lundi, 22 janvier 2018
Giuseppe Tucci, il più grande tibetologo del mondo
Giuseppe Tucci, il più grande tibetologo del mondo
Lhasa, 1948 – Arrivare fin lì, attraversare continenti, fiumi e montagne, camminare per chilometri sul tetto del mondo, per poi scontrarsi con l'amara verità: le porte del Trono di Dio erano chiuse agli stranieri. A tutti gli stranieri. Giuseppe Tucci scalciò via un sasso gelido che rotolò fino ai piedi di un lama, dritto immobile a pochi metri da lui; sapeva che Lhasa era nota ovunque per essere la città proibita, eppure due anni prima Heinrich Harrer– che all'epoca non era nessuno, ma in futuro sarebbe diventato l'idolo delle masse grazie al film Sette anni in Tibet tratto dal suo libro – era riuscito a penetrarvi insieme all'amico Peter Aufschnaiter e proprio in quel momento, mentre lui tentava ogni strada possibile per convincere i monaci a essere accolto dal Dalai Lama, si trovava all'interno di quelle mura incantate con l'importante ruolo di traduttore di notizie dall'estero. Giuseppe alzò gli occhi verso l'immenso palazzo che sovrastava una rupe scoscesa e sospirò: non sarebbe tornato a casa senza prima aver avuto accesso al luogo più segreto del pianeta.
Era il 5 giugno del 1894 quando un bimbo dagli occhi curiosi e le mani sempre pronte ad afferrare ciò che incontrava sul suo cammino nasceva in un confortevole appartamento di Macerata. Oggi la targa che ricorda la sua persona si trova in corso Cavour ed è facilmente visibile, tuttavia sono in molti ad avere ricordi di un adolescente di via Crispi originale, poco avvezzo a far amicizia, sempre immerso in letture e passeggiate tra le rovine storiche, che aveva attirato l'attenzione su di sé poiché spesso, durante il freddo inverno dell'entroterra marchigiano, usciva in balcone a dorso nudo e si cimentava in difficilissimi esercizi di yoga. Nessuno poteva immaginare che la città di Macerata sarebbe arrivata in un futuro non troppo lontano a dedicargli persino una via e una sede didattica a Palazzo Ugolini. Giuseppe Tucci, figlio unico di una coppia di pugliesi emigrati nelle Marche, era per tutti il ragazzino fuori dal comune che al Liceo Classico Leopardi produceva scritti e saggi impensabili per un sedicenne (tanto che la scuola conserva ancora la pagella e il diploma, insieme a un libricino realizzato dagli alunni qualche anno fa); era il ribelle solitario che spariva per pomeriggi interi nella Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti o in quella Statale cercando di decifrare lingue incomprensibili come il sanscrito, il cinese, l'hindi e molte altre, non potendo certo prevedere che un giorno tra quelle stesse mura sarebbero state conservate quasi tutte le sue 360 pubblicazioni; infine, era il giovane esploratore che dedicava ore e ore di studio alle zone archeologiche di Urbs Salvia ed Helvia Recina. Quelle colline, quegli scavi per lui così affascinanti, quel richiamo della terra d'origine che lo spingeva a immergersi nel passato attraverso ogni modalità non lo avrebbero mai abbandonato, neppure quando spirò all'età di novant'anni nella sua casa di San Polo dei Cavalieri. Tuttavia, Macerata fu solo l'inizio di una lunghissima vita trascorsa viaggiando; una vita che lo condusse negli spazi estremi dell'Oriente, laddove nessuno era mai stato prima.
Giuseppe strinse la cinghia che teneva incollati tra loro gli antichi libri e sorrise compiaciuto. Era giunto il momento di lasciare Lhasa dopo che, non molto tempo prima, era davvero riuscito a farsi ammettere – unico uomo di tutta la spedizione – sfruttando una motivazione assai semplice: era buddista. Lo era diventato, in effetti, durante la precedente visita al Tibet nel 1935 grazie all'iniziazione dell'abate di Sakya Ngawang Thutob Wangdrag. Lo raccontò lui stesso nel libro Santi e briganti nel Tibet ignoto, esplicitando anche la convinzione di essere stato un tibetano e di essersi reincarnato nei panni di un esploratore per dare voce e lustro alla cultura di un popolo in continuo pericolo, ancora troppo ignoto al resto dell'umanità. Ed era proprio per questo motivo che Tucci, in quella soleggiata giornata dall'aria frizzantina proveniente dalle vette che si estendevano intorno a lui in lontananza, non aveva nessuna intenzione di restituire l'opera costituita da ben 108 volumi preziosi e di inestimabile valore che il Dalai Lama Tenzin Gyatso – appena tredicenne – gli aveva prestato affascinato dalla sua mente erudita continuamente in cerca di risposte. D'altra parte, la storia avrebbe dimostrato in seguito che quel piccolo "appropriamento indebito" si sarebbe rivelato una fortuna, poiché permise all'enciclopedia di salvarsi arrivando ai giorni nostri integra e tradotta in vari paesi, con grande gioia del Dalai Lama stesso.
Fu dunque quella la prima volta che Tucci riuscì a varcare la soglia della città proibita, ma la sua intera esistenza appare in realtà come un susseguirsi di avventure di ogni tipo, da quelle sentimentali – si sposò tre volte, nonostante trovò il vero amore solo con l'ultima compagna Francesca Bonardi, accanto alla quale è oggi sepolto in una tomba anonima e con lo sguardo rivolto a Oriente come da lui richiesto – a quelle professionali. Si contano in totale otto spedizioni in Tibet e cinque in Nepal, oltre agli scavi archeologici condotti in Afghanistan, Iran e Pakistan. Il patrimonio di reperti (oggetti, manufatti, libri, manoscritti, fotografie, etc.) da lui rinvenuto nel corso di questi viaggi fu tale da permettergli nel 1933 di fondare insieme al filosofo Giovanni Gentile l'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma (IsMEO), con lo stesso intento che lo aveva sempre mosso, quello cioè di stabilire relazioni culturali tra l'Italia e i Paesi asiatici.
Sebbene Giuseppe Tucci sia oggi considerato unanimamente il più importante tibetologo del mondo e un esploratore, orientalista, professore e storico delle religioni di livello internazionale – contando le numerose università straniere e italiane in cui insegnò, o le prestigiose onorificenze ricevute – la sua figura resta tuttora avvolta nel mistero e nella discrezione. Acclamato nonché profondamente stimato all'estero, Tucci seppe sfruttare anche nel suo paese i legami politici e istituzionali che la sua immensa cultura gli aveva procurato; tuttavia, mai si piegò ai lustri del successo, ai salotti letterari e alla sete di visibilità, restando così un personaggio ben poco noto se si pensa all'estremo carisma che seppe emanare in vita, ma soprattutto alle incredibili missioni che svolse, degne di un'incomparabile genialità.
La scorsa estate la grande mostra dal titolo Tucci l'esploratore dell'anima, allestita nella città natale dall'associazione Arte nomade in collaborazione con le istituzioni, gli ha regalato un po' di quella notorietà che sempre aveva schivato, come pure fece la pubblicazione di Segreto Tibet da parte di Fosco Maraini e del libro Non sono un intellettuale a cura di Maurizio Serafini e Gianfranco Borgani. Guardando al futuro, l'Assessorato alla Cultura del Comune di Macerata sta preparando uno spazio in biblioteca per raccontare Giuseppe Tucci nella sua complessa totalità: dalla vita in carovana tra Occidente e Oriente alla "comunione fiduciosa" fra i popoli, principio che fu saldo nel suo cuore e nella sua mente. Sempre in biblioteca è inoltre conservato il Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale che ricevette dal governo indiano. Qualche anno fa, invece, un'esposizione fotografica a Pennabilli dedicata a Tucci venne visitata dal Dalai Lama in persona: i presenti raccontano di averlo visto commuoversi e di aver ricordato con affetto l'esploratore italiano, mentre una lacrima gli scendeva sul viso.
Il Tibet, [che] è stato il più grande amore della mia vita, e lo è tuttora, tanto più caldo, quanto più sembra difficile soddisfarlo con un nuovo incontro. In otto viaggi, ne ho percorso gran parte in lungo ed in largo, ho vissuto nei villaggi e nei monasteri, mi sono genuflesso dinanzi a maestri e immagini sacre, ho valicato insieme con i carovanieri monti e traversato deserti, vasti come il mare, ho discusso problemi di religione e filosofia con monaci sapienti. (...) Io ero diventato tutt'uno con essi. Vivevo la loro stessa vita, parlavo la medesima lingua, mi nutrivo delle medesime esperienze, condividevo le loro ansie ed i loro entusiasmi. La fiducia genera fiducia.
Giuseppe Tucci
00:21 Publié dans anthropologie, Biographie, Eurasisme, Hommages | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : giuseppe tucci, asie, affaires asiatiques, tibet, tibetologie, hommage, biographie, religions asiatiques | | del.icio.us | | Digg | Facebook