dimanche, 20 octobre 2013
Interview with Davide Di Stefano
Interview with Davide Di Stefano
1) Sei stato in missione a Damasco, a fine agosto, quando c’era una seria minaccia di un intervento militare statunitense. Possiamo dire che ti trovavi nell’occhio del ciclone. Qual è stata la sensazione che hai provato in quel momento?
C’era sicuramente un po’ di apprensione in tutti noi della delegazione, visto che l’immagine che arrivava qui in Italia attraverso i media occidentali era di un paese totalmente distrutto. Senza contare che noi siamo arrivati a Damasco venerdì 30 agosto, con Obama che fino a due giorni prima aveva annunciato da giovedì 29 agosto l’inizio di due giorni di raid. A dire la verità la paura più grande era che la missione saltasse per ragioni di sicurezza.
2) Damasco è una città circondata. Nonostante gli avanzamenti dell’esercito siriano, intorno alla capitale ci sono diverse aree controllate dai ribelli. Come stanno affrontando questa situazione? In città hai notato una carenza di alimenti? Ci sono state interruzioni nella fornitura di energia elettrica e di acqua?
L’immagine che fornisce Damasco, almeno nella gran parte del suo territorio è quella di una città assediata ma paradossalmente “tranquilla”. La paura più grande girando per le strade della città è sempre quella di un possibile attentato. La situazione più calda si trova nei sobborghi est della città, dove si trova ad esempio il quartiere di Jobar. La popolazione come detto sembra affrontare con relativa tranquillità la situazione, pur nelle difficoltà anche economiche e pratiche che comporta. Ad esempio ci sono dei razionamenti per quanto riguarda l’energia elettrica e alcuni generi di prima necessità, soprattutto medicinali e latte in polvere spesso scarseggiano. A ricordare che c’è una guerra ci pensa l’artiglieria governativa, che dalle postazioni sul monte Qasioun colpisce i ribelli annidati nei sobborghi est, spesso rintanati in tunnel sotterranei.
3) Nonostante la minaccia di un attacco militare da parte di alcuni governi dei paesi occidentali, il popolo siriano era informato dell’ostilità dell’opinione pubblica occidentale nei confronti di un potenziale intervento militare?
Sia il popolo siriano che le autorità sono al corrente che esiste una differenza tra la politica dei nostri governanti e il grosso dell’opinione pubblica occidentale. I duri colpi incassati da Obama sul piano politico, come la posizione non interventista di paesi come l’Italia o la Germania, insieme al no del parlamento inglese, generano fiducia. Quando ci trovavamo in Siria la tv pubblica e i principali quotidiani hanno dato grande risalto alla nostra missione, anche per dimostrare alla popolazione che in Europa non sono tutti allineati. Anche la posizione del Papa e il digiuno contro la guerra hanno avuto grande risalto in Siria, proprio nei giorni in cui ci trovavamo là.
4) Durante la missione ha avuto l’opportunità di conoscere diversi elementi dell’esercito siriano. Sei stato anche ad un funerale di un giovane soldato quando stavate in viaggio per Tartus. Qual è lo spirito dell’esercito siriano? Le truppe sono motivate a sconfiggere i fondamentalisti islamici o temono un attacco americano?
L’esercito siriano è composto da molti soldati valorosi e convinti delle proprie ragioni. Il sentimento diffuso in tutta la popolazione è quello che un attacco contro la loro nazione rappresenterebbe una grave ingiustizia e che hanno tutto il diritto di difendersi. Così come spesso capita in medio oriente, l’esercito rappresenta un po’ il pilastro dello Stato ed è composto all’80% da elementi di etnia alawita, la stessa di Assad. Tra le truppe appare un po’ di stanchezza, anche perché oltre 28 mesi di guerra civile sfiancherebbero chiunque. Fino al 21 agosto l’esercito regolare siriano aveva riconquistato molte città e postazioni, i ribelli stavano vivendo un brutto periodo. Poi dal presunto attacco con le armi chimiche le cose sono cambiate e l’attenzione si è spostata su un possibile attacco americano, insieme a Gran Bretagna e Francia. Questo genera molta preoccupazione ma i siriani sono comunque fiduciosi di riuscire a reggere anche in caso di attacco americano, grazie al sostegno dei propri alleati Russia e Iran, alla forza e alla solidità della propria nazione e alla paura di Israele di subire un attacco missilistico.
5) Quali sono i piani per le future missioni del Fronte europeo per la Siria?
Questa è stata la prima missione del Fronte Europeo per la Siria ed ha avuto un forte significato politico e simbolico, portando la solidarietà diretta nel momento più difficile. Per il futuro, soprattutto come Solidarité Identités, abbiamo intenzione di realizzare una missione solidale già nei prossimi mesi. Abbiamo stretti ottimi contatti, soprattutto a Tartus, che essendo il secondo porto della Siria ha una buona predisposizione per l’invio di generi di prima necessità come latte in polvere e medicinali.
6) Per concludere, se potessi inviare un messaggio al Presidente degli Stati Uniti che gli diresti?
Di riconsegnare il premio nobel per la pace.
00:05 Publié dans Actualité, Entretiens | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : entretien, syrie, europe, affaires européennes, proche orient, levant | | del.icio.us | | Digg | Facebook
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