vendredi, 06 janvier 2012
John Brown, discutibile eroe abolizionista, perseguiva scientemente la guerra civile americana
di Francesco Lamendola
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]
«John Brown giace nella tomba là nel pian,
dopo una lunga lotta contro l’oppressor;
John Brown giace nella tomba là nel pian
ma l’anima vive ancor…! […]
L’hanno impiccato come fosse un traditor,
ma traditore fu colui che lo impiccò;
John Brown giace nella tomba là nel pian,
ma l’anima vive ancor…!»
Immagino che a molti bambini che hanno frequentato le elementari negli anni Sessanta, come me, sia stata insegnata, nell’ora di musica, questa canzone dalle note squillanti e dal ritmo maestoso, quasi solenne, magari da una maestra di canto che s’infervorava come se stesse celebrando una solenne liturgia profana.
L’altra canzone preferita di quella maestra era «Bella ciao», che ci faceva cantare ogni settimana, immancabilmente, e sempre con pari trasporto: mentre pestava sui tasti del pianoforte, ci guardava con occhio di falco, per scoprire se qualcuno faceva solo finta di cantare, muovendo in silenzio le labbra; si vedeva che, per lei, quella musica e quelle parole rappresentavano una dichiarazione di guerra a tutto ciò che considerava politicamente e moralmente riprovevole: lo schiavismo degli Stati Uniti del Sud e il fascismo, affastellati nella stessa, inesorabile condanna.
Ogni nuova religione ha le sue precise liturgie, come e più della vecchia, ch’essa pretende di soppiantare; il marxismo, che è stato la nuova religione dell’Occidente fin quasi alla vigilia del crollo del sistema sovietico, aveva le sue; e questa era una di quelle, dove la maestra comunista poteva contrapporre il suo giovane e trionfante credo laico, portatore di luce e di giustizia fra i popoli, a quello del prete che, in oratorio, somministrava ai bambini le preesistenti certezze, vetuste d’anni e perciò affascinanti, ma verosimilmente - così sembrava allora, quasi a tutti - destinate alla sconfitta, per disseccamento e consunzione.
John Brown, dunque, nella mitologia progressista e libertaria degli ani Sessanta, era una sacra icona di quella nuova religione laica, che era resa sempre più autorevole e suggestiva dai trionfi della “sua” scienza (i primi viaggi nello spazio e i primi sbarchi sulla Luna, sia pure con astronavi senza equipaggio, da parte dei Sovietici); egli aveva lottato, come un nobile cavaliere dell’ideale, per l’idea di giustizia sociale più evidente e d’immediata comprensione: il diritto di ciascun essere umano di nascere e rimanere libero da qualsiasi padrone.
E lasciamo perdere se, nel sistema della politica e dell’economia moderne, la tanto celebrata “libertà” dell’individuo sia davvero tutelata come quei sacerdoti della nuova fede, così come i loro irriducibili avversari capitalisti - nell’esaltazione dell’antischiavismo erano tutti d’accordo, così come nella esecrazione del fascismo e nell’azzeramento di vent’anni della storia italiana recentissima - andavano trionfalisticamente sostenendo; lasciamo perdere, perché ciò meriterebbe un discorso a parte.
Nella canzoncina, universalmente nota, dedicata alla celebrazione della figura di John Brown, vi sono molti tratti di derivazione religiosa: in effetti, più che una celebrazione laica, sembra un martirologio in piena regola; vi è, inoltre, un tacito parallelismo (e tutto a suo favore) con l’immagine del Cristo crocifisso, perché, se l’anima di entrambi vive ancora, John Brown è sceso nella tomba dopo aver lottato lungamente contro l’oppressore, mentre Cristo non ha saputo fare altro che amare tutti gli uomini, anche i nemici, e perdonare i suoi stessi carnefici…
Ma i bambini crescono e capita che vengano presi da strane curiosità; per esempio, da quella di verificare sino a che punto l‘agiografia di quei “santi” laici del Progresso, della Libertà e della Giustizia corrisponda, non diciamo alla palese idealizzazione che ne è stata fatta a scopo ideologico, ma, almeno un poco, a quella che gli storici hanno ancora il vizio incorreggibile di chiamare “la verità dei fatti”.
John Brown, dunque, è stato un profeta armato: questo è il primo dato di fatto che, sfrondato l’alone della leggenda, emerge incontrovertibile; nessuno scandalo in questo, la storia è letteralmente piena di profeti armati, più numerosi, senza dubbio, di quelli disarmati e specialmente sul terreno politico e sociale: per un Gandhi che pratica, e predica, la lotta nonviolenta, se ne trovano almeno dieci che danno senz’altro la parola al fucile, sia pure, beninteso, anzi specialmente, per affermare i sacrosanto principi dell’89: libertà, fraternità, uguaglianza.
Benissimo; risulta un po’ più difficile conciliare questa attitudine all’azione violenta con la Bibbia, la grande sorgente d’ispirazione di John Brown; ma anche questa apparente difficoltà scompare, o si riduce di molto, se si considera che, per il puritanesimo della Nuova Inghilterra, di cui egli era profondamente imbevuto, l’Antico Testamento, col suo Yahweh giusto, ma terribile e sovente poco misericordioso, sembra pesare assai più del Nuovo, tutto pervaso dalla lieta novella di Cristo sull’amore e sul perdono. Brown può aver visto benissimo gli schiavisti del Sud con lo stesso occhio col quale i Giudici dell’Antico Testamento guardavano ai Filistei, agli Amaleciti e agli altri popoli “idolatri” che avevano l’imperdonabile presunzione di abitare la terra che Yahweh aveva promesso a loro e solamente a loro, ossia come pagani da sterminare, contro i quali qualunque azione diventava lecita e santa.
Tutti sanno che John Brown fu catturato dopo aver dato l’assalto all’arsenale federale di Harper’s Ferry, le cui armi intendeva distribuire ai negri per provocare una insurrezione generale; che in quella azione caddero, combattendo, sia alcuni dei suoi seguaci, sia alcuni soldati; e che affrontò virilmente il processo per cospirazione, omicidio e insurrezione armata e la conseguente impiccagione, il 2 dicembre 1859, appena quattro mesi prima che gli Stati del Sud proclamassero la secessione dal Nord e avesse principio la Guerra civile americana.
Sono un po’ meno numerosi, nel grosso pubblico, coloro i quali sanno che, prima dell’azione di Harper’s Ferry, Brown aveva scorrazzato in lungo e in largo con le truculente milizie volontarie del Kansas, i cosiddetti “freesolilers”, e che, il 24 maggio 1856, a Pottawatomie Creek, aveva guidato una spedizione che si era conclusa con l’assassinio a freddo di cinque sudisti: episodio che incomincia già a gettare una luce un po’ diversa sulla sua figura, così come l’hanno divulgata e mitizzata, prima e soprattutto dopo la sua more, con tanto successo, i suoi estimatori.
La realtà è che egli fu l’artefice principale della propria leggenda: durante il processo, infatti, si rese conto di avere in mano uno strumento formidabile per presentare se stesso come il puro idealista senza macchia e senza paura e per guadagnare alla causa antischiavista larghi settori dell’opinione pubblica; un po’ come aveva fatto, solo un anno prima, Felice Orsini con la causa nazionale italiana, allorché era stato processato per aver tentato di assassinare l’imperatore francese Napoleone III (e chissà se Brown ne era a conoscenza e ne aveva tratto ispirazione).
Quello che, però, rivela pienamente la mentalità dell’uomo e la sua concezione dell’etica, in nome della quale pretendeva di combattere gli orrori dello schiavismo, è un altro fatto: e cioè la convinzione, ormai raggiunta pressoché unanimemente dagli storici, che egli già da tempo si fosse posto l’obiettivo preciso di scatenare, mediante una azione di tipo insurrezionale altamente spettacolare, una reazione tale da parte degli Stati schiavisti, da spingerli a rompere con l’Unione e, di conseguenza, da provocare una guerra civile fra il Sud e il Nord, dalla quale soltanto si aspettava l’abolizione della schiavitù.
Aveva osservato un acuto biografo italiano di John Brown, Giulio Schenone, nel suo libro «John Brown, l’apostolo degli schiavi» (Mursia, Milano, 1984, pp. 150-54):
«John Brown, sin dall’infanzia,si inserì pienamente nella realtà del suo tempo: nella formazione della sua personalità, infatti, entrarono in gioco due delle forze più permeanti del carattere americano di sempre, il puritanesimo della Nuova Inghilterra e la “frontiera”. Ne venne fuori un uomo tutto d’un pezzo, forte nell’animo quanto nel corpo, e deciso a vivere la sua vita ispirandosi ai sacri principi che la sua religione gli aveva inculcato: la sua visione della vita fu però, per un certo tempo, deformata in parte per questo suo rigorismo biblico, in parte per l’incrollabile fiducia nelle sue capacità che lo condussero ad una considerazione delle cose troppo approssimativa e superficiale. […]
Probabilmente fu una più attenta lettura del vecchio testamento che lo convinse definitivamente ad imboccare la strada della violenza, ma non si deve per questo pensare che l’abolizionismo violento di Brown non avesse radici nella realtà del tempo. Fu, al contrario, la realtà che lo aveva più volte sconfitto, la realtà di quegli anni, che esplodeva di tanto in tanto in lampi di violenza (culminati nel 1857 con l’assassinio di Lovejoy) a spingerlo a ripudiare l’abolizionismo fatto di parole dei suoi amici; gli esempi, poi, di Mosè, Giosuè, Gedeone, che anche con la violenza avevano liberato il loro popolo dal servaggio, fecero il resto e gli indicarono perentoriamente la via da seguire. Nacque così nella sua mente il “piano virginiano”, che la maggior parte degli studiosi ha definito impietosamente, ma anche ingiustamente, pazzesco o per lo meno utopistico; Sanborn, invece, accosta lo schema di Brown all’impresa dei Mille di Garibaldi, e il paragone è significativamente ripreso da Luraghi, che attribuisce il fallimento pratico del piano non alla sua presunta inattuabilità, ma all’idea sbagliata che Brown si era fatto della schiavitù.
Ma quella visione astratta e irreale del Sud non era frutto dell’immaginazione del solo Brown; era comune infatti ad una intera generazione di abolizionisti che anzi, con la loro letteratura, avevano indotto il Vecchio a credere ciecamente nella collaborazione attiva degli schiavi al suo piano. Questa fu l’unica utopia nella quale credette un uomo che era diventato invece, col passare degli anni, estremamente lucido e consapevole di quello che stava avvenendo nel suo Paese e soprattutto di quello che sarebbe potuto avvenire a determinate condizioni. Di fronte allo scoppio del conflitto civile nel Kansas e alle violente diatribe dei congressisti, che rendevano oltremodo chiara l’enorme distanza che separava ormai irrimediabilmente le due parti del Paese, Brown intravide forse la possibilità di costringere il Sud alla secessione e quindi il Nord al conflitto armato:; la testimonianza di Salmon Brown riguardo alle reali intenzioni del padre, CI PUÒ PORTARE ALLA CONCLUSIONE CHE GIÀ NEL 1854 BROWN AVEVA PREVISTO E SI ERA POSTO COME OBIETTIVO LA GUERRA CIVILE [il corsivo è nostro]. Questa è lungimiranza, non utopia, e del resto la susseguente attività del capitano nel Kansas testimonia la sua lucida e consapevole presenza nella realtà del tempo: appena giunto nel Territorio, si rese conto del terrore che immobilizzava i coloni “freesoilers”, e sferrò con l’eccidio del Pottawatomie un colpo così tremendo che cambiò immediatamente le carte in tavola e volse le sorti del conflitto a favore dei “freesoilers. […]
Ci voleva un’ulteriore provocazione perché le minoranze estremiste, che da tempo agitavano gli stendardi della secessione e della guerra, acquistassero una forza tale da impadronirsi definitivamente dell’opinione pubblica e da trascinare al conflitto anche la maggioranza riluttante.
BROWN COMPRESE CHE POTEVA CREARE QUESTA PROVOCAZIONE PROPRIO SERVENDOSI DELLE CATENE E DELLE FERITE CHE I SUOI NEMICI GLI AVEVANO INFLITTO: CREANDO UNA IMMAGINE PERFETTA E IDEALE DI SE STESSO POTEVA DIMOSTRARE ALL’OPINIONE PUBBLICA DEL NORD CHE LUI, JOHN BROWN, ERA IL SANTO MENTRE I SUDISTI, CHE LO PERSEGUITAVANO E LO CONDANNAVANO A MORTE, ERANO I DIAVOLI [corsivo nostro].[…]
Di fronte a questo John Brown umano e pietoso [durante il processo] sarebbe presto svanita nel Nord l’immagine truculenta del “giustiziere del Pottawatomie”, tanto più che al processo quello stesso John Brown recitò, con perizia e abilità da attore consumato, la parte del martire solo e indifeso di fronte ai suoi carnefici, così crudeli da non sentire pietà nemmeno per le sue precarie condizioni di salute [era rimasto ferito nello scontro di Harper’s Ferry, per cui presenziava alle udienze disteso in barella]. Il Nord fu letteralmente conquistato da questo nuovo personaggio che perorava così bene la sua causa di fronte alla Corte di Charlestown, e non si accorse minimamente delle palesi inesattezze presenti nell’ultimo discorso di Brown che, ponendo un suggello così splendido a tutta la recita precedente, riuscì ad ingannare l’America intera.»
Pianificare e perseguire scientemente, a mente fredda, la massima sciagura che possa colpire la propria nazione: lo scoppio di una guerra civile, con tutto l’immancabile bagaglio di odio, di sete di vendetta e di violenza belluina che essa porta con sé, e che è destinata a trascinarsi per generazioni dopo la sua conclusione: questo, dunque, il disegno politico di John Brown; questa la sua utopia nera, la sua implacabile volontà di distruzione.
E la cosa è tanto più sconcertante, allorché si consideri che tale disegno nasceva da non tanto da un pensiero, quanto da un sentimento, che si ispirava direttamente alla Bibbia: la stessa Bibbia che i teorici dello schiavismo invocavano per giustificare l’istituto della schiavitù (la maledizione dei discendenti di Cam), a Brown serviva per pianificare, in nome di un’altissima istanza morale di giustizia, la deliberata preparazione non solo di una guerra, ma di una guerra civile: la più distruttiva, la più devastante fra tutti i tipi di guerra.
I carnai di Bull Run, di Fredericksburg, di Chancellorsville, di Gettysburg; le stragi seminate dalle nuovi armi, in particolare dalla mitragliatrice; gli incendi, i saccheggi, gli stupri, la fame, le devastazioni che prostrarono per sempre gli Stati sudisti: tutto questo ebbe inizio nella lucida follia di questo sinistro personaggio, che, la Bibbia in una mano e il fucile nell’altra, chiamava a raccolta i demoni dell’odio e della guerra e, incurante delle conseguenze, pensava soltanto al raggiungimento del suo scopo; non tralasciando di presentare un’immagine leggendaria di se stesso, tale da poter essere venerata nei tempi a venire, come quella di un santo laico.
Come, difatti, è avvenuto.
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