jeudi, 15 avril 2010
"Proust è un bavoso". Viaggio nella biografia di un genio fulminato
di Stenio Solinas
Fonte: il giornale [scheda fonte]
«Gli editori sono tutti carogne». «Non aggiungete una sillaba al testo senza preavvisarmi! Fottereste il ritmo come niente - solo io posso ritrovarlo là dov’è. Ho l’aria bavosa, ma so a meraviglia ciò che voglio. Non una sillaba. Fate anche attenzione alla copertina. Niente music Hallismo. Niente sentimentalismo tipografico. Del classico». «I critici dicono sempre fesserie. Giornalisti innanzitutto, lavorano di chiacchiere, piccoli ricatti... Ci vorrebbe qualcuno che si decidesse a coprirmi di sputi!... La gente è sadica, vigliacca, invidiosa, distruttrice. Ha bisogno di sentire il saccheggio, lo spappolamento, altrimenti non ci sta...». «Bisogna vedere gli uomini come cani. Ciò che fanno, abbaiano, ringhiano, spiritualmente non significa niente, meno che zero... Purtroppo ci toccano le conseguenze materiali, ma moralmente... Cani, nient’altro che cani. Tutto è permesso, insomma, per evitare i loro morsi e ingannarli e aizzarli in modo che si sbranino fra loro. Meglio dimenticare tutto, mascherare in musica l’orrore del vivere».
Ma sì, è Céline che batte alla porta, strepita, irride, minaccia e s’incazza... Ben tornato Ferdinand sull’onda delle oltre 2mila pagine del volume che raccoglie una antologia monstre (più di 1500 lettere) della sua corrispondenza, dalla giovinezza alla morte (Lettres, Gallimard, collezione Bibliothèque de la Pléiade, pagg. 2080, euro 66,5; a cura di Henri Godard e Jean-Paul Louis). Per la prima volta, insieme con molti inediti, l’epistolario celiniano fino a oggi sparso e spesso disperso in innumerevoli rivi editoriali (le lettere dall’Africa, le lettere alle amiche, quelle agli editori e agli avvocati, le lettere dall’esilio) viene selezionato e cronologicamente ordinato. Il risultato è imponente.
Il carteggio è una miniera di informazioni sul Céline scrittore, sui suoi procedimenti, sulle sue idiosincrasie, ma ne scandaglia anche il privato: la passione per la bellezza («Sono pagano per la mia assoluta adorazione della bellezza fisica, della salute. Odio la malattia, la penitenza, il morboso(...) Perciò ho amato tanto l’America. La felinità delle sue donne!(...). Tranquillo stallone, guardone, palparle è un incanto senza pari, mi inebria, mi ispira - Darei tutto Baudelaire per una nuotatrice olimpionica»); il rifiuto della vita reale, obiettiva, il peso degli anni e dei guasti fisici.
Dietro il cliché del «medico dei poveri» la corrispondenza fa rigalleggiare il bell’uomo alto più di un metro e ottanta, che indossa abiti di buon taglio e stoffa inglese, biondo e con gli occhi azzurri, che conosce il mondo e il bel mondo, uno che a Ginevra come a Vienna, a New York come a Londra, sa dove andare, come muoversi, cosa vedere, a proprio agio con pianiste come Lucienne Delforge, con scultrici come Louise Nevelson, con figlie della buona borghesia di provincia come Edith Follet, la sua prima moglie. Vive in un appartamento moderno, con qualche souvenir coloniale, in rue Lepic: è cortese, ma riservato.
Ciò che nelle lettere d’anteguerra è accennato, sparso e variegato, in quelle post-belliche tende a raccogliersi su un triplice binario. Sul primo corre il métro emotif, il treno dello stile. «Tutto il mio lavoro è consistito nel cercare di rendere la prosa francese più sensibile e tesa, precisa, sferzante e cattiva iniettandole un linguaggio parlato, il suo ritmo, il suo tipo di poesia e di tenerezza malgrado tutto, di resa emotiva». «Io seguo con le parole l’emozione, non le lascio il tempo di rivestirsi in frase... l’afferro nuda e cruda, o meglio, nella sua poeticità. Perché il fondo dell’uomo malgrado tutto è poesia - il ragionamento si apprende, così come si impara a parlare - il bebè canta - il cavallo galoppa - il trotto è di scuola». «Non creo nulla, in verità - è come se ripulissi (...) una statua seppellita nell’argilla -
Esiste già tutto (...) Occorre soltanto spazzare (...) portare alla luce del giorno - AVERE LA FORZA - è una questione di forza - forzare il sogno nella realtà - una questione di pulizia (...) È un lavoro da operaio - operaio nelle onde».
Sul secondo corre il vagone della negazione e/o riduzione di ciò di cui è incolpato, della «congiura» ai suoi danni. «Sono un patriota sfrenato in un Paese di degenerati, lacchè e bastardi. Si tratta di ben altra cosa che tradimento, è precisamente il contrario. Sono gli altri, tutti gli altri che galoppano urlando dietro la bandiera, gareggiando per farsi inculare dal migliore offerente». «Ci si accanisce a volermi considerare un massacratore di ebrei. Io sono un preservatore accanito di francesi e di ariani - e contemporaneamente, del resto, di ebrei! Non ho voluto Auschwitz, Buchenwald. Cazzo! Basta! (...) Ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine». «La Germania mi fa naturalmente orrore. La trovo provinciale, pesante, grossolana (...) Per me è quella del ’14, la gare de l’Est, la linea dei Vosgi, la morte, la salsiccia, l’elmetto a punta».
Sul terzo, infine, fila il direttissimo delle recriminazioni, delle ingiurie, degli editori traditori, dei soldi che non arrivano, della pubblicità che manca, del boicottaggio. Sotto un torrente di minacce e prese per il culo, gli interlocutori passano la mano. Jean Paulhan, il «cervello» della casa editrice Gallimard lascia nel 1955, stanco e disgustato. «Di che si lagna quel vecchio bavoso - sarà il commento - Trova che la sposa è troppo bella, ha troppo temperamento?».
E l’antisemitismo? Céline lo trasforma in pacifismo, lo scolora, più che negarlo lo orienta in maniera diversa, fino a trasformare sé stesso nell’unico vero ebreo errante: esiliato, offeso, perseguitato... Ma dietro al razzismo c’è anche una questione di stile, come una lettera del 1943, che ha per tema Proust, mette bene in evidenza. «Lo stile di Proust? È semplicissimo. Talmudico. Il Talmud è imbastito come i suoi romanzi, tortuoso, ad arabeschi, mosaico disordinato. Il genere senza capo né coda. Per quale verso prenderlo? Ma al fondo infinitamente tendenzioso, appassionatamente, ostinatamente. Un lavoro da bruco. Passa, viene, torna, riparte, non dimentica nulla, in apparenza incoerente, per noi che non siamo ebrei, ma riconoscibile per gli iniziati. Il bruco si lascia dietro, come Proust, una specie di tulle, di vernice, che prende, soffoca riduce e sbava tutto ciò che tocca - rosa o merda. Poesia proustiana. Quanto alla base dell’opera: conforme allo stile, alle origini, al semitismo: individuazione delle élites imputridite, nobiliari, mondane, invertiti etc. in vista del loro massacro. Epurazioni. Il bruco vi passa sopra, sbava, le fa lucenti. I carri armati e le mitragliatrici fanno il resto. Proust ha assolto il suo compito». Conclusione: nel 1943 l’autore della Recherche avrebbe applaudito la sconfitta tedesca a Stalingrado...
Scrittore antimaterialista, Céline cercò di combattere il materialismo usando uno strumento, la razza, altrettanto materiale e, come tale, incapace di cogliere differenze di valori e di sensibilità. L’ideale ariano si trasformerà in beffa allorché, dopo essere stato imprigionato in Danimarca, si troverà a scrivere: «Merda agli ariani. Durante i 17 mesi di cella non un solo fottuto dei 500 milioni di ariani d’Europa ha emesso un gridolino in mia difesa. Tutti i miei guardiani erano ariani». Quando si predica la purezza c’è sempre qualcuno che si crede più puro di te. Un genio fulminato.
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00:18 Publié dans Littérature | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : littérature, lettres, lettres françaises, littérature française, france, céline | | del.icio.us | | Digg | Facebook
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