dimanche, 06 octobre 2013
Archetipi della Russia nella lettura di Elémire Zolla
Archetipi della Russia nella lettura di Elémire Zolla
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Nel suo libro Archetipi (Marsilio, Venezia, 2002), Elémire Zolla descrive i modelli mitici con un linguaggio allusivo, quasi esso stesso simbolico, che lascia spazio all’intuito del lettore e ne sollecita il risveglio.
Il superamento del dualismo io/mondo, il senso dell’Uno-Tutto, i significati archetipici dei numeri, il continuo richiamo alla loro valenza simbolica, la loro percezione emotiva e non freddamente intellettuale, la esplicazione della loro funzione: lo studioso introduce in un mondo antico, a volte addirittura primordiale, eppure straordinariamente presente nel nostro tempo.
“Un archetipo – egli scrive – è ciò che aduna in un insieme una pluralità di oggetti, coordinandoli a certi sentimenti e pensieri. Il contatto con un archetipo non si può esprimere nel linguaggio ordinario, esige esclamativi e idiotismi, comporta una certa eccitazione. Quando una mente feriale sfiori un archetipo, smarrisce il suo instabile equilibrio e cade nella disperazione. Può capitare all’improvviso: scatta l’amore durante una recita galante, scoppia la furia nell’occasione più futile, cala la disperazione quando l’ambizione è soddisfatta, il dovere compiuto, l’affetto di tutti assicurato … Una vita del tutto sensata e disciplinata è un’utopia: crede di poter ignorare gli archetipi. L’uomo ha bisogno di assiomi per la mente e di estasi per la psiche come ha bisogno di cibo per il corpo: estasi e assiomi possono provenire solo dal mondo degli archetipi. Né bastano estasi lievi, brividi modesti: la psiche cerca la pienezza del panico. L’uomo vuole periodicamente smarrirsi nella foresta degli archetipi. Lo fa quando sogna, ma i sogni non bastano. Deve sparire da sveglio, rapìto da un archetipo in pieno giorno” (p.76).
Eppure, è difficile dare una definizione precisa ed esauriente degli archetipi. Essi sono, per Zolla, “energie formanti”, ma li potremmo anche chiamare “miti mobilitanti” che parlano alla psiche dell’uomo, “idee-forza” primordiali che si rivolgono al cuore, alle emozioni, alla sensibilità e che quindi rifuggono da un inquadramento rigido nel pensiero dialettico.
Nel quadro di un intero capitolo dedicato alla “politica archetipale”, ossia alle risonanze degli archetipi nel dominio politico, Zolla illumina anche gli archetipi che si sono manifestati nella storia russa.
“Bisanzio instillò il suo ultimo mito nella Roma teocratica, ma in Russia risorse. Certi circoli ecclesiastici vi coniarono il mito di Mosca come terza e ultima Roma. Ivan III sposò nel 1472 la nipote di Costantino Paleologo. Era come se il destino russo fosse stato suggellato quando, secondo la vecchia cronaca, gli inviati di Vladimir ispezionarono per lui l’Islam, l’Occidente e Bisanzio. Nell’Islam li colpì uno scomposto fervore, nell’Occidente non ravvisarono traccia di gloria, ma la bellezza dei riti bizantini non riuscirono a scordarla.
Ivan IV il terribile assunse il titolo di zar, parola slavonica assonante con Caesar. Nel secolo XVI fu lanciata la leggenda di Augusto che aveva assegnato la Russia a Prus, avo di Rjurik, fondatore della prima dinastia” (p.104).
Vladimir, il duca di Mosca nel X secolo: tanto è antica la vocazione bizantina della Russia. La descrizione di Zolla coincide con quella di Arnold Toynbee, ma aggiunge questa importante leggenda di Augusto che esprime un richiamo ideale diretto alle origini dell’Impero Romano d’Occidente e non solo a Bisanzio; il mito si fa storia e la storia diviene incarnazione di un mito. In questa dimensione mitica possiamo cogliere l’anima russa molto più di quanto non ci dicano le cronache, le successioni dinastiche, gli intrighi diplomatici.
L’analisi di Zolla si differenzia da quella di Toynbee quando evidenzia che il mito incrollabile degli Zar fu la liberazione dell’ortodossia prigioniera dei Turchi, la conquista di Costantinopoli chiave dell’impero ecumenico.
Nella storia e nella cultura russa, Zolla coglie due miti: quello “costantinianeo”- ossia il mito dell’Imperatore romano-orientale – e quello dell’imperatore-filosofo, di ascendenza ellenica e platonica che ha la sua riemersione nel pensiero, negli scritti e nell’opera di Giorgio Gemisto Pletone, che nel XV secolo pone il seme fecondo della fioritura del neoplatonismo “pagano” prima in Grecia, a Mistrà, poi in Italia, in occasione del suo viaggio nel 1439. Quando Bisanzio cadde, nel 1453, per mano dei Turchi, avvenne una divaricazione dei due miti: i neoplatonici greci si trasferirono in Italia, mentre il mito dell’imperatore “costantinianeo” rifiorì in Russia. Eppure, anche il mito dell’imperatore-filosofo trova una sua espressione nella storia russa: Pietro il Grande, nel 1721, abolì il patriarcato ortodosso di Mosca, proclamò la tolleranza religiosa e assunse il titolo latino di Imperator; il mito imperiale-filosofico eclissò, in quel momento, il mito dell’imperatore costantinianeo.
Caterina II, amica dei philosophes e imperatrice-filosofa, si presenta come Minerva o Astrea rediviva e riporta in terra il regno di Saturno come Augusto. Ella educa, però, il nipote da principe bizantino e per porlo sul trono si allea con Giuseppe II, l’imperatore-filosofo dell’Occidente.
“I due miti, il costantiniano e il filosofico – scrive Zolla – sedurranno alternativamente gli Zar che si troveranno sempre tutti impediti all’ultimo di raggiungere il Bosforo: Nicola I, Alessandro II, Nicola II” (p.105.)
La soggezione all’archetipo parve interrotta con la rivoluzione bolscevica del 1917 in cui Zolla coglie la manifestazione, su un piano materialistico, dell’archetipo romùleo, ossia l’irruzione di un modello di violenza e di forza distruttrice e creatrice, come Romolo si era affermato fondatore di Roma uccidendo Remo. In realtà, l’interruzione dell’archetipo fu solo una maya, come direbbero gli Indiani.
“Lo stemma bolscevico ripropone gli dèi delle rifondazioni, l’astro rosso di Marte, il martello di Vulcano, la falce di Saturno coi mannelli del suo regno restaurato. Il cranio sfondato di Trotzky conferì allo Stato proletario la compattezza che a Roma era venuta dal cadavere di Remo. Si compirono molte mosse simboliche oscure: la capitale riportata alla terza Roma, la Chiesa ortodossa ricostituita in patriarcato, il Fondatore mummificato come un faraone” (p. 105).
E ancora Zolla ricorda come l’ossessione del Bosforo rimase intatta nei colloqui fra Ribbentropp e Molotov.
Riguardo ai simboli arcaici presenti nel bolscevismo, Evola e Guénon avrebbero sicuramente parlato – come del resto fecero – di segni di una contraffazione contro-iniziatica. Gli archetipi di Marte, Vulcano e Saturno agirono nelle forme di una religione rovesciata, il “credo” dell’ateismo.
Il filo rosso della storia russa è, dunque, il costante richiamo al modello della romanità nella duplice e oscillante versione dell’imperatore costantinianeo e dell’imperatore-filosofo, fra Bisanzio e la Grecia classica, fra l’impero assolutistico di stampo più orientale e il modello romano-occidentale più tollerante e pluralista.
Comunque, pur in questa oscillazione, la Russia scelse consapevolmente di connettersi all’Impero Romano d’Oriente e di raccoglierne l’eredità, pur avendo la possibilità storica di accogliere altri modelli, come quello religioso giudaico scelto dai Kazari nel IX secolo d.C., o quello turco-islamico.
E tale costante è fondamentale per inquadrare la vocazione storica della Russia e la sua anima, nonché le basi della sua comunanza culturale con l’Europa.
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