lundi, 15 juillet 2013
Antoni Gaudì, l’architetto di Dio
L’anniversario. Antoni Gaudì, l’architetto di Dio: un genio mistico, colto e rivoluzionario
Quando lo tirarono fuori da sotto il tram numero 30, i soccorritori pensarono fosse un barbone, magari in preda ai fumi dell’alcol. Malandato, con la giacca troppo larga, le tasche sfondate con dentro qualche noce e un po’ d’uva passa, i pantaloni lisi, le gambe fasciate per proteggerle dal freddo, magro, quasi diafano. Venne ricoverato in un ospedale per indigenti e solo il giorno successivo fu riconosciuto dal cappellano della Sagrada Familia. Ma era ormai troppo tardi. Era il 10 giugno del 1926 e Antoni Gaudì, l’architetto di Dio, morì senza riprendere conoscenza. Aveva 74 anni ed era nato a Reus, sulla costa a sud di Barcellona, il 25 giugno del 1852.
La strana morte del genio catalano, profeta del “modernismo” europeo, non fu altro che l’emblematica parabola di un personaggio straordinario, che malgrado ricchezza e celebrità visse una vita irregolare, fuori dal coro, interamente dedicata alla sua professione. Una professione che Gaudì interpretò sempre come strumento per creare una connessione fra uomo e Dio: «Chi cerca le leggi della natura per conformare ad esse opere nuove, collabora con il Creatore», era solito affermare.
In effetti ogni opera di Gaudì – dal Parc Güell alle famose case (Botines, Batllò, Milà), fino all’opera più celebre, ambiziosa e monumentale, la cattedrale neo-gotica della Sagrada Familia – è pregna di simboli e riferimenti culturali di carattere mistico. Un misticismo cristiano e cattolico, come ha sempre assicurato lo stesso architetto catalano e come conferma il processo di beatificazione di Gaudì avviato dal Vaticano nel 2000. Ma al tempo stesso frutto di secoli di tradizioni alchemiche ed esoteriche tramandate da società segrete e logge massoniche. Lo scrittore Josep Maria Carandell analizza nel suo libro El parque Güell, utopía de Gaudí, una grande quantità di dettagli di chiara radice massonica; mentre un altro suo biografo, Eduardo Cruz, assicura che fu rosacrociano e altri insinuano persino che ebbe tendenze panteiste ed atee.
Letture, voci, interpretazioni. Suffragate dall’indubbio simbolismo ermetico e alchemico presente in molte opere dell’architetto catalano: dalla X al fornello dell’alchimista, dall’albero della vita al labirinto, fino a svariati animali che assumono da secoli una simbologia iniziatica, come il pellicano, il serpente, il drago. Quel che è certo, però, è che il prossimo alcuni anni fa la Sagrada Familia – ormai costruita la 60 per cento – è stata consacrata niente meno che da Benedetto XVI, un Papa molto attento agli aspetti teologici del suo pontificato.
Del resto l’opera di Gaudì è per sua stessa ammissione ispirata alla natura: «Ciò che è in natura è funzionale, e ciò che è funzionale è bello. Vedete quell’albero? Lui è il mio maestro», diceva Gaudi a chi gli domandava da dove traeva le sue forme. Parole poco adatte a un architetto cripto-massone… «La Sagrada Familia o la Cripta della Colonia Güell, dove ogni elemento decorativo ha un profondo simbolismo religioso – ha scritto Michele Palamara – sono esempi di una fede fortissima radicata nel centro rurale dove Gaudì ha vissuto da bambino, e dove la professione del cristianesimo era l’anello di congiunzione fra l’individuo e la collettività».
Non bisogna dimenticare, inoltre, che molti dei presunti simboli alchemici e massonici fanno più riferimento alla tradizione classica che non a probabili messaggi per “iniziati”. Come nota Angela Patrono, se all’ingresso del Parc Güell troviamo un dragone a sorvegliare l’entrata dei padiglioni, si tratta di una citazione del mito del giardino delle Esperidi, dove Ercole – sconfitto il drago alato – può accedere per cogliere le mele d’oro. Eusebi Güell, committente dell’opera e principale mecenate di Gaudí, era infatti un appassionato di mitologia greca e intendeva fare del parco una nuova Delfi: un luogo incontaminato, ispirato alla città greca sede del tempio di Apollo, dio della poesia. E a chi sottolinea la presenza di arcani simbolismi persino nel progetto della Sagrada Familia, risponde lo stesso Antoni Gaudì, che ha sempre spiegato la presenza delle 18 torri come una rappresentazione dei 12 apostoli, dei 4 evangelisti, della Madonna e, la più alta di tutte, di Gesù. Le torri degli evangelisti sono sormontate da simboli della tradizione: un uomo, un toro, un aquila e un leone.
Che Gaudì, anche dopo la morte, venisse percepito come un importante esponente della cultura cattolica lo conferma pure un episodio avvenuto nel ’36, durante la guerra civile spagnola, quando un gruppo di militanti anarchici incendiò il suo studio, bruciando i preziosi progetti originali della cattedrale, e tentò persino di appiccare il fuoco al cantiere della Sagrada Familia. E questo benché l’architetto non fosse un simbolo dell’odiato potere centralista di Madrid, bensì un noto – anche se tiepido – simpatizzante della causa catalanista: nel ’24 venne persino fermato dalla polizia mentre si recava ad una messa celebrata in memoria degli eroi catalani morti nel 1714 in difesa della città.
Antoni Gaudì era figlio di calderai e proprio alle sue origini artigiane tributò sempre la sua capacità di dare forma ai progetti teorici. Si diplomò nel 1878 alla Scuola Superiore di Architettura di Barcellona, ma già prima riuscì a lavorare con i migliori architetti del tempo, anche per potersi pagare gli studi. La sua grande fortuna fu di incontrare un ricco industriale, rimasto estasiato da una vetrina per un negozio di guanti disegnata dal maestro in gioventù. Si trattava di Eusebi Güell, il quale, diventando il suo mecenate, gli diede massima fiducia e massima disponibilità economica. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, Gaudì realizza le sue opere più celebri, destinate a passare alla storia, riprendendo le linee dell’architettura araba, gotica e barocca e mischiandole con tratti innovativi e fantasiosi, elementi curvi, mosaici e ciminiere. La famosa Casa Milà, conosciuta come “la Pedrera”, sembra ricavata dalla roccia; in realtà la struttura è in acciaio ed è ricoperta da grandi blocchi di pietra lavorati. A partire dal 1910, però, rinunciò ad ogni altro incarico per dedicarsi esclusivamente all’edificazione della Sagrada Familia. Una chiesa che sapeva benissimo di non poter finire, data l’imponenza dell’opera e la scarsità di risorse economiche a sua disposizione. «Il mio cliente non ha fretta», ironizzava alludendo a Dio.
Nel 1915 Gaudí arrivò a chiedere l’elemosina tra i ricchi borghesi di Barcellona per continuare l’opera: stendendo la mano tra le strade e le case della città che lui stesso aveva contribuito ad abbellire, chiedeva “un centesimo per amor di Dio”. Fiorirono gli aneddoti e le leggende su un uomo che aveva rinunciato al denaro e alla fama per un’impresa che molti giudicavano improba. Ma per lui non era così: «Nella Sagrada Familia tutto è frutto della provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». Al suo funerale parteciparono migliaia di barcellonesi, dall’aristocrazia al popolino: gli studenti di Architettura portarono il feretro di Antoni Gaudì a spalle fino al cantiere della Sagrada Familia, dove venne interrato nella cripta che lui stesso aveva progettato e costruito.
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