligence allies are funneling cash and other support for secessionism by ethnic minorities in Russia, including Circassians, Chechens, Ingushetians, Balkars, Kabardins, Abaza, Tatars, Talysh, and Kumyks».

The March 21, 2010 conference in Tbilisi was organized by the Jamestown Foundation and the International School of Caucasus Studies at Ilia State University in Georgia. If Georgian counter-intelligence documents have Tamerlan Tsarnaev attending Jamestown conferences in Tbilisi in 2011, could the Russian FSB have tracked him to the Jamestown Hidden Nations seminar in March 2010? In any event, a year later the FSB decided to contact the FBI about Tsarnaev's ties to terrorists.

The first Russian request to the FBI came via the FBI's Legal Attache's office at the U.S. embassy in Moscow in March 2011. It took the FBI until June of 2011 to conclude that Tamerlan posed no terrorist threat but it did add his name to the Treasury Enforcement Communications System, or TECS, which monitors financial information such as bank accounts held abroad and wire transfers. In September 2011, Russian authorities, once again, alerted the U.S. of their suspicions about Tamerlan. The second alert went to the CIA. By September 2011, Russian security agencies were well aware that the Hidden Nations seminar held a year earlier was a CIA-sponsored event that was supported by the Mikheil Saakashvili government in Georgia and that other similar meetings had been held and were planned, including the one that Tamerlan Tsarnaev was to attend in Tbilisi in January 2012. 

At some point in time after the first Russian alert and either before or after the second, the CIA entered Tamerlan's name into the Terrorist Identities Datamart Environment list (TIDE), a database with more than 750,000 entries that is maintained by the National Counterterrorism Center in McLean, Virginia.

The Jamestown Foundation is a long-standing front operation for the CIA, it being founded, in part, by CIA director William Casey in 1984. The organization was used as an employer for high-ranking Soviet bloc defectors, including the Soviet Undersecretary General of the UN Arkady Shevchenko and Romanian intelligence official Ion Pacepa. The Russian domestic Federal Security Bureau and the SVR foreign intelligence agency have long suspected Jamestown of helping to foment rebellions in Chechnya, Ingushetia, and other north Caucasus republics. The March 21 Tbilisi conference on the north Caucasus a few days before the Moscow train bombings has obviously added to the suspicions of the FSB and SVR. 

Jamestown's board includes such Cold War era individuals as Marcia Carlucci; wife of Frank Carlucci, the former CIA officer, Secretary of Defense, and Chairman of The Carlyle Group [Frank Carlucci was also one of those who requested the U.S. government to allow former Chechen Republic 'Foreign Minister' Ilyas Akhmadov, accused by the Russians of terrorist ties, to be granted political asylum in the U.S. after a veto from the Homeland Security and Justice Departments], anti-Communist book and magazine publisher Alfred Regnery; and Caspar Weinberger's Deputy Assistant Secretary of Defense for Public Affairs Kathleen Troia «KT» McFarland. Also on the board is former Oklahoma GOP Governor Frank Keating, the governor at the time of the 1995 Murrah Federal Building bombing.

Cooperating with Jamestown in not only its north and south Caucasus information operations, but also in Moldovan, Belarusian, Uighur, and Uzbekistan affairs, is George Soros's ubiquitous Open Society Institute, another cipher for U.S. intelligence and global banking interests. Soros's Central Eurasia Project has sponsored a number of panels and seminars with Jamestown.

Russian security indicated in their first communication with the FBI that Tamerlan Tsarnaev had changed drastically since 2010. That change came after the Hidden Nations conference in Tbilisi. U.S. support for Chechen and North Caucasus secession came as a result of a public statement on August 2008 by GOP presidential candidate John McCain that «after Russia illegally recognized the independence of South Ossetia and Abkhazia, Western countries ought to think about the independence of the North Caucasus and Chechnya».

Upon becoming President in 2009, Barack Obama adopted McCain's proposal and authorized CIA support for North Caucasus secessionists and terrorists with money laundered through the USAID, the National Endowment for Democracy, Soros's Open Society Institute, Freedom House, and the Jamestown Foundation. In January 2012, Obama appointed a Soros activist and neocon, Michael McFaul of the right-wing Hoover Institution at Stanford University, as U.S. ambassador to Moscow. McFaul immediately threw open the doors of the U.S. embassy to a variety of Russian dissidents, including secessionists from the North Caucasus, some of whom were suspected by the Russian FSB of ties to Islamist terrorists.

Whether Tamerlan Tsarnaev was always a CIA asset and participated in a “false flag” operation in Boston and became an unwitting “patsy” in a CIA plot, much like “U.S. Marine “defector” to the Soviet Union Lee Harvey Oswald became a “patsy” in President Kennedy’s assassination, or he was indeed radicalized in an attempt to infiltrate him into the ranks of the Caucasus Emirate and decided to defect and carry out a terrorist attack against the United States may never be known. If the latter is the case, Tsarnaev is much like Osama Bin Laden, once a CIA fighter in the field in Afghanistan who allegedly decided to launch a jihad against the United States. If Tsarnaev was a “patsy” like Oswald, that might explain the setting off of an incendiary device at the John F. Kennedy Library in Boston ten minutes after the twin bombings at the Boston Marathon. After Boston Police stated the fire was caused by an explosion, the Boston Fire Department went into cover-up mode and tried to claim the fire could have been caused by someone tossing a cigarette on to flammable material.




Republishing is welcomed with reference to Strategic Culture Foundation on-line journal www.strategic-culture.org.

Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

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Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

Majed Nehmé
 
Ex: http://www.legrandsoir.info/
 

AFRIQUE-ASIE : Sans sponsors et en toute indépendance, à contre-courant des livres de commande publiés récemment en France sur le Qatar, Nicolas Beau et Jacques-Marie Bourget* ont enquêté sur ce minuscule État tribal, obscurantiste et richissime qui, à coup de millions de dollars et de fausses promesses de démocratie, veut jouer dans la cour des grands en imposant partout dans le monde sa lecture intégriste du Coran. Un travail rigoureux et passionnant sur cette dictature molle, dont nous parle Jacques-Marie Bourget.

Écrivain et ancien grand reporter dans les plus grands titres de la presse française, Jacques-Marie Bourget a couvert de nombreuses guerres : le Vietnam, le Liban, le Salvador, la guerre du Golfe, la Serbie et le Kosovo, la Palestine… C’est à Ramallah qu’une balle israélienne le blessera grièvement. Grand connaisseur du monde arabe et des milieux occultes, il publiait en septembre dernier avec le photographe Marc Simon, Sabra et Chatila, au cœur du massacre (Éditions Érick Bonnier, voir Afrique Asie d’octobre 2012)

Nicolas Beau a longtemps été journaliste d’investigation à Libération, au Monde et au Canard Enchainé avant de fonder et diriger le site d’information satirique français, Bakchich. info. Il a notamment écrit des livres d’enquêtes sur le Maroc et la Tunisie et sur Bernard-Henri Lévy.

Qu’est-ce qui vous a amenés à consacrer un livre au Qatar ?

Le hasard puis la nécessité. J’ai plusieurs fois visité ce pays et en suis revenu frappé par la vacuité qui se dégage à Doha. L’on y a l’impression de séjourner dans un pays virtuel, une sorte de console vidéo planétaire. Il devenait intéressant de comprendre comment un État aussi minuscule et artificiel pouvait prendre, grâce aux dollars et à la religion, une telle place dans l’histoire que nous vivons. D’autre part, à l’autre bout de la chaîne, l’enquête dans les banlieues françaises faite par mon coauteur Nicolas Beau nous a immédiatement convaincus qu’il y avait une stratégie de la part du Qatar enfin de maîtriser l’islam aussi bien en France que dans tout le Moyen-Orient et en Afrique. D’imposer sa lecture du Coran qui est le wahhabisme, donc d’essence salafiste, une interprétation intégriste des écrits du Prophète. Cette sous-traitance de l’enseignement religieux des musulmans de France à des imams adoubés par le Qatar nous a semblé incompatible avec l’idée et les principes de la République. Imaginez que le Vatican, devenant soudain producteur de gaz, profite de ses milliards pour figer le monde catholique dans les idées intégristes de Monseigneur Lefebvre, celles des groupuscules intégristes qui manifestent violement en France contre le « mariage pour tous ». Notre société deviendrait invivable, l’obscurantisme et l’intégrisme sont les meilleurs ennemis de la liberté.

Sur ce petit pays, nous sommes d’abord partis pour publier un dossier dans un magazine. Mais nous avons vite changé de format pour passer à celui du livre. Le paradoxe du Qatar, qui prêche la démocratie sans en appliquer une seule once pour son propre compte, nous a crevé les yeux. Notre livre sera certainement qualifié de pamphlet animé par la mauvaise foi, de Qatar bashing… C’est faux. Dans cette entreprise nous n’avons, nous, ni commande, ni amis ou sponsors à satisfaire. Pour mener à bien ce travail, il suffisait de savoir lire et observer. Pour voir le Qatar tel qu’il est : un micro-empire tenu par un potentat, une dictature avec le sourire aux lèvres.

Depuis quelques années, ce petit émirat gazier et pétrolier insignifiant géopolitiquement est devenu, du moins médiatiquement, un acteur politique voulant jouer dans la cour des grands et influer sur le cours de l’Histoire dans le monde musulman. Est-ce la folie des grandeurs ? Où le Qatar sert-il un projet qui le dépasse ?

Il existe une folie des grandeurs. Elle est encouragée par des conseillers et flagorneurs qui ont réussi à convaincre l’émir qu’il est à la fois un tsar et un commandeur des croyants. Mais c’est marginal. L’autre vérité est qu’il faut, par peur de son puissant voisin et ennemi saoudien, que la grenouille se gonfle. Faute d’occuper des centaines de milliers de kilomètres carrés dans le Golfe, le Qatar occupe ailleurs une surface politico-médiatique, un empire en papier. Doha estime que cette expansion est un moyen de protection et de survie.

Enfin il y a la religion. Un profond rêve messianique pousse Doha vers la conquête des âmes et des territoires. Ici, on peut reprendre la comparaison avec le minuscule Vatican, celui du xixe siècle qui envoyait ses missionnaires sur tous les continents. L’émir est convaincu qu’il peut nourrir et faire fructifier une renaissance de la oumma, la communauté des croyants. Cette stratégie a son revers, celui d’un possible crash, l’ambition emportant les rêves du Qatar bien trop loin de la réalité. N’oublions pas aussi que Doha occupe une place vide, celle libérée un temps par l’Arabie Saoudite impliquée dans les attentats du 11-Septembre et contrainte de se faire plus discrète en matière de djihad et de wahhabisme. Le scandaleux passe-droit dont a bénéficié le Qatar pour adhérer à la Francophonie participe à cet objectif de « wahhabisation » : en Afrique, sponsoriser les institutions qui enseignent la langue française permet de les transformer en écoles islamiques, Voltaire et Hugo étant remplacés par le Coran.

Cette mégalomanie peut-elle se retourner contre l’émir actuel ? Surtout si l’on regarde la brève histoire de cet émirat, créé en 1970 par les Britanniques, rythmée par des coups d’État et des révolutions de palais.

La mégalomanie et l’ambition de l’émir Al-Thani sont, c’est vrai, discrètement critiquées par de « vieux amis » du Qatar. Certains, avançant que le souverain est un roi malade, poussent la montée vers le trône de son fils désigné comme héritier, le prince Tamim. Une fois au pouvoir, le nouveau maître réduirait la voilure, notamment dans le soutien accordé par Doha aux djihadistes, comme c’est le cas en Libye, au Mali et en Syrie. Cette option est même bien vue par des diplomates américains inquiets de cette nouvelle radicalité islamiste dans le monde. Alors, faut-il le rappeler, le Qatar est d’abord un instrument de la politique de Washington avec lequel il est lié par un pacte d’acier.

Cela dit, promouvoir Tamim n’est pas simple puisque l’émir, qui a débarqué son propre père par un coup d’État en 1995, n’a pas annoncé sa retraite. Par ailleurs le premier ministre Jassim, cousin de l’émir, le tout-puissant et richissime « HBJ », n’a pas l’intention de laisser un pouce de son pouvoir. Mieux : en cas de nécessité, les États-Unis sont prêts à sacrifier et l’émir et son fils pour mettre en place un « HBJ » dévoué corps et âme à Washington et à Israël. En dépit de l’opulence affichée, l’émirat n’est pas si stable qu’il y paraît. Sur le plan économique, le Qatar est endetté à des taux « européens » et l’exploitation de gaz de schiste est en rude concurrence, à commencer aux États-Unis.

La présence de la plus grande base américaine en dehors des États-Unis sur le sol qatari peut-elle être considérée comme un contrat d’assurance pour la survie du régime ou au contraire comme une épée de Damoclès fatale à plus ou moins brève échéance ?

La présence de l’immense base Al-Udaï est, dans l’immédiat, une assurance vie pour Doha. L’Amérique a ici un lieu idéal pour surveiller, protéger ou attaquer à son gré dans la région. Protéger l’Arabie Saoudite et Israël, attaquer l’Iran. La Mecque a connu ses révoltes, la dernière réprimée par le capitaine Barril et la logistique française. Mais Doha pourrait connaître à son tour une révolte conduite par des fous d’Allah mécontents de la présence du « grand Satan » en terre wahhabite.

Ce régime, moderne d’apparence, est en réalité fondamentalement tribal et obscurantiste. Pourquoi si peu d’informations sur sa vraie nature ?

Au risque de radoter, il faut que le public sache enfin que le Qatar est le champion du monde du double standard : celui du mensonge et de la dissimulation comme philosophie politique. Par exemple, des avions partent de Doha pour bombarder les taliban en Afghanistan alors que ces mêmes guerriers religieux ont un bureau de coordination installé à Doha, à quelques kilomètres de la base d’où décollent les chasseurs partis pour les tuer. Il en va ainsi dans tous les domaines, et c’est le cas de la politique intérieure de ce petit pays.

Regardons ce qui se passe dans ce coin de désert. Les libertés y sont absentes, on y pratique les châtiments corporels, la lettre de cachet, c’est-à-dire l’incarcération sans motif, est une pratique courante. Le vote n’existe que pour nommer une partie des conseillers municipaux, à ceci près que les associations et partis politiques sont interdits, tout comme la presse indépendante… Une Constitution qui a été élaborée par l’émir et son clan n’est même pas appliquée dans tous ses articles. Le million et demi de travailleurs étrangers engagés au Qatar s’échinent sous le régime de ce que des associations des droits de l’homme qualifient « d’esclavage ». Ces malheureux, privés de leurs passeports et payés une misère, survivent dans les camps détestables sans avoir le droit de quitter le pays. Nombre d’entre eux, accrochés au béton des tours qu’ils construisent, meurent d’accidents cardiaques ou de chutes (plusieurs centaines de victimes par an).

La « justice », à Doha, est directement rendue au palais de l’émir, par l’intermédiaire de juges qui le plus souvent sont des magistrats mercenaires venus du Soudan. Ce sont eux qui ont condamné le poète Al-Ajami à la prison à perpétuité parce qu’il a publié sur Internet une plaisanterie sur Al-Thani ! Observons une indignation à deux vitesses : parce que cet homme de plume n’est pas Soljenitsyne, personne n’a songé à défiler dans Paris pour défendre ce martyr de la liberté. Une anecdote : cette année, parce que son enseignement n’était pas « islamique », un lycée français de Doha a tout simplement été retiré de la liste des institutions gérées par Paris.

Arrêtons là car la situation du droit au Qatar est un attentat permanent aux libertés.

Pourtant, et l’on retombe sur le fameux paradoxe, Doha n’hésite pas, hors de son territoire, à prêcher la démocratie. Mieux, chaque année un forum se tient sur ce thème dans la capitale. Son titre, « New or restaured democracy » alors qu’au Qatar il n’existe de démocratie ni « new » ni « restaured »… Selon le classement de The Economist, justement en matière de démocratie, le Qatar est 136e sur 157e États, classé derrière le Bélarusse. Bizarrement, alors que toutes les bonnes âmes fuient le dictateur moustachu Loukachenko, personne n’éprouve honte ou colère à serrer la main d’Al-Thani. Et le Qatar, qui est aussi un enfer, n’empêche pas de grands défenseurs des droits de l’homme, notamment français, de venir bronzer, invités par Doha, de Ségolène Royal à Najat Vallaud-Belkacem, de Dominique de Villepin à Bertrand Delanoë.

Comment un pays qui est par essence antidémocratique se présente-t-il comme le promoteur des printemps arabes et de la liberté d’expression ?

Au regard des « printemps arabes », où le Qatar joue un rôle essentiel, il faut observer deux phases. Dans un premier temps, Doha hurle avec les peuples justement révoltés. On parle alors de « démocratie et de liberté ». Les dictateurs mis à terre, le relais est pris par les Frères musulmans, qui sont les vrais alliés de Doha. Et on oublie les slogans d’hier. Comme on le dit dans les grandes surfaces, « liberté et démocratie » n’étaient que des produits d’appel, rien que de la « com ».

Si l’implication du Qatar dans les « printemps » est apparue comme une surprise, c’est que la stratégie de Doha a été discrète. Depuis des années l’émirat entretient des relations très étroites avec des militants islamistes pourchassés par les potentats arabes, mais aussi avec des groupes de jeunes blogueurs et internautes auxquels il a offert des stages de « révolte par le Net ». La politique de l’émir était un fusil à deux coups. D’abord on a envoyé au « front » la jeunesse avec son Facebook et ses blogueurs, mains nues face aux fusils des policiers et militaires. Ceux-ci défaits, le terrain déblayé, l’heure est venue de mettre en poste ces islamistes tenus bien au chaud en réserve, héros sacralisés, magnifiés en sagas par Al-Jazeera.

Comment expliquez-vous l’implication directe du Qatar d’abord en Tunisie et en Libye, et actuellement en Égypte, dans le Sahel et en Syrie ?

En Libye, nous le montrons dans notre livre, l’objectif était à la fois de restaurer le royaume islamiste d’Idriss tout essayant de prendre le contrôle de 165 milliards, le montant des économies dissimulées par Kadhafi. Dans le cas de la Tunisie et de l’Égypte, il s’agit de l’application d’une stratégie froide du type « redessinons le Moyen-Orient », digne des « néocons » américains. Mais, une fois encore, ce n’est pas le seul Qatar qui a fait tomber Ben Ali et Moubarak ; leur chute a d’abord été le résultat de leur corruption et de leur politique tyrannique et aveugle.

Au Sahel, les missionnaires qataris sont en place depuis cinq ans. Réseaux de mosquées, application habile de la zaqat, la charité selon l’islam, le Qatar s’est taillé, du Niger au Sénégal, un territoire d’obligés suspendus aux mamelles dorées de Doha. Plus que cela, dans ce Niger comme dans d’autres pays pauvres de la planète le Qatar a acheté des centaines de milliers d’hectares transformant ainsi des malheureux affamés en « paysans sans terre ». À la fin de 2012, quand les djihadistes ont pris le contrôle du Nord-Mali, on a noté que des membres du Croissant-Rouge qatari sont alors venus à Gao prêter une main charitable aux terribles assassins du Mujao…

La Syrie n’est qu’une extension du domaine de la lutte avec, en plus, une surenchère : se montrer à la hauteur de la concurrence de l’ennemi saoudien dans son aide au djihad. Ici, on a du mal à lire clairement le dessein politique des deux meilleurs amis du Qatar, les États-Unis et Israël, puisque Doha semble jouer avec le feu de l’islamisme radical…

Le Fatah accuse le Qatar de semer la zizanie et la division entre les Palestiniens en soutenant à fond le Hamas, qui appartient à la nébuleuse des Frères musulmans. Pour beaucoup d’observateurs, cette stratégie ne profite qu’à Israël. Partagez-vous cette analyse ?

Quand on veut évoquer la politique du Qatar face aux Palestiniens, il faut s’en tenir à des images. Tzipi Livni, qui fut avec Ehud Barak la cheville ouvrière, en 2009, de l’opération Plomb durci sur Gaza – 1 500 morts – fait régulièrement ses courses dans les malls de Doha. Elle profite du voyage pour dire un petit bonjour à l’émir. Un souverain qui, lors d’une visite discrète, s’est rendu à Jérusalem pour y visiter la dame Livni… Souvenons-nous du pacte signé d’un côté par HBJ et le souverain Al-Thani et de l’autre les États-Unis : la priorité est d’assister la politique d’Israël. Quand le « roi » de Doha débarque à Gaza en promettant des millions, c’est un moyen d’enferrer le Hamas dans le clan des Frères musulmans pour mieux casser l’unité palestinienne. C’est une politique pitoyable. Désormais, Mechaal, réélu patron du Hamas, vit à Doha dans le creux de la main de l’émir. Le rêve de ce dernier – le Hamas ayant abandonné toute idée de lutte – est de placer Mechaal à la tête d’une Palestine qui se situerait en Jordanie, le roi Abdallah étant déboulonné. Israël pourrait alors s’étendre en Cisjordanie. Intéressante politique-fiction.

Le Qatar a-t-il « acheté » l’organisation de la Coupe du monde football en 2022 ?

Un grand et très vieil ami du Qatar m’a dit : « Le drame avec eux, c’est qu’ils s’arrangent toujours pour que l’on dise “cette fois encore, ils ont payé !” » Bien sûr, il y a des soupçons. Remarquons que les fédérations sportives sont si sensibles à la corruption que, avec de l’argent, acheter une compétition est possible. On a connu cela avec des jeux Olympiques étrangement attribués à des outsiders…

Dans le conflit frontalier entre le Qatar et le Bahreïn, vous révélez que l’un des juges de la Cour internationale de justice de La Haye aurait été acheté par le Qatar. L’affaire peut-elle être rejugée à la lumière de ces révélations ?

Un livre – sérieux celui-là – récemment publié sur le Qatar évoque une manipulation possible lors du jugement arbitral qui a tranché le conflit frontalier entre le Qatar et Bahreïn. Les enjeux sont énormes puisque, sous la mer et les îlots, se trouve du gaz. Un expert m’a déclaré que cette révélation pouvait être utilisée pour rouvrir le dossier devant la Cour de La Haye…

Les liaisons dangereuses et troubles entre la France de Sarkozy et le Qatar se poursuivent avec la France de Hollande. Comment expliquez-vous cette continuité ?

Parler du Qatar, c’est parler de Sarkozy, et inversement. De 2007 à 2012, les diplomates et espions français en sont témoins, c’est l’émir qui a réglé la « politique arabe » de la France. Il est amusant de savoir aujourd’hui que Bachar al-Assad a été l’homme qui a introduit la « sarkozie » auprès de celui qui était alors son meilleur ami, l’émir du Qatar. Il n’y a pas de bonne comédie sans traîtres. Kadhafi était, lui aussi, un grand ami d’Al-Thani et c’est l’émir qui a facilité l’amusant séjour du colonel et de sa tente à Paris. Sans évoquer les affaires incidentes, comme l’épopée de la libération des infirmières bulgares. La relation entre le Qatar et Sarkozy a toujours été sous-tendue par des perspectives financières. Aujourd’hui Doha promet d’investir 500 millions de dollars dans le fonds d’investissement que doit lancer l’ancien président français à Londres. Échange de bons procédés, ce dernier fait de la propagande ou de la médiation dans les aventures, notamment sportives, du Qatar.

François Hollande, par rapport au Qatar, s’est transformé en balancier. Un jour le Qatar est « un partenaire indispensable », qui a sauvé dans son fief de Tulle la fabrique de maroquinerie le Tanneur, le lendemain, il faut prendre garde de ses amis du djihad. Aucune politique n’est fermement dessinée et les diplomates du Quai-d’Orsay, nommés sous Sarkozy, continuent de jouer le jeu d’un Doha qui doit rester l’ami numéro 1. En période de crise, les milliards miroitants d’Al-Thani impliquent aussi une forme d’amitié au nom d’un slogan faux et ridicule qui veut que le Qatar « peut sauver l’économie française »… La réalité est plus plate : tous les investissements industriels de Doha en France sont des échecs… Reste le placement dans la pierre, vieux bas de laine de toutes les richesses. Notons là encore un pathétique grand écart : François Hollande a envoyé son ministre de la Défense faire la quête à Doha afin de compenser le coût de l’opération militaire française au Mali, conduite contre des djihadistes très bien vus par l’émir.

Majed Nehmé

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* Le Vilain Petit Qatar – Cet ami qui nous veut du mal, Jacques-Marie Bourget et Nicolas Beau, Éd. Fayard, 300 p., 19 euros

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