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samedi, 08 juin 2013

L’Islam politico turco: ascesa e declino di uno Stato precursore

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L’Islam politico turco: ascesa e declino di uno Stato precursore

Dal primo giorno delle ad oggi le dimostrazioni hanno registrato tre morti, più di 2mila fermi e circa 2.500 feriti.

Sebastiano Caputo

Ex: http://www.rinascita.eu/

L’intera regione arabo-musulmana, dal Marocco al Pakistan, sta vivendo un clima incandescente nel quale le piazze non cedono alla violenza degli scontri. Recentemente la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan è finita nel mirino dei dimostranti che da ormai sei giorni stanno continuando inesorabilmente una lotta contro un governo di maggioranza reputato eccessivamente autoritario. Dal primo giorno delle violenze, quando il 31 maggio la polizia aveva aggredito i manifestanti Verdi che protestavano pacificamente contro lo smantellamento del parco Gezi a Taksim, uno dei quartieri più importanti del centro della città di Istanbul, ad oggi le dimostrazioni si sono allargate a macchia d’olio su tutto il Paese facendo registrare ben tre morti, più di 2mila fermi e circa 2.500 feriti. Oltre alle immagini di estrema violenza che arrivano dal Paese turco, anche alcune altre notizie attestano le difficoltà del governo islamico nel placare la protesta. Infatti proprio ieri il quotidiano turco Hurriyet ha segnalato l’arresto, nella notte, a Smirne, di ventiquattro persone con l’accusa di aver fomentato i disordini e fatto propaganda su Twitter.
E a sei giorni dall’inizio degli scontri con le forze dell’ordine la situazione non sembra migliorare. Il premier Erdoğan, in visita in Marocco da qualche giorno, dovrebbe atterrare proprio oggi ad Ankara, nella speranza che le tensioni si attenuino e che il popolo in lotta si disperda. Diversi “capi-popolo” della rivolta hanno fatto sapere però di voler dimostrare il contrario al leader islamico, il quale recentemente aveva pensato di organizzare una contro-manifestazione proprio oggi, giorno del suo arrivo, con il rischio di provocare una guerra civile vera e propria. Dal Maghreb, Erdoğan ha attribuito le agitazioni al proselitismo di alcuni gruppi estremisti presenti sul territorio, tuttavia le sue affermazioni non corrispondono a quelle espresse dalla prima carica dello Stato, Abdullah Gül e dal vice premier Arinc, volto moderato del partito Giustizia e Sviluppo (Akp), il quale ha ammesso gli errori nella gestione della protesta iniziale contro la distruzione del Gezi Park a Istanbul. “Non sono riusciti a batterci attraverso le elezioni – aveva detto il premier – e ora ci riprovano utilizzando metodi anti-democratici”, dopo che il presidente Gül aveva affermato “se ci sono critiche e obiezioni, tolto il periodo elettorale, è normale che vengano espresse mediante proteste pacifiche”.
Le origini della rivolta popolare in Turchia appaiono estremamente difficili da inquadrare e risulta riduttivo limitarsi ad una sola motivazione tra i diversi dualismi - democrazia e autoritarismo, ecologia e capitalismo, laicità e islamismo, imperialismo e anti-imperialismo o ancora precarietà e crisi economica – attribuiti dai tanti gruppi associativi e partitici che stanno partecipando alle dimostrazioni. L’ondata di protesta che sta travolgendo il Paese sembrerebbe racchiudere al suo interno diverse correnti, la sensazione è comunque che stiano prevalendo le motivazioni politiche su quelle economiche. La Turchia è un Paese poco indebitato che ha evidenziato una crescita sostenuta e che sarà in costante accelerazione nei prossimi anni (nel 2015 il Pil turco sarà pari a 1,1 trilioni, 2,3 volte rispetto al 2005, divenendo la sesta potenza economica dietro alla Spagna). Tutto questo grazie all’azione combinata di tanti fattori che costituiscono tuttora i perni centrali dello sviluppo economico del Paese, tra questi la dimensione del mercato interno (74 milioni di abitanti di cui una maggioranza di giovani e una classe media che sta emergendo economicamente) e una posizione geografica strategica sia dal punto di vista economico (ponte di accesso a oltre 350 milioni di potenziali clienti in Russia, Asia Centrale, Nordafrica e Medio Oriente), sia da quello geopolitico, dato che la Turchia è imprescindibile per la Russia e per il fronte occidentale e atlantista.
Dinanzi allo stato attuale di crescita e sviluppo e nonostante le esistenti disparità sociali causate dall’ampio programma di privatizzazioni lanciato a seguito della crisi del 2001, molti analisti hanno ventilato erroneamente l’ipotesi di una “primavera turca” facendo riferimento alla “primavera araba” che ha travolto il Maghreb due anni fa. Ma è necessaria una distinzione, dato che in Nordafrica, a differenza dell’attuale rivolta turca, i sollevamenti popolari traevano le loro origini dalla situazione economica piuttosto che da quella politica. “Primavere arabe” che a seguito degli stravolgimenti dirigenziali hanno provocato una rivoluzione che è stata de facto solo culturale (islamizzazione della società) e politica (ascesa degli islamisti al potere in Egitto, Marocco, Tunisia, Libia), e che in qualche modo ha seguito la via della Turchia quale primo Paese musulmano in cui è salito al potere un partito che si rifà al moderno islam politico – o islamismo – ideato da Hasan al-Banna nel 1928, poi evoluto nella potente organizzazione dei Fratelli Musulmani (alle elezioni legislative del novembre 2002, Giustizia e Sviluppo (Akp), ottiene la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento e forma un governo monocolore).
Oggi il governo islamico di Recep Tayyip Erdoğan si trova a fare i conti con la protesta più violenta mai verificatasi in oltre dieci anni al potere (dal 2002). Contro la politica conservatrice del leader dell’Akp, propensa ad un islamizzazione silenziosa della società, ci sono gli studenti universitari, ad esempio della Bilgi University, insieme ai loro colleghi provenienti dalla prestigiosa Università del Bosforo, gli attivisti del Chp, fondato da Mustafa Kemal Ataturk, che incarna l’anima laica dell’opposizione all’attuale governo, i deputati del Bdp, il Partito curdo per la società democratica, impegnato con il premier in una delicata trattativa per mettere fine alla lotta armata dei separatisti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il TGB (Unione dei Giovani Turchi), ma anche i sindacati, che si stanno mostrando decisi a svolgere un’azione politica di forte coesione con le altre componenti antagoniste, portando in piazza i loro iscritti e promettendo scioperi generali nei prossimi giorni. Nella mobilitazione generale ci sono anche i Verdi e il Partito Comunista di Turchia, forti oppositori alla sottomissione del premier alle logiche capitaliste, oltre che le associazioni che si oppongono visceralmente al collaborazionismo del governo nei confronti dell’aggressione alla Siria. Contro Erdoğan, insomma, c’è un intero popolo. Le “primavere arabe” si sono tramutate velocemente in inverni freddi a causa di un islamismo dilagante. L’Akp, fautore di un modello economico e sociale di stampo liberale e islamico-conservatore, da che era un partito precursore dell’Islam politico, rischia adesso di essere il primo governo della Confraternita a cadere, con il rischio di trascinare con sé tutti i governi della regione che hanno cavalcato la protesta in Nordafrica e che sono legati a doppio filo con i Fratelli Musulmani.
 


06 Giugno 2013 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21337

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