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samedi, 10 janvier 2009

La Shanghai Cooperation Organization ed il nuovo "Grande Gioco"

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La Shanghai Cooperation Organization ed il nuovo «Grande Gioco»

http://www.eurasia-rivista.org

di Andrei Areshev*

Lo sviluppo di agosto nel Caucaso e la crisi finanziaria globale dei paesi occidental, risultante dalle politiche avventurose che hanno condotto gli Stati Uniti, hanno predeterminato il bisogno di un nuovo posizionamento dei principali giocatori del mondo e del loro atteggiamento nei confronti dei punti chiave sull'agenda globale. Ciò si applica alla Russia, in primo luogo.

Convalidando le misure da prendere per evitare le minacce poste alla Russia dal sistema di difesa antimissile degli Stati Uniti, il presidente russo Dmitry Medvedev, nel suo indirizzo alla nazione del 5 novembre, ha sottolineato la loro natura forzata, “abbiamo ripetutamente detto ai nostri partner che siamo aperti alla cooperazione positiva. Vorremmo neutralizzare le minacce comuni ed agiamo in tal modo insieme. Purtroppo, siamo notevolmente afflitti dalla riluttanza dei nostri partner ad ascoltarci”.

L'elezione di Barack Obama ha incontrato un grande ottimismo, sia in Europa che da determinate parti nella Russia, non dovrebbe ingannare: basta ricordare Clinton e gli attacchi aerei alla Jugoslavia che aveva ordinato. “Dovremo prendere decisioni molto difficili, anche quelle pertinenti gli affari internazionali… Ho lavorato sotto sette presidenti. Garantisco che così sarà. Posso offrirvi cinque o sei varianti, per esempio, il Medio Oriente o la Russia”. [all'inverso nella traduzione dal Russo. - edit.], ha detto durante la campagna elettorale Joseph Biden, asso degli affari esteri e nuovo vice presidente.

In questo contesto, un più dinamico ‘vettore orientale’ nella politica estera russa, volta alla cooperazione economica e militar-politica con gli alleati della Russia in Asia centrale e nella regione dell’Asia Pacifica, dovrebbe essere considerata come una cosa naturale. Stabilito negli anni ’90, come semplice meccanismo per le consultazioni sulle questioni di frontiera, l'organizzazione della cooperazione di Schang-Hai (SCO) sta trasformandosi gradualmente in un fattore importante della politica globale. Ciò è dimostrata, definitivamente, dal suo lavoro dinamico e dal vivo interesse da parte di nuovi potenziali membri. Basti dire che quattro stati nucleari, compreso l'India ed il Pakistan, finora sono stati coinvolti direttamente o indirettamente nelle sue attività. La tendenza verso l'ampliamento dell'organizzazione indica che i paesi euroasiatici più importanti sono delusi dagli Stati Uniti e stanno provando a risolvere i problemi regionali riunendo le loro forze e senza alcun mediatore.

A seguito della crisi di agosto nel Caucaso, le consultazioni politiche all'interno del SCO si sono intensificate. La sessione del Consiglio dei Ministri del SCO ha approvato un progetto di regolamento sullo status di partner dialogante dell'Organizzazione della Cooperazione di Schang-Hai, a Dushanbe, fin dal 25 luglio.

Il 28 agosto 2008 ha visto la firma della dichiarazione di Dushanbe, con le questioni economiche poste come e loro priorità, “a dispetto del contestuale rallentamento economico globale, la valuta responsabile e le politiche finanziarie, il controllo dei movimento di capitale, la sicurezza energetica ed alimentare”. Verso la fine di ottobre, Astana, la capitale del Kazakhstan, ha ospitato la sessione dei capi di governo del SCO assistiti dai primi ministri Kirghiso, Russo, Tajiko, Cinese, Uzbeco e Kazako. La sessione ha adottato le risoluzioni interessate a registrare il piano d'azione per ottenere l'attuazione del programma del commercio multilaterale e della cooperazione economica degli stati membri del SCO, specialmente, le risoluzioni sul rendiconto finanziario del SCO nel 2007, il preventivo per il 2009 ed un certo numero di altri argomenti organizzativi.

I capi di governo del SCO hanno firmato un comunicato congiunto sul risultato della sessione ed erano presenti alla firma del protocollo sullo scambio delle informazioni e sul controllo dei movimenti delle fonti di energia da parte dei servizi della dogana degli stati membri del SCO. Malgrado la mancanza di accordi innovativi, la sessione è stata tra quelle più fruttuose, poiché la crisi finanziaria alimenta l’interesse reciproco di Russia e Cina nelle varie forme di coordinazione regionale. Sarebbero state espresse l’intenzione che Mosca e Pechino vogliano usare lo SCO come moltiplicatore di forza nella promozione più dinamica delle loro idee per la riforma del sistema dei cambi attuale.

Lo SCO è divenuto un argomento influente della geopolitica. Una dichiarazione del ministero degli esteri del Kazakhstan, chiede che lo SCO sia trasformato gradualmente in un'organizzazione regionale completa.

Gli sforzi dinamici del SCO hanno apertamente infastidito Washington, che vi vede, regolarmente, il progetto di un cosiddetto 'egemonismo Cinese' e 'Imperialismo russo’. Il loro fastidio parla da sé, dati pilastri su cui si basa la politica estera di Washington in Eurasia, “malgrado i desideri dei politici francesi e cinesi, nessuna situazione di compensazioni o federazione ristabilirà un sistema di equilibrio dei poteri analogo a quello dell’Europa dei secoli diciottesimi e diciannovesimi, almeno non nell'immediato futuro.

Malgrado i desideri degli idealisti, nessuna istituzione internazionale ha dimostrato d’essere capace di un’efficace azione, in assenza del potere generato ed esercitato dagli stati [Storia ed Iperpotenze di Cohen E. La Russia nella politica globale. 2004, 5° edizione]”. Naturalmente, quando una tal alleanza o persino un suo suggerimento emerge, gli strateghi degli Stati Uniti fanno del loro meglio per screditarla e piantare un cuneo fra i suoi membri - e più presto agiscono, è miglio è. Secondo Cohen, “l'organizzazione della cooperazione di Schang-Hai è uno strumento con cui la Cina aumenta la sua influenza in Asia centrale. Questa organizzazione impedisce agli Stati Uniti di parteciparvi come osservatore, benché questa condizione sia stata data al Pakistan, all’India e all'Iran. Possibilmente, la Cina, la Russia e l'Iran proveranno almeno ad impedire a Washington di ampliare la sua presenza nella regione, se non di spodestare gli Stati Uniti dalla regione”.

Anche se tale apprensione è stata giustificata, non c’è, ovviamente, alternativa a stabilire un coordinamento fra i paesi eurasiatici, basandosi sulla fiducia e sulla massima affidabilità. Come è noto, il supporto ai mojaheddin afgani, negli anni ‘70 e ‘80, ha trasformato un paese precedentemente benestante (sul piano regionale, naturalmente) in una terra devastata e fonte del traffico di droga e del terrorismo internazionale. A seguito dell'approvazione dell'Iniziativa d’Istanbul, dell'accesso negli stati arabi del Golfo Persico, dell'entrata delle forze militari nell'Afghanistan, dell’istituzione di basi militari in Asia centrale e della disponibilità di una Georgia addomesticata e del baluardo locale della NATO, la Turchia, l'introduzione della supremazia totale degli Stati Uniti nel heartland euroasiatico sembrava avere la strada spianata. Allora, vi furono il blitzkrieg all'Irak, con l'Iran indicato quale obiettivo seguente, ma la fortuna di Bush non è durata affatto a lungo, a quel punto. Ora, la guerra permanente in Irak, costa al contribuente degli Stati Uniti oltre gli 8 miliardi di dollari al mese. Ora che i 'peacekeepers' internazionali, soprattutto Americani, hanno occupato virtualmente l'Afghanistan, ognuno ammette che la droga prodotta nel paese e, quindi, il traffico di droga ha fatto un balzo in avanti di varie volte, almeno. Ora, dopo sette anni di combattimenti in Afghanistan, vi sono colloqui per un altro accordo fra la coalizione occidentale ed i Taliban. Un tal accordo può creare i prerequisiti supplementari per l’ulteriore destabilizzazione dell'Asia centrale.

La situazione in Irak non è migliore, dove nessuno calcola le perdite civili causate dall'aggressione degli Stati Uniti. Un attacco degli Stati Uniti all'Iran, che rimane all'ordine del giorno, può provocare anche un maggior disordine sul cortile meridionale della Russia.

Nessun dubbio gli Americani stanno cercando freneticamente un'efficace risposta ai tentativi di Mosca, Pechino e dei loro alleati del SCO d’istituire un sistema di sicurezza regionale. Determinati eventi in Asia centrale indicano i possibili pericoli e le minacce alla regione nell'immediato futuro. L'idea di una penetrazione accelerata e del soggiorno a lungo termine in Asia centrale, ricca d’energia, degli Stati Uniti è lontano dall’essere vuota chiacchiera o pio desiderio.

Circola l’idea d’instaurare un forum regionale gabbato come Partnership for Cooperation and Development of Greater Central Asia per progettare, coordinare e fare funzionare un’ampia serie di programmi inventati dagli Stati Uniti. Secondo gli strateghi degli Stati Uniti, se gli Stati Uniti vorranno agire unilateralmente, dovranno ricorrere a una leadership ragionevole e, senza considerevoli spese, fungere da ostetrica per la rinascita di un’intera regione d’importanza globale.

Passi pratici sono stati pure presi. Per esempio, il ministero del commercio e l'agenzia per lo sviluppo degli Stati Uniti hanno concesso al Tajikistan 875.300 dollari per affrontare la scarsità d’energia elettrica. L'ambasciata degli Stati Uniti, a Dushanbe, ha dichiarato che gli Stati Uniti inoltre hanno assegnato due concessioni per complessivamente 13,4 milioni di dollari al Tajikistan, per rafforzare il confine con l'Afghanistan, il principale fornitore di droghe in Russia ed Europa, secondo la Reuters. 6,5 milioni di dollari, inoltre, sono stati spesi per la costruzione di edifici della dogana e l’equipaggiamento della guardia di frontiera al checkpoint di Power Panj. In quella zona, 180 chilometri a sud di Dushanbe, un ponte stradale da 28 milioni di dollari sponsorizzato dagli Stati Uniti, è stato ordinato nel 2007. Tuttavia, è una domanda legittima chiedersi dove la generosa cura della sicurezza degli stati centro-asiatici recentemente indipendenti si conclude e lo schieramento d'infrastrutture militari, con gli altisonanti slogan sulla 'transizione alla democrazia' comincia.

Attualmente gli Stati Uniti sono i partner commerciali più importanti del Kazakhstan. Nei primi sei mesi del 2008, il giro d'affari dei due paesi ha superato gli 1,1 miliardi di dollari. La precedente enfasi sull'investimento degli Stati Uniti nel settore dell'energia e delle materie prime, probabilmente nel complesso persisterà. L'America ha attribuito importanza al Kazakhstan nel campo della sicurezza regionale, interessata al settore chiave della cooperazione bilaterale, cosa determinata dalla situazione in Afghanistan e dagli sforzi antiterroristi degli USA. Questo punto di vista è stato sostenuto dalla visita dell'ottobre 2008 del ministro degli esteri degli Stati Uniti Condoleezza Rice ad Almaty. La signora Rice ha notato che il Kazakhstan è rimasto un pilastro della politica degli Stati Uniti in Asia centrale, durante i contrasti nella sicurezza che vanno dalla Georgia all'Afghanistan.

Washington crede che sia impossibile non solo perseguire una politica afgana, la lotta al traffico di droga e al terrorismo internazionale, ma anche organizzare un sistema di sicurezza per l’Europa e l'Asia centrale senza la cooperazione completa fra l'occidente ed il Kazakhstan. Il Kazakhstan inoltre è un partner chiave della NATO nella regione. Washington funge da forza motrice nella cooperazione fra la NATO e il Kazakhstan. Fra gli stati asiatici centrali, il Kazakhstan ha i rapporti più stretti con l'alleanza. Con l'approvazione del piano d'azione specifico d’associazione, all'inizio del 2006, il Kazakhstan ha aumentato la sua integrazione con l'alleanza Nord-Atlantica.

L'atteggiamento dei principali giocatori internazionali verso l’Uzbekistan sopra nei passati anni, si sta rivelando anch’esso. Dopo la rivolta d’Andijan il presidente Islam Karimov ha compiuto una visita a Pechino, in cui gli è stato offerto un considerevole supporto economico e politico. Quindi il presidente Uzbeco ha visitato Mosca, dopo di che il suo atteggiamento nei confronti degli Stati Uniti e la loro base aerea a Karshi-Khanabad, è diventato più duro.

La risoluzione del summit del SCO tenutosi ad Astana nel 2005, stipulato dai firmatari del SCO determinerà più accuratamente il momento per dare ospitalità alle basi militari antiterroriste degli Stati Uniti sul loro territorio, stabilito nell'ambito del pretesto della campagna antiterrorista in Afghanistan.

Inoltre Tashkent ha chiesto agli Stati Uniti di ritirare le loro forze dalla base aerea di Karshi-Khabad, ma è stato sottoposto, invece, ad una pressione politica ed economica senza precedenti, avviata da Washington e dai suoi alleati europei. Tuttavia la reazione quasi isterica dell'occidente, ha condotto rapidamente ad un marcato ripensamento verso l'Uzbekistan. Il Generale degli Stati Uniti, Martin Dempsey, Comandante del CENTCOM è andato a Tashkent il 28 agosto. La sua visita, si pensa, avesse lo scopo di un possibile ristabilimento della presenza militare degli Stati Uniti in quanto paese centro-asiatico d’importanza strategica.

Dmitry Trenin, un autorevole ricercatore del centro Carnegie di Mosca, spiega il vero significato delle installazioni militari degli Stati Uniti nella regione, “dal punto di vista di Beijing, la presenza militare degli Stati Uniti in Asia centrale è un potenziale ‘Fronte occidentale’ degli Stati Uniti contro la Cina. Utilizzando le loro basi in Uzbekistan e in Afghanistan, gli Stati Uniti possono coprire con i voli aerei, gli obiettivi strategici nella zona occidentale della Cina, compresi i suoi impianti nucleari. Inoltre, nel caso di un conflitto, gli Stati Uniti potranno colpire sia la costa Est della Cina, che le sue linee di comunicazione terrestri occidentali.

Sembra che questi fattori, che sono chiamati 'multilateralismo' in modo politicamente corretto, non dovrebbero essere trascurati, mentre sono perplesso sulla riservatezza mostrata dagli alleati della Russia nel SCO, durante la crisi osseta del sud di agosto ed al successivo riconoscimento ufficiale di Mosca dell'indipendenza delle due ex regioni autonome georgiane. I membri del SCO sono noti per sostenere completamente la Russia a porte chiusi ma ufficialmente per limitarsi all'approvazione degli sforzi della Russia a mantenere la pace in Ossetia del sud, mentre allo stesso tempo riaffermano la loro adesione al principio dell’integrità nazionale degli stati. Allo stesso tempo, è assolutamente chiaro che le dichiarazioni convenzionali dei funzionari di Pechino, nel sostenere l'integrità nazionale della Georgia, non garantiscono affatto le autorità cinesi dai problemi nelle loro zone autonome del Xinjiang e del Tibet. Questi problemi erano molto in vista sia prima che durante le Olimpiadi a Pechino.

Come è risaputo, l'interesse di Washington verso i separatisti tibetani ed i Uiguri, data da parecchio tempo ed è a lungo termine. Nel caso dell’intenzionale alimentazione del focolaio di tensioni, una 'forza internazionale per il mantenimento della pace' può ben essere schierata al confine occidentale della Cina, in modo simile allo schieramento in Kosovo. Le dure dichiarazioni ripetute contro la Cina, dai funzionari degli Stati Uniti, sono sufficienti nel fare supporre che i tentativi di destabilizzare la situazione nella PRC saranno limitati, se saranno interessati dalla situazione il Kazakhstan, il Kirghizstan, il Tajikistan e l’Uzbekistan. È più conveniente prevenire le minacce alla frontiera e cercare soluzioni comuni contro il problema afgano nel quadro del SCO.

L'approfondimento di questa cooperazione porrà i prerequisiti per una coordinazione più stretta della politica estera della Russia con quelle della Cina e degli altri alleati, anche in altri settori.. Vi è l’opinione che il principale ostacolo sulla via di una maggior efficienza dell'organizzazione della cooperazione di Schang-Hai sia la rivalità fra la Russia e la Cina. La discussione su tale rivalità è stato alimentata da vari think tanks in Russia, non risparmiando sforzi per infondere nel ceto dirigente e nel pubblico russi il timore della 'espansione Cinese', 'Reclami territoriali cinesi alla Russia', ecc.

Nel frattempo, il timore può solo facilitare la presa di decisioni chiave su argomenti strategici. Il corso generale dei rapporti all'interno del triangolo Russia - Stati Uniti - Cina difficilmente sembra evolversi verso un confronto fra Mosca e Pechino. Il PRC e la Russia hanno iniziato a competere con gli Stati Uniti per il più efficace dominio in Asia centrale. Ciò non è affatto un capriccio o una manifestazione di cosiddette ambizioni imperiali, ma un assai pertinente problema di sicurezza nazionale russa, nel contesto delle limitate infrastrutture della guardia di frontiera della Russia, al sud, e nella debolezza dei suoi alleati della coalizione antiterroristica, nella possibilità di una provocazione del crescente estremismo radicale islamico politicizzato, nella regione.

In una parola, la strategia euroasiatica degli Stati Uniti ha notevolmente facilitato la cooperazione fra la Russia e la Cina, che superano la loro rivalità. Nella nuova situazione internazionale, è vitale per la Russia che ci sia stabilità effettiva nelle zone adiacenti al suo confine. Ciò armonizza l’interesse vitale di questo paese con gli stessi interessi della Cina, dell'India e dei firmatari centro-asiatici del SCO.

Fino a che gli stadi del SCO sono interessati, l'organizzazione non sarà un blocco militare come la NATO, né una conferenza permanente aperta sulla sicurezza come l’ASEAN, ma qualcosa nel mezzo. La trasformazione del SCO in un'organizzazione capace di una efficace risoluzione, inter alia, delle questioni di difesa comune, diventerà assai più rilevante con il crescere delle tensioni sul continente euroasiatico, che viene è provocato da esterni, ed aumenterà ulteriormente. In una tal situazione, è importante prepararsi trovando le giuste risposte alle sfide di domani, impiegando l’intera gamma di mezzi disponibili.

*Strategic Culture Foundation http://en.fondsk.ru/article.php?id=1821 24.12.2008
MILITARY DIPLOMAT - 2008 - N 4-5 - p. 3-10



Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03.da.ru/
http://sitoaurora.altervista.org/
http://sitoaurora.narod.ru/
http://xoomer.virgilio.it/aurorafile

lundi, 15 décembre 2008

Géopolitique de la Route de la Soie

La route de la Soie :

Une histoire géopolitique (Broché)

de Pierre Biarnès (Auteur), François Thual (Préface) 
Présentation de l'éditeur
Comment ne pas rêver de la route de la Soie ? Depuis les pays du Levant méditerranéen, ou depuis Moscou, jusqu'à la mer de Chine, durant une cinquantaine d'années, Pierre Biarnès n'a eu de cesse de la parcourir. Kokand, Samarkand, Boukhara, Khiva, les cités les plus fabuleuses de la vallée de la Ferghana, au cœur de l'Asie centrale, mais aussi jusque dans le Haut-Altaï en longeant les arides déserts de Gobi et du Takla-Matan, les monts du Pamir et du Tian Shan. De ces contrées partirent de terribles conquérants, les Attila, Gengis Khan, Tamerlan... Mais s'y épanouirent aussi de brillantes civilisations. Tout au long de cette route interminable, qui fut pendant plus de trois millénaires l'axe géopolitique du monde, circulèrent les caravanes de la soie et s'affrontèrent de nombreux peuples. Durant tout ce temps, la route de la Soie ne fut pas empruntée seulement par marchands et guerriers. Elle fut aussi celle des dieux ; s'y succédèrent ou y cohabitèrent les chamanistes, les zoroastriens, les bouddhistes, les juifs, les chrétiens nestoriens, les musulmans. L'auteur de la somme Pour l'Empire du monde. Les Américains aux frontières de la Russie et de la Chine, nous livre ici une nouvelle leçon magistrale d'histoire globale remplie de cartes historiques et géopolitiques.


Détails sur le produit

  • Broché: 459 pages
  • Editeur : Ellipses Marketing (8 août 2008)
  • Langue : Français
  • ISBN-10: 2729837914
  • ISBN-13: 978-2729837914

La route de la Soie : Une histoire géopolitique

00:10 Publié dans Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : livre, asie, asie centrale, russie, chine, route de la soie, eurasie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

mardi, 30 septembre 2008

Géopolitique pétrolière et gazière en Asie centrale

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Alexander GRIESBACH:

Géopolitique pétrolière et gazière de l’Asie centrale: télescopage d’intérêts divergents

 

L’Asie centrale est l’une des zones-clefs de la géopolitique mondiale, à cause des réserves énergétiques qu’elle recèle. La lutte engagée pour le contrôle de ces réserves va certainement porter le nom de “New Great Game” (= “Le nouveau Grand Jeu”), en référence à l’affrontement russo-britannique du 19ème siècle et parce que de nouveaux acteurs y interviendront, notamment la Chine et l’Inde. Il y a d’abord la question de savoir qui se taillera la part du lion dans ces réserves énergétiques; mais, avant d’y répondre, aujourd’hui, il s’agit principalement de savoir comment ces réserves parviendront aux Etats destinataires; nous soulevons là la politique des oléoducs et gazoducs. Par Asie centrale, nous entendons bien sûr des Etats comme le Kazakhstan ou le Turkménistan mais aussi le Tibet, l’Afghanistan, certaines régions d’Iran ou comme le Pendjab au Pakistan et en Inde.

 

Prendre le défi russe au sérieux

 

Après la fin de l’Union Soviétique, l’intérêt des Etats-Unis, de la Russie et de la Chine n’a fait que croître au fur et à mesure que l’importance des réserves énergétiques croissait dans le système de la concurrence globale. Pour les Etats-Unis, la main-mise sur ces ressources constitue le motif principal de leur engagement dans la région. Cet engagement dans l’ancienne “arrière-cour” de l’Union Soviétique ne s’est pas déroulé sans ressacs. Malgré  cela, après les événements du 11 septembre 2001, les dirigeants russes, américains et centre-asiatiques ont serré les coudes dans la “lutte commune contre le terrorisme”. Cette unanimité s’est vite évaporée à cause de l’incompatibilité d’humeur entre Bush et Poutine et surtout d’événements comme, par exemple, l’élargissement de l’OTAN vers l’Est, les révolutions sans effusion de sang d’Ukraine et de Géorgie et, enfin, la guerre en Irak. Poutine a réussi à repousser largement les Etats-Unis hors d’Asie centrale, notamment avec l’aide de la Chine: ce fut la réponse russe aux activités déployées par les Etats-Unis dans l’arrière-cour de Moscou. La tâche de Poutine fut sans doute facilitée parce que la rhétorique américaine des “droits de l’homme” avait sans nul doute énervé quelques autocrates de la région. Par ailleurs, le traitement réservé à l’autocrate Saddam Hussein a certainement eu un effet dissuasif.

 

Poutine à coup sûr s’est servi d’un instrument, que Medvedev reprendra certainement à son compte: l’Organisation de Coopération de Changhaï (OCC), laquelle, du point de vue occidental, constitue la réponse à la prétention américaine d’exercer un leadership mondial. Le septième sommet de l’OCC, qui s’est tenu à Bichkek en Kirghizie en août 2007, a clairement critiqué la “pax americana”. Moscou n’a pas mâché ses mots. Le rôle de “seule superpuissance” que Washington veut jouer, Poutine l’a relativisé: “Nous sommes convaincus que toutes les tentatives de vouloir résoudre seul tous les problèmes du monde sont vaines”. Alexander Rahr, expert ès-questions russes auprès de la DGAP (“Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik” / “Société allemande de politique étrangère”), a émis les commentaires suivants dès 2006: Moscou est déçu par l’Occident et s’en détourne pour se tourner vers l’espace asiatique et forger “de nouvelles alliances géostratégiques”. “Pour parvenir à cette fin, le Kremlin mobilise les immenses ressources énergétiques de la Russie, afin de récupérer sa position naguère perdue de puissance mondiale. L’Europe et l’Occident doivent prendre très au sérieux ce nouveau défi géopolitique”.

 

La Turquie: importante plaque tournante dans la politique énergétique

 

Ce “défi”, la revue “Geo”, de juin 2008, l’a mis en cartes et schémas, notamment sous la forme, plaisante, d’un table de joueurs de poker, qui symbolisent en l’occurrence les acteurs du “New Great Game”. A gauche, nous y voyons les Etats-Unis, qui sont les plus grands consommateurs de gaz et de pétrole et dont les intérêts consistent à se dégager d’une trop grande dépendance du Proche Orient. Les Etats-Unis, qui importent un quart de leur gaz naturel de Russie, investissent dans la construction de gazoducs et oléoducs qui évitent de passer par le territoire russe, comme le système “Nabucco” qui sera complètement opérationnel en 2013. Sur le tracé de ce système “Nabucco” se trouve la Turquie, qui acquiert de plus en plus d’importance car elle est, explique “Geo”, la principale “plaque tournante énergétique entre l’Est et l’Ouest”. De l’autre côté de la table des joueurs de poker, à droite, se trouve la Russie, qui tire des revenus des oléoducs et gazoducs et de la vente des pétroles et gaz de la région caspienne.

 

La Russie est bien entendu capable de faire de l’énergie une arme, en cas de “comportement fautif”, comme on vient de le voir. La Chine est la deuxième puissance assise à droite, à la table des joueurs: elle est devenue, entretemps, le deuxième consommateur de pétrole au monde et se présente comme concurrent de l’UE et des Etats-Unis. Le “gâteau”, qui forme l’enjeu, est au beau milieu de la table. Il comprend le Kazakhstan, dixième producteur de pétrole du monde; l’Azerbaïdjan, qui occupe un territoire géostratégiquement important entre l’Europe et l’Asie; le Turkménistan, l’un des pays les plus riches en gaz du monde, ainsi que l’Ouzbékistan, dont les gisements en pétrole et en gaz n’ont été que partiellement exploités jusqu’ici. Au réseau de distribution énergétique déjà existant entre les joueurs de poker, il faudra ajouter trois nouveaux grands “pipelines”, rien que pour l’approvisionnement en gaz  naturel:

 

* Le “North Stream”, venant de Russie pour passer sous la Mer Baltique et aboutir en Allemagne; il aura environ 1200 km; Gazprom en est le principal actionnaire avec 51% des parts. “Wintershall AG” et la société “E.ON Ruhrgas AG” possèdent chacune 20%. Le premier tronçon sera prêt en 2010.

 

* La ligne “Nabucco”, qui partira de Turquie pour aboutir en Autriche, sera longue de 3300 km. Les travaux commenceront en 2010. Cette ligne devra relier l’UE aux gisements gaziers de la région caspienne.

 

* Le “South Stream” reliera la Russie à l’Italie et à l’Autriche. Ce sera un gazoduc italo-russe dont une partie sera installée sur le fond de la Mer Noire et reliera ainsi le port russe de Novorossisk au port bulgare de Varna. Ce projet est en concurrence directe avec celui de “Nabucco”.

 

Deux importants systèmes de “pipelines” sont déjà en activité:

 

* Le “Blue Stream” qui part de Russie pour aboutir à Ankara. Il est en activité depuis 2005. Il est long d’environ 1200 km.

 

* Le “BTE” ou “Bakou – Tiflis – Erzouroum (en Turquie)” est en activité depuis 2006. sa longueur est d’environ 690 km. On l’appelle également “South Caucasus Pipeline”.

 

Auxquels il faut encore ajouter:

 

* Le “BTC” ou “Bakou – Tiflis – Ceyhan (en Turquie). Sa longueur est d’environ 1770 km.

 

* Le “Drouchba” dont le tronçon septentrional part d’Almetievsk au Tatarstan, traverse la Biélorussie et la Pologne pour aboutir à Schwedt sur l’Oder et dont le tronçon méridional, après une bifurcation près de Masyr en Biélorussie, amène les hydrocarbures en République Tchèque et ensuite, via la Slovaquie, en Hongrie.

 

* Le pipeline “Kazakhstan-Chine”, qui est en service depuis 2004 et est long de ± 970 km.

 

Si vous imaginez que, dans ce contexte, la Chine et la Russie, qui toutes deux ont des motifs divers de vouloir chasser les Etats-Unis de leurs sphères d’influence respectives, vont faire cause commune, dans tous les cas de figure, sous l’égide de l’OCC, alors vous ne comprenez pas la  dynamique du “New Great Game”, que l’on peut, à juste titre, qualifier de “champ de mines d’intérêts divergents”, pour paraphraser Keith Jones. Aigul Zharylgassova, de la  “Société germano-kazakh” a bien mis en exergue l’agencement des intérêts chinois dans le cadre de l’OCC: “Avec l’OCC, la Chine tente de tuer deux mouches d’un seul coup de savate: d’un côté, la République Populaire de Chine coopère avec des Etats centre-asiatiques sur le plan militaire et garantit ainsi la sécurité de ses frontières occidentales; de l’autre côté, la RPC utilise l’Organisation pour réaliser des projets de communication et d’infrastructure afin d’avoir un accès assuré aux ressources énergétiques”. Cette analyse nous permet de comprendre pourquoi la Chine, qui avait toujours eu l’habitude de se montrer réservée face à tout système d’alliance, s’est laissée embrigader dans l’OCC. L’adhésion à l’OCC permet à la Chine de pratiquer “une politique nationale d’ordre dans la région” et de réactiver “son image de marque sur le plan international” (Zharylgassova).

 

Les divergences entre Moscou et Beijing

 

On discute beaucoup, en Occident, pour savoir si la rivalité entre la Chine et la Russie, pour prendre dans l’avenir le leadership au sein de l’OCC, mettra en péril l’existence même de  cette organisation. Quelques analystes pensent que la Russie voudra, elle aussi, utiliser l’OCC pour au moins limiter “l’influence croissante de la Chine”, ce qu’elle cherche d’ailleurs déjà à faire en jouant “un rôle actif au sein de l’Organisation”.  Moscou voit un moyen dans l’OCC de bétonner sa souveraineté lucrative sur le transport du pétrole et du gaz naturel.

 

Il existe également des divergences entre Moscou et Beijing pour savoir lesquels des Etats, qui avaient jusqu’ici un simple statut d’observateur (actuellement: la Mongolie, l’Inde, l’Iran et le Pakistan), pourront accéder dans un avenir proche au statut de membre à part entière. Le souhait de la Russie, d’accepter l’Iran comme membre à part entière, est contesté par la Chine car celle-ci n’a aucun intérêt à ce que l’islam reçoive un quelconque encouragement sur le territoire chinois lui-même par un effet (secondaire) de l’adhésion pleine et entière de l’Iran. La Chine refuse également l’adhésion pleine et entière de l’Inde parce que les deux géants asiatiques ont toujours été des rivaux. Les Chinois émettent également des réserves contre l’adhésion du Pakistan, dont les liens avec l’islam radical (les talibans) suscitent l’inquiétude à Beijing. On constate également des tensions à l’égard des autres Etats musulmans de l’Organisation, le Kazakhstan, le Kirgizistan, le Tadjikistan et l’Ouzbékistan, car aucun de ces Etats n’a évidemment intérêt à dépendre unilatéralement de Moscou ou de Beijing.

 

Les démarches énergiques et assertives de Poutine n’ont certainement rien fait pour dissiper les méfiances entre les Etats membres de l’OCC. Il faudra encore attendre quelque peu pour savoir si le Président Medvedev montrera plus de doigté diplomatique. Le sommet des chefs des Etats membres de l’OCC à Duchanbé au Tadjikistan n’apportera rien de bien substantiel, car la solidarité avec la Russie, après la crise de l’Ossétie du Sud, est restée limitée. Les Etats membres de l’OCC ont simplement demandé à ce que “le problème soit résolu pacifiquement par le dialogue”. Aucune prise de position commune n’a suivi la reconnaissance unilatérale de l’Ossétie du Sud et de l’Abkhazie par la Russie.

 

Vu les divergences entre les membres de l’OCC, le jugement qu’Alexander Rahr avait émis dans “Eurasisches Magazin” (28 février 2006) me semble caduc: il affirmait que “l’OCC pourrait rapidement devenir un nouvel acteur global sur la scène internationale, auquel, en cas de conflit avec l’Occident, même la superpuissance américaine n’aurait pas grand’ chose à opposer”. L’anti-occidentalisme ne suffira pas pour cimenter durablement la cohésion de l’OCC, vu les méfiances réciproques que cultivent les Etats membres de l’Organisation. Il est plus que probable que l’OCC entrera en crise en dépit de cet anti-occidentalisme qui sert de paravent à de profondes divergences d’intérêts.

 

L’intérêt des Européens, et donc des Allemands, c’est de ne pas attendre la crise passivement, mais de tenter de faire valoir leurs intérêts propres dans ce “champ de mines”.

 

Alexander GRIESBACH.

(Article paru dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°38/2008; trad. franç.: Robert Steuckers). 

 

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