La recente condanna, da parte di una commissione parlamentare del Congresso americano, del genocidio di un milione e mezzo di armeni in Turchia nel 1915, è giunta in un momento molto delicato nei rapporti tra Washington e Ankara. Oltre a mettere a rischio la collaborazione turca su cui contano gli USA in più di una questione in Medio Oriente e in Asia sud-occidentale, il voto della scorsa settimana minaccia contemporaneamente di far saltare il complicato processo di distensione in corso tra Turchia e Armenia.
Ad agitare le acque è stato il voto (23 favorevoli e 22 contrari) con cui la Commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti americana giovedì scorso ha bollato come “genocidio” il massacro della popolazione armena durante la Prima Guerra Mondiale. Secondo la Turchia, quei fatti non rappresenterebbero invece uno sterminio di massa deliberatamente progettato, ma andrebbero piuttosto inseriti nel caos del conflitto mondiale e del crollo in atto dell’Impero Ottomano, assediato da più parti, inclusa una ribellione interna armena appoggiata dalla Russia.
La risoluzione, promossa dal deputato democratico della California Howard Berman, dovrebbe così invitare il presidente degli Stati Uniti a impiegare la parola “genocidio” per descrivere la strage del 1915 nel corso del consueto discorso annuale che si terrà il prossimo mese di aprile. Per ottenere la definitiva approvazione, tuttavia, l’iniziativa della Commissione Esteri dovrà prima assicurarsi il voto dell’aula, ipotesi piuttosto improbabile alla luce delle reazioni che essa ha immediatamente suscitato.
Per impedire il passaggio della risoluzione sul genocidio armeno, il governo turco del Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan aveva inviato a Washington alcuni parlamentari del partito di maggioranza ed era ricorso anche ai servizi di una nota compagnia americana di pubbliche relazioni per influenzare i politici coinvolti nel processo di voto. Nonostante gli sforzi é arrivata però l’approvazione e Ankara ha proceduto con il richiamo del proprio ambasciatore negli USA, promettendo ritorsioni più gravi in caso di un prossimo voto dell’intera Camera dei Rappresentanti sulla questione.
“Siamo seriamente preoccupati che il voto di condanna possa danneggiare le relazioni tra Stati Uniti e Turchia e impedire gli sforzi di normalizzazione nei rapporti tra Turchia e Armenia”, ha riassunto una nota dell’ambasciata turca a Washington. Le stesse preoccupazioni devono aver turbato anche il presidente Obama e il segretario di Stato, Hillary Clinton, entrambi impegnati nel vano tentativo di impedire il voto in commissione - sia pure tardivamente e nonostante il loro parere favorevole alla definizione di “genocidio” espresso in campagna elettorale nel 2008.
Con l’aumentare della sua influenza su scala regionale, d’altra parte, gli USA fanno affidamento sulla Turchia in relazione a molteplici questioni, a cominciare dalla pace tra palestinesi e israeliani, per passare al nucleare iraniano, al ripristino di normali rapporti con la Siria e alla stabilizzazione dell’Afghanistan. In quest’ultimo paese, inoltre, Ankara ha da poco incrementato il proprio contingente militare, mentre consente agli americani l’accesso ad alcune basi militari sul proprio territorio per facilitare i collegamenti logistici con l’Iraq occupato.
La potente comunità armena che vive negli Stati Uniti aveva già ottenuto qualche risultato parziale in passato sulla strada verso il riconoscimento del genocidio del 1915. Nel 1975 e nel 1984 la Camera dei Rappresentanti aveva approvato risoluzioni simili, le quali non avevano però mai raggiunto il Senato. Più recentemente, nel 2007, la Commissione Esteri della Camera si era espressa ancora una volta a favore, ma la fortissima opposizione proveniente dalla Casa Bianca occupata da George W. Bush aveva impedito il voto definitivo dell’aula.
A far sentire il proprio peso in quell’occasione era stata un’altra lobby molto influente dall’altra parte dell’oceano, quella israeliana. Un’influenza pro-turca sul Congresso che era iniziata sul finire degli anni Ottanta in concomitanza con la costruzione dell’alleanza strategica tra Israele e Ankara. Il deteriorarsi dei rapporti tra i due paesi negli ultimi tempi – a partire almeno dall’operazione “Piombo Fuso” lanciata a Gaza da Israele a fine 2008 e duramente condannata dal governo di Erdogan – può in parte spiegare il nuovo voto sulla condanna del genocidio armeno. Tanto più che lo stesso deputato Berman, e altri membri della Commissione Esteri che hanno appoggiato la mozione, risultano tradizionalmente vicini alle lobby israeliane in America.
Come a Tel Aviv, in molti ambienti filo-israeliani negli USA si guarda infatti con crescente preoccupazione al sempre maggiore coinvolgimento della Turchia nelle vicende del mondo arabo. Allo stesso modo, i settori neo-conservatori vicini a Israele ritengono che il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) che governa ad Ankara stia pericolosamente indebolendo il tradizionale secolarismo delle istituzioni turche, facendo scivolare il paese verso una deriva islamista.
D’altro canto, altre associazioni filo-israeliane di destra, come l’Istituto Ebraico per la Sicurezza Nazionale (JINSA), e giornali conservatori, come il Wall Street Journal, si sono invece opposti alla condanna del genocidio armeno, precisamente per timore di un possibile ulteriore inasprimento dei rapporti con la Turchia, un alleato troppo importante per Israele e Stati Uniti. Una divergenza di opinioni che potrebbe aver diviso il fronte pro-israeliano e dato il via libera alla condanna del genocidio.
L’altro e più immediato effetto del voto in America sulla questione armena, come già anticipato, potrebbe riguardare il congelamento del processo di riavvicinamento tra Yerevan e Ankara. Da qualche tempo, il governo di Erdogan aveva mostrato una certa disponibilità nei confronti del vicino orientale per rivedere i sanguinosi eventi del 1915. Il nuovo atteggiamento aveva portato lo scorso settembre al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia e alla riapertura dei rispettivi confini, chiusi fin dal 1993.
Con la mediazione della Svizzera, e con il sostegno di Washington, era stato anche raggiunto un accordo per un trattato tra i due paesi, vincolato in ogni caso alla risoluzione della disputa territoriale tra Armenia e Azerbaijian - paese alleato della Turchia - per l’enclave territoriale del Nagorno-Karabakh. Il voto alla Commissione Esteri della Camera americana ha però spinto Ankara a bloccare la ratifica dell’accordo, assestando potenzialmente un colpo letale alle prospettive del già difficile processo di riconciliazione turco-armeno.
Commentaires
Je découvre avec plaisir votre site polyglotte (qualité rare), que m'a conseillé un ami. Lecteur assidu de Platon et de Dumézil, je souhaitais découvrir le texte intitulé "Platon et les trois fonctions indo-européennes", dont le titre m'intrigue, mais en utilisant votre moteur de recherche interne et en cliquant sur le lien je tombe sur ce texte sur l'Arménie... Y-a-t-il moyen pour vous de remédier à ce "bug" ?
Écrit par : Vladimir G. A. Strogonov | mardi, 14 septembre 2010
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Écrit par : Vladimir G. A. Strogonov | mardi, 14 septembre 2010
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Écrit par : Nemo | mardi, 14 septembre 2010
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