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vendredi, 25 juillet 2014

Obama e la strategia del nemico permanente

Obama e la strategia del nemico permanente

Il problema per Obama, come quello dei suoi predecessori, è quello di impedire la saldatura della vecchia Europa con la Russia.

Marco Mari

Barack_Oba.jpgPer gli Usa vincitori della Seconda Guerra Mondale è stato facile tenere uniti gli sati europei nella Nato: c’era da fronteggiare nel periodo della guerra fredda la temibile Urss. Con la caduto del muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’Unione Sovietica lo scenario è completamente cambiato, in quanto non c’era più un nemico da combattere. Bisognava urgentemente trovarne uno. Ecco comparire l’Iraq di Saddam Hussein per l’nvasione del Kuwait, messo nel mirino in “nome della sicurezza nazionale”.
Il presidente iracheno non era certamente una mammoletta, ma garantiva al suo paese  una vita dignitosa e libertà religiosa, cosa che in altri stati mediorientali non accade nemmeno oggi. Ovvio che quella guerra fu scatenata per il petrolio del quale è ricco quel paese. Da allora gli States hanno organizzato diverse campagne militari in giro per il pianeta al fine di destabilizzare questa o quell’area adducendo la necessità delle guerre umanitarie per l’esportazione della democrazia. La Serbia di Milosevic, l’Iraq 2.0, l’Afganistan. Dove non hanno agito in prima persona, gli Usa hanno sostenuto l’azione degli altri, vedi la Libia per sostituire lo scaltro Gheddafi con una classe dirigente di utili (e incontrollabili) idioti.
E’ evidente che di umanitario in questi interventi militari non c’era proprio nulla: solo interesse economico (petrolio e gas) oppure strategico. In Kosovo c’è una grande base Nato che chiude gli occhi di fronte al crocevia di ingenti traffici di droga e armi. Perfettamente in linea coi suoi predecessori (Bush e Clinton), Obama da più di due anni spinge per bombardare la Siria di Assad e se la cosa non si è ancora verificata è solo per la ferma opposizione della Russia che a Tartous ha una base militare. La Siria è un altro tassello per arrivare all’altro serbatoio di petrolio della zona: l’Iran, nemico giurato dell’Arabia Saudita alleata di Washington.
Vista l’impossibilità di mettere le mani sulla Siria il Pentagono ha il piano B: l’Ucraina paese di faglia, di confine tra due culture, quella occidentale e quella russa. Qui gli americani ci stanno lavorando da anni: prima di cesello (la rivoluzione arancione poi andata come è andata), poi finanziando e sostenendo l’opposizione semi-fascista al governo Yanukovic regolarmente eletto un paio d’anni fa e poi destituito dal golpe di qualche mese fa. Risultato: ecco l’ennesimo governo fantoccio.
Il resto è cosa nota: il referendum della Crimea svoltosi solo per l’intervento di Putin a tutela della regolarità del voto sotto l’occhio attento delle organizzazioni internazionali, ed ora le proteste delle regioni dell’est filo-russe che non si sentono più tutelata da Kiev dopo la chiusura delle tv in lingua russa e la messa al bando negli uffici pubblici e nelle scuole della lingua russa. Al Cremlino non preoccupa l’adesione di Kiev alla Ue, ma la base Nato che i nuovi dirigenti ucraini sono pronti a ospitare sul proprio territorio, avallando così il progetto Usa di circondare la Russia con batterie missilistiche. Dietro questa operazione c’è un vero e proprio risiko geopolitico ed economico. Washington divide l’Europa in due aree: la Vecchia Europa costituita da Germania, Francia, Italia e la Nuova Europa composta dalla Gran Bretagna e dalle nuove economie nate dalla dissoluzione del Comecon (patto di Varsavia) e dell’Urss.
Il problema per Obama, come quello dei suoi predecessori, è quello di impedire la saldatura della vecchia Europa con la Russia. E questo lo vediamo nelle attuali posizioni in campo: da una parte gli Usa e la Gran Bretagna pronte a misure durissime, al limite del bellico contro Putin, e dall’altro la Merkel molto più morbida. Mosca è fortissimamente dipendente dalle esportazioni tedesche, ma se la Germania dovesse chiudere con Mosca perderebbe almeno 300mila posti di lavoro. Senza contare la chiusura delle forniture di gas siberiano del quale non possiamo tutti fare a meno e che al momento non è possibile sostituire in breve tempo.
A questo punto dobbiamo porci un interrogativo: Siamo ancora disposti a seguire gli Stati Uniti per la loro sete di supremazia sul pianeta tenendo conto che ci hanno spinto a partecipare a conflitti che sono  serviti solo alle multinazionali? Agitare lo spauracchio dell’oligarca Putin è ridicolo: Mosca avrebbe potuto invadere l’Ucraina in men che non si dica ma non lo ha fatto dimostrando capacità diplomatiche superiori a quella politica delle minacce americane.
Purtroppo da questa eurocrazia filo-Usa non possiamo aspettarci nulla di buono: speriamo che nel prossimo parlamento Ue ci siano tanti onorevoli pronti a dare un taglio diverso e nuovo alla politica estera continentale, a favore dei popoli e contro le lobbies economico-finanziarie che da troppo tempo imperano su tutti noi. L’Europa deve trovare la sua identità in quanto restando serva degli Sates non può far altro che scomparire perché è questo che la Casa Bianca vuole.


28 Aprile 2014 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=23394

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