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mercredi, 18 juillet 2007

Giuliano e il "monoteismo solare"

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GIULIANO E IL "MONOTEISMO SOLARE"
Claudio Mutti

Unus Deus, unus Julianus

Richiesto di abbozzare un "ritratto" dell'Imperatore Giuliano, il teologo Sergio Quinzio fece ricorso ad una inedita e provocatoria analogia: paragonò infatti l'"Apostata" a Giovanni Paolo II, individuando nell'azione di entrambi il disperato tentativo di tenere in vita una religione ormai condannata a tramontare. "Se Giuliano mi avesse interpellato circa la possibilità della rifondazione della civiltà pagana, - scriveva il teologo - avrei dato la stessa risposta negativa che darei oggi se il Papa mi interpellasse circa la possibilità della rifondazione della civiltà cristiana" (1). Non solo: "proprio lo sforzo di restaurazione compiuto dal giovane imperatore contribuì allora a far definitivamente precipitare il paganesimo. E la cosa mi sembra puntualmente ripetersi, per quel tanto che nella storia si danno puntuali ripetizioni" (2). 

Un parallelo altrettanto originale è stato prospettato da Jacques Fontaine, docente di lingua e letteratura tardolatina della Sorbona, nella conversazione con un giornalista che gli suggeriva un raffronto tra Giuliano e altri protagonisti della storia "con progetti abbastanza simili" (sic!) quali Hitler o Stalin. "Io - rispose Fontaine - lo affiancherei meglio, se si volesse, a Khomeini. Per il fanatismo, per il sentirsi investito da un ruolo divino, per il fatto di considerarsi un dio. E poi per la cultura. Per la violenza, il settarismo. Di Giuliano abbiamo descrizioni fisiche molto precise. Una, di Ammiano di Antiochia (la barba a punta, gli occhi magnetici, la figura ieratica), lo fa davvero molto assomigliare, anche nei tratti, all'ayatollah iraniano" (3).

La galleria dei personaggi storici ai quali Giuliano è stato paragonato nel passato viene così ad arricchirsi. Non sappiamo che cosa ne avrebbe pensato Stalin. Da parte sua, Hitler avrebbe probabilmente gradito l'accostamento, lui che più volte ebbe a manifestare la propria ammirazione per il grande "Apostata" (4).

Quanto a Khomeini, lasciando da parte le abusate banalità sul "fanatismo" e l'assurdità del "considerarsi un dio" (!), un discorso un po' meno dozzinale avrebbe potuto considerare il carattere teocratico comune sia al progetto dell'Augusto sia a quello dell'Imam, per cui un riferimento all'azione restauratrice del monoteismo islamico avrebbe potuto attualizzare, se proprio era necessario farlo, il tentativo giulianeo di instaurare quello che qualcuno ha chiamato un "monoteismo di Stato" (5). Né tale operazione sarebbe stata scientificamente abusiva, dato che la parentela ideale fra la teologia solare antica e l'Islam è stata autorevolmente indicata da uno studioso del calibro di Franz Altheim, per il quale "i Neoplatonici (.) erano anche i battistrada di Maometto e del suo odio appassionato contro tutte le fedi che attribuivano a Dio un 'compagno'" (6), mentre un celebre studio di Henry Corbin sulla dottrina dell'unità divina (tawhîd) nell'Islam sciita si apre con un richiamo alla letteratura fiorita negli anni Venti del Novecento intorno al "dramma religioso dell'Imperatore Giuliano" (7). 

Eppure, è stato proprio Jacques Fontaine a riproporre, in rapporto alla religione che Giuliano officiò come pontifex maximus (8), il concetto di "monoteismo solare", al quale hanno fatto frequentemente ricorso quanti hanno indagato le manifestazioni religiose dell'età imperiale. Secondo lo studioso francese, infatti, la forma che la tradizione greco-romana assume all'epoca di Giuliano è quella di "una sintesi di tutte le religioni e le teologie pagane, sotto il segno del monoteismo solare" (9); ovvero, se si preferisce il sinonimo usato da altri studiosi, di un "enoteismo solare" definibile nei termini seguenti: "Giuliano vuole dimostrare a tutti che il dio Helios è l'unico, vero dio e che le numerose divinità romane altro non sono che ipostasi, ossia aspetti particolari, manifestazioni specifiche e settoriali dell'unica, suprema divinità solare" (10). 

Monoteista o enoteista, la dottrina difesa da Giuliano è sintetizzata da diverse epigrafi coeve che proclamano l'unicità di Dio, nonché l'unità e unicità del potere imperiale (11); epigrafi che secondo Spengler possono essere tradotte solo così: "Vi è un solo Dio e Giuliano è il suo profeta" (12). La ricorrenza di questo tema, che "ha un'importanza centrale nella concezione politica di Giuliano" (13), ha indotto la Athanassiadi-Fowden a parlare addirittura di "ossessione per l'unità" (14) e a dare risalto al fatto che "Giuliano non abbia neanche concepito la possibilità di condividere il potere con un associato, ma si sia invece considerato l'unico vicario di Dio sulla terra" (15). Tale concezione politica trova la sua formulazione più antica in Omero, il quale fa dire a Odisseo: "Non è un bene la pluralità dei capi, uno solo sia capo" (16); Seneca espone lo stesso principio per l'Impero romano, dicendo che "è stata la natura a plasmare il Re" (17); e Filone Alessandrino aggiunge un corollario che stabilisce l'analogia tra politeismo e democrazia: "Dio è uno solo, e ciò contro i fautori dell'opinione politeistica, i quali non si vergognano di trasferire dalla terra al cielo la democrazia, che è la peggiore tra le cattive istituzioni" (18). 

In fatto di "monoteismo solare", Giuliano non inventò nulla, ma si limitò a perfezionare un processo di definizione teologica che era già in atto da tempo e che Franz Altheim riassume nei termini seguenti: "La storia dell'antico dio del sole, considerata a grandi linee, è quella di un progressivo raffinamento. Il culto, di origine beduina, si stabilisce in una città della Siria. Per la sua singolarità e la sua assolutezza mette a rumore il mondo occidentale, ne provoca la più appassionata ripulsa. Ma la sua rappresentazione letteraria, la filosofia neoplatonica, e, non ultima, la capacità assimilatrice della religione romana e della concezione romana dello stato, compiono il miracolo: dalla divinità di Elagabalo (218-222 d. C.), inquinata dalle orge e dalla superstizione orientale, nasce il più puro degli dèi, destinato ad unificare ancora una volta la religiosità antica" (19). Nel 274 d. C., sotto Aureliano, il monoteismo solare diventò la religione ufficiale dell'Impero Romano e il Sol Invictus venne riconosciuto come la divinità suprema: a Roma sorse uno splendido tempio dedicato al Sole, in onore del quale furono istituite feste periodiche, mentre venne creato un collegio di pontefici del dio Sole e si coniarono numerose monete con iscrizioni e simboli solari. In tal modo "il 'monoteismo', a cui il sincretismo severiano aveva indirizzato il paganesimo romano, trovò nel culto solare propugnato da Aureliano la sua affermazione più decisa ed efficace" (20), tant'è vero che nel muro dell'intransigenza cristiana si dovette registrare qualche fessura (21). All'epoca di Costantino acquisirono una considerevole importanza "le immagini monoteizzanti della religione di Helios: l'Apollo solare ed il Sol Invictus risaltano nei rilievi dell'arco di trionfo e nelle monete dell'epoca" (22). Mentre le figure degli dèi scomparivano pian piano dalle monete di Costantino, il dio solare s'imponeva sempre di più: "Sol Invictus (.) sopravvive anche più a lungo in tutto il territorio controllato da Costantino e in tutte le sue zecche (.) sembra che l'imperatore di persona avesse per il dio Sole una profonda devozione" (23). Nella burocrazia e nell'esercito, la religione solare aveva la sua massima diffusione: "il Sol Invictus e la Victoria erano gli dei militares dell'esercito di Costantino; altrettanto favore aveva la divinità solare nelle legioni di Licinio" (24).

Considerata in un quadro storico, la formulazione giulianea della teologia solare si colloca in una fase matura del neoplatonismo, nella quale i cardini dottrinali di questo movimento spirituale si trovano già definitivamente fissati e consolidati. Se il fondatore della scuola, Plotino (204-270), aveva riconosciuto nell'Uno il principio dell'essere ed il centro della possibilità universale, il suo successore Porfirio di Tiro (233-305) aveva fatto del neoplatonismo una sorta di "religione del Libro" (25); autore di uno scritto Sul Sole (26), Porfirio aveva dedicato alla teologia solare un trattato di cui sussistono importanti frammenti nei Saturnali di Macrobio (27). "Nella sua trattazione Porfirio non fa altro che applicare la metafisica platonica - che riconduce all'Uno ogni aspetto del cosmo - alle divinità più importanti del pantheon classico, rivelando come esse non siano altro che attribuzioni particolari dell'Unico, che dal punto di vista teologico viene a determinarsi come Sole, in quanto quell''essenza' spirituale sul piano cosmico si 'appoggia' all'astro del giorno (.) in quanto Apollo egli è splendore, salute e lucentezza (.) in quanto Mercurio poi, egli 'presiede al linguaggio' (Saturn., I, XVIII, 70), cosicché ogni attività viene ricondotta ad una presenza divina - 'solare'" (28). Ma fu l'erede di Porfirio, il "divino Giamblico" (250-330), colui che con la sua dottrina "convertì (.) l'ultimo imperatore pagano alla sua eliolatria trascendente" (29). Dopo Giuliano, è possibile seguire la tradizione "solare" fino a Proclo (410-485), autore fra l'altro di un Inno a Helios (30), nonché al suo contemporaneo Marziano Capella, che con l'inno-preghiera di Filologia al Sole (De nuptiis, II, 185-193) ci ha lasciato un "documento notevole della 'teologia solare' del tardo neoplatonismo" (31), anzi, "l'ultima attestazione del sincretismo solare in Occidente" (32); infatti verso il 531, con la fuga in Persia dello Scolarca Damascio (470-544) e degli altri neoplatonici, la tradizione "solare" abbandonerà il mondo cristiano e continuerà la propria esistenza negli stessi luoghi dai quali si era irradiato, diffondendosi in tutta l'Europa, il culto di Mithra.

Sol Invictus

In un inno della tradizione iranica (Yasht, 10, 136) Mithra compare su un carro con una sola ruota, d'oro, che viene trainato da cavalli bianchi (33); perciò Strabone (XV, 3) può affermare a buon diritto che sotto il nome di Mithra i Persiani venerano Helios. A Roma, dove sarebbe stato identificato col Sol Invictus, il dio solare trovò i suoi primi seguaci intorno il 66 a. C.; verso la fine del primo secolo d. C., il suo culto assunse un'importanza considerevole, fino a diffondersi su tutti i territori dell'Impero, dall'Anatolia alla Britannia. Verso la fine del secondo secolo, tra gli iniziati ai misteri di Mithra vi fu anche un imperatore, Commodo; "cento anni più tardi, la potenza di Mithra era tale ch'esso sembrò un momento esser vicino ad eclissare i suoi rivali d'Oriente e d'Occidente e a dominare il mondo romano tutto intero" (34). Nel 307, Diocleziano, Galerio e Licinio proclamarono Mithra, "protettore del loro Impero" (fautor imperii sui). Il mithraismo si configurava ormai nei termini di "una religione (.) quasi 'enoteista', cioè una religione che riconosce molte divinità, ma allo stesso tempo insegnava che esse in fondo erano solo apparizioni differenti di uno stesso dio" (35). Quanto a Giuliano, egli "comprese che il Mithracismo, se voleva diventare una religione universale, (.) doveva aprirsi di più alle interpretazioni filosofiche. È per questo che l'inno al Sole composto dall'imperatore stesso è ispirato dal misticismo di Giamblico; Mithra s'identifica con il Sole, con Apollo, con Fetonte, Iperione e Prometeo. Le altre divinità non sono altro che l'emanazione della potenza del Sole. Giuliano si identifica col buon pastore, al quale era imposta la morale di Mithra: 'Bontà verso gli uomini che egli era chiamato a governare, pietà verso gli dèi, padronanza di sé' " (36). 

Molto probabilmente Giuliano fu iniziato ai misteri mithraici allorché, in qualità di Cesare, si trovava al comando delle truppe della Gallia, fra il 355 e il 361; "dall'anno 357 in poi si ritrova a Roma una intera serie di iscrizioni mitraiche. Appare evidente un collegamento con l'ascesa di Giuliano" (37). Della sua iniziazione ci parla egli stesso in alcune righe al termine dell'opera I Cesari, che traduciamo qui di seguito: "A te - ci disse Hermes - io ho dato di conoscere il Padre Mithra. Tu tieniti ai suoi comandamenti; ti procurerai così, finché vivrai, una gomena e un porto sicuro e, quando bisognerà andarsene via di quaggiù, troverai, con buona speranza, un dio benigno come guida" (336C). Altri accenni si trovano nelle orazioni Al Re Helios (130C) e Alla Madre degli dèi (172D-173A).

Il monoteismo o enoteismo solare officiato dall'Imperatore Giuliano ha il proprio testo dottrinale (38) in quell' "imponente edificio di sintesi teologica in chiave enoteista" (39) che è l'Inno al Re Helios. Scritto verso la fine del 362 ad Antiochia, alle falde di quel monte Casio, "sede di pietà eliolatrica con caratteristiche perspicue" (40), sul quale Giuliano ascese per contemplare il sorgere del Sole ed eseguire un sacrificio a Giove (41), l'Inno al Re Helios non è semplicemente un gesto di devozione privata, ma "si presenta come una partecipazione dell'autocrator alla solennità pubblica del Sol invictus" (42); la festa del Natale solare veniva infatti celebrata nel giorno del solstizio invernale, il 25 dicembre. Come l'opuscolo I Cesari, composto alcuni giorni prima, così anche l'Inno al Re Helios fu dedicato all'amico Salustio, l'autore del trattatello Sugli dèi e il mondo (43).

La dottrina esposta nell'Inno ha il suo riferimento fondamentale in Platone. Giuliano cita un brano della Repubblica (508B-C) dal quale risulta che il Sole (Hélios) è nel mondo sensibile e visibile (aisthetòs, oratòs) ciò che il Sommo Bene, sorgente trascendente dell'essere, è nel mondo intelligibile (noetòs); in altre parole: l'astro diurno non è che un riflesso di quel Sole metafisico che illumina e feconda il mondo delle essenze archetipiche, le platoniche "idee". Ovvero, per dirla con Evola: "Helios è il Sole, non come astro fisico divinificato ma come simbolo di luce metafisica e di potenza in un senso trascendente" (44). Ma tra il mondo intelligibile dell'Essere puro e il mondo delle forme corporee percepibili dalla vista fisica e dagli altri sensi s'interpone un terzo mondo: un mondo che viene definito "intellettuale" (noeròs), ossia dotato di intelligenza.

A riconferma del fatto che certi accostamenti non sono poi del tutto peregrini, riportiamo un passo del teosofo islamico Mahmûd Qotboddîn Shîrâzî (1237-1311), il quale riassume la dottrina dei tre mondi dicendo che Platone e gli altri sapienti dell'antica Grecia "professavano l'esistenza di un doppio universo: da un lato l'universo del puro soprasensibile, che comprende il mondo della Divinità e il mondo delle Intelligenze angeliche; dall'altro, il mondo delle Forme materiali, vale a dire il mondo delle Sfere celesti e degli Elementi e, tra l'uno e l'altro mondo, il mondo delle Forme immaginali autonome" (45). Ipostasi del Principio supremo ("figlio dell'Uno") al centro di questo mondo mediano, Helios vi svolge una funzione mediatrice, coordinatrice e unificatrice in rapporto alle cause (le "divinità") intellettuali e demiurgiche, partecipando sia dell'unità del Principio trascendente sia della molteplicità contingente della manifestazione fenomenica. La sua posizione è dunque la più centrale che possa essere concepita e giustifica il titolo di Re che gli viene riconosciuto. In termini teologici: tutti gli dèi dipendono dalla luce di Helios (46), che è l'unico a non essere sottoposto alla necessità costrittiva (anánke) di Zeus, con il quale, in realtà, egli si identifica.

Giuliano viene poi a trattare dei poteri (dynàmeiai) e delle energie (enérgheiai) di Helios, cioè, rispettivamente, delle sue potenzialità e delle sue attività in relazione ai tre mondi. L'aspetto più considerevole di questa parte dell'Inno (143B-152A) consiste nel tentativo di ricondurre la molteplicità degli dèi ad una unità principiale rappresentata per l'appunto da Helios, sicché le varie figure divine ci appaiono come suoi aspetti, ovvero come Nomi corrispondenti alle sue innumerevoli qualità. Una dottrina analoga era stata d'altronde enunciata da Diogene Laerzio, il quale interpretava Zeus, Atena, Era, Efesto, Posidone, Demetra come appellativi corrispondenti ai "modi della potenza" dell'unico Dio (47). 

In Helios, dunque, confluisce il potere demiurgico di Zeus; né d'altronde esiste alcuna reale differenza tra i due. Atena Prònoia è scaturita, nella sua integralità, dalla totalità di Helios; essendo l'intelligenza perfetta di Helios, essa riunisce gli dèi che lo circondano e realizza l'unione con lui. Afrodite rappresenta la fusione degli dèi celesti, l'amore e l'armonia che caratterizzano la loro essenziale unità. Ma soprattutto, in quanto racchiude in sé i principi della più armonica sintesi intellettuale, Helios viene identificato con Apollo, il quale, date le sue qualità fondamentali di immutabilità, perfezione, eternità, eccellenza intellettuale, è la personificazione dell'unità divina esprimentesi come intelligenza pura ed assoluta. "In altre parole, agli occhi di Giuliano, Apollo appare come l'aspetto più puramente intellettuale di Helios, la figura divina che esprime più semplicemente e direttamente l'unità del mondo intellettuale" (48).

Già Plutarco, nel dialogo Sulla E di Delfi, aveva riconosciuto in Apollo la persona divina in cui si determina immediatamente il principio primo della manifestazione universale ed aveva scoperto nel nome stesso del dio, utilizzando lo strumento dell'etimologia, il significato dell'unità e dell'unicità divina (49). E Porfirio, nella sua opera Sulla filosofia degli oracoli (50), aveva citato un responso apollineo secondo il quale c'è un solo dio, Aiòn ("Eternità"), mentre gli altri dèi non sono altro che i suoi angeli; "si riteneva comunemente che gli dèi del paganesimo fossero emanazioni di virtù dell'Essere Supremo, o tutt'al più suoi subordinati" (51). D'altra parte, attestazioni della dottrina dell'unità divina si trovano presenti, prima e dopo Plutarco, in tutto l'arco della tradizione greca, da Omero (52) fino allo stesso dedicatario dell'Inno al Re Helios (53), a dimostrazione dell'assunto secondo cui, "contrariamente all'opinione corrente, non vi è mai stata, in nessun luogo, nessuna dottrina realmente 'politeista', ossia ammettente una pluralità di princìpi assoluta e irriducibile" (54).

L'ultima parte dell'Inno contiene una rassegna dei doni e dei benefici dispensati da Helios al genere umano, che da lui trae origine e da lui riceve sostentamento. Padre di Dioniso e signore delle Muse, Helios elargisce agli uomini ogni saggezza; ispiratore di Apollo, di Asclepio, di Afrodite e di Atena, egli è il legislatore della comunità; infine è lui, Helios, il vero fondatore e protettore di Roma. È dunque a questo dio, creatore della sua anima immortale, che Giuliano rivolge la richiesta di accordare all'Urbe un'esistenza parimenti immortale, identificando così "non solo la sua missione personale sulla terra, ma anche la sua salvezza spirituale, con la prosperità dell'Impero" (55).

Ancora una volta viene ricordato nell'Inno il debito nei confronti di Giamblico (250-330), che per Giuliano è sempre "il divino Giamblico", "l'amato dagli dèi", "l'illustre ierofante", "l'ispirato"; d'altra parte, come è stato giustamente detto, "la dottrina di Giamblico spiega il tentativo di Giuliano e ne nobilita il significato" (56). 

Il discorso è suggellato da una preghiera finale a Helios, la terza contenuta nell'Inno: che il Re dell'universo conceda al suo devoto celebrante una vita virtuosa e un più perfetto sapere e, nell'ora suprema, lo faccia ascendere in alto fino a Sé (57).


(1) S. Quinzio, Come l'Apostata anche Wojtyla combatte contro il tempo in nome dell'antica religione, in Il Manifesto, 13 agosto 1992, p. 13.

(2) Ibidem.

(3) Imperatore e khomeinista, intervista con Jacques Fontaine di Sandro Ottolenghi, in Panorama, 7 giugno 1987, p. 143. 

(4) A. Hitler, Idee sul destino del mondo, Edizioni di Ar, Padova 1980, I, pp. 68, 78, 223.

(5) G. Ricciotti, L'imperatore Giuliano l'Apostata, Mondadori, Milano 1962, p. 275.

(6) F. Altheim, Dall'antichità al Medioevo. Il volto della sera e del mattino, Sansoni, Firenze 1961, pp. 14-15. Ma soprattutto si veda, di F. Altheim, Il dio invitto. Cristianesimo e culti solari, Feltrinelli, Milano 1960, dove la relazione fra teologia solare e Islam viene collocata sullo sfondo del progressivo affermarsi del monoteismo solare nella tarda antichità. "Recentemente si è sottolineata l'intima affinità del monofisismo con l'Islam. Si è definito Eutiche, uno dei padri della dottrina monofisitica, precursore di Maometto. La predicazione di Maometto era infatti ispirata dall'idea di unità, dall'idea che Dio non avesse alcun 'compagno', e si poneva così sulla stessa linea dei predecessori e vicini neoplatonici e monofisiti. Solo che la passione religiosa del Profeta seppe dare un rilievo ben più vigoroso a quello che prima di lui altri avevano sentito e desiderato" (F. Altheim, Il dio invitto, cit., p. 121).

(7) H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 3.

(8) J. Fontaine, Introduzione a: Giuliano Imperatore, Alla Madre degli dèi e altri discorsi, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1990, p. lv.

(9) J. Fontaine, ibidem.

(10) S. Arcella, I Misteri del Sole. Il culto di Mitra nell'Italia antica, Controcorrente, Napoli 2002, p. 183.

(11) "Uno è Dio, uno è Giuliano basileus", "Uno è Dio, uno è Giuliano Augusto". Cfr. E. Peterson, HEIS THEOS. Epigraphische, formgeschichtliche und religionsgeschichtliche Untersuchungen, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1926, pp. 270-273.

(12) Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente, Longanesi, Milano 1957, p. 970.

(13) Augusto Guida, Un anonimo panegirico per l'Imperatore Giuliano, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1990, p. 127.

(14) Polymnia Athanassiadi-Fowden, L'Imperatore Giuliano, Rizzoli, Milano 1984, p. 205.

(15) P. Athanassiadi-Fowden, op. cit., p. 206. 

(16) Omero, Iliade, II, 204.

(17) Seneca, De clementia, 1, 19, 2.

(18) Filone, Creazione del mondo,171 (Filone di Alessandria, La creazione del mondo. Le allegorie delle leggi, Rusconi, Milano 1978, p. 146).

(19) Franz Altheim, Il dio invitto, cit., pp. 11-12.

(20) Marta Sordi, Il cristianesimo e Roma, Cappelli, Bologna 1965, p. 328.

(21) Nel 307, ad Alessandria, un cristiano compare davanti al funzionario imperiale. Rifiuta di sacrificare perché, dice, secondo le Sacre Scritture chi sacrifica agli dèi sarà sterminato, a meno che non si tratti del Dio Sole. E il rappresentante dell'imperatore gli risponde: 'Immola dunque al Dio Sole'" (Louis Homo, Les empereurs romains et le christianisme, Les Belles Lettres, Paris 1931, p. 112).

(22) Lucio De Giovanni, Costantino e il mondo pagano, Associazione di Studi Tardoantichi, Napoli 1972, p. 19.

(23) Andreas Alföldi, Costantino tra paganesimo e cristianesimo, Laterza, Bari 1976, p. 49.

(24) L. De Giovanni, op. cit., p. 121.

(25) Nuccio D'Anna, Il neoplatonismo. Significato e dottrine di un movimento spirituale, Il Cerchio, Rimini 1988, p. 22.

(26) Lo scritto, perduto, è citato da Servio (Commento alle Ecloghe, V, 66) ed è forse da identificarsi col trattato Sui nomi divini; o, forse, faceva parte della Filosofia degli oracoli. Cfr. G. Heuten, Le "Soleil" de Porphyre, in Mélanges F. Cumont, I, Bruxelles 1936, p. 253 ss.

(27) Macrobio, Saturnalia, I, 17-23 (I Saturnali, a cura di Nino Marinane, UTET, Torino 1977, pp. 243-304).

(28) N. D'Anna, op. cit., pp. 49-50.

(29) Franz Cumont, La Théologie solaire du paganisme romain, in Mémoires présentés par divers savants à l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, XII, 2, 1913, p. 477.

(30) Proclo, Inni, a cura di Davide Giordano, Fussi-Sansoni, Firenze 1957, pp. 21-29.

(31) Martiani Capellae De nuptiis Philologiae et Mercurii liber secundus, Introduzione, traduzione e commento di Luciano Lenaz, Liviana, Padova 1975, p. 46.

(32) Robert Turcan, Martianus Capella et Jamblique, « Revue des Études Latins », 36, 1958, p. 249.

(33) Trad. it. dell'Inno a Mithra: Italo Pizzi, Lyra Zarathustrica, versione metrica, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, XLIV (1909), pp. 805-828. 

(34) F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, I libri del Graal, Roma 1990, p. 116.

(35) Reinhold Merkelbach, Mitra, ECIG, Genova 1988, p. 94.

(36) Martin Vermaseren, Mithra, ce dieu mystérieux, Éditions Sequoia, Paris-Bruxelles 1960, p. 155.

(37) R. Merkelbach, op. cit., p. 291. 

(38) "Breviario per la chiesa pagana", per usare le parole del Ricciotti, op. cit., p. 275.

(39) Nello Gatta, Giuliano Imperatore. Un asceta dell'idea di Stato, Edizioni di Ar, Padova 1995, p. 52.

(40) T. Agozzino, in: Ammiano Marcellino, Giuliano e il paganesimo morente, Paravia, Torino 1972, p. 116.

(41) Ammiano Marcellino, XXII, 14, 4.

(42) Christian Lacombrade, in: L'Empereur Julien, Oeuvres complètes, Les Belles Lettres, Paris 1964, t. II, 2a parte, p. 95. 

(43) Sallustio, Sugli dèi e il mondo, a cura di Claudio Mutti, Edizioni di Ar, Padova 1978 (2° ed. 1993); F. Daverio, Versione di "Sugli Dei e sul Cosmo" di Sallustio filosofo, "Conoscenza religiosa", 4, 1981, pp. 415-430; Salustio, Degli Dei e del Cosmo, in Gli occhi dell'anima. Intreccio di scrittura fra Giuliano detto l'Apostata e Saturninio Secondo Salustio. Il Catechismo di Salustio, a cura di Giuseppe Dagnino, ECIG, Genova 1996; Salustio, Sugli dèi e il mondo, a cura di Riccardo Di Giuseppe, Adelphi, Milano 2000.

(44) Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Edizioni Mediterranee, Roma 1974, p. 162. (32) 

(45) H. Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste. Dall'Iran mazdeo all'Iran sciita, Adelphi, Milano 1986, p. 140.

(46) Sulla scia di Corbin, che include i "Neoplatonici cosiddetti tardivi" (e quindi anche il nostro Giuliano) tra le coraniche "genti del Libro" (Il paradosso del monoteismo, cit., p. 70) è stato suggerito che Helios "equivale a ciò che nell'Islam è chiamato an-nûr min 'amri-llâh, 'la luce che procede dal comando divino", per cui "non è altra cosa da quella 'nicchia delle luci' dalla quale (.) è attinta ogni sapienza" (Roberto Billi, L'Asino e il Leone. Metafisica e Politica nell'opera dell'Imperatore Giuliano, tesi di laurea, Università di Parma, anno accademico 1989-1990, pp. 79-80).

(47) Diogene Laerzio, VII, 147 (= Stoicorum Veterum Fragmenta, II, fr. 1021).

(48) R. Billi, op. cit., p. 85.

(49) Plutarco di Cheronea, Sulla E di Delfi, a cura di C. Mutti, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1981. L'autore dell'Inno al Re Helios, che si pone sulla scia di Plutarco e, in fin dei conti, di Platone, sicché anche per lui l'etimologia "è principalmente una 'scienza ausiliaria' della riflessione sul mito, in quanto i nomi divini conservano con particolare precisione i pensieri degli Antichi sulle realtà metafisiche" (R. Billi, "Antichi" e "moderni" nel pensiero dell'imperatore Giuliano, in Philologica, II, 2-3, gennaio 1993, p. 118.

(50) G. Wolff (a cura di), Porphyrii de philosofia ex oraculis haurienda librorum reliquiae, Springer, Berlin 1866.

(51) A. D. Nock, La conversione. Società e religione nel mondo antico, Laterza, Bari 1974, p. 182.

(52) Si veda, ad esempio, il brano della "corda d'oro" (Iliade, VIII, 18-27), dove la "schiacciante superiorità di Zeus sugli uomini ma anche sugli dèi" (M. S. Mirto, Commento a: Omero, Iliade, Einaudi-Gallimard, Torino 1997, p. 1010) simboleggia la nullità della molteplicità di fronte all'unità principiale. 

(53) Scrive infatti Salustio: "La causa prima conviene che sia una, poiché l'unità precede ogni molteplicità" (Sugli dèi e il mondo, a cura di C. Mutti, Edizioni di Ar, Padova 1993, 2a ed., pp. 27-28). 

(54) R. Guénon, Aperçus sur l'ésotérisme islamique et le taoïsme, Gallimard, Paris 1973, p. 38. " La dottrina dell'Unità, cioè l'affermazione secondo cui il Principio d'ogni esistenza è essenzialmente Uno, è un punto fondamentale comune a tutte le tradizioni ortodosse e noi possiamo anche dire che la loro identità di fondo appare nel modo più evidente proprio su questo punto, traducendosi fin nell'espressione stessa" (ibidem, p. 37).

(55) Mario Mazza, Filosofia religiosa ed "Imperium" in Giuliano, in: AA. VV., Giuliano Imperatore, Atti del Convegno della S.I.S.A.C. (Messina, 3 aprile 1984), a cura di Bruno Gentili, QuattroVenti, Urbino 1986, p. 90.

(56) Nuccio D'Anna, Il neoplatonismo, Il Cerchio, Rimini 1988, p. 62.

(57) È veramente necessario avere una fantasia sfrenata e perversa, per cogliere in questa preghiera finale l'ironia di un Voltaire della tarda antichità, che avrebbe mascherato il proprio ateismo radicale dietro una scrittura dissimulatrice. Si può anche essere un grande studioso di Hegel, ma non si è capito assolutamente nulla di Giuliano, se ci si ingegna a sostenere con la massima serietà che l'Inno al Re Helios "è volutamente una parodia degli scritti di Giamblico", nella quale l'autore si fa beffe del dio e "si prende apertamente gioco della teologia in genere (sia pagana che cristiana) e della 'mistica' cosiddetta neoplatonica in particolar modo" (Alexandre Kojève, L'Imperatore Giuliano e l'arte della scrittura, Donzelli, Roma 1998, p. 30).

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