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samedi, 03 octobre 2009

La mafia e lo sbarco alleato in Sicilia

La mafia e lo sbarco alleato in Sicilia (9 luglio, 1943)

  

 

Alberto Bertotto - http://www.rinascita.info/



Tra gli storici è ancora aperta la diatriba sul ruolo avuto dalla mafia siciliana nella preparazione dello sbarco alleato. Tale diatriba è certamente sostenuta dagli apparati mafiosi perché tendono ad assumersi un merito e un potere che in realtà non potevano ricoprire in quel lontano 1943. In Sicilia, grazie al Prefetto Mori, buona parte delle forze di mafia erano state confinate o incarcerate. Anche se i capi erano rimasti liberi, gran parte della manovalanza mafiosa era stata neutralizzata. A tal proposito molti studiosi tra i quali Francesco Renda e Salvatore Lupo sgomberano subito il campo da ogni possibile equivoco. Scrive il Lupo: “La storia di una mafia che aiutò militarmente gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky Luciano propose ai Servizi Segreti della marina americana per far cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione ‘Husky’. Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini d’oltreoceano”. Se l’ipotesi che gli “amici degli amici” abbiano avuto un ruolo decisivo nello sbarco angloamericano in Sicilia è da scartare (ne dubito fortemente, ndr), è tuttavia innegabile che gli alleati si servirono dell’aiuto di personaggi del calibro di Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo per mantenere l’ordine nell’isola occupata. E’ fuori discussione anche il fatto che il boss americano Vito Genovese, nonostante fosse ricercato dalla polizia statunitense, divenne l’interprete di fiducia di Charles Poletti, il capo del comando militare alleato (AMGOT).


“Certamente gli alleati non conoscevano la realtà siciliana e di volta in volta, di Paese in Paese, cercavano l’interlocutore di maggior prestigio sul piano del potere locale che era rappresentato invariabilmente dalla mafia, dall’aristocrazia terriera e dalla Chiesa che spesso erano tra loro legate da comuni interessi. Non a caso il nome di Calogero Vizzini fu suggerito agli angloamericani da suo fratello Vescovo e dal “Movimento indipendentista siciliano” (MIS) nelle cui fila militavano fianco a fianco i rappresentanti dell’aristocrazia terriera come Lucio Tasca, nominato Sindaco di Palermo e capimafia come Vizzini, Navarra, Genco Russo e l’allora giovanissimo Tommaso Buscetta. Immediatamente dopo lo sbarco degli alleati prese corpo e spessore inoltre il MIS. Mentre ancora nell’isola si combatteva, il 28 luglio del 1943 già volantini separatisti, che invitavano a proclamare l’indipendenza della Sicilia, cominciarono a circolare e il giorno dopo l’entrata a Palermo delle truppe americane i separatisti chiesero e ottennero di essere ricevuti dal tenente colonnello Poletti, capo dell’ufficio affari civili del Governo militare alleato per presentare formale richiesta di poter informare i Governi inglese e Usa che la Sicilia intendeva essere indipendente. Intanto, secondo quanto deciso a Casablanca su suggerimento di W. Churcill, il Governo militare di occupazione doveva evitare qualsiasi collaborazione con i partiti politici isolani, anche con quelli che si dichiaravano anti-fascisti. Gli alleati si affidarono, pertanto, ai suggerimenti del clero e dei maggiorenti locali per nominare i nuovi Sindaci che così furono in buona parte scelti tra i mafiosi o i separatisti: il conte Lucio Tasca, il capo dei separatisti, a Palermo e Genco Russo, boss mafioso, a Mussomeli. Col passare dei mesi vista l’impossibilità di rifornire con proprie scorte la popolazione, gli alleati puntarono sulla riorganizzazione degli ammassi, affidandone la gestione ai grandi proprietari, agli aristocratici ed ai mafiosi per indurre i piccoli proprietari, che in prevalenza alimentavano il mercato nero, a contribuire all’ammasso. Si rafforzava così la posizione delle élite agrarie nel quadro istituzionale del Governo d’occupazione. Da qui l’impressione che gli alleati tendessero a favorire i separatisti. In realtà le nomine erano avvenute nella logica stessa del Governo d’occupazione: gli unici esponenti della ristretta classe dirigente nei piccoli Paesi erano proprio i mafiosi e, nei grandi centri urbani, i sostenitori del separatismo. Appare invece priva di fondamento la ipotesi di un pactum sceleris tra mafia e alleati per l’occupazione della Sicilia. Il rinnovato potere della mafia, nella magmatica società del dopoguerra, avrebbe però fornito al potere politico un alleato fedele alle istanze filo-occidentali di cui probabilmente gli americani si avvalsero d’allora in poi” (F. Misuraca, A. Grasso. Lo sbarco in Sicilia. www.ilportaledelsud.org).


Quali oscure operazioni di spionaggio si celavano dietro lo sbarco angloamericano in Sicilia nell’estate del 1943? La conquista dell’isola fu sostenuta dalla collaborazione della mafia con i Servizi Segreti americani? E chi furono i protagonisti di questo accordo? Chi erano gli agenti segreti sbarcati con le truppe del generale Usa G. Patton? E perché migliaia di soldati italiani si arresero già al primo giorno dell’invasione e la popolazione civile accolse con esagerata festosità gli alleati? Sul Web si legge: “Il libro Mafia & Alleati racconta le vicende che dal 1941 al 1943 hanno come protagonisti i boss mafiosi americani, i padrini siciliani e i Servizi Segreti degli Stati Uniti. Ripercorre l’inchiesta del commissario investigativo dello Stato di New York, William Herlands, condotta nel 1954, e alla luce della documentazione di recente declassificata dagli Archivi statunitensi, rende di facile comprensione la miriade di informazioni e di controinformazioni che la stimolante questione ha prodotto negli anni. Sullo sfondo dell’occupazione angloamericana della Sicilia, l’operazione ‘Husky’ (10 luglio-17 agosto del 1943), Lucky Luciano, Calogero Vizzini, gli agenti segreti Corvo, Scamporino, Marsloe, il capo dell’Amgot Charles Poletti e tanti altri, sono le figure che popolano le pagine di questo lavoro. Nel libro vengono anche pubblicati, per la prima volta in Italia, i nomi e le fotografie di numerosi agenti segreti arruolati nelle file dell’OSS (Office of Strategic Services, il precursore della Cia) con il compito di spianare la strada in Sicilia all’esercito del generale Patton e ristabilire la democrazia in Italia dopo la caduta del fascismo. Altri argomenti che Ezio Costanzo, l’autore del saggio, affronta riguardano il ruolo avuto dall’Amgot, il Governo militare alleato, nella rinascita della mafia, le biografie di Lucky Luciano e di Calogero Vizzini, la nascita della nuova mafia, il fronte anti-comunista costituitosi con l’aiuto dell’Intelligence statunitense, le azioni di spionaggio condotte dai Servizi Segreti alleati durante l’operazione Husky”.


Il libro è stato di recente presentato alla Fiera Internazionale del Libro di Torino. Sono intervenuti Gian Carlo Caselli, magistrato, Procuratore generale di Torino, Procuratore capo anti-mafia a Palermo dal 1993 al 1999; Gianni Oliva, storico e scrittore, Carlo Romeo, direttore Segretariato sociale Rai (che ha organizzato la presentazione), Tiziana Guerrera, editrice de Le Nove Muse, che ha pubblicato il volume. “Con un linguaggio semplice e diretto, ha affermato lo storico Gianni Oliva nel suo intervento, indirizzato anche ai lettori meno esperti di storia, l’autore mette in luce, con particolare documentazione frutto della sua ricerca negli Stati Uniti, gli accordi tra il Naval Intelligence americano (i Servizi Segreti della marina) e la malavita organizzata italoamericana per favorire lo sbarco in Sicilia e per liberare il porto di New York dalle spie nazifasciste (operazione Underwold), riportando numerose testimonianze dei protagonisti rilasciate durante l’inchiesta Herlands e poco note al grande pubblico. Il libro di Costanzo è un ottimo lavoro di analisi di quel momento storico che affronta anche le conseguenze
sociali e politiche che il riemergere della mafia provoca nell’immediato dopoguerra in Sicilia”.


Ha affermato Gian Carlo Caselli: “Si tratta di un libro che si legge tutto d’un fiato e che offre una serie di particolari di quegli anni dell’occupazione angloamericana della Sicilia rimasti fino ad oggi poco chiari. Costanzo offre ai lettori la possibilità di addentrarsi nelle intrigate maglie dell’organizzazione dei Servizi Segreti americani e nelle operazioni condotte per l’occupazione della Sicilia nell’estate del 1943. La pubblicazione di una serie documenti redatti dagli stessi agenti segreti durante la loro permanenza in Sicilia rende questo lavoro di grande attualità e permette di comprendere come gli intrecci tra mafia e politica abbiano trovato nella Sicilia occupata
dell’estate del ‘43 il loro humus ideale per svilupparsi ed accrescersi nella società siciliana del dopoguerra”.

Le testimonianze e i racconti dei protagonisti hanno fatto emergere dati incontrovertibili sull’esistenza di tale accordo e su come la mafia americana sia stata determinante per garantire sia la sicurezza delle navi in partenza per l’Europa, sia la minuziosa ricerca di notizie in vista dell’occupazione della Sicilia”.
Alcuni documenti dell’Office of Strategic Services hanno fornito anche un’utile chiave di lettura del momento immediatamente successivo della conquista della Sicilia e del periodo dell’amministrazione alleata dell’isola; carte che attestano che gli interventi occulti del Governo americano negli affari interni dell’Italia sono andati oltre il pur sincero e legittimo spirito di libertà e di democrazia, per incunearsi nelle scelte politiche ed economiche della Nazione come quelle dirette ad impedire ai comunisti di vincere le prime elezioni del dopoguerra. L’alleanza con i ceti conservatori dell’isola, realizzata attraverso la mediazione della mafia, è servita agli alleati non solo per amministrare l’isola durante la loro permanenza siciliana, ma ancor più per porre le basi di un futuro politico-sociale dell’Italia senza i comunisti, mal visti sia dai cattolici-liberali che dai mafiosi. Dopo lo sbarco americano, la mafia ebbe così, per la prima volta nella sua storia, l’onore di essere portata sulla scena come legittima organizzazione politico-amministrativa, garantita da un esercito di occupazione. Alla robustezza della tradizione i vecchi padrini poterono aggiungere il
piacevole prestigio che procurava loro la protezione dei conquistatori. Alcuni studiosi, nel riprendere l’argomento, continuano a definire il rapporto tra mafia e Servizi Segreti alleati “una leggenda” o, nella migliore delle ipotesi, ne danno una spiegazione che strizza l’occhio agli
americani, sostenendo che esso scaturì da necessità dapprima militari e, successivamente, amministrative per controllare i territori occupati. Insomma, una scelta “sfortunata” i cui risultati (la riorganizzazione del potere mafioso nell’isola) non erano stati previsti. Un po’ quanto ha
dichiarato, in una delle sue ultime interviste rilasciate alla BBC londinese, Anthony Marsloe, ufficiale dei Servizi Segreti della marina americana sbarcato in Sicilia assieme alle truppe del generale Patton: “...Bisognava sfruttare qualunque cosa per difendere l’America e favorire
ciò che si stava facendo e si poteva fare...Alcune delle persone contattate erano mafiose? Non me ne poteva fregar di meno di quello che erano se potevano fornire una qualsiasi informazione che avrebbe contribuito allo sforzo bellico”. In realtà, la collaborazione tra Servizi Segreti americani e mafia fu pianificata nei suoi particolari. A conferma di ciò, una testimonianza ufficiale di un altro agente del Naval Intelligence Usa, sbarcato assieme a Marsloe a Gela, Paul Alfieri, che conferma l’accordo con i mafiosi dell’isola: “...Nella stragrande maggioranza dei casi, questi contatti furono frutto della collaborazione con il boss Lucky Luciano. Le informazioni avute si sono rivelate assai utili” (E. Costanzo. Mafia e Alleati. Servizi Segreti americani e sbarco in Sicilia.
www.controstoria.it).


Sempre per restare in tema: Abrogati nel 1942 i “decreti Mori” parecchi mafiosi ritornati in Sicilia avviarono contatti con gli alleati che incominciarono ad arruolare uomini d’origine siciliana. A mezzo dei pescherecci, i mafiosi esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo; poi fornirono notizie sulle infrastrutture dell’isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell’Asse in Sicilia. Del resto perché gli alleati iniziarono l’invasione dell’Europa meridionale dalla Sicilia, anziché dalla Sardegna o dalla Corsica, dalle quali sarebbe stato agevole effettuare sbarchi in Toscana, in Liguria o in Provenza? La tranquillità nelle retrovie delle truppe che sarebbero sbarcate costituiva la preoccupazione principale dei comandi alleati: fu scelta la Sicilia con la certezza di poter contare sull’appoggio della mafia. Fu quest’ultima ad ospitare, dal 1942, oltre al colonnello Charles Poletti, futuro Governatore militare dall’aprile 1943, anche il colonnello britannico Hancok e un buon numero d’infiltrati italoamericani. Nella relazione conclusiva della Commissione anti-mafia presentata alle Camere il 4 febbraio del 1976 si legge: “Qualche tempo prima dello sbarco angloamericano in Sicilia numerosi elementi dell’esercito americano furono inviati nell’isola per prendere contatti con persone determinate e per suscitare nella popolazione sentimenti favorevoli agli alleati. Una volta infatti che era stata decisa a Casablanca l’occupazione della Sicilia, il Naval Intelligence Service organizzò una apposita squadra (la Target section), incaricandola di raccogliere le necessarie informazioni ai fini dello sbarco e della preparazione psicologica della Sicilia.

Fu così predisposta una fitta rete informativa che stabilì preziosi collegamenti con la Sicilia e mandò nell’isola un numero sempre maggiore di collaboratori e di informatori”.
Ma l’episodio certo più importante è quello che riguarda la parte avuta nella preparazione dello sbarco da Lucky Luciano, uno dei capi riconosciuti della malavita americana di origine siciliana. Si comprende agevolmente, con queste premesse, quali siano state le vie dell’infiltrazione alleata in Sicilia prima dell’occupazione. Il gangster americano, una volta accettata l’idea di collaborare con le autorità governative, dovette prendere contatto con i grandi capimafia statunitensi di origine siciliana e questi a loro volta si interessarono di mettere a punto i necessari piani operativi per far trovare un terreno favorevole agli elementi dell’esercito americano che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia e per preparare le popolazioni locali all’occupazione imminente dell’isola. Luciano venne graziato nel 1946 “per i grandi servigi resi agli States durante la guerra”. E’ un fatto che quando il 10 luglio del 1943 gli americani sbarcarono sulla costa sud della Sicilia, raggiunsero Palermo in soli sette giorni. Scrisse Michele Pantaleone: “...E’ storicamente provato che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco degli alleati in Sicilia, la mafia, d’accordo con il gangsterismo americano, s’adoperò per tenere sgombra la via da un mare all’altro...”. Ancora la Commissione anti-mafia: “La mafia rinascente trovava in questa funzione, che le veniva assegnata dagli amici di un tempo, emigrati verso i lidi fortunati degli Stati Uniti, un elemento di forza per tornare alla ribalta e per far valere al momento opportuno, come poi effettivamente avrebbe fatto, i suoi crediti verso le potenze occupanti”.


Scrisse Lamberto Mercuri: “Fu in quei mesi che la mafia rinacque e non tardò ad affacciarsi alla luce del sole: in realtà non era mai morta, né completamente debellata: le lunghe ed energiche repressioni del Prefetto Mori ne avevano sopito per lungo tempo ardore e vigoria e fugato all’estero i capi più rappresentativi e più spietati che avevano tuttavia mantenuto contatti e legami con l’onorata società dell’isola”. Nella confusione seguita all’invasione e alla caduta del fascismo, la mafia vide l’opportunità di riorganizzare il vecchio potere, di insinuarsi nel vuoto del nuovo, raccogliendo i frutti della collaborazione con gli alleati. Molti suoi uomini noti ebbero cariche importanti: per esempio, un mafioso celeberrimo, don Calogero Vizzini, fu nominato da un tenente americano Sindaco di Villalba; nella cerimonia d’insediamento, fu salutato da grida di “Viva la mafia!”. “Vito Genovese, ha scritto Mack Smith, benché ancora ricercato dalla polizia degli Stati Uniti in rapporto a molti delitti compreso l’omicidio, e sebbene avesse servito il fascismo durante la guerra, risultò stranamente essere un ufficiale di collegamento di una unità americana. Egli utilizzò la sua posizione e la sua parentela con elementi della mafia locale per aiutare a restaurarne l’autorità...”.

Don Vito divenne il braccio destro indigeno del Governatore Poletti, ma una banda ai suoi ordini rubava autocarri militari nel porto di Napoli, li riempiva di farina e di zucchero (pure sottratti agli alleati) per poi venderli nelle città vicine. Altri mafiosi, meno noti, divennero interpreti o “uomini di fiducia” degli alleati, i neo padroni dell’isola sicula. L’atteggiamento del Governo militare fu ispirato a criteri utilitaristici; sta di fatto, però, che quest’apertura verso gli “amici degli amici” permise in breve alla mafia di riorganizzarsi, di riacquistare l’antica ed indiscussa influenza. Aveva sempre cercato l’alleanza con il potere (anche con quello fascista, agl’inizi), ma per la prima volta le veniva conferito un crisma di legalità e di ufficialità che le consentiva d’identificarsi con il potere. I “nuovi quadri” saldarono o ripresero solidi legami con la malavita americana, indirizzandosi verso il tipo di criminalità associata “industriale” caratteristico del gangsterismo Usa nel periodo tra le due guerre. Il seguito della vicenda dimostra come, grazie agli angloamericani, la seconda guerra mondiale rappresentò per la mafia l’occasione d’oro per una rigogliosa rinascita. I fatti l’hanno dimostrato ampiamente. Si suole dire oggi, da chi intende sminuirne il successo, che il fascismo non debellò la mafia, semplicemente la costrinse all’inazione, tant’è vero che poi si ridestò più forte di prima. Se fu poco, perché il regime attuale non perviene al medesimo risultato? Basterebbe. Senza più delitti ed attività criminale, la mafia si ridurrebbe ad una patetica, folcloristica conventicola segreta che non darebbe noia e non farebbe più paura a nessuno” (V. Martinelli. Il ritorno della mafia in Sicilia. Un regalo degli alleati. Volontà, n. 12, Dicembre, 1993).


Facciamo un passo in dietro per dare i giusti meriti a chi gli sono dovuti. Un altro “grande successo” del regime fascista, messo dalla propaganda nel conto attivo insieme alla “battaglia del grano”, alle trasvolate e alla bonifica dell’Agro Pontino, fu la lotta contro la mafia. Protagonista di questa impresa (che si sviluppò fra il 1925 ed il 1929) fu Cesare Mori, il cosiddetto “Prefetto di Ferro”. Mori nel ‘21 era Prefetto di Bologna e fu il solo Prefetto d’Italia a opporsi alle orde dilaganti dei fascisti. Quando Mussolini salì al potere trovandosi tra l’altro ad affrontare il problema del banditismo e della mafia siciliana, gli venne fatto il nome di Mori. Mussolini disse: “Voglio che sia altrettanto duro coi mafiosi così come lo è stato coi miei squadristi bolognesi”. Così Mori partì per la Sicilia come uno sceriffo mediterraneo dell’epoca moderna. Arruolerà uomini, guardie giurate e truppe regolari per le sue battaglie campali, ma non si sottrarrà anche a epici inseguimenti e duelli a cavallo. Nessuno come lui arrivò ad umiliare tanto la mafia. Se non riuscì fino in fondo nel suo intento, ciò dipese dal potere politico, che fermò la sua azione quando stava per travolgere le più alte e vitali strutture della “onorata società”. La vera mafia, la cosiddetta “alta mafia”, non è dunque debellata, ma il regime si vanta ugualmente di averla distrutta e tale tesi sarà unanimemente accettata anche dagli storici. In effetti il fascismo, dopo la grande retata di “pesci piccoli” realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l’ “alta mafia”. Nel 1929 richiama a Roma il “Prefetto di Ferro” (verrà nominato Senatore, ndr) e, in un certo senso, “restituisce” la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal Governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà, si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro anti-fascismo. I più avvantaggiati dal nuovo corso politico sono tuttavia gli esponenti dell’ “alta mafia” che, ormai al sicuro da ogni sorpresa, aderirono in blocco al fascismo e i grandi proprietari terrieri che, grazie alle leggi liberticide del regime, non ebbero più bisogno delle “coppole storte” per tenere a freno i braccianti o i fittavoli più irrequieti. Anche questi gruppi sociali fecero pressione sul Governo affinché liberasse l’isola dall’incubo di Mori. Col ritorno della normalità, poterono nuovamente dedicarsi ai loro affari e ai loro traffici senza più correre il rischio di essere colpiti dagli imprevedibili fulmini dell’intransigente Prefetto Mori (Il fascismo e la mafia. www.ilduce.net).

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