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dimanche, 23 octobre 2011

La tolleranza di Voltaire non è che la maschera di una nuova e più feroce intolleranza

La tolleranza di Voltaire non è che la maschera di una nuova e più feroce intolleranza

di Francesco Lamendola

Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

 

Abbiamo già visto come il gran padre del liberalismo, John Locke, abbia proclamato, fin dal 1689 (l’anno della “Glorious Revolution” inglese) il sacro principio della tolleranza universale; escludendone, però, per ragioni di fatto e di principio, tutta una serie di categorie umane e specialmente religiose: guarda caso, i non inglesi, i non protestanti, i non cristiani, i non religiosi (cfr. il nostro articolo «Locke auspica tolleranza religiosa per tutti, ma invoca la persecuzione di cattolici islamici e atei», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 10/02/2011).

Ci resta da vedere come il suo legittimo successore in terra di Francia, Voltaire, abbia a sua volta ripreso ed esposto le proprie idee in fatto di tolleranza, questo roboante slogan dell’Illuminismo che, nel 1793, non varrà a risparmiare la vita di forse un milione di Vandeani, cattivi cittadini che non vorranno accogliere con il berretto frigio e l’Albero della Libertà le deliziose parole d’ordine: libertà, fraternità, uguaglianza, ma che preferiranno farsi massacrare, potenza dell’ignoranza e della superstizione, in difesa del loro re, della loro Chiesa e dei loro signori.

Per farsi un’idea dell’estensione che Voltaire accorda al suo soggetto, basta andare a cercare il codicillo, l’avvertenza, la specificazione in cui esplicitamente, come già aveva fatto il padre nobile Locke, vengono esposte le categorie di cittadini immeritevoli di godere anch’essi dei benefici della tolleranza, perché non sono veramente esseri umani, ma “lupi”: e con i lupi, si sa, non bisogna mostrare alcuna pietà, perché la pietà sarebbe un crimine verso gli altri, cioè verso i “bravi” cittadini, rispettosi dei Lumi della ragione e di tutto l’armamentario liberale.

Ecco dunque cosa afferma Voltaire, nel capitolo XVIII del suo «Trattato sulla tolleranza» del 1763, circa ottant’anni dopo quello di Locke, che  in realtà, era stato scritto nel 1685-86 (titolo originale: «Traité sur la tolérance à l’occasion de la mort de Jan Calas»; traduzione italiana di Glauca Michelini, Demetra Editrice, 1995, pp. 79-80; capitolo intitolato esplicitamente: «I soli casi in cui l’intolleranza è di diritto umano»):

 

«Perché un governo non abbia il diritto di punire gli errori degli uomini è necessario che questi errori non siano delitti; essi sono delitti solo quando turbano la società: e la turbano non appena ispirano il fanatismo. È necessario dunque che gli uomini comincino col non essere fanatici per meritare la tolleranza.

Se alcuni giovani gesuiti, sapendo che la chiesa ha in orrore i reprobi,  che i giansenisti sono condannati da una bolla papale e che sono perciò dei reprobi, vanno ad appiccare il fuoco ad una casa dei Padri dell’Oratorio perché l’oratoriano Quesnel era giansenista, è chiaro che si sarà costretti a punire questi gesuiti.

Nello stesso modo, se hanno diffuso massime delittuose, se il loro istituto è contrario alle leggi del regno, non si può fare a meno di sciogliere la loro compagnia e abolire i gesuiti per trasformarli in cittadini, cosa che in fondo è un male immaginario, e per loro un bene reale, perché che cosa c’è di male nel portare un abito corto invece che una sottana, e nell’essere liberi invece che schiavi? Tranquillamente si riformano reggimenti interi, che non se ne lamentano: perché i gesuiti lanciano così alte grida quando li si sottopone a riforme per ottenere la pace?

Se i francescani, trasportati a sacro zelo per la Vergine Maria, andassero a demolire la chiesa dei domenicani, che sono convinti che Maria è nata nel peccato originale, si sarebbe allora obbligati a trattare i francescani quasi come i gesuiti.

Si dirà la stessa cosa dei luterani e dei calvinisti.  Avranno un bel dire: “Noi seguiamo i moti della nostra coscienza, è meglio obbedire a Dio che agli uomini; siamo il vero gregge, dobbiamo sterminare i lupi”. È evidente che allora sono lupi anche loro.

Uno degli esempi più singolari di fanatismo è stato quello di una piccola seta in Danimarca, i cui fondamento era il migliore del mondo. Costoro volevano procurare la salute eterna ai loro fratelli; ma le conseguenze che ricavano da questo principio fondamentale erano singolari.

Sapeva che tutti i bambini che muoiono senza battesimo sono dannati, e che tutti quelli che hanno la fortuna di morire subito dopo aver ricevuto il battesimo godono del la gloria eterna: andavano quindi sgozzando i bambini e le bambine appena battezzati che incontravano. Era senza dubbio un modo di fare loro il più grande bene possibile:  li si preservava dal peccato, dalle miserie di questa vitae dall’inferno; li si mandava infallibilmente in cielo. Ma queste caritatevoli persone non consideravano che non è permesso fare neppure un piccolo male in vista di un grande bene; che non avevano alcun diritto sulla vita di questi bambini; che la maggior parte dei padri e delle madri è abbastanza materialista da preferire  di avere con sé i propri figli e le proprie figlie anziché vederli sgozzare per mandarli in paradiso;  che, in una parola, il magistrato deve punire l’omicidio,  anche se commesso con buone intenzioni.

Sembra che gli Ebrei abbiano più diritto degli altri di derubarci e di ucciderci: infatti, benché ci siano cento esempi di tolleranza nell’Antico Testamento, tuttavia vi sono anche esempi e leggi di rigore. Dio ordinò loro talvolta di uccidere gli idolatri, e di risparmiare solo le figlie nubili: essi ci considerano idolatri, e anche se noi oggi li tollerassimo, potrebbero bene, se fossero loro a comandare, non lasciar al mondo che le nostre figlie.

Sarebbero soprattutto assolutamente obbligati ad assassinare tutti i Turchi, cosa ovvia; infatti i Turchi posseggono i territori degli Etei, dei Gebusei, degli Amorrei,  dei Gersenei, degli Evei, degli Aracei, dei Cinei, degli Amatei, dei Samaritani. Tutti questi popoli furono colpiti da anatema: il loro paese, che si estendeva per più di venticinque leghe, fu donato agli Ebrei con successivi patti. Essi devono rientrare in possesso dei loro beni: i maomettani ne sono gli usurpatori da più di mille anni.

Se gli Ebrei ragionassero così, è chiaro che non ci sarebbe altro modo  di rispondere loro che mandandoli in galera.

Questi sono i soli casi, all’incirca, in cui l’intolleranza sembra ragionevole.»

Questa pagina di prosa è notevole perché in essa si concentrano tutte le principali caratteristiche di Voltaire “filosofo”; se mai è lecito parlare di filosofia a proposito di una delle menti più eminentemente antifilosofiche nella storia del pensiero europeo, se mai ve ne fu una.

L’esordio è una tipica professione di fede nel Vangelo dei “diritti naturali” e della concezione dello Stato liberale come semplice strumento di tutela affinché il singolo cittadino possa esercitare i suoi diritti: i quali coincidono con la libertà di fare tutto ciò che, non potendosi qualificare come crimine, non incorre nei rigori della legge. In altri termini, la legge è quell’insieme di norme coercitive che colpiscono il crimine e di altro non si interessa; anche se vi sono molti comportamenti che, pur non essendo criminali, danneggiano gravemente la società, per Voltaire solo il delitto la turba e quindi solamente esso va punito.

Non solo: per Voltaire pare che un solo crimine turbi la società, il fanatismo; ecco allora che, per non incorrere nei rigori della legge, bisogna astenersi dal fanatismo: solo a questa condizione gli uomini diventano meritevoli di tolleranza.

A questo punto la tolleranza non risulta più l’atteggiamento fondamentale dell’uomo verso il suo simile e dello Stato verso il cittadino, bensì il prerequisito per meritare di essere trattati, a propria volta, con tolleranza: se non si è tolleranti, si è fanatici e se si è fanatici, non si merita alcuna tolleranza né dagli altri uomini, né, tanto meno, dalla società organizzata secondo i dettami della ragione, vale a dire dallo Stato.

Ovviamente, il primo esempio di fanatismo immeritevole di tolleranza che viene in mente al Nostro è quello dei gesuiti, i quali, come tutti sanno, impiegano la maggior parte del loro tempo andandosene in giro ad appiccare il fuoco alle chiese dei giansenisti: dunque, nessuna tolleranza con essi, ma, al contrario, il pugno di ferro dello Stato: nessuna pietà per quanti sono anatema rispetto al Vangelo del fondamentalismo illuminista.

Subito dopo Voltaire passa dal caso particolare al generale e  insinua che i gesuiti, essendo seminatori di dottrine velenose, meritano che il loro ordine venga sciolto e che essi siano ridotti allo stato laicale. Di fatto, i Gesuiti erano stati espulsi da tutti gli Stati europei entro il 1767, per cui, quando Voltaire scriveva il suo “pamphlet”, la cosa era già avvenuta; anzi poco dopo, nel 1773, il papa Clemente XIV procedette allo scioglimento della Compagnia di Gesù.

Subito dopo, con il suo solito ghigno derisorio, Voltaire si abbandona a una pesantissima ironia, affermando che la cosa migliore, per i gesuiti, è proprio quella di essere ridotti allo stato laicale, perché, in tal modo, lo Stato li spoglia di un  bene immaginario e dona loro un bene reale: infatti li trasforma da schiavi in uomini liberi e da portatori di sottana, in cittadini dal vestito corto, come tutti gli altri.

Ci vuole una bella faccia tosta per parlare così, vantando la violenza statale come un atto di generosità e deridendo il sentimento religioso altrui, anzi, facendosene beffe nella maniera più triviale: parlando di bene immaginario, infatti, egli butta nel cestino della carta straccia ciò che per migliaia di esseri umani è stato una ragione di vita e prefigura quel che accadrà con la Costituzione civile del clero durante la Rivoluzione francese, allorché migliaia di sacerdoti, di frati e di monache dovranno scegliere se accettare il sopruso oppure rimanere fedeli ai loro ideali, andando incontro al carcere, alla deportazione o alla morte sulla ghigliottina.

Poi, per fare sfoggio d’imparzialità, Voltaire se la prende con i francescani, con i luterani, con i calvinisti, con i giudei; ma il suo particolare, astioso malanimo verso il cattolicesimo e verso i gesuiti, traspare dal fatto che egli afferma che se altri, per esempio i francescani, dovessero comportarsi con altrettanto fanatismo dei membri della Compagnia fondata da Ignazio di Loyola, allora essi meriterebbero di essere trattati “quasi” - quasi, si badi - come questi ultimi.

Il brano dedicato ai Giudei è particolarmente interessante perché Voltaire, che pure si proclama loro difensore e loro estimatore, sottolinea che tutti i non ebrei, per questi ultimi, sono “infedeli” e che probabilmente verrebbero sterminati, qualora i rapporti di forza si capovolgessero; aggiunge pure che gli Ebrei, se tornassero padroni della Palestina, sterminerebbero migliaia e migliaia di musulmani. Il tutto in un crescendo di tale intensità, da mettere seriamente in crisi l’assioma secondo il quale l’antisemitismo sarebbe stato coltivato da tutti, tranne che dagli illuministi, perché questi ultimi, essendo i campioni della libertà e della tolleranza, non POTEVANO essere antisemiti (cfr. Il nostro recente articolo «Ma quanti contorsionismi per giustificare l’antisemitismo dell’”illuminato” Lichtenberg», apparso sul sito di Arianna Editrice il 26/09/2011).

La considerazione finale di Voltaire, secondo il quale, se tutti gli Ebrei ragionassero da nemici degli altri popoli e delle altre fedi, meriterebbero di essere “mandati in galera”, suona particolarmente sinistra, perché un popolo intero non si potrà mai mandare in galera, ma solo nei campi di concentramento, il che è precisamente quanto accadrà durante la seconda guerra mondiale; e, anche in quel caso, la motivazione dell’inumana decisione sarà di tipo difensivo: poiché gli Ebrei tramano contro la razza ariana, della quale sono divenuti mortali parassiti, allora è necessario metterli in condizioni di non nuocere, costi quel che costi…

E così, chi lo avrebbe detto, ecco che il campione della tolleranza universale assume le vesti, alquanto inquietanti, di un precursore dello sterminio del popolo ebreo, nonché di tutte le pratiche che il totalitarismo ha sempre prediletto per sbarazzarsi dei propri oppositori, dopo averli dipinti come nemici del genere umano, come nemici della pace e della tolleranza: perché, una volta che l’avversario sia stato trasformato non solo in un nemico irriducibile, come insegna Carl Schmitt, ma addirittura in un lupo feroce, che altro rimane da fare, se non abbatterlo senza pietà, come una fiera irrimediabilmente feroce e pericolosa?

Tolleranza per tutti, dunque: tranne che per chi non s’inchina alla Buona Novella della ragione.

Vengono in mente quei gesuiti del Paraguay che vennero espulsi dal marchese di Pombal, al solo scopo di “liberare” i poveri indios dall’odioso fanatismo cattolico e non certo perché i latifondisti portoghesi potessero farli schiavi impunemente: ma quando mai, questi sono solo cattivi pensieri…


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