mardi, 14 octobre 2014
L’uomo come potenza
L’uomo come potenza
Ex: http://romeocastiglione.wordpress.com
Sfoglio con calma le pagine del libro L’uomo come potenza di Julius Evola. Tolgo i petali di una malefica rosa e lascio cadere sul pavimento infiniti aneliti di spasimo. Leggo, rifletto. Dinanzi a me compare una realtà incontaminata: accolgo in silenzio la magia dei Tantra. E soffermo il mio sguardo su un rigo ipnotico. «Evocare una immagine. Fissarvisi, perdersi, per così dire in essa. Bruscamente, sostituirla con un’altra». Chiudo gli occhi e vedo con la mente una ragazza in una stanza. La luce penetra attraverso i buchi delle persiane. È un pomeriggio estivo. Avverto un desiderio di distruzione; l’Inquietudine assale il mio corpo. Così cambio figurazione. Sorge all’improvviso un oceano di ghiaccio. Non si avverte nessun rumore. Il desiderio è atrofizzato. È fuggita la sofferenza.
Resto attonito. Ebbene rileggo il testo altre volte. Sottolineo, scopro. Tra le mani ho un dardo infuocato. E questo idealismo magico è paurosamente meraviglioso: è la vittoria totale dell’individuo. È il superamento dell’idealismo hegeliano. È l’abbraccio mortale del romanticismo tedesco di Novalis e Fichte con il metallico pensiero di Nietzsche. È la negazione della dualità cristiana; conseguenzialmente è il rifiuto del rapporto di dipendenza tra l’Individuo e il Dio trascendente ritenuto fondamentale da Schleiermacher. L’Io è il signore assoluto.
L’uomo come potenza raccoglie nelle pagine l’impetuosa unione della migliore filosofia occidentale con le dottrine orientali. Evola porta all’attenzione del lettore un Oriente remoto e distante dagli stereotipi. Con codesto saggio è stata confutata la distinzione tra i due poli. Non alberga certamente in questo luogo l’Oriente del buddismo arcano e delle primordiali Upanishad. Non occorre fuggire dal mondo; bensì bisogna dominarlo. Proprio per siffatto motivo l’autore ha esaltato il sistema tantrico, in altre parole il sistema orientale con più assonanze con lo spirito del moderno occidente. Nell’età buia, nell’epoca del Kali Yuga non c’è spazio per la conoscenza: soltanto la potenza brutale libera l’individuo.
Quindi è possibile dominare il mondo tramite la potenza liberatrice. L’Io deve diventare un Dio. Propriamente occorre recuperare l’immensa e grandiosa signoria di sé. L’individuo è sovrano ed è una “super monade”. La via dell’azione è salvifica. L’individuo è come un nero cavallo demoniaco libero dai lacci e dalle leggi morali. È il nero cavallo dell’auriga di Platone; è il dionisiaco puledro dalle sembianze tenebrose. È il sole, è la potenza distruttiva. Agire unicamente per l’azione è l’obiettivo. Di conseguenza si oltrepassa la soglia del bene e del male. Non c’è più il bene, non c’è più il male. L’individuo decide ciò che è bene e ciò è male. «Non si tratta cioè – dice Evola – né di violare le leggi, né di conformarvisi, bensì di elevarsi al livello di ciò per cui ogni legge e condizione non ha senso alcuno». Orbene le cupe e ipnotiche parole sembrano vampe immaginifiche. Cerca Dio chi è debole. L’individuo che cerca la libertà diventa Dio.
Proprio con la pratica dei Tantra (precisamente del ҫakti – tantra) l’individuo si libera nel mondo. La potenza divina proietta lungo un avvallamento magico. La naturale realizzazione di sé trova la sua suprema origine nel principio femminile della Shakti. Pertanto lo shaktismo mantiene talune importantissime attinenze con gli antichi culti del mondo mediterraneo pelasgico. Kali è una dea nera e nuda. La sua sagoma sprigiona una mistica sessualità intrisa di disintegrazione; ed è nera anche la Diana d’Efeso. Così come la Madonna Nera del Tindari in Sicilia. Tramite i Tantra è possibile affermare la priorità della potenza sull’esistenza. Al Principio c’è un potere e l’essere è subordinato a esso. Nella scala gerarchica tutti gli esseri vengono dopo e anche Dio viene dopo. Allora la potenza è libera e non è soggetta alle leggi razionali e a quelle morali. In pratica non ha un Dharma, un ordine più su di lei. Con il mondo c’è un rapporto di potenza e la potenza è soltanto la manifestazione. La potenza in azione è la coincidenza del desiderio e della liberazione. Proprio il mondo è il luogo materiale della liberazione. Insomma, bisogna porsi «faccia a faccia con la legge, resisterle e non esserne spezzati ma dominarla e spezzarla; osare di strappar via i veli con la realtà originaria e prudentemente coperta, osare di trascendere la forma per mettersi a contatto con l’atrocità originaria di un mondo in cui bene e male, divino e umano, giusto e ingiusto non hanno alcun senso. […] Ostacoli uno solo: paura. È una lotta terribile. Vi può essere vittoria e vi può essere catastrofe». L’autore individua nei Tantra un titanismo indomito e velato di allusioni nietzschiane. Evola rivendica la possibilità di «poter vivere tragicamente».
Bisogna mantenere la schiena dritta fino al momento di lasciare sé. Per farlo serve la potenza di distrazione, la rinuncia, l’auto crudeltà, la durezza, e la pratica occulta. Per di più bisogna essere coerenti e lineari. Il pentimento è vietato: non esiste alcun rimorso. Una “colpa” voluta non è una reale colpa. È necessario evitare il piacere; in linea di massima la strada maestra è quella della maggior resistenza. Non bisogna giustificare le proprie azioni. Non sussiste la condotta morale: soltanto nel dualismo la morale ha un’importanza. Per il superamento dei paҫa, in altre parole dei legami affettivi è fondamentale mantenere una dura condotta. La pietà, la delusione, il peccato, il disgusto, la famiglia e le convenzioni non hanno alcun valore. È una lotta atroce. Spunta tra i riflessi dell’opera un crepuscolare catastrofismo. Si dipanano le tenebre della perversa realtà. L’Individuo sfida il Dharma, il cosmos. Raccoglie dentro di sé il caos e sprigiona la volontà di potenza. Si arrampica a mani nude sopra una rocciosa parete; il senso di vertigine minaccia la stabilità. Sotto c’è il vuoto. Egli può soltanto andare avanti. Le pietre si sbriciolano intorno a lui. Soltanto in cima c’è la libertà.
In pratica nel volume il tantrismo è spiegato alla stregua di una “scienza positiva”. E l’idealismo magico di Evola è un frullato robusto e ammaliante. Nell’idealismo di Evola, in altre parole nell’idealismo “magico” l’Io si mette in rapporto diretto con le cose. Supera così la conciliazione astratta di spirito e mondo, di soggetto e oggetto figurata da Hegel. Codesto idealismo trae linfa da Novalis: il pensatore romano, in un certo senso, enfatizza ancor di più l’individuo. L’uomo come potenza rientra nel novero delle opere evoliane a carattere filosofico speculativo. L’autore con la successiva Teoria dell’individuo assoluto esaspera ulteriormente la “tragica dimensione dell’esistenza”. Il Superuomo di Nietzsche è oltrepassato sul filo del rasoio. La potentissima “vettura” evoliana percorre una strada stregata. Il singolo sceglie un eccezionalissimo percorso e procede a velocità elevate. Pertanto il poetico “solipsismo” non incute nessun timore. L’individuo assoluto determina ciò che è vero e ciò che è falso. Pare Humpty Dumpty, il personaggio ideato da Lewis Carroll che incontra Alice; Humpty cambia dispoticamente il significato delle parole poiché si sente un padrone. E nell’epoca della dissoluzione, nell’ultima epoca il corpo cerca la sua liberazione. Non è più il tempo della conoscenza. L’ascetismo non alberga fra le righe del libro. Ebbene non subire il fascino distruttivo del volume equivale a non scottarsi i piedi sui carboni ardenti: è impossibile. Di là dai Tantra è possibile scorgere un codice crittografato dal sapore robusto. L’uomo come potenza potrebbe diventare una sorta di nuovo “manuale di sopravvivenza” per gli uomini estranei al proprio tempo. Ma è un manuale algido, rigido, severo. È la vittoria di Dioniso è la consequenziale sconfitta di Apollo; è la vittoria del disordine sull’ordine morale devastatore della potenza dell’individuo. Dopo aver letto L’uomo come potenza il mondo non sarà più lo stesso e i problemi saranno analizzati con distacco. È un libro per pochi eletti. È un libro elegantemente antidemocratico.
E nei nostri giorni esiste l’individuo assoluto. Ad esempio le frange estreme del pianeta ultras corrono lungo una linea invisibile e peccaminosa. Nel cinema ho ritrovato diverse volte tale figura. Il Principe del film Ultrà è un individuo assoluto; così come Jena Plissken di Fuga da New York. È un individuo assoluto Saverio lo skinhead del lungometraggio Teste Rasate. Ebbene anche il generale Kurtz di Apocalypse Now è un individuo assoluto. Chi domina il mondo e chi non riconosce le leggi morali è un Dio. È un Dio chi obbedisce soltanto a sé stesso. Oggi codesti pensieri fanno male. Pesano come frammenti di roccia gravidi di rabbia.
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