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mercredi, 21 avril 2010

La Russia chiave di volta del sistema multipolare

La Russia chiave di volta del sistema multipolare

di Tiberio Graziani

Fonte: eurasia [scheda fonte]

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Il nuovo sistema multipolare è in fase di consolidamento. I principali attori sono gli USA, la Cina, l’India e la Russia. Mentre l’Unione Europea è completamente assente ed appiattita nel quadro delle indicazioni-diktat provenienti da Washington e Londra, alcuni paesi dell’America meridionale, in particolare il Venezuela, il Brasile, la Bolivia, l’Argentina e l’Uruguay manifestano la loro ferma volontà di partecipazione attiva alla costruzione del nuovo ordine mondiale. La Russia, per la sua posizione centrale nella massa eurasiatica, per la sua vasta estensione e per l’attuale orientamento impresso alla politica estera dal tandem Putin-Medvedev, sarà, verosimilmente, la chiave di volta della nuova struttura planetaria. Ma, per adempiere a questa funzione epocale, essa dovrà superare alcuni problemi interni: primi fra tutti, quelli riguardanti la questione demografica e la modernizzazione del Paese, mentre, sul piano internazionale, dovrà consolidare i rapporti con la Cina e l’India, instaurare al più presto una intesa strategica con la Turchia e il Giappone. Soprattutto, dovrà chiarire la propria posizione nel Vicino e Medio Oriente.

Considerazioni sullo scenario attuale

Ai fini di una veloce disamina dell’attuale scenario mondiale e per meglio comprendere le dinamiche in essere che lo configurano, proponiamo una classificazione degli attori in gioco, considerandoli sia per la funzione che svolgono nel proprio spazio geopolitico o sfera d’influenza, sia come entità suscettibili di profonde evoluzioni in base a specifiche variabili.

Il presente quadro internazionale ci mostra almeno tre classi principali di attori. Gli attori egemoni, gli attori emergenti e infine il gruppo degli inseguitori e dei subordinati. A queste tre categorie occorre, per ragioni analitiche, aggiungerne una quarta, costituita da quelle nazioni che, escluse, per motivi diversi, dal gioco della politica mondiale, sono in cerca di un ruolo.

Gli attori egemoni

Al primo gruppo appartengono quei paesi che per la particolare postura geopolitica, che li identifica come aree pivot, o per la proiezione della forza militare o di quella economica determinano le scelte e i rapporti internazionali delle restanti nazioni. Gli attori egemoni inoltre influenzano direttamente anche alcune organizzazioni globali, fra cui il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Tra le nazioni che presentano tali caratteristiche, pur con sfumature diverse, possiamo annoverare gli USA, la Cina, l’India e la Russia.

La funzione geopolitica attualmente esercitata dagli USA è quella di costituire il centro fisico e la guida del sistema occidentale nato alla fine del secondo conflitto mondiale. La caratteristica principale della nazione nordamericana, in rapporto al resto del pianeta, è data dal suo espansionismo, attuato con una particolare aggressività e la messa in campo di dispositivi militari su scala globale. Il carattere imperialista dovuto alla sua specifica condizione di potenza marittima le impone comportamenti colonialisti verso vaste porzioni di quello che considera impropriamente il suo spazio geopolitico (1). Le variabili che potrebbero determinare un cambio di ruolo degli USA sono essenzialmente tre: a) la crisi strutturale dell’economia neoliberista; b) l’elefantiasi imperialista; c) le potenziali tensioni con il Giappone, l’Europa e alcuni Paesi dell’America centromeridionale.

La Cina, l’India e la Russia, in quanto nazioni-continente a vocazione terrestre, ambiscono a svolgere le loro rispettive funzioni macroregionali nell’ambito eurasiatico sulla base di un comune orientamento geopolitico, peraltro in fase avanzata di strutturazione. Tali funzioni, tuttavia, vengono condizionate da alcune variabili, tra le quali evidenziamo:

  1. le politiche di modernizzazione;

  2. le tensioni dovute alle disomogeneità sociali, culturali ed etniche all’interno dei propri spazi;

  3. la questione demografica che impone adeguate e diversificate soluzioni per i tre paesi.

Per quanto riguarda la variabile relativa alle politiche di modernizzazione, osserviamo che essendo queste troppo interrelate per gli aspetti economico-finanziari con il sistema occidentale, in particolare modo con gli USA, tolgono alle nazioni eurasiatiche sovente l’iniziativa nell’agone internazionale, le espongono alle pressioni del sistema internazionale, costituito principalmente dalla triade ONU, FMI e BM (2) e, soprattutto, impongono loro il principio dell’interdipendenza economica, storico fulcro della espansione economica degli USA. In rapporto alla seconda variabile, notiamo che la scarsa attenzione che Mosca, Beijing e Nuova Delhi prestano verso il contenimento o la soluzione delle rispettive tensioni endogene offre al loro antagonista principale, gli USA, occasioni per indebolire il prestigio dei governi ed ostacolare la strutturazione dello spazio eurasiatico. Infine, considerando la terza variabile, riteniamo che politiche demografiche non coordinate tra le tre potenze eurasiatiche, in particolare quelle tra la Russia e la Cina, potrebbero, nel lungo periodo creare contrasti per la realizzazione di un sistema continentale equilibrato.

I rapporti tra i membri di questa classe decidono le regole principali della politica mondiale.

In considerazione della presenza di ben 4 nazioni-continente (tre nazioni eurasiatiche ed una nordamericana) è possibile definire l’ attuale sistema geopolitico come multipolare.

Gli attori emergenti

La categoria degli attori emergenti raggruppa, invece, quelle nazioni che, valorizzando particolari atout geopolitici o geostrategici, cercano di smarcarsi dalle decisioni imposte loro da uno o da più membri del ristretto club del primo tipo. Mentre lo scopo immediato degli emergenti consiste nella ricerca di una autonomia regionale e, dunque, nell’uscita dalla sfera d’influenza della potenza egemone, da attuarsi principalmente mediante articolate intese ed alleanze regionali, transregionali ed extra-continentali, quello strategico è costituto dalla partecipazione attiva al gioco delle decisioni regionali e persino mondiali. Fra i paesi che assumono sempre più la connotazione di attori emergenti, possiamo enumerare il Venezuela, il Brasile, la Bolivia, l’Argentina e l’Uruguay, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, il Giappone di Yukio Hatoyama e, seppur con qualche limitazione, il Pakistan. Tutti questi paesi appartengono di fatto al sistema geopolitico cosiddetto “occidentale”, guidato da Washington. Il fatto che molte nazioni di quello che nel periodo bipolare era considerato un sistema coeso possano essere considerate emergenti e quindi entità suscettibili di concorrere alla costituzione di nuovi poli di aggregazione geopolitica induce a pensare che l’edifico messo a punto dagli USA e dalla Gran Bretagna, così come lo conosciamo, sia di fatto in via di estinzione oppure in una fase di profonda evoluzione. La crescente “militarizzazione” che la nazione guida impone ai rapporti bilaterali con questi paesi sembra sostanziare la seconda ipotesi. La comune visione continentale degli emergenti sudamericani e la realizzazione di importanti accordi economici, commerciali e militari costituiscono gli elementi base per configurare lo spazio sudamericano quale futuro polo del nuovo ordine mondiale (3).

Gli attori emergenti aumentano i loro gradi di libertà in relazione alle alleanze ed alle frizioni tra i membri del club degli egemoni ed alla coscienza geopolitica delle proprie classi dirigenti.

Il numero degli attori emergenti e la loro collocazione nei due emisferi settentrionale (Turchia e Giappone) e meridionale (paesi latinoamericani) oltre ad accelerare il consolidamento del nuovo sistema multipolare ne delineano i due assi principali: l’Eurasia e l’America indiolatina.

Gli inseguitori-subordinati e i subordinati

La designazione di attori inseguitori e subordinati, qui proposta, intende sottolineare le potenzialità geopolitiche degli appartenenti a questa classe in rapporto al loro passaggio alle altre. Sono da considerare inseguitori-subordinati quegli attori che ritengono utile, per affinità, interessi vari o particolari condizioni storiche, far parte della sfera d’influenza di una delle nazioni egemoni. Gli inseguitori-subordinati riconoscono all’egemone il ruolo di nazione guida. Tra questi possiamo menzionare ad esempio la Repubblica sudafricana, l’Arabia saudita, la Giordania, l’Egitto, la Corea del Sud. I subordinati di questo tipo, giacché “seguono” gli USA quale nazione guida, a meno di rivolgimenti provocati o gestiti da altri, ne condivideranno il destino geopolitico. Il rapporto che intercorre tra questi attori e il paese egemone è di tipo, mutatis mutandis, vassallatico.

Sono invece subordinati tout court quegli attori che, esterni al naturale spazio geopolitico dell’egemone, ne subiscono il dominio. La classe dei paesi subordinati è contraddistinta dall’assenza di una coscienza geopolitica autonoma o, meglio ancora, dalla incapacità delle classi dirigenti di valorizzare gli elementi minimi e sufficienti per proporre e dunque elaborare una propria dottrina geopolitica. Le ragioni di questa assenza sono molteplici e varie, fra di esse possiamo menzionare la frammentazione dello spazio geopolitico in troppe entità statali, la colonizzazione culturale, politica e militare esercitata dall’egemone, la dipendenza economica verso il paese dominante, le particolari e strette relazioni che intercorrono tra l’attore egemone globale e i ceti dirigenti nazionali i quali, configurandosi come vere e proprie oligarchie, sono preoccupati più della propria sopravvivenza piuttosto che degli interessi popolari e nazionali che dovrebbero rappresentare e sostenere. Le nazioni che costituiscono l’Unione Europea rientrano in questa categoria, ad eccezione della Gran Bretagna per la nota special relationship che intrattiene con gli USA (4).

L’appartenenza dell’Unione Europea a questa classe di attori è dovuta alla sua situazione geopolitica e geostrategica. Nell’ambito delle dottrine geopolitiche statunitensi, l’Europa è sempre stata considerata, fin dallo scoppio del secondo conflitto mondiale, una testa di ponte protesa verso il centro della massa eurasiatica (5). Tale ruolo condiziona i rapporti tra l’Unione Europea e i Paesi esterni al sistema occidentale, in primo luogo la Russia e i Paesi del Vicino e Medio Oriente. Oltre a determinare, inoltre, il sistema di difesa della UE e le sue alleanze militari, questo particolare ruolo influenza, spesso anche profondamente, la politica interna e le strategie economiche dei suoi membri, in particolare quelle concernenti l’approvvigionamento di risorse energetiche (6) e di materiali strategici, nonché le scelte in materia di ricerca e sviluppo tecnologico. La situazione geopolitica dell’Unione Europea pare essersi ulteriormente aggravata con il nuovo corso impresso da Sarkozy e dalla Merkel alle rispettive politiche estere, volte più alla costituzione di un mercato transatlantico che al rafforzamento di quello europeo.

Le variabili che potrebbero permettere, nell’attuale momento, ai paesi membri dell’Unione Europea di passare alla categoria degli emergenti concernono la qualità ed il grado di intensificazione delle loro relazioni con Mosca in rapporto alla questione dell’approvvigionamento energetico (North e South Stream), alla questione sulla sicurezza (NATO) ed alla politica vicino e mediorientale (Iràn, Israele). Che quanto appena scritto sia possibile è fornito dal caso della Turchia. Nonostante l’ipoteca NATO che la vincola al sistema occidentale, Ankara, facendo leva proprio sui rapporti con Mosca per quanto concerne la questione energetica, ed assumendo, rispetto alle direttive di Washington, una posizione eccentrica sulla questione israelo-palestinese, è sulla via dell’emancipazione dalla tutela nordamericana (7).

Gli inseguitori e i subordinati, a causa della loro debolezza, rappresentano il possibile terreno di scontro sul quale potrebbero confrontarsi i poli del nuovo ordine mondiale.

Gli esclusi

Nella categoria degli esclusi rientrano logicamente tutti gli altri stati. Da un punto di vista geostrategico, gli esclusi costituiscono un ostacolo alle mire di uno o più attori degli attori egemoni. Tra gli appartenenti a questo gruppo un particolare rilievo assumono, in rapporto agli USA ed al nuovo sistema multipolare, la Siria, l’Iràn, il Myanmar e la Corea del Nord. Nel quadro della strategia statunitense per l’accerchiamento della massa eurasiatica, infatti, il controllo delle aree attualmente presidiate da queste nazioni rappresenta un obiettivo prioritario da raggiungere nel breve medio periodo. La Siria e l’Iràn si frappongono alla realizzazione del progetto nordamericano del Nuovo grande medio Oriente, cioè del controllo totale sulla lunga e larga fascia che dal Marocco arriva fino alle repubbliche centroasiatiche, vero soft underbelly dell’Eurasia; il Myanmar costituisce una potenziale via d’accesso nello spazio sino-indiano a partire dall’Oceano Indiano e una postazione strategica per il controllo del Golfo del Bengala e del Mar delle Andamane; la Corea del Nord, oltre ad essere una via d’accesso verso la Cina e la Russia, insieme al resto della penisola coreana (Corea del Sud) costituisce una base strategica per il controllo del Mar Giallo e del Mar del Giappone.

Gli esclusi sopra citati, in base alle relazioni che coltivano con i nuovi attori egemoni (Cina, India, Russia) e con alcuni emergenti potrebbero rientrare nel gioco della politica mondiale ed assumere, pertanto, un importante ruolo funzionale nel quadro del nuovo sistema multipolare. È questo il caso dell’Iràn. L’Iràn gode dello status di paese osservatore nell’ambito dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC), da molti analisti considerata la risposta russa alla NATO, ed è candidato all’ingresso nell’ Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (OCS), tra i cui membri figurano la Russia, la Cina e le repubbliche centroasiatiche, inoltre ha solide relazioni economico-commerciali con i maggiori paesi dell’America indiolatina.

La riscrittura delle nuove regole

I paesi che appartengono alla classe degli attori egemoni sopra delineata mirano a proiettare, per la prima volta dopo la lunga stagione bipolare e la breve fase unipolare, la propria influenza sull’intero pianeta con lo scopo di concorrere, con percorsi e finalità specifiche, alla realizzazione del nuovo assetto geopolitico globale. Alla fine del primo decennio del XXI secolo si assiste dunque al ritorno della politica mondiale, articolata, questa volta, su base continentale (8). La posta in gioco è costituita, non solo dall’accaparramento delle risorse energetiche e delle materie prime, dal presidio di importanti snodi geostrategici, ma soprattutto, stante il numero degli attori e la complessità dello scenario mondiale, dalla riscrittura di nuove regole. Queste regole, risultanti dalla delimitazione di nuove sfere d’influenza, definiranno, verosimilmente per un lungo periodo, le relazioni fra gli attori continentali e quindi anche un nuovo diritto. Non più un diritto inter-nazionale esclusivamente costruito sulle ideologie occidentali, sostanzialmente basato sul diritto di cittadinanza quale si è sviluppato a partire dalla Rivoluzione francese e sul concetto di stato-nazione, bensì un diritto che tenga conto delle sovranità politiche così come concretamente si manifestano e strutturano nei diversi ambiti culturali dell’intero pianeta.

Gli USA, benché tuttora versino in uno stato di profonda prostrazione causato da una complessa crisi economico-finanziaria (che ha evidenziato, peraltro, carenze e debolezze strutturali della potenza bioceanica e dell’intero sistema occidentale), dalla perdurante impasse militare nel teatro afgano e dalla perdita del controllo di vaste porzioni dell’America meridionale, proseguono tuttavia, in continuità con le dottrine geopolitiche degli ultimi anni, nell’azione di pressione nei confronti della Russia. Nell’attuale momento, la destrutturazione della Russia, o perlomeno il suo indebolimento, rappresenterebbe per gli Stati Uniti, non solo un obiettivo che insegue almeno dal 1945, ma anche un’occasione per guadagnare tempo e porre rimedi efficaci per la soluzione della propria crisi interna e la riformulazione del sistema occidentale.

È proprio tenendo ben presente tale obiettivo che risulta più agevole interpretare la politica estera adottata recentemente dall’amministrazione Obama nei confronti di Beijing e Nuova Delhi. Una politica che, ancorché tesa a ricreare un clima di fiducia tra le due potenze eurasiatiche e gli Stati Uniti, non pare affatto dare i risultati sperati, a ragione dell’eccessivo pragmatismo e dell’esagerata spregiudicatezza che sembrano caratterizzare sia il presidente Barack Obama, sia il suo Segretario di Stato, Hillary Rodham Clinton. Un esempio della spregiudicatezza e del pragmatismo, nonché della scarsa diplomazia, tra i tanti, è quello relativo ai rapporti contrastanti che Washington ha intrattenuto recentemente col Dalai Lama e con Beijing.

Tali comportamenti, date le condizioni di debolezza in cui versa l’ex hyperpuissance, sono un tratto della stanchezza e del nervosismo con cui l’attuale leadership statunitense cerca di affrontare e tamponare la progressiva ascesa delle maggiori nazioni eurasiatiche e la riaffermazione della Russia quale potenza mondiale. Le relazioni che Washington coltiva con Beijing e Nuova Delhi corrono su due binari. Da una parte gli USA cercano, sulla base del principio di interdipendenza economica e tramite la messa in campo di specifiche politiche finanziarie e monetarie di inserire la Cina e l’India nell’ambito di quello che essi designano il sistema globale. Questo sistema in realtà è la proiezione di quello occidentale su scala planetaria, giacché le regole su cui si baserebbe sono proprio quelle di quest’ultimo. D’altra parte, attraverso una continua e pressante campagna denigratoria, la potenza statunitense tenta di screditare i governi delle due nazioni eurasiatiche e di destabilizzarle, facendo leva sulle contraddizioni e sulle tensioni interne. La strategia attuale è sostanzialmente la versione aggiornata della politica detta del congagement (containment, engagement), applicata, questa volta, non solo alla Cina ma anche, parzialmente, all’India.

Tuttavia, va sottolineato che il dato certo di questa amministrazione democratica, insediatasi a Washington nel gennaio del 2009, è la crescente militarizzazione con cui tende a condizionare i rapporti con Mosca. Al di là della retorica pacifista, il premio Nobel Obama segue infatti, ai fini del raggiungimento dell’egemonia globale, le linee-guida tracciate dalle precedenti amministrazioni, che si riducono, in estrema sintesi a due: a) potenziamento ed estensione dei presidi militari; b) balcanizzazione dell’intero pianeta lungo linee etniche, religiose e culturali.

A fronte della chiara e manifesta tendenza degli USA al dominio mondiale – negli ultimi tempi marcatamente sorretta dal corpus ideologico-religioso veterotestamentario (9), piuttosto che da una accurata analisi dell’attuale momento improntata alla Realpolitik – Cina, India e Russia, al contrario, paiono essere ben consapevoli delle condizioni odierne che li chiamano ad una assunzione di responsabilità sia a livello continentale che globale. Tale assunzione pare esplicarsi per il tramite delle azioni tese alla realizzazione di una maggiore e meglio articolata integrazione eurasiatica, nonché al sostegno delle politiche procontinentali dei paesi sudamericani.

La centralità della Russia

La ritrovata statura mondiale della Russia quale protagonista dello scenario globale impone alcune riflessioni d’ordine analitico per comprenderne il posizionamento nei distinti ambiti continentale e globale, nonché le variabili che potrebbero modificarlo nel breve e medio periodo.

Mentre in relazione alla massa euroafroasiatica il ruolo centrale della Russia quale suo heartland, così come venne sostanzialmente formulato da Mackinder, viene riconfermato dall’attuale quadro internazionale, più problematica e più complessa risulta essere invece la sua funzione nel processo di consolidamento del nuovo sistema multipolare.

Spina dorsale dell’Eurasia e ponte eurasiatico tra Giappone e Europa

Gli elementi che hanno permesso alla Russia di riaffermare la sua importanza nel contesto eurasiatico, molto schematicamente, sono:

  1. riappropriazione da parte dello Stato di alcune industrie strategiche;

  2. contenimento delle spinte secessionistiche;

  3. uso “geopolitico” delle risorse energetiche;

  4. politica volta al recupero dell’ “estero vicino”;

  5. costituzione del partenariato Russia-NATO, quale tavolo di discussione volto a contenere il processo di allargamento del dispositivo militare atlantico;

  6. tessitura di relazioni su scala continentale, volte ad una integrazione con le repubbliche centroasiatiche, la Cina e l’India;

  7. costituzione e qualificazione di apparati di sicurezza collettiva (OTSC e OCS).

Se la gestione prima di Putin ed ora di Medvedev dell’aggregato di elementi sopra considerati ha mostrato, nelle presenti condizioni storiche, il ruolo della Russia quale spina dorsale dell’Eurasia, e dunque quale area gravitazionale di qualunque processo volto all’integrazione continentale, tuttavia non ne ha messo in evidenza un carattere strutturale, importante per i rapporti russo-europei e russo-giapponesi, quello di essere il ponte eurasiatico tra la penisola europea e l’arco insulare costituito dal Giappone.

La Russia considerata come ponte eurasiatico tra l’Europa e il Giappone obbliga il Cremlino ad una scelta strategica decisiva per gli sviluppi del futuro scenario mondiale, quella della destrutturazione del sistema occidentale. Mosca può conseguire tale obiettivo con successo, nel medio e lungo periodo, intensificando le relazioni che coltiva con Ankara per quanto concerne le grandi infrastrutture (South Stream) e avviandone di nuove in rapporto alla sicurezza collettiva. Accordi di questo tipo provocherebbero di certo un terremoto nell’intera Unione Europea, costringendo i governi europei a prendere una posizione netta tra l’accettazione di una maggiore subordinazione agli interessi statunitensi o la prospettiva di un partenariato euro-russo (in pratica eurasiatico, considerando i rapporti tra Mosca, Pechino e Nuova Delhi), più rispondente agli interessi delle nazioni e dei popoli europei (10). Una iniziativa analoga Mosca dovrebbe prenderla con il Giappone, inserendosi quale partner strategico nel contesto delle nuove relazioni tra Pechino e Tokyo e, soprattutto, avviando, sempre insieme alla Cina, un appropriato processo di integrazione del Giappone nel sistema di sicurezza eurasiatico nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (11).

Chiave di volta del nuovo ordine mondiale

In rapporto al nuovo ordine multipolare, la Russia sembra possedere gli elementi base per adempiere a una funzione epocale, quella di chiave di volta dell’intero sistema. Uno degli elementi è costituito proprio dalla sua centralità in ambito eurasiatico come più sopra è stato esposto, altri dipendono dai suoi rapporti con i paesi dell’America meridionale, dalla sua politica vicino e mediorientale e dal suo rinnovato interesse per la zona artica. Questi quattro fattori diventano problematici, giacché strettamente collegati all’evoluzione delle relazioni che intercorrono tra Mosca e Pechino. La Cina, come noto, ha stretto, al pari della Russia, solide alleanze economico-commerciali con i paesi emergenti dell’America indiolatina, conduce nel Vicino e Medio Oriente una politica di pieno sostegno all’Iràn, manifesta inoltre una grande attenzione verso i territori siberiani ed artici (12). Considerando quanto appena ricordato, se le relazioni tra Pechino e Mosca si sviluppano in senso ancora più accentuatamente eurasiatico, prefigurando una sorta di alleanza strategica tra i due colossi, il consolidamento del nuovo sistema multipolare beneficerà di una accelerazione, in caso contrario, esso subirà un rallentamento o entrerà in una situazione di stallo. Il rallentamento o la situazione di stallo fornirebbe il tempo necessario al sistema occidentale per riconfigurarsi e per rientrare, quindi, in gioco alla pari con gli altri attori.

Il nodo di Gordio del Vicino e Medio Oriente – l’obbligo di una scelta di campo

Tra gli elementi sopra considerati, relativi al ruolo globale che la Russia potrebbe svolgere, la politica vicino e mediorientale del Cremlino sembra essere quella più problematica. Ciò a causa dell’importanza che questo scacchiere rappresenta nel quadro generale del grande gioco mondiale e per il significato particolare che ha assunto, a partire dalla crisi di Suez del 1956, in seno alle dottrine geopolitiche statunitensi. Come si ricorderà, la politica russa o meglio sovietica nel Vicino Oriente, dopo un primo orientamento pro-sionista degli anni 1947 – 48, peraltro trascinatasi fino al febbraio del 1953, quando si consumò la rottura formale tra Mosca e Tel Aviv, si volse decisamente verso il mondo arabo. Nel sistema di alleanze dell’epoca, l’Egitto di Nasser divenne il paese fulcro di questa nuova direzione del Cremlino, mentre il neostato sionista rappresentò lo special partner di Washington. Tra alti e bassi la Russia, dopo la liquefazione dell’URSS, mantenne questo orientamento filoarabo, seppur con qualche difficoltà. Nel mutato quadro regionale, determinato da tre eventi principali: a) inserimento dell’Egitto nella sfera d’influenza statunitense; b) eliminazione dell’Iraq; c) perturbazione dell’area afgana che testimoniano l’arretramento dell’influenza russa nella regione e il contestuale avanzamento, anche militare, degli USA, il paese fulcro della politica vicino e mediorientale russa è rappresentato logicamente dalla Repubblica islamica dell’Iràn.

Mentre ciò è stato ampiamente compreso da Pechino, nel quadro della strategia volta al suo rafforzamento nella massa continentale euroafroasiatica, lo stesso non si può dire di Mosca. Se il Cremlino non si affretta a dichiarare apertamente la sua scelta di campo a favore di Teheran, adoperandosi in tal modo a tagliare quel nodo di Gordio che è costituito dalla relazione tra Washington e Tel Aviv, correrà il rischio di vanificare il suo potenziale ruolo nel nuovo ordine mondiale.

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1. Il sistema occidentale, così come si è affermato dal 1945 ai nostri giorni, è strutturalmente composto da due principali e distinti spazi geopolitici, quello angloamericano e quello dell’America indiolatina, cui si aggiungono porzioni di quello eurasiatico. Quest’ultime sono costituite dall’Europa (penisola eurasiatica o cerniera euroafroasiatica) e dal Giappone (arco insulare eurasiatico). L’America indiolatina, l’Europa e il Giappone sono pertanto da considerarsi, in rapporto al sistema “occidentale”, più propriamente, sfere d’influenza della potenza d’oltreoceano.

2. L’ONU, il FMI e la BM, nell’ambito del confronto tra il sistema occidentale a guida statunitense e le potenze eurasiatiche, svolgono di fatto la funzione di dispositivi geopolitici per conto di Washington.

3. Per quanto riguarda la riscoperta della vocazione continentale dell’America centromeridionale nell’ambito del dibattito geopolitico, maturato in relazione all’ondata globalizzatrice degli ultimi venti anni, si rimanda, tra gli altri, ai lavori di Luiz A. Moniz Bandeira, Alberto Buela, Marcelo Gullo, Helio Jaguaribe, Carlos Pereyra Mele, Samuel Pinheiro Guimares, Bernardo Quagliotti De Bellis; si segnala, inoltre, la recente pubblicazione, Diccionario latinoamericano de seguridad y geopolitíca (direzione editoriale a cura di Miguel Ángel Barrios), Buenos Aires 2009.

4. Luca Bellocchio, L’eterna alleanza? La special relationship angloamericana tra continuità e mutamento, Milano 2006.

5. Per analoghe motivazioni geostrategiche, sempre relative all’accerchiamento della massa eurasiatica, gli USA considerano anche il Giappone una loro testa di ponte, speculare a quella europea.

6. Nello specifico settore del gas e del petrolio, l’influenza statunitense e, in parte, britannica determinano la scelta dei membri dell’UE riguardo ai partner extraeuropei, alle rotte per il trasporto delle risorse energetiche ed alla progettazione delle relative infrastrutture.

7. Un approccio teorico relativo ai processi di transizione di uno Stato da una posizione di subordinazione ad una di autonomia rispetto alla sfera di influenza in cui è incardinato è stato trattato recentemente dall’argentino Marcelo Gullo, nel saggio La insurbodinación fundante. Breve historia de la costrucción del poder de las naciones, Buenos Aires 2008.

8. Significativi, a tal proposito, i richiami costanti di Caracas, Buenos Aires e Brasilia all’unità continentale. Nell’appassionato discorso di insediamento alla presidenza dell’Uruguay, tenuto all’Assemblea generale del parlamento nazionale il 1 marzo del 2010, il neoeletto José Mujica Cordano, ex tupamaro, ha sottolineato con vigore che “Somos una familia balcanizada, que quiere juntarse, pero no puede. Hicimos, tal vez, muchos hermosos países, pero seguimos fracasando en hacer la Patria Grande. Por lo menos hasta ahora. No perdemos la esperanza, porque aún están vivos los sentimientos: desde el Río Bravo a las Malvinas vive una sola nación, la nación latino-americana”.

9. Ciò anche in considerazione della politica “prosionista” che Washington porta avanti nel Vicino e Medio Oriente. Si veda a tal proposito il lungo saggio di John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, Milano, 2007.

10. Una ipotesi di partenariato euro-russo, basato sull’asse Parigi-Berlino-Mosca, venne proposta, in un contesto diverso da quello attuale, nel brillante saggio di Henri De Grossouvre, Paris, Berlin, Moscou. La voie de la paix et de l’independénce, Lausanne 2002.

11. L’allargamento delle strutture continentali (globali nel caso della NATO) di sicurezza e difesa sembra essere un indice del grado di consolidamento del sistema multipolare. Oltre la NATO, la OTSC e le iniziative in ambito OCS, occorre ricordare anche il Consejo de Defensa Suramericano (CDS) de la Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR).

12. Linda Jakobson, China prepares for an ice-free Arctic, Sipri Insights on Peace and Securiry, no. 2010/2 March 2010.


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