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mardi, 26 juillet 2011

Hugo Pratt: gli occhi blu ferro dell'avventura

Hugo Pratt: gli occhi blu ferro dell'avventura

di Roberto Alfatti Appetiti

Fonte: Roberto Alfatti Appetiti (Blog) [scheda fonte]

 

Adulatori in vita e millantatori dopo la morte. Ogni grande attira su di sé questo esercito invisibile e minaccioso. Pronti a giurare: io c’ero. Amici (presunti tali), testimoni (per sentito dire), figure marginali che si reinventano protagonisti. Ombre in cerca di luce riflessa. Biografi di professione. Così, quando vieni a sapere che è in arrivo un libro su Hugo Pratt, pensi: un altro? C’è ancora qualcosa da sapere sul creatore di Corto Maltese – ti domandi - che non sia stato già ampiamente riferito, scandagliato nei programmi cosiddetti di approfondimento e soprattutto che non abbia raccontato egli stesso con quella sua straordinaria capacità affabulatoria?
La risposta, dopo aver letto Con Hugo (Marsilio, pp. 247 € 16,00), da pochi giorni nelle librerie italiane, è sì. Perché a scriverlo è Silvina Pratt, figlia del maestro. Perché sin da quando aveva diciotto anni ne ha tradotto le opere. Non per un favoritismo paterno. Certe espressioni dialettali veneziane per chiunque altro sarebbero risultate incomprensibili. Perché è la testimonianza autentica di chi ha conosciuto (bene) e amato (molto) l’altro Pratt, l’uomo.
Hugo? «Uno che parte, uno che appartiene agli altri» – letteralmente, visto che ai figli sono stati strappati i diritti d’autore – ma che rimane pur sempre un genitore. Affettuoso, certamente, ma anche inquieto. Scostante, di un’allegria che sa essere contagiosa quanto la tristezza. Di una vitalità dirompente, alternata a cupezze improvvise. «Con lui sembra di essere sulle montagne russe. Con i suoi occhi blu di ferro, acuti come scalpelli, riesce a far abbassare lo sguardo altrui. È consapevole del suo ascendente sugli altri – scrive Silvina – e non se ne rallegra, anzi a volte ne è furioso e triste». Meno longilineo ed elegante del suo alter ego “spirituale, di quel suo figliuolo di carta spedito in giro per il mondo all’alba del Novecento, ma – se possibile – persino più carismatico. «Sul palmo sinistro della mano – ha scritto Alberto Ongaro, curatore della prefazione del libro, parlando di Corto – ha ancora la cicatrice che indica una falsa linea della fortuna. In realtà, di fortuna ne ha avuto poca. Le cose che conquista gli sfuggono dalle mani così regolarmente che si ha il sospetto che sia proprio lui a lasciarsele sfuggire apposta. In realtà, l’unica cosa che gli importi è di recitare una parte nel mondo dell’avventura».
Quale migliore definizione anche per Pratt? Sempre con la valigia pronta e in fuga da se stesso, allergico ai legami e nient’affatto venale, innamorato, in fondo, soprattutto dell’avventura. «Mio padre era sempre pronto ad abbellire la verità. Voleva trasformare e correggere ogni cosa, il suo nome, il suo passato, la sua famiglia. La realtà doveva apparirgli troppo scialba». Troppo spesso distante: quando è lontano e quando c’è, immerso nei suoi sogni. Persino nella casa di famiglia a Malamocco, villaggio di pescatori all’estremità del Lido di Venezia, seduto per ore in silenzio a osservare il gioco delle onde che si infrangono sugli scogli. Tanto da far scrivere a Silvina: «Il più doloroso dei ricordi è la sua assenza».
Eppure non c’è traccia di amarezza nei confronti di Hugo, come lo ha sempre chiamato. Mai papà. «Nessuno dei suoi figli l’ha chiamato “papà”. Ci ho provato verso i quattro o cinque anni. Lui non dice niente, ma si volta di scatto, come se avesse preso la scossa. Per un “figlio della lupa”, nipote del fondatore del movimento fascista a Venezia, probabilmente è meglio diventare un “duro” il più presto possibile. Figlio unico, Hugo nutriva una grandissima ammirazione per gli uomini di famiglia. Soldato adolescente, partito per la guerra in Africa, ha visto suo padre Rolando, fascista, imprigionato e poi, malato, morire in un campo di prigionia sotto il sole d’Africa».
Silvina racconta anche di sua nonna Lina, la mamma di Hugo: «Conservava tanti ricordi della “sua” Africa, della “sua” Italia. Sopra il letto era possibile ammirare la foto in bianco e nero di suo marito in uniforme...». Del resto, anche il piccolo Hugo, arruolato dal padre nella polizia coloniale a soli quattordici anni, subirà il fascino di quelle divise. «Sono stati i soldati – spiega Silvina – a conferirgli la sua forma mentis. Gli anni trascorsi in un accampamento miserabile e sporco. Verso le sette di pomeriggio squillavano le trombe africane, mentre i colori della bandiera francese calavano dall’asta. Hugo aveva voglia di piangere. Al posto del blu, avrebbe voluto vedere il verde».
Per la guerra, comunque, nessuna nostalgia: «Ha distrutto la mia famiglia – ha raccontato lo stesso Pratt – come potrei amarla? Ho visto il dolore di mia madre, ho perso amici, come Sandro Gerardi, che si erano messi con i fascisti e sono stati uccisi dai partigiani. La guerra mi ha fatto maturare, comprendere cosa c’è dietro la politica e le ideologie, l’assurdità dei nazionalismi e dell’imperialismo». Con la fine delle ostilità, «finalmente arrivò la pace – ha ricordato in seguito Pratt con feroce ironia – e con la nuova generazione arrivò l’obbligatorio impegno per l’impegno. La parola avventura fu messa al bando. Non è mai stata ben vista, né dalla cultura cattolica, né da quella socialista. È un elemento perturbatore della famiglia e del lavoro, porta scompiglio e disordine. L’uomo di avventure, come Corto, è apolide e individualista, non ha il senso del collettivo. Bisognava rispolverare Marx ed Engels, autori che mi annoiarono immediatamente. Venni subito accusato di infantilismo, di fascismo e di edonismo, ma soprattutto di essere evasivo, inutile come quegli scrittori che mi piacevano e che avrei dovuto dimenticare. Non ci riuscii e mi accorsi che c’erano parecchi altri che leggevano i narratori contestati. Alla fine ci riconoscemmo come una elite desiderosa di essere inutile».
Eppure quell’etichetta di fascista gli era rimasta appiccicata. Non che se ne facesse un cruccio. «Hugo mi diceva – riferisce Silvina – che i fascisti a quell’epoca, prima di Hitler, erano diversi». Rientrato in Italia, aveva aderito alla Rsi. E, ragazzetto, aveva assistito all'epopea della Decima Mas - dove pure aveva pensato di andare per “avventura” nel battaglione Lupo - e all'arrivo degli anglo-americani come alla resistenza antitedesca vicina agli alleati. Per poi seguire la sua vera e grande vocazione: il fumetto. A soli diciotto anni è tra i fondatori de l’Asso di Picche. A ventidue è già in Argentina, dove rimarrà per tredici anni, collaborando tra gli altri con Hector G. Oesterheld, futuro sceneggiatore dell’opera di fantascienza L’eternauta. Qui conosce la giovanissima Anne Frognier, di origine belga, che sposerà e diventerà madre di Silvina (e gli ispirerà “Anna della giungla”, la protagonista dell’omonima serie). Seconde nozze dopo quelle con Gucky Wogerer, la mamma di Lucas e Marina. E poi il Brasile, San Paolo. Londra. Il ritorno in Italia. La collaborazione con il Corriere dei piccoli. E alla fine degli anni Sessanta, dopo la chiusura di Sgt. Kirk – la rivista aperta nel 1967 con il genovese Florenzo Ivaldi, su cui pubblicherà i lavori argentini, la serie de Gli scorpioni del deserto, ambientata in Africa durante la seconda guerra mondiale, e la prima avventura di Corto Maltese, Una ballata del mare salato – il trasferimento a Parigi.
Su Pif, popolare settimanale francese di fumetti, pubblica ventuno storie brevi di Corto Maltese ma la collaborazione si interrompe bruscamente nel 1973, perché – lo racconta anche Silvina – «le tendenze libertarie di Corto non collimano con le direttive che orientano la rivista verso un’obbedienza di stampo comunista». Hugo preferisce lasciare e accettare le proposte della concorrenza: Casterman, l’editore di Hergé e del settimanale Tintin. Finalmente arriva il successo. Dalla Francia e ovunque cresce il mito di Corto Maltese e lo stesso Pratt diventa personaggio. Milo Manara – che del veneziano è stato amico e allievo – lo trasforma nel protagonista della serie H.P. e Giuseppe Bergman. Di lui dirà: «La sua capacità evocativa è talmente coinvolgente che il suo continuo avvicinarsi all’essenzialità grafica riesce addirittura ad aggiungere nuove suggestioni al disegno, invece di toglierne. In un disegno di Pratt si può stabilire l’ora in cui si svolge l’azione, l’intensità della luce, la violenza del sole, se c’è fresco, se c’è caldo».
L’ultima storia di Corto, Mu, è del 1988. «Non morirà – aveva dichiarato Hugo Pratt – se ne andrà perché in un mondo dove tutto è elettronica, è calcolato, tutto è industrializzato, non c’è posto per un tipo come Corto Maltese». Un po’ come ha fatto Pratt, quando – a metà anni Ottanta – si è ritirato a Grandvaux, presso Losanna, in una casa abbastanza grande da ospitare la sua infinita libreria e con una vista sul lago Lemano. Poco prima di morire – nell’agosto del 1995 a 68 anni – ha fondato insieme alla colorista Patrizia Zanotti la casa editrice Lizard, che edita l’intera opera del maestro, oltre a libri e saggi su Hugo Pratt, su Corto e i luoghi cari alla sua letteratura. E sempre la Zanotti, l’anno scorso, ha annunciato il possibile ritorno di Corto Maltese – in Francia – con storie nuove, forse già dal Natale 2009.
La realizzazione delle nuove avventure sarà affidata a autori “di grande personalità”. Sapranno restituire le stesse atmosfere di Pratt? Sarebbero piaciuti al maestro? Chissà. Per fortuna, sinora, ci è stata risparmiata una trasposizione cinematografica. Tempo fa la proposero a Gabriele Salvatores, l'autore di Mediterraneo, che declinò l’invito: «Ho rifiutato – ha spiegato il regista napoletano – perché il produttore voleva farlo diventare una specie di Indiana Jones. Preferisco lasciarlo navigare su quella sottile linea d’inchiostro e sognare un film su Corto Maltese scritto da Hugo Pratt e diretto da Sergio Leone. E forse, da qualche parte, quei due ci stanno lavorando».

 


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00:14 Publié dans art, Bandes dessinées | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : bande dessinée, 9ème art, art, hugo pratt, italie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

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