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lundi, 08 mai 2017

Marco Tarchi : "Il populismo non è sconfitto"

populisme, c’est la vie ! par Bruno BERTEZ 1.jpg

Marco Tarchi : "Il populismo non è sconfitto"

Avertissement aux lecteurs francophones: Cette analyse du résultat des présidentielles françaises est due au chef de file de la "nouvelle droite" italienne, fourvoyé en France dans le canal historique de la "nouvelle droite" d'Alain de Benoist, qui n'a jamais accordé beaucoup de publicité aux thèses de son très fidèle et obséquieux vicaire florentin, pourtant séduisantes et partagées par la presse militante comme par la grande presse en Italie. La qualité de ces analyses portait ombrage à la médiocrité du gourou parisien. Rien du Prof. Tarchi (ou presque) n'a été traduit dans les officines qui lui sont servilement inféodées. Utilisez le logiciel de traduction, si vous ne maîtrisez pas correctement la langue italienne. Ces logiciels fonctionnent bien entre langues latines. 

Il Professor Tarchi analizza il risultato delle presidenziali in Francia dove il populismo che sembrava inarrestabile ha dovuto fare i conti con la scelta "moderata" di Macron

 

Il populismo sembrava essere il fenomeno più rappresentativo della nostra epoca politica. La vittoria di Donald Trump e l'affermazione della Brexit parevano aver aperto la strada ad una serie di trionfi. Invece, sia in Olanda sia in Austria, ma soprattutto in Francia, la categoria della politica in questione si è arenata.

Come mai? Lo abbiamo chiesto a Marco Tarchi, politologo e docente italiano, professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell'Università di Firenze dove attualmente insegna Scienza Politica, Comunicazione politica e Teoria politica.

populisme-mc3a9lenchon-le-pen1.pngProfessor Tarchi, l'avanzata del populismo sembrava inarrestabile. Macron è davvero l'argine definitivo all'affermazione dei sovranisti in occidente?

"Non lo penso affatto. E credo siano necessarie due precisazioni. Primo: la descrizione del populismo come una valanga destinata a travolgere ogni resistenza sul suo cammino, emersa in sede giornalistica dopo il successo di Trump, è sempre stata infondata, anche se è stata cavalcata dagli avversari di questa corrente politica, che se ne sono avvalsi per sollecitare una reazione di paura – 'distruggeranno l’Europa', 'cancelleranno l’euro provocando un caos monetario', 'apriranno la caccia agli immigrati' e così via – e poter far passare i pur consistenti progressi elettorali delle formazione populiste per sconfitte clamorose. Secondo: populismo e sovranismo, pur presentandosi a volte in connessione, non sono la stessa cosa. Nel secondo c’è una componente di statalismo in genere assente nel primo. E il connubio non sempre paga".

Quali sono stati gli errori di Marine Le Pen?

"È troppo presto per trarre conclusioni su questi punti: occorrono studi sui dati, non solo impressioni. Marine Le Pen ha puntato a conquistare contemporaneamente, su due terreni diversi, elettori sensibili ad argomenti più “di destra” (difesa dell’identità nazionale, maggior rigore nella tutela dell’ordine e della sicurezza) e più “di sinistra” (denuncia del capitalismo finanziario, delle delocalizzazioni, della disoccupazione). Evidentemente il mix proposto non ha convinto del tutto i destinatari. Ma è stato il “moderato” Fillon a renderle la vita difficile, schierandosi immediatamente con Macron, che fino a poche ore prima aveva fustigato come copia conforme di Hollande. Sia la linea Philippot sia quella Marion avevano le loro ragioni e la loro utilità: non se ne è però saputa trovare la sintesi. Quanto alle critiche alle esternazioni papali sulla necessità di non porre limiti all’accoglienza degli immigrati, dubito che abbiano avuto effetto su elettori disposti a votare la candidata frontista".

Nelle grandi città il sovranismo non passa. Eppure il terrorismo ha colpito i grandi centri. La "sicurezza" non paga più?

"Paga poco rispetto a linee di divisione più acute, come quella tra vincenti e perdenti di fronte agli effetti della globalizzazione: i primi vivono perlopiù nella Francia delle metropoli, i secondi nella Francia periferica. E fra i soddisfatti chi propugna un’alternativa al sistema vigente non può trovare consensi. Il populismo, come è noto, trova nella situazioni di crisi il suo humus".

populismeggggg.jpgIl momento che sta vivendo l'Europa sembra essere socialmente travagliato. Eppure in Olanda e in Francia, alla fine, ha vinto il moderatismo. Perchè?

"Si è troppo frettolosamente fatto d’ogni erba un fascio ascrivendo ad uno stesso fenomeno episodi piuttosto diversi. La Brexit è stata legata, oltre che al timore di vari “contagi” – crisi migratoria, perdita di sovranità - che potevano trovare un canale di diffusione nell’Unione europea, alla persistente diffidenza di molti inglesi nei confronti del continente. Trump ha sfruttato soprattutto la delusione di molti verso le incerte politiche di Obama. In Olanda e in Francia la proposta dei movimenti populisti ha valorizzato soprattutto i temi dell’immigrazione e della paventata islamizzazione: due fenomeni la cui gravità è destinata ad acuirsi nel prossimo futuro ma su cui la narrazione dei grandi strumenti di comunicazione ha fatto sin qui da argine, utilizzando con successo il ricatto psicologico della compassione e della commozione (gli immigrati rappresentati solo dal “piccolo Aylan”, dagli annegati, dalle madri incinte trasportate sui fragili barconi) contro il simmetrico ricatto della paura (dietro ogni immigrato un sospetto criminale o terrorista) spesso sbandierato dai populisti".

Il leader di "En Marche!" riuscirà ad adempiere alle richieste di Bruxelles e, contemporaneamente, a sanare la ferita tra la Francia periferica e quella urbanizzata?

"Lei mi chiede una previsione che sa di vaticinio, ma i politologi non sono chiromanti. Di certo, il neopresidente dovrà render conto delle sue molte (vaghe) promesse e dell’aulica prosa sciorinata in campagna elettorale, fatta di cuore, amore, solidarietà, speranze e futuri radiosi. Chi conosce la politica sa come vanno a finire, di solito, queste ubriacature di retorica: i risvegli portano spesso un gran mal di testa. E dallo stato di grazia alla disgrazia il passo è breve".

Cosa c'è da aspettarsi per le legislative francesi di giugno?

"I motivi di curiosità sono molti e si prestano più a domande che a risposte. Sapranno i Républicains riattivare la loro forte rete di insediamento territoriale – fatta di notabilato e clientelismo – superando lo choc del caso-Fillon? I socialisti riusciranno a non soccombere all’effetto di salita sul carro del vincitore che già da un paio di mesi ha gonfiato le vele di Macron? Mélenchon saprà tradurre il successo della brillante campagna di protesta in un solido gruppo parlamentare? E, soprattutto, come si comporterà Macron nella scelta delle candidature per sfruttare il prevedibile effetto-valanga della sua elezione?"

Quale futuro per il Front National e per il populismo francese?

"Stando a ciò che ha detto a caldo, Marine Le Pen vorrebbe travasarlo in un nuovo contenitore, ma il risultato poco brillante ottenuto non le renderà facile tradurre il progetto in pratica, perché troverà più di un’opposizione. Resta poi da capire chi sarebbe disposto a farle da alleato esterno: Dupont-Aignan senz’altro, ma pare che meno del 40% dei suoi elettori ne abbiano seguito la scelta, ed è un problema non da poco. È prevedibile una raffica di critiche alla conduzione della campagna da parte di chi vorrebbe spostare l’asse del partito, o dell’alleanza, più a destra, ma se i Républicains tenessero alle legislative, sarebbe una scelta pericolosa. Marine ha più volte criticato Fini per le sue scelte, accusandolo di aver ceduto sui “fondamentali” e proclamando di preferire di essere sconfitta con le sue idee piuttosto che di vincere con le idee altrui, ma dà l’impressione di star annacquando progressivamente quelle idee. Per lei il periodo post-elettorale non sarà facile: dall’esito delle legislative dipenderà buona parte del suo futuro politico".

“I bimbi non giocano più (e ci rimettono)”

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Massimo Fini:

“I bimbi non giocano più (e ci rimettono)”

Ex: https://infosannio.wordpress.com 

(Massimo Fini – il Fatto Quotidiano) – NIENTE SPAZI – Al posto della campagna, che un tempo penetrava ancora nelle città, hanno i ‘boschi verticali’ dove gli alberi sono impiccati alle facciate dei grattacieli (i boschi, per quanto ne so io, sono fatti per camminarci dentro)

Secondo una ricerca di Sergio Dugnani, docente di Scienze del Movimento all’Università di Milano, in prima media due ragazzi su tre non sono in grado di fare una capriola. Per Annalisa Zapelloni, decano dei docenti di educazione fisica romani, mancano in moltissimi giovani, non più bambini, la forza delle braccia e il senso dell’equilibrio. “Vedo ragazzini in difficoltà se chiedi loro di saltare a piedi pari una riga disegnata sul pavimento. Non sono disabili: semplicemente non l’hanno mai fatto”. Com’è possibile in un’epoca che ha fatto della cura del corpo un cult e quasi un’ossessione? Dice la Zapelloni che ciò è dovuto alla scomparsa del “gioco di strada”. Che a sua volta è conseguenza delle strutture che hanno assunto le nostre città, grandi, medie, ma anche piccole, dove non ci sono più spazi liberi e non regolamentati.

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Ai tempi miei, di bambino e adolescente degli anni Cinquanta, per noi ragazzi milanesi c’erano immensi terrain vague anche grazie ai bombardamenti anglo americani. Noi ci giocavamo a calcio, a correre a chi arriva primo, a guardie e ladri e, dividendoci in bande, facevamo a cazzotti che a quell’età non possono fare un gran male perché i pugni sono leggeri, al massimo ne uscivi con un labbro spaccato o col classico ‘occhio nero’(onta da nascondere ai padri non perché si era fatto zuffa, ma perché voleva dire che le avevi prese).

Le bambine avevano giochi più quieti. Ma col ‘pampano’ devi almeno essere capace di saltare con un piede solo, tenendoti in equilibrio, una serie di righe, segnate col gesso, e chinarti per raccogliere il sasso gettato sempre più lontano. E poi, senza distinzione di sesso, di ‘genere’ come si dice adesso con un termine che trovo raggelante, si giocava a prendersi, a nascondersi, a ‘palla prigioniera’, a‘palla avvelenata’, ai ‘quattro cantoni’. Era insomma un allenamento inconsapevole, un’educazione fisica naturale. La strada era poi una scuola di vita, dove si imparava a conoscere gli altri e se stessi: la lealtà, la slealtà, il coraggio (ma questo è un altro discorso anche se tout se tient).

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Oggi i bambini e i ragazzini hanno perso quello spazio che noi avevamo in abbondanza. Al posto della campagna, che fino agli anni Cinquanta penetrava ancora nelle città, hanno il famigerato ‘verde’ che non si può toccare, quando non i ‘boschi verticali’ dove gli alberi sono impiccati alle facciate dei grattacieli (i boschi, per quanto ne so io, uomo del pleistocene, sono fatti per camminarci dentro). Milano ha pochissimi parchi, anch’essi peraltro di fatto impraticabili, ma le lussuose case del centro hanno tutte, all’interno, uno splendido giardino, però i regolamenti condominiali vietano ai bambini di giocarci: troppo rumore, troppe risa, troppe grida che invece di rallegrarli disturbano i vecchi rincoglioniti. Mettiamoci anche l’apprensione delle ‘mamme’ che appena vedono il loro figlioletto fare un gioco un po’ardito vanno in catalessi e la fine della leva militare obbligatoria ed ecco che abbiamo generazioni di giovani debosciati, giovani che con tutte le loro preoccupazioni salutiste sono già vecchi.

Dice Mario Bellucci, autore di uno studio sulla questione: “Tanti quindicenni non sanno andare in bici. Di correre non se ne parla, il camminare è ridotto a pochi metri al giorno. La loro muscolatura è così poco tonica da creare problemi di postura: dopo pochi minuti in piedi devono sedersi. Sono stanchi”. Giovani privi di forza fisica o della capacità di usarla. Non è ammissibile che un uomo della mia età, che non ha certo la struttura di Mike Tyson, batta regolarmente a braccio di ferro ragazzi poco più che ventenni. La mancanza di spazi di libero gioco si lega, come concausa e conseguenza della scarsa efficienza fisica dei bambini e dei ragazzi delle nuove generazioni, all’irrompere nella loro vita della playstation e di tutto il mondo digitale che vi gira attorno.

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Stanno ore e ore, immobili, seduti sul divano, a trafficare con questi aggeggi che offrono loro ogni tipo di divertimento virtuale ma non l’azione fisica. Una mia vicina di casa ha un figlioletto di sei/sette anni. Ogni tanto i due vengono a trovarmi. E io dico al bambino: “Dai, giochiamo a nasconderci, a prenderci, a mosca cieca” e, scherzosamente, aggiungo “con me non hai neanche bisogno di bendarmi”. Ma vedo che non è contento. Ha voglia di tornare al computer. È comico, se non fosse tragico, che esista un ‘centro di rieducazione motoria’per bambini e ragazzini. Mi suona come quei centri per la rieducazione dei rapaci, aiutati a ridiventare dei serial killer.

La felicità di un bambino è correre. La necessità di un rapace è uccidere. Se il bambino non sa correre e il rapace non è in grado di uccidere, il primo non è più un bambino e il secondo non è più un rapace. Naturalmente molti genitori –almeno quelli che possono permetterselo- per impegnare il tempo dei loro figli li mandano a scuola di tennis, di nuoto, di calcio. Ma è una cosa molto diversa dal movimento naturale e spontaneo del gioco da strada. Per parecchi motivi. È eterodiretto. Stimola solo certi muscoli e certe articolazioni e non altre. E può essere persino controproducente, perché oggi si ha la tendenza a professionalizzare fin da subito i bambini e i ragazzini con la speranza che dal mucchio esca qualche campione.

Giocare liberamente seguendo il proprio istinto è una cosa, fare movimenti forzati e obbligati in un’età prematura è un’altra. Nelle scuole di calcio, magari sponsorizzate da grandi squadre, ho visto bambini sviluppare seri problemi alle anche, ai legamenti, ai tendini. Anche noi facevamo, a volte, dei giochi statici. I tappi di bottiglia, i ‘tollini’, solo per fare un esempio fra i tanti possibili, erano l’ideale per simulare Giri d’Italia, Tour de France, partite di calcio. Ma questi giochi ce li inventavamo da noi e questo sviluppava la nostra fantasia. E anche se sembra non c’entrarci col problema della capacità motoria, in qualche modo vi si ricollega. Io sono divorziato da quando mio figlio aveva sette anni. A weekend alterni veniva a casa mia. Se non potevo occuparmi di lui perché avevo da scrivere, se ne stava nella sua stanzetta. Un pomeriggio venne da me e mi chiese, sconsolato: “Papà, come facevi tu a inventarti tanti giochi?”. La playstation non esisteva ancora, ma in ogni caso i giochi eterodiretti cui era abituato, come tutti i suoi coetanei, avevano tarpato le ali alla sua fantasia. Ma anche se le ricerche sulla forma fisica degli studenti, piccoli e meno piccoli, sono focalizzate sul nostro Paese, il problema riguarda tutto il mondo occidentale propriamente detto. Gli americani, bambini o adulti, sono obesi. Nel complesso, complice certamente anche la mancanza dell’esercizio fisico praticato in modo naturale fin da bambini, ma non solo, nella società del benessere, dove le macchine e gli algoritmi fanno tutto al nostro posto, impigrendoci, infiacchendoci, fisicamente e spiritualmente, è la vitalità che ci è venuta meno. Per restare in Europa: se c’è una rapina in banca non è mai un locale a reagire, ma un serbo, un rumeno, un nero. Non possiamo poi meravigliarci se poche migliaia di guerriglieri dell’Isis, che certamente non hanno problemi motori, tengono in scacco centinaia di milioni di occidentali superarmati ma incapaci di saltare una siepe…

12:43 Publié dans Ecole/Education, Sociologie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : enfants, pédagogie, jeux, éducation, sociologie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

La misère Macron...

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La misère Macron...

par Richard Millet

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous une chronique de Richard Millet, cueillie sur son site personnel et dans laquelle il évoque Emmanuel Macron, le probable vainqueur de l'élection présidentielle...

Auteur de La confession négative (Gallimard, 2009) et de Tuer (Léo Scheer, 2015), Richard Millet vient de publier aux éditions Léo Scheer un roman intitulé Province.

La misère Macron

La macronisation de la France est en bonne voie. L’unanimité s’est constituée autour de lui, comme en toute période de crise, ou de pré-dictature ; et Marine Le Pen, censée menacer des « valeurs républicaines » pourtant bien faisandées, ne fait que resserrer davantage cette unanimité. Macron est donc le nom d’une unanimité qui ne reflète nullement la « décomposition du champ politique », comme on peut le lire ça et là ; c’est même tout le contraire qui a lieu : la coalition médiatico-politique et financière se porte mieux que jamais ; elle s’adapte à toutes les situations, y compris à la mort d’une forme de bipartisme qui ne trompait personne, au sein de l’enfumage démocratique. Ne créant plus l’Histoire, la démocratie européenne fabrique de l’événementiel, en l’occurrence un prétendu enjeu, alors que Macron est d’ores et déjà président de la République, parce que le Système le veut.Ainsi voit-on une nouvelle clique de politicards de gauche, du centre et de droite se convertir au macronisme, applaudis par une claque d’acteurs, de chanteurs, de sportifs, d’essayistes mondains, de financiers et d’écrivassiers qui, alors qu’on est sorti du symbolique pour vivre uniquement dans l’économique, ont tous leur mot à dire sur le danger de revivre « les heures les plus sombres de notre histoire » ; on fait parler les morts, ou les demi-morts tels le Marocain Ben Jelloun qui y va de sa plume de dromadaire pour exhorter Macron à être plus de gauche, tandis que les éditorialistes font croire qu’il y a là un enjeu civilisationnel, à tout le moins un « débat », et un suspense.

MacCar1.jpgEn vérité, les jeux sont faits, parce que Macron est tout ce qu’on veut : de gauche, de droite, du centre, hétéro, homo, gendre idéal, fils rêvé, intello, pragmatique, « prodige », marié avec sa mère, mais pas encore père, et tout dévoué pour finir d’évacuer l’idée de nation française dans un « espace France » ouvert au grand rut migratoire et à la soumission. Macron est vide ; mais c’est un vide sémillant, donc acceptable. Macron n’est qu’un Fillon qui a 25 ans de moins que l’ex-candidat de la droite officielle, pour qui il était impossible de voter, me dit une amie, depuis qu’on avait appris que ses discours étaient réécrits par une ordure telle que Macé-Scaron. Ce simple fait en dit long sur la décomposition morale d’une France où les musulmans s’apprêtent à voter pour Macron – raison suffisante pour ne pas le soutenir, me dit encore cette amie ; car partager un bulletin de vote avec un musulman est non seulement une faute, mais une soumission au muezzin du totalitarisme mondialisé.

Si l’on pouvait souhaiter la victoire de Marine Le Pen (à supposer que celle-ci veuille vraiment le pouvoir, et non la puissance de l’opposition), c’eût été uniquement pour qu’il se passe enfin quelque chose : l’état insurrectionnel que ne manquerait pas de déclencher son élection, et qui amènerait un groupe d’officiers catholiques à prendre le pouvoir pour mettre de l’ordre dans un pays prostitué à l’audimat politico-culturel.

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Redisons-le : nul candidat n’a posé les vraies questions – celle qui agite en profondeur la France et l’Europe : l’immigration de masse, principalement musulmane. L’oligarchie règne toujours sur les faibles d’esprit qui constituent le « peuple », du moins ce qu’en daignent montrer les médias. Un peuple qui ne se révolte plus pour dire ce qu’il est et chasser les intrus n’est plus un peuple.

La seule bonne nouvelle, dans ce désastre, est la découverte d’une larve capable de digérer la matière plastique. L’humanité sauvée non par la démocratie mais par une larve ? Les larves humaines devant leur salut à un ver ? Nous sommes non plus chez Macron, qui serait, lui, de l’ordre du plastique, mais chez Pascal : sans Dieu, l’homme n’est qu’une larve. Macron est le nom de cette misère.

Richard Millet (Site officiel de Richard Millet, 1er mai 2017)

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