samedi, 27 avril 2013
Il grande equivoco della «nuova evangelizzazione»
di Francesco Lamendola
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]
Sacerdoti e credenti laici, da un po’ di tempo a questa parte, si vanno riempiendo la bocca con una nuova espressione che, a loro parere, dovrebbe spiegare e giustificare tutto, mentre non spiega e non giustifica proprio nulla: la cosiddetta nuova evangelizzazione.
Si parte da un dato corretto, anzi, perfino banale nella sua lampante evidenza: il mondo moderno è diventato radicalmente laico, o, per meglio dire, laicizzato e secolarizzato; si è radicalmente allontanato dal sacro e dal religioso; si è radicalmente scristianizzato. Il sogno di Hébert, degli “enragés”, dei sanculotti del 1793 si è infine realizzato: ma non già, come essi cercarono di fare, chiudendo le chiese e abolendo gli ordini religiosi, bensì svuotando le chiese dei fedeli e trasformando, snaturando lo spirito dei monasteri.
Da questa constatazione nasce l’idea, in sé giusta, che il cristianesimo, almeno in Occidente, deve ripartire da zero: alle masse secolarizzate, immerse nel materialismo e nell’edonismo più sfrenato, si deve riproporre la Buona Novella ripartendo da niente: non ci sono più basi, non si deve dare nulla per scontato, perfino il battesimo non è che un rito formale. La verità è che i cristiani sono diventati non solo minoranza, ma esigua minoranza; e che, anche fra di essi, l’autentico spirito di fede è paurosamente scemato, quando non è stato alterato e perfino travisato.
Le cause sono molteplici, ma tutte riconducibili al fenomeno della modernizzazione: prima con la Rivoluzione scientifica, poi con la Rivoluzione industriale, infine con le ideologie “progressiste” di matrice illuminista – liberalismo, democrazia, socialismo, comunismo, radicalismo -, la società occidentale ha imboccato sempre più decisamente la strada della glorificazione dell’uomo e delle sue opere: gli stati, le merci, il denaro, la scienza e la tecnica; e, contemporaneamente, la strada dell’oblio dell’essere, dell’assoluto, di Dio.
Spesso la glorificazione dell’uomo, davanti ai ripetuti insuccessi, agli errori ed ai crimini di cui è stata costellata la marcia verso le “magnifiche sorti e progressive”, si è rovesciata nel suo contrario: nell’amaro disprezzo, nella svalutazione totale, nello schifo, nella nausea, nella nullificazione. Raramente, però, dallo schifo, dalla nausea e dalla nullificazione di sé, l’uomo moderno ha avuto la forza di ritrovare la necessaria umiltà e di chiarire a se stesso le ragioni del proprio scacco; raramente ha trovato il coraggio di riconoscere l’origine del proprio fallimento e di rimettersi sulla strada dell’essere, alla ricerca dell’assoluto, che sola avrebbe potuto spegnere la sete divorante che ontologicamente appartiene alla sua natura.
La Chiesa cattolica rispecchia e riflette le contraddizioni del mondo moderno, prima fra tutte l’idolatria del’uomo e delle sue opere. A un certo punto ha creduto che l’unico modo per non scomparire, per conservare il proprio messaggio e trasmetterlo alle future generazioni, fosse quello di parlare la stessa lingua del mondo moderno, di adottare i suoi punti di vista, la sua prospettiva, il suo stile, le sue finalità. Molti cristiani lo pensavano in buona fede, sia chiaro, e lo pensano tuttora: hanno creduto, così facendo, di riagganciare il treno in partenza, di ristabilire un dialogo con quanti avevano perso la fede o la stavano perdendo: e non si sono accorti che, un poco alla volta, inavvertitamente, quelli che stavano perdendo la fede erano loro.
Hanno creduto, per esempio, che la liturgia fosse una semplice veste esteriore; e l’hanno a tal punto modificata, da renderla irriconoscibile. Hanno creduto che il dogma si potesse “interpretare” alla luce della mentalità moderna: e, come i protestanti, hanno cominciato a leggerlo ciascuno a suo modo, sempre con la “buona” intenzione di renderlo più comprensibile, più al passo coi tempi. Hanno cominciato a sentire, a pensare, a vestire, a parlare, ad agire in tutto e per tutto come gli “altri”. Perdendo la propria specificità, e ciò sulla base di un grande equivoco: che, per dialogare con l’altro, sia necessario abolire la distanza, rinunciando a quel che si è. Ma questo non è dialogare: questo è camuffarsi, abdicare a se stessi, imbrogliare le carte. Non è una forma di rispetto né verso gli altri, né verso se stessi, né, meno ancora, verso la verità.
Sempre più spesso sedicenti “teologi” cattolici pubblicano libri, rilasciano interviste e imperversano nei salotti televisivi, per sostenere delle autentiche enormità, per vendere come l’ultimo grido del politicamente corretto e dell’audacia speculativa una serie di affermazioni che nulla hanno di cristiano e che gettano solamente la confusione e lo smarrimento fra i credenti, mentre non servono affatto a conquistare l’attenzione e il rispetto dei non credenti, come invece essi - non sai se più ingenui o vanitosi - s’immaginano.
Siffatti teologi negano il mistero, negano i miracoli, o quasi tutti i miracoli; negano, in sostanza, il soprannaturale: imbevuti di evoluzionismo, di psicanalisi, di storicismo e di positivismo, pensano e parlano come se solo le verità della scienza, dell’economia, della politica fossero degne di rispetto; come se soltanto l’agire fosse utile e necessario, mentre il pregare – specie se in un monastero di clausura – fosse parassitismo. Questo non lo dicono esplicitamente, beninteso: ma lo si evince chiaramente da tutti i loro discorsi. Ostentano una filosofia “progressista” che dovrebbe catturare la benevolenza dei loro interlocutori profani, mentre attira su di essi solamente il disprezzo. In compenso, vengono lusingati nella loro umana vanità: i loro libri si vendono bene, i conduttori televisivi li invitano spesso. Non si accorgono nemmeno di essere il trastullo di quei salotti buoni, gli inconsapevoli buffoni della situazione. Li trovano utili, finché parlano male del Papa o deridono la credenza nel Diavolo, finché gettano dubbi sulla vita dell’anima, sul peccato, sul Giudizio: li strumentalizzano ed essi ci cascano, lusingati nella loro ambizione, nel loro narcisismo intellettuale. Si sentono dei grand’uomini, degli “illuminati” e sono gratificati dal pensiero che stanno contribuendo a “modernizzare” il cristianesimo.
E sempre più spesso membri del clero parlano e si comportano come se non credessero nel sacramento del sacerdozio: non vedono l’ora di vestirsi in borghese, appena terminato di officiare la messa; preidicano con disinvolta leggerezza, turbano le coscienze con affermazioni azzardate e gratuite; in privato, ma sovente anche in pubblico, criticano ferocemente la Chiesa, rammentano gli scandali, i casi di pedofilia, la corruzione della Curia; incuranti di ogni spirito di carità, di umiltà, di obbedienza, parlano male del Papa – lo hanno fatto specialmente con Woityla e Ratzinger; in breve: fanno di tutto per piacere al “mondo” e per farsi perdonare la “colpa” di essere, loro malgrado, esponenti di una istituzione oscurantista e retrograda.
In molte chiese, la messa è diventata una sorta di pomposo rito laico, simile, in tutto e per tutto, a una qualsiasi assemblea profana: si ripete qualche formula, magari sopprimendo le più “imbarazzanti” (come il “Confiteor”); si ascolta una omelia che ha ben poco di spirituale; si fa della musica con le chitarre e si cantano delle canzoni insulse e dolciastre, pervase di un buonismo tanto generico quanto insipido; ci si rivolge ai vicini di banco per scambiarsi il cosiddetto “segno di pace”, stringendosi la mano come si farebbe in piazza, al passeggio, con grandi segni di amicizia e simpatia (anche se ciascuno è solo coi suoi problemi e, una volto uscite di lì, le persone non si salutano nemmeno).
L’anima non trova il silenzio, non si rivolge verso l’alto; la presenza di Dio è un “optional”, non la si sente viva e vibrante nei gesti e nelle parole del sacerdote; questi, anzi, volta costantemente le spalle all’altare del Santissino, si tiene sempre rivolto all’assemblea, come farebbe un qualsiasi oratore profano: si direbbe che la Messa sia una faccenda fra lui ed essa, che sia, al massimo, una semplice commemorazione. Dello Spirito che scende sui fedeli, del mistero della transustanziazione, si stenta a riconoscere la presenza. Ciascuno si prende in mano la particola, come se fosse un qualunque pezzo di pane, e la porta alla bocca da sé: come dire: faccio da solo, non ho bisogno di nessun altro. Ma questa è la dottrina luterana del sacerdozio universale: non è una dottrina cattolica.
Ultima in ordine di tempo, da Cagliari giunge la notizia che un gruppo di frati francescani e di suore hanno organizzato canti e balli in piazza, coinvolgendo alcune decine di ragazzi, con lo scopo dichiarato di “riavvicinare” a Dio le persone: il tutto in una sarabanda di movenze scomposte, in un frenetico agitarsi di corpi come in una discoteca, che si sarebbe potuto giudicare semplicemente grottesco, se non fosse stato, prima di tutto, penoso. Alla fine la manifestazione é stata sciolta dalle forze dell’ordine, perché sprovvista delle necessarie autorizzazioni.
La preghiera, il silenzio, il decoro, la modestia, il rientro nelle profondità dell’anima, per trovare la Parola assoluta: tutto questo, per quei religiosi, è passato di moda. Oggi bisogna predicare Dio a tempo di rock; scimmiottando lo stile profano, essi pensano di farsi pescatori di uomini: ma chi è che rimane preso veramente nella rete, a questo punto: il pesce o il pescatore? Lo spettacolo che essi hanno offerto era ridicolo, ma anche pericoloso: il cristianesimo che hanno “proposto” al pubblico non era che una caricatura della fede, una mascherata totalmente fuorviante.
La domanda è sempre la stessa: per dialogare con il mondo moderno, bisogna introiettare la filosofia del mondo moderno? Se così fosse, allora sarebbe più semplice fare quel che fecero Lutero e Calvino cinque secoli fa: abolire la Chiesa, sopprimere gli ordini religiosi e la distinzione fra sacerdoti e laici, leggere e interpretare liberamente le Sacre Scritture, eliminare quasi tutti i sacramenti, negare al Papa qualunque obbedienza; e, soprattutto, smettere di sforzarsi di essere dei buoni cristiani, perché tanto non serve a niente, Dio ha già deciso chi salvare e chi no.
Lutero e Calvino, almeno, furono coerenti (meno coerenti gli storici professionisti che si ostinano a chiamare “riforma” quella che fu una radicale distruzione), mentre questi teologi, questi preti e questi fedeli “progressisti” dei nostri giorni non hanno nemmeno la virtù della coerenza: vorrebbero snaturare completamente la fede, ma senza avere il coraggio di dirlo e, forse, nemmeno l’onestà di rendersene conto. Intanto si affannano per tirare la Chiesa dalla loro parte, per tirare il Papa per la falda della sottana, spostandoli sempre più verso le loro posizioni. La fede?, una possibilità. La vita dopo la morte?, forse. Il sacerdozio femminile: perché no? Le unioni di fatto, i matrimoni gay: perché no, dopotutto? Aborto ed eutanasia: no, certo; però, bisogna vedere, vi sono taluni casi…
E così via, di dubbio in dubbio, di possibilismo in possibilismo, di compromesso in compromesso: alla fine quel che resterà non avrà più niente di specificamente cristiano e neppure di specificamente religioso. Sarà una pseudo-religione fatta da ciascuno sulla propria misura, come si va dal sarto ad ordinare un vestito. Una “religione” buona per tutte le stagioni, che costa il minimo della fatica intellettuale e nessun sacrificio sul piano morale. Una religione comoda, una religione usa e getta. Gesù Cristo, alla fine, sarà uno dei tanti maestri di saggezza: un uomo notevole, certamente, ma insomma un uomo. Come dicono i Testimoni di Geova. E la morte, tornerà ad essere la morte: la parola definitiva sulla vita, come nell’Antico Testamento. Poi, forse, Dio resusciterà i defunti: ma l’anima, l’anima immortale, non sarà più necessaria.
Si tornerà a leggere i Vangeli e si “scoprirà” che Gesù, nel deserto, non è stato tentato da Diavolo, perché quel racconto è un semplice simbolo; che i pani e i pesci non sono stati moltiplicati, perché anche quello è solo un simbolo; che Lazzaro non è stato richiamato dal paese dei morti, perché questo non è possibile. Quasi quasi, si scoprirà che Gesù non ha fondato una nuova religione: era un ebreo, che pensava da ebreo, ed ebrei erano i suoi seguaci - Paolo compreso, l’evangelizzatore dei gentili. Dunque il cristianesimo non è che una forma di ebraismo, un ebraismo rivisto e adattato alla mentalità dei non ebrei.
Allora bisogna avere il coraggio di dire che Pio X, quando ha condannato il modernismo, definendolo “sintesi di tutte le eresie”, ha sbagliato in pieno; bisogna avere il coraggio di dire che molti teologi, preti e laici hanno visto nel Concilio Vaticano II la rivincita della verità rappresentata dal modernismo, ingiustamente condannato; e che il cristianesimo attuale, che essi volevano e vogliono, è un cristianesimo modernista, ossia un cristianesimo fatto a immagine e somiglianza del mondo moderno, che dice solo quelle cose che piacciono al mondo moderno e che tace o si vergogna di tutte le cose che, al mondo moderno, potrebbero dare fastidio.
Resta solo da capire che cosa potrebbe farsene, l’uomo moderno, di un siffatto cristianesimo. Per sentire dei discorsi che piacciono al mondo moderno, non c’è bisogno di una religione, né di una chiesa, e tanto meno del cristianesimo, Le stesse cose le dicono già, e le dicono meglio, innumerevoli ideologie politiche, sociali, filosofiche; meglio ancora: le dice la società moderna, senza bisogno di ideologie. Le dice con l’adorazione quotidiana delle cose, del denaro, del sesso, del potere. E dunque, perché ripeterle tra le navate di una chiesa, scimmiottando lo stile del mondo?
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