mercredi, 29 janvier 2014
LA DISPERSIONE DEI CENTRI DI POTERE E LA TRANSIZIONE ALL’APOLARITÀ
LA DISPERSIONE DEI CENTRI DI POTERE E LA TRANSIZIONE ALL’APOLARITÀ
Giovanni Caprara
Ex: http://www.eurasia-rivista.org
Gli equilibri globali del XXI secolo sono regolati da tre blocchi fra loro interrelati: Stati Uniti, Cina ed Unione Europea. Dal tramonto del bipolarismo, sancito dalla fine della guerra fredda dove USA ed URSS imperavano sul pianeta, le dinamiche economiche, politiche e militari europee ed asiatiche, hanno traghettato la società verso il multipolarismo. Una condizione più articolata e dai risvolti imprevedibili rispetto al periodo precedente. Gli attuali attori, molto probabilmente, saranno le superpotenze del futuro e questo potrebbe ingenerare la sfida di un mondo parallelo, ossia dei Paesi emergenti.
Il nuovo ordine è una diretta conseguenza della globalizzazione, con l’affermazione di economie un tempo deboli come quelle della Cina e dell’India. Le radicali differenze politiche, sociali e culturali, non sembrano consentire una integrazione coerente fra i Paesi emergenti e quelli dominanti, pertanto l’equilibrio dell’ordine mondiale non pare essere di semplice prevedibilità: al contrario la non facile coesistenza disperderà il potere in centri diversi. Le aree di influenza si allargheranno principalmente: all’Iran, all’Asia Centrale ed al Mar Cinese Meridionale e probabilmente, sarà la nascita del mondo apolare, ovvero l’incapacità dei Grandi a gestire la logica dell’economia e della politica.
Il 2014 è indicato dagli analisti come il momento di crescita dei cosiddetti BRICS, l’acronimo che unisce gli Stati di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, dove si svilupperanno i nuovi equilibri del pianeta in uno stadio di fluidità finanziaria, politica e militare. La crisi ha convinto gli investitori a tentare rendimenti migliori su mercati più difficili ma con cedole più alte, accrescendo le condizioni generali dei Paesi emergenti. Tale atteggiamento ha bilanciato il portafoglio a favore di queste aree sviluppandone le potenzialità. Nel 2014, gli esperti si attendono un consolidamento delle più importanti aziende dell’area BRICS.
Nell’ultimo decennio, l’incremento dell’economia planetaria ha dipeso per il 60% da questi cinque Paesi, modificando la geopolitica della produzione industriale. La controtendenza agli investimenti è l’inflazione e molti decisori dei mercati in via di sviluppo, stanno contrastando il fenomeno tentando di arginare l’uscita dei capitali dal proprio Paese. Il 2014 sarà interessato da una bassa valutazione dei rendimenti sul fronte obbligazionario nell’area BRICS e le valute più deboli si trasmuteranno in una nuova opportunità per gli investitori. In base ad un rapporto della Fitch Ratings, la crescita dei mercati in via di sviluppo sarà inferiore al previsto, ma superiore a quello delle economie avanzate. Il PIL cinese, nel 2014, ha una previsione di crescita pari al 7,5% e dovrebbe attestarsi al 7,0% nel 2015, l’area BRICS salirà dal 4,8% al 5,2% nello stesso biennio, dove gli Stati Uniti si fermeranno al 3,0%.
L’Europa rimarrà indietro con un previsionale fissato all’1,3% per tutto il 2015. Le riserve petrolifere africane sono il motore che sta conducendo l’economia del continente verso una maggiore consapevolezza; la Nigeria si è attestata come attore principale nelle dinamiche dell’Africa e quest’ultima nella globalità è seconda solo all’Asia. L’Economist ha stimato per il 2014 un incremento del prodotto interno lordo panafricano al 5,5%, dato che comprende anche il mancato sviluppo economico di Egitto, Libia e Tunisia.
Sulle economie forti, graverà la disoccupazione del ceto medio e se il settore di maggior crescita è quello elettronico, l’implementazione dell’intelligenza artificiale provocherà una ulteriore flessione occupazionale, almeno secondo un’indagine dell’Università di Oxford. In un prossimo futuro, è possibile un salto generazionale dell’interconnessione: la Intel ha anche previsto una diminuzione consistente del costo dei chip e ciò li renderà utilizzabili in qualsiasi settore ed anche a Nazioni non tecnologicamente avanzate, innalzando la possibilità di attacchi cibernetici. Ciò vuol dire l’intrusione nell’informazione e nei sistemi di comunicazione avversari, allo scopo di piratare o distruggere dati riservati. Il bruco Stuxnet, ha rappresentato una forte implementazione delle armi digitali, in quanto sembra che sia riuscito ad infettare 45.000 sistemi di controllo industriale della Siemens, agevolando gli incursori alla manipolazione dei processi tecnici degli impianti nucleari iraniani, benchè Stati Uniti ed Israele abbiano declinato qualsiasi responsabilità. Il mercato per migliorare le risorse informatiche, vale 10 milioni di dollari e tende allo sviluppo di strumenti adatti alla distruzione, interdizione, degradazione ed usurpazione delle reti di mappature, come precisato in un documento dell’USAF. Dunque la guerra cibernetica è definibile come un nuovo livello di scontro, dove l’arma più semplice può essere una chiavetta USB. Il conflitto asimmetrico dell’informatica è risultato essere una minaccia tecnologica e geopolitica, la quale potrebbe tendere al fallimento del governo globale, laddove la guerra cibernetica possa tramutarsi in un’arma per la disinformazione attraverso internet od anche a disposizione dei terroristi.
Tra gli altri, un conflitto virtuale è stato sofferto dalla Corea del Sud, dove furono presi di mira i bancomat ed i siti web e questo dimostra inequivocabilmente che la guerra cibernetica è estesa anche alle Aziende civili, trasformando di fatto il comparto finanziario e le imprese in un nuovo e più imprevedibile campo di battaglia. L’acquisizione forzosa di dati sensibili, vuole significare il trasferimento dei segreti di una Nazione, privandola di fatto della sua ricchezza tecnologica, a favore di elementi ostili. Pertanto, laddove uno Stato Emergente entrerà in possesso di informazioni utili al proprio sviluppo, automaticamente diverrà un nuovo centro di potere incoraggiando il processo di apolarità. Uno dei Paesi BRICS, la Cina, è stata accusata dagli Stati Uniti di aver perpetrato episodi inerenti alla pirateria informatica: tale addebito è stato mosso dall’azienda di sicurezza informatica Mandiant, che ha indicato come responsabile l’unità 61398 dell’Esercito popolare di liberazione, la quale è incaricata della Sigint del Paese, ossia della raccolta di informazioni attraverso l’intercettazione e l’analisi dei segnali trasmessi da potenze straniere. Per violare i computer si utilizzano IP di altri sistemi a loro volta piratati, detti hop points, e per identificare gli intrusi è necessario percorrere a ritroso i passaggi effettuati da quest’ultimi, sino ad individuare gli indirizzi cibernetici di origine. In questo caso, la provenienza venne accertata a Shanghai, proprio nella strada in cui ha base l’unità 61398.
A seguito di questi addebiti, la Cina ha formalmente accusato a sua volta gli Stati Uniti, i quali si sarebbero resi rei di aver violato 16 mila pagine web cinesi, di cui 2.000 governative. Dei 73 mila indirizzi IP rintracciati a ritroso dall’unità 61398, la maggior parte sono risultati essere statunitensi. Nel 2013, l’affermazione delle economie emergenti ha consacrato le obbligazioni in valuta locale, le quali sono state in linea con la crescita interna e le dinamiche dell’inflazione, i cui indicatori sono prevalentemente al ribasso. Nel 2014 questo ciclo si dovrebbe stabilizzare, con la probabile conseguenza di una competizione fra le banche centrali, al fine di creare liquidità per scongiurare la pressione della rivalutazione monetaria. L’OCSE prevede un futuro che vedrà la Cina assoluta protagonista sui mercati, con una proiezione tale da diventare la prima economia entro il 2016. Il tasso medio di crescita è stimato all’8%, con un piano di investimenti che dovrebbe interessare i settori immobiliari, agricoli, energia ed infrastrutture. La previsione su quest’ultime appare piuttosto scontata, in quanto sono carenti in tutte le Aree in via di sviluppo, pertanto possono facilmente essere identificate come incentivo ad investimenti remunerativi.
L’Europa è il maggior importatore dei prodotti cinesi che incide del 20% sul PIL regionale, ma la crisi economica ha ridotto il livello di acquisizione, pesando sulla proiezione del Governo Centrale, il quale, come detto, si è prefissato l’obiettivo di crescita al 7,5%, dunque in leggera controtendenza al previsionale dell’OCSE. Il punto debole dell’espansione finanziaria cinese è nell’allargamento della classe media urbana, dove alla consapevolezza del suo peso sociale, si contrappone l’ineguaglianza delle aree rurali, ancora poco sviluppate. L’incremento della domanda sul mercato interno è la possibile svolta per compensare queste differenze marcate, ma soprattutto per tenere costante il livello di crescita. Pertanto, sarebbe auspicabile una trasposizione ad un modello economico avanzato, dove l’esportazione non sia l’unica base per il benessere dei ceti sociali cinesi. L’apolarità sembra però fondare il suo inizio proprio in Europa, dove la storia e gli interessi contraddittori e divergenti rischiano di frammentarla: i Paesi nordici, rispettano le regole comunitarie al contrario di quelli del sud, bisognosi di aiuti economici. Potrebbe essere un momento di mancata solidarietà fra Nazioni appartenenti ad una stessa unione, forse incentivata dalla debolezza franco-tedesca, con il Presidente francese ed il Cancelliere tedesco divisi dalla fede politica. La diversità delle posizioni assunte sulla risoluzione della crisi siriana è una possibile indicazione della frammentazione europea, con la Francia allineata agli Stati Uniti, il non interventismo della Germania, la tattica di attesa britannica e l’auspicio italiano sulla risoluzione politica. Un segno di distensione, approvato anche dal Governo italiano, è nella proposta transalpina di una ritrovata integrazione europea basata sull’occupazione, sulla convergenza fiscale ed uno sforzo comune per accelerare la crescita, condizioni che se non dovessero avere un riscontro sul breve termine, potrebbero tornare ad ingenerare gli attriti.
Per alcuni analisti, l’apolarità è definibile come una paralisi del sistema, da addebitare ad una diminuzione generalizzata del potere in tutte le aree, dove nessun Paese sarà in grado di regolare le dinamiche politiche, economiche e militari a livello globale. Di fatto si genereranno tanti piccoli centri di valore strategico. Il numero dei Governi assunti a ruoli importanti sta aumentando ed a questi si aggiungono l’FMI, il WTO, organizzazioni private, istituzioni finanziarie e le multinazionali, tanti soggetti che pesano sul dinamismo internazionale. L’instabilità nel Pacifico e nel Mar Cinese con l’attrito fra Cina, Giappone, Corea del Nord ed USA, sono i nuovi focolai di destabilizzazione, responsabili anche del processo di apolarità, dunque alla incapacità delle superpotenze a tenere saldo il controllo sull’evoluzione della situazione. L’alternativa a questa futuribile condizione rimane la multipolarità, con gli Stati Uniti come attore protagonista, coadiuvati dalle Nazioni continentali con la geopolitica a substrato delle Relazioni internazionali. E’ auspicabile che siano i Paesi del BRICS, piuttosto che dell’Area degli Emergenti, ad indicare quali siano gli attori del sistema globale ed il ruolo che essi stessi intenderanno assumere negli equilibri internazionali.
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lundi, 18 novembre 2013
Apolaire ou antipolaire ?
Apolaire ou antipolaire ?
Ex: http://www.dedefensa.org
16 novembre 2013 – ... Effectivement, nous nous sommes arrêtés à l’expression “apolaire”, parce qu’elle contient bien plus que ce qu’elle semble vouloir dire. Notre référence dedefensa.org est des plus simples et des plus proches, puisqu’elle date du 10 novembre 2013, comme conclusion de ces Notes d’analyse :
«D’une certaine façon, il s’agit, expression appropriée tombée miraculeusement par rapport à la politique française totalement invertie de la bouche du ministre Fabius lors d’une récente conférence à Science Po, de la découverte angoissée d’ un monde apolaire (ou bien “zéropolaire”, mais nous préférons nettement la précédente, et la conservons) ; après les épisodes unipolaire et multipolaire, un monde “sans pôle”, qui a perdu toute forme et toute cohésion... Un monde de toutes les opportunités de crises et de tensions souvent surgies par surprise... Un monde de tempêtes, sans vent dominant et où tous les vents prétendent dominer dans une surenchère de souffles furieux, où la tempête lève de tous les côtés.»
L’expression ne date certainement pas de Fabius et de son speechwritrer standard du Quai d’Orsay, mais l’honnêteté nous oblige à dire qu’elle nous vient de cette circonstance. Il faut noter qu’il existe, depuis la fin de la Guerre froide (1989-1991), un historique fourni de la qualification du monde et de ses relations internationales. Cela nous indique le degré de confusion des choses et la nécessité d’autant plus grande de rechercher une définition à la présente identification. Le rappel préliminaire de l’historique de la chose sera un premier pas dans notre recherche d’identité des relations internationales du temps présent.
• Nous partons donc de la Guerre froide, soit 1989-1991, mais encore plus, avec l’élection de Clinton (novembre 1992) comme substantivation de la période. Il n’est rien de plus caractéristique à cet égard que le destin de GH Bush (Bush-père) qui, au sommet d’une gloire extraordinaire avec la victoire du Golfe-I, de février 1991, s’effondra littéralement et fut ignominieusement battu en novembre 1992 par un inconnu venu de l’Alabama. (Cet épisode “chute de Bush-élection de Clinton”, indiquant le vrai désarroi de l’Amérique et conduisant à considérer la guerre du Golfe-I comme un “accident”, un épiphénomène ne comptant guère dans l’agencement des relations internationales).
En un sens, jusqu’en 1995-1996, le monde avec ses relations internationales traversa une période à première vue assez similaire (“apolaire”) à celle que nous identifions aujourd'hui, du point de vue strict de l’organisation informelle des relations internationales. On en trouverait une assez juste identification avec le titre du livre de Gabriel Robin, publié en février 1995 chez Odile Jacob, Un monde sans maître. Robin termina (en 1993) sa carrière diplomatique active comme ambassadeur de France à l’OTAN, où il put montrer tout son “rigorisme gaulliste” en matière de diplomatie, et particulièrement en matière des principes de la diplomatie. Il put ainsi observer, à partir d’un point privilégié, les interrogations sur la confusion de la période, la disparition de l’URSS, les doutes profonds et paralysants de la puissance américaniste, les hésitations européennes et la démission qui suivit avec le choix européen d’une organisation intérieure appelée à se bureaucratiser (Maastricht et la suite) aux dépens d’une politique de sécurité active et créatrice des nations coopérant entre elles (le refus de l’UEO d’intervenir en ex-Yougoslavie dès 1991, – voir le 4 février 2010).
• Nous avons souvent cité cette description du processus de la politique en Europe, exemplaire de la politique générale des relations internationales, et aussi l’évolution de la situation américaniste, dans les extraits de l’ouvrage Chronique de l’ébranlement, cités notamment le 2 septembre 2005. Effectivement, entre 1995 et l’été 1996, le sentiment dépressif et d’une crise d’identité gravissime des USA (voir des textes de William Pfaff, présentés le 23 novembre 2003) bascula, sous la force d’une poussée considérable de virtualisme, et rétablit les USA dans une sorte de narrative impériale que personne ne pouvait songer à contester, alors que les forces financières déchaînées saccageaient la Russie, puis bientôt toute une chaîne d’autres pays. C’est donc à l’automne de 1996 qu’on pourrait déclarer ouverte l’ère “unipolaire” de ce qu’Hubert Védrines allait baptiser l’“hyperpuissance”, – dito, les USA, cela va de soi.
Cette période durerait, selon nous jusqu’à l’été de 2003 (notamment l’événement de l’attentat de fin août 2003 qui réduisit en poussière le siège de l’ONU à Bagdad et tua le représentant de l’Organisation en Irak), lorsqu’il apparut que la “victoire extraordinaire” en Irak s’avérait être un cauchemar dissimulé pour la puissance miliaire US. Dans le séquence, 9/11 est une ultime bouffée de vertige, une fausse “défaite” fournissant l’argument pour un déchaînement impérial conduisant à la conquête du monde. Il s’agit donc d’une succession de narrative, ou d’autant de bulles, toutes de coloration américaniste, jusqu’à l’avatar fondamental que constitue l’attaque de l’Irak et la dépression rapide qui suit, dès l’été 2003. Depuis lors, l’“hyperpuissance” n’a cessé de se déliter, de se déstructurer, de se dissoudre. L’ère unipolaire fut évidemment un montage de bout en bout du point de vue de la dynamique des relations internationales, mais elle exista simplement parce que personne ne la contesta. Le comble de la contradiction, mais aussi l’exposition de la réalité de la situation, fut que cette unipolarité prétendant rassembler toutes les relations internationales vers elle (un universalisme américaniste) s’acheva par une prétention triomphale qui s’exprima par un complet unilatéralisme, consistant de facto en un isolationnisme expansionniste réfutant toute relation diplomatique normale. Cette absence totale de véritables “relations diplomatiques” réduisit l’unipolarité du monde en une action unilatérale des USA, laissant l’influence et la diffusion de leur puissance à leurs instruments autonomes (finance, dollar, puissance militaire, puissance culturelle, informatique, etc.) Il n’y eut donc pas investissement constructif (à son avantage) du monde par les USA mais action unilatérale des USA dans un “reste du monde” (ROW) complètement paralysé et anesthésié.
• Pour faire juste, nous dirions que le passage à un stade “multipolaire” pourrait être annoncé avec la position française à l’ONU, contre l’intervention US en Irak, entre octobre 2002 et février 2003, avec le discours de Villepin du 14 février 2003. Quoi qu’il en soit, c’est lors d’une visite à Moscou à l’automne 2003 que le Français Chirac affirma que nous entrions dans une “ère multipolaire”, où la puissance US ne serait plus la seule à imposer sa loi. On imagine avec quel enthousiasme, son interlocuteur russe, le déjà-président Poutine, appuya cette analyse.
Cette multipolarité fut aussi bien un leurre que l’unipolarité qui avait précédé. Il s’est agi simplement de l’expression du délitement progressif de l’hyperpuissance, entraînant des réactions de divers autres puissances là où cela était possible, créant ainsi cette “apparence de multipolarité”. Avec et après la crise de 2008, cette “apparence de multipolarité” grandit encore avec la formation de ce que nous nommons le “bloc BAO” (voir le Glossaire.dde, le 10 décembre 2012), qui se caractérise par l’effacement de l’“unipolarité” (prépondérance des USA) au sein des “pays occidentaux” : «Désormais, tous les pays du bloc BAO au travers de leurs élites et des psychologies terrorisées de ces élites, se perçoivent égalitairement, c’est-à-dire essentiellement libérés des liens de domination et de sujétion entre les USA et les autres... Cela ne signifie nullement la fin de la corruption et de l’influence US, comme par le passé, mais, contrairement au passé, cette corruption et cette influence s’exerçant à l’avantage de tous et apparaissant de plus en plus invertébrées, de moins en moins spécifiques. De même observe-t-on une homogénéisation des conceptions et des politiques, simplement par disparition de la substance au profit de l’apparence et de l’image...»
Les réactions du bloc BAO vis-à-vis du “printemps arabe” ont montré cet effacement de la domination US dans le camp occidental, avec l’illustration très récente de la phase crisique syrienne d’août-septembre et le dernier épisode, totalement anarchique, des négociations P5+1 à Genève (le 9 novembre). Cette phase et les événements depuis le début de l’automne ont décisivement acté le passage à l’“apolarité”.
• C’est ce dernier épisode du 9 novembre que l’on pourrait prendre, dans notre propos, comme marque symbolique du passage à un stade apolaire, ou “antipolaire”, des relations internationales. Le désordre de l’événement témoigne de ce refus d’une polarité, c’est-à-dire d’une structure où une ou des forces sont capables d’imposer une évidence d’orientation dans un facteur essentiel des relations internationales, où tous les “composants” flottent dans leurs interprétations des choses, où il est devenu impossible de distinguer une logique, pour ne pas parler de “sagesse” qui semble figurer un concept incompréhensible et d'un autre temps, dans toute cette agitation compulsive. Nous décrivions dans notre texte du 15 novembre 2013 les séquences chaotiques qui ont accompagné et poursuivi cette étrange journées :
«Durant cette journée et en prenant en compte ce qui précédait et ce qui a suivi, on a vu l’accord avec l’Iran annoncé comme quasiment fait et signé ; l’intervention des Français le 9 novembre interrompant cette perception en paraissant refuser cet accord “seuls contre tous” et en fait étant perçus comme parlant “au nom d’Israël” (et de l’Arabie, pour vendre quelques canons) ; les USA effectuant une première tentative de rangement en annonçant qu’en fait les Français n’avaient fait qu’exprimer une position générale du bloc BAO et dénonçant les Iraniens pour leur intransigeance (mais que dire des Russes qui font partie du P5+1 et qui ont observé ce désordre avec une certaine position de retrait mais non sans ironie ? On n’en dit rien et on passe à autre chose) ; la narrative évoluant encore et disant que, finalement, les Iraniens n’étaient pas coupables non plus, que personne n’était coupable, simplement qu’on avait été trop vite dans l'interprétation des choses et que tout se présente fort bien pour un accord qui sera mis en forme définitive, on vous l'assure, à partir du 20 novembre.»
En fait de “passage à un stade apolaire, ou 'antipolaire', des relations internationales ”, là aussi nous parlerions plutôt de l’évolution de la perception, c’est-à-dire cette perception, après l’“unipolarité virtualiste” des USA, passant d’une multipolarité factice (“apparence de multipolarité”) à une absence de polarité (“apolaire”) et même, et surtout, à un refus de polarité (“antipolaire”). Mais l’on précisera aussitôt que les deux termes conviennent comme complémentaires : le monde apolaire (pas de pôle) est un fait de situation, et un fait “structurel” par antithèse ; le monde antipolaire (refus du pôle en tant que structure) décrit une “dynamique” de refus, également “dynamique” par antithèse.
Une évolution nécessaire
Comme nous écrivons dans notre abstract de présentation de cet article, «Il s’agit d’un “monde sans pôle” parce qu’il n’y a plus aucune structure pour soutenir un ou plusieurs ‘pôles’. Notre monde apolaire est un monde qui ne veut plus avoir de pôle...» Il faut donc développer cette définition à partir de ce constat de base, déjà éclairé par la remarque précédente établissant définitions et complémentarité des concept d’“apolarité” et d’“antipolarité” ... Ainsi dirions-nous effectivement que le monde apolaire n’est pas seulement un “monde sans pôle” comme un constat statique, disons par “absence de pôle”, mais qu’il est également un monde antipolaire qui repousse quelque pôle que ce soit, et ainsi comme un constat dynamique, une force en action qui interdit et rejette toute prétention de l’un ou de l’autre, ou de plusieurs, à être “un pôle” ou “plusieurs pôles”. Il s’agit d’un monde vivant, activement rétif à toute “structuration polaire”, et d’ailleurs à toute structuration tout court.
La question qui se pose alors est de savoir si ce monde apolaire-antipolaire l’est à cause du traitement qu’on lui impose, ou s’il l’est devenu par modification de nature, modification ontologique, – ou plus clairement dit, par apparition de sa nature réelle après les épisodes faussaires de l’unipolarité et de la multipolarité. Dans ce deuxième cas, les événements dont on aurait fait la cause de son apolarité-antipolarité, en deviennent en vérité les conséquences. Poser la question sous cette forme, c’est, pour notre compte, y répondre évidemment dans le sens de privilégier le deuxième terme de l’alternative : les événements dont nous parlons, qui sont d’une importance dérisoire dans leurs substance, ne peuvent être des modificateurs d’une nature, d’une essence, – par contre, ils peuvent être l’expression de cette modification.
Quels sont ces événements, ou ces types d’événements qui prédominent actuellement ? Il ne s’agit pas d’événements identifiés, mais de “types d’événements”, caractérisés par des spécificités très remarquables ; ils ont tous le caractère essentiel d’être complètement privés d’influence principielle, et, par suite, à la fois instructuré et d’une substance dissolue ou en cours de dissolution. Les conséquences sont à mesure, principalement dans le chef de l’absence totale de la moindre création de situations nouvelles (y compris les pires d’ailleurs, comme des agressions brutales par la guerre, dont on parle continuellement et que personne n’est capable d’imposer).
• Ces événements sont issus d’une agglomération désordonnée et sans structure principielle de caractère tels que la corruption psychologique en général, c’est-à-dire à la fois la faiblesse de la psychologie et l’absence d’expérience et de culture politique ; l’influence pervertie, l’influence par terrorisation de l’esprit, la corruption vénale ; la manipulation de la communication par faiblesse de compréhension, par courte vue, par seul souci de l’apparence, avec l’emploi grossier de narrative successives. Tout le monde est manipulé par les événements, y compris les acteurs les plus subversifs et agressifs (Israël et l’Arabie), et ne fait que ré-agir plutôt qu’agir, sous l’empire d’événements plus hauts et qui sont incompréhensibles à la plupart des acteurs, sinon hors de leur perception, – sans parler d’intuition dont ils sont totalement dépourvus.
• Il en résulte une agitation forcenée, une sorte de “danse de Saint-Guy” d’une activité pseudo-diplomatique et qui n’est qu’anarchique, dont l’affaire du 9 novembre autour du P5+1 est exemplaire. Les discours et les commentaires tentent de rétablir un semblant d’ordre et de maîtrise, sous l’impulsion d’une raison qui est totalement subvertie pour pouvoir montrer une quelconque efficacité structurante ; ils ne parviennent qu’à mettre en évidence la vanité et la vacuité des “actes” qui apparaissent très vite pour ce qu’ils sont, – des impostures d’actes, des narrative d’actes. Bien entendu, la vision longue, l’appréciation stratégique et structurelle, dont tout le monde parle, sont totalement absentes, absolument interdites de se réaliser.
• Tous les acteurs sont touchés par ce conditions, ce qui est logique parce que ces conditions sont universelles. Les plus touchés sont ceux qui sont les plus affectés, eux-mêmes et en eux-mêmes, par ces conditions, c’est-à-dire ceux qui sont totalement étrangers à toute approche principielle de la situation du monde, et surtout à la nécessité de cette approche. On mettra dans cette catégorie, sans surprise bien entendu, les pays du bloc BAO avec des nuances circonstancielles, et les appendices radicaux tels que l’Arabie et Israël, avec l’ajout circonstanciel et remarquablement original par son caractère de contre-emploi de la France dont la politique est conforme aux variations radicales du rôle de ce pays, qui est en général fondamentalement structurant, plus qu’aucune autre entité, et qui peut être catastrophiquement déstructurant (“plus qu’aucune autre entité”) selon les accidents d'époque, qui est aujourd’hui dans une période de basses eaux si catastrophique et déstructurée qu’on peut avancer l’hypothèse, d’ailleurs renforcée par la situation générale également sans précédent, qu’il n’y en eut jamais de telle auparavant. Un seul pays parmi les principaux acteurs échappe à ces jugements catastrophiques, et l’on se doute que c’est la Russie ; mais la Russie ne peut rien de fondamental qui changerait la substance de la situation, parce que cette situation, dépendant de forces métahistoriques extérieures, ne peut être maîtrisée par elle ; elle grogne, elle avertit, elle manœuvre, elle se réfère aux principes mais elle reste à l’intérieur du Système.
Cette description de l’opérationnalité des situations justifie complètement notre identification d’un monde apolaire-antipolaire, un monde sans pôle et qui refuse quelque pôle que ce soit ; c’est-à-dire sans ordre, et qui refuse l’ordre. On aurait tort pourtant de dénoncer cette situation comme calamiteuse en soi, d’en faire un motif per se d’une situation catastrophique comme quelque chose d’inattendu et de profondément dommageable. Cette observation vaut pour deux raisons :
• La première est que cette “situation catastrophique” n’est nullement un accident, un brutal effondrement, mais la concrétisation et la mise à jour de la vérité de la situation du monde. On l’a vu, unipolarité et multipolarité dans la séquence n’ont été que des situations transitoires et complètement faussaires dans la marche vers la mise à jour de la vérité de la situation. Cette évolution s’est accélérée à partir de 2008 et a commencé à montrer ses effets à partir de 2010 avec les réactions au soi-disant “printemps arabes”, cela en conjonction avec l’aggravation constante dans le sens de la déstructuration des situations intérieures et l’accélération de la crise d’effondrement du Système. Il n’y a donc pas d’accident ni de “surprise catastrophique” mais la marche compréhensible et justifiée d’une logique universelle à l’œuvre, ressortant des effets du cycle surpuissance-autodestruction d’un Système ivre de puissance mais de plus en plus soumis, par des forces métahistoriques lui-même, aux contradictions mortelles de cette surpuissance.
• La seconde est que cette déstructuration, ce refus d’un ordre (apolarité-antipolarité), s’exerce contre une structure absolument perverse, contre un ordre faussaire et imposteur, – dito, on s’en doute, celui du Système. (On sait en effet que le paradoxe mortel du Système [voir le 8 juillet 2013] est qu’il a besoin de se structurer de plus en plus pour conduire son œuvre de déstructuration par sa dynamique de surpuissance, se mettant ainsi lui-même en danger de plus en plus grand d’être déstructuré à mesure par les effets de sa propre action, et fondant ainsi la logique de l’équation surpuissance-autodestruction par augmentation très rapide de la tendance à l’autodestruction avec l’accélération de sa surpuissance, avec la perspective, déjà accomplie dans plusieurs domaines comme le technologisme, où la dynamique de la surpuissance s’est transformée en dynamique de l’autodestruction. Le cas de la NSA est révélateur à cet égard : la surpuissance de l’Agence a très largement entamé sa transmutation en dynamique d’autodestruction.) Ce sentiment du “refus d’un ordre [exercé] contre une structure absolument perverse, contre un ordre faussaire et imposteur” engendre la transmutation classique du comportement vers l’antiSystème. La situation est classique pour nous, renvoyant la fois à l'acte de la résistance et à l’acte du contrefeu avec l’opérationnalité tactique du “faire aïkido”. On en est donc au paradoxe où la “situation (en apparence) calamiteuse” du monde apolaire-antipolaire constitue en réalité une opportunité inattendue d’une action antiSystème : le désordre lui même a fini par être antiSystème.
D’une façon générale, il s’agit d’un déroulement logique inéluctable, et tout ce qu’on peut faire ou interpréter dans un sens constructif dans les circonstances actuelles est voué à l’échec si l’on en attend quelque chose de décisif. Même ce qu’on pourrait considérer comme un acte restructurant, comme la prise en main de la situation opérationnelle par le régime d’Assad ou la perspective d’un accord avec l’Iran, engendre des conséquences déstructurantes, même indirectement, qui accentuent les caractères de la situation qu’on décrit. (Ce “même indirectement” signifie que même si tel ou tel “acte restructurant”, – Syrie ou Iran, – arrive à se concrétiser [victoire d’Assad, accord avec l’Iran], les conséquence déstructurantes seront néanmoins supérieures à la structuration accomplie et annuleront tout espoir de restructuration. Cela ne signifie pas qu’il faut s’opposer à ces actes restructurants, mais les considérer pour ce qu’ils sont : des actes antiSystème, tactiques par définition, pendant qu’ils se font mais sans la capacité de créer une véritable situation stratégique nouvelle, hors-Système. L’exemple de l’Irak peut être avancé : la guerre contre l’Irak a été un calvaire pour les USA [le Système], donc parfaitement antiSystème, mais ce qu’il en résulte n’instaure en rien une situation stratégique antiSystème décisive. Par contre l’aspect antiSystème de la guerre d’Irak, contre les USA, a joué son rôle en affaiblissant à mesure les USA.) En fait, la signification du mot “victoire” ou de l’expression “résolution d’un conflit” ayant perdu tout sens, toute “victoire“ ou “résolution d’un conflit” effective, même perçue lorsqu’elle n’était qu’une perspective comme antiSystème, ne se réalise nullement d’une façon structurante décisive et engendre une surenchère de revendications, de manœuvres, de tendances déstabilisatrices, – et là aussi et encore, “tactiquement” antiSystème, – et ainsi de suite. Donc, toujours cette situation paradoxale, qu'on pourrait juger bénéfique et qui ne l'est pas au terme, mais qui l'est dans son opérationnalité et apportant donc sa contribution à l'attaque générale contre le Système.
C’est une situation effectivement sans issue dans le cadre actuel (Système) parce que la seule issue possible est la destruction totale, par effondrement, du Système. (L’autre issue décisive est inacceptable et impensable, et sans le moindre sens, puisqu'il s'agirait d'une victoire du Système qui signifierait une entropisation générale, – voir le processus dd&e ; la voie vers cette “victoire” emporterait le Système lui-même avant que cette entropisation ait été accomplie, ce qui en fait une proposition absurde.) Il n’y a pas lieu d’être optimiste ni pessimiste, mais de constater que ce phénomène (“sans issue”) ne représente en rien un jugement désespérée, puisqu’une “issue” à ce stade impliquerait qu’elle se ferait à l’intérieur du Système, donc promise à retomber sous l’empire du Système, – donc un répit pour le Système dans sa marche vers l’autodestruction. Quant à la réalité du processus d’autodestruction, on peut toujours la contester au nom d’arguments divers, purement intellectuels et surtout spéculatifs, qui s’appuient d’ailleurs selon nous sur l’acceptation de l’empire du règne de la quantité et du triomphe du “déchaînement de la Matière” qui nous est (cette acceptation) complètement étrangère par conviction et par jugement rationnel. Par contre, qui est capable de hausser sa vision à quelques mois de temps constate tous les signes de cette autodestruction ; il n’y a qu’à comparer les prévisions que nous faisions le 10 juin, ou le 15 juin, ou le 1er juillet, sur les conséquences antiSystème de la crise Snowden/NSA, et la mesure des effets diluviens, globaux, inarrêtables de ces conséquences, pour prendre en compte cette hypothèse de l’autodestruction. Qui peut nier aujourd’hui la validité de cette chose absolument impensable il y a cinq mois : la toute-puissance de la NSA d’ores et déjà acceptée partout et qui nous faisait considérer notre avenir comme un “goulag électronique” inéluctable (voir le 1er août 2013), devenue une NSA aux abois qui est l’enjeu d’une lutte féroce, notamment de groupes importants qui ne sont pas loin de vouloir la détruire, au sein même d’un centre-Système comme le Congrès des Etats-Unis, ou dans le chef de puissances au sein du bloc BAO (Allemagne) ou en-dehors de lui (Brésil). Une telle situation était impensable il y a cinq mois ; aujourd’hui, nul ne s’en étonne (pour ceux qui veulent bien prendre le temps de s’en apercevoir, certes)... Le processus d’autodestruction est non seulement à l’œuvre, il est en plus entré, dans certaines situations, dans les actes même de certaines forces du Système passées à l’antiSystème.
C’est à cette lumière qu’il faut voir la situation apolarité-antipolarité du monde. Ce n’est pas une situation génératrice de désordre, c’est une classification actant le désordre du monde, qui existe largement depuis 9/11, qui existait déjà auparavant, et qu’on paraît d’attributs divers et dissimulateurs dont les plus récents furent les fictions d’unipolarité et de multipolarité. Réaliser la vérité de la situation du monde au lieu de rester la dupe d’une dissimulation de cette même situation de la vérité du monde ne peut être en aucun cas considéré comme un événement catastrophique. Cela (la réalisation de la vérité du monde) doit au reste être accompli du point de vue le plus rationnel du monde, en utilisant la raison pour ce qu’elle doit être, – non pas une puissance faite pour changer le monde à mesure de l’hybris du sapiens en posant ainsi son asservissement au Système, mais un outil pour identifier la vérité du monde et donner à l’esprit les moyens lui permettant de mieux se situer et de rechercher ce qui doit lui être bénéfique, – c’est-à-dire l’attaque continuée sans répit ni relâche contre le Système.
00:05 Publié dans Actualité, Définitions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : apolarité, politique internationale, monde apolaire, actualité, définition | | del.icio.us | | Digg | Facebook