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mercredi, 21 mars 2012

I miti che generano depressione

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I miti che generano depressione

di Claudio Risé

Fonte: Claudio Risè [scheda fonte]

Un europeo su dieci è depresso. Le donne il doppio degli uomini, e i giovani più degli adulti. Lo rivela l’ultimo sondaggio importante svolto in Italia, Francia, Inghilterra, Spagna e Germania, che conferma i dati precedenti. Sappiamo così che non aumenta. Ma cosa succede quando si entra in depressione, e perché accade?
Alcuni aspetti diventano sempre più evidenti: ad esempio i tratti “sociali” della depressione, i suoi legami col lavoro, la famiglia, e il modello di sviluppo attuale.
I depressi vengono messi in difficoltà dal carattere “performativo” del nostro modello sociale che richiede in continuazione di “funzionare” bene nei diversi campi, dal lavoro alla sessualità.
Ridurre la persona a produttore (di denaro, successo, piacere), suscita in molti l’ansia di “misurare” direttamente quanto siano adeguati alle richieste degli altri e del collettivo. A questo punto, se non si è sostenuti da una forte autostima, e da molta concretezza e umiltà, è facile deprimersi.
Il modello della “persona di successo” è, infatti, per definizione, ideale e irraggiungibile, come dimostrano le stesse biografie delle star, che rivelano in continuazione improvvisi squarci di infelicità, disordine, o vere e proprie malattie.
La bellezza, l’essere attraenti, è una dote di partenza, non è completamente costruibile con la chirurgia o altri artifici: dà più sicurezza apprezzarsi per come si è che inseguire una perfezione inesistente.
L’altro grande Idolo del nostro modello culturale poi, il potere, richiede a sua volta (per solito) grandi durezze e sacrifici per ottenerlo, (magari sul piano della coerenza, gusti, o moralità personali), e prima o poi va necessariamente lasciato, o comunque viene tolto.
Adeguarsi a queste richieste collettive: performance elevate, bellezza, potere, suscita dunque di per sé prima ansia, e poi depressione. Si diventa come bambini piccoli e esageratamente prepotenti, che su una giostra vogliano raggiungere il cavallo di legno che c’è davanti invece di godersi il loro giro. E quando il giro è finito piangono.
Da questo punto di vista la depressione, se attraversata con consapevolezza, può invece essere un importante passaggio formativo e una straordinaria scuola di vita, come ha ricordato nei suoi lavori (tra cui l’ultimo: Elogio della depressione) Eugenio Borgna, che ha introdotto in Italia la psichiatria fenomenologica.
Certamente non è facile, come del resto buona parte delle esperienze formative dell’esistenza.
Il rifiutare questo “lato difficile” della formazione personale, e il cercare di aggirarlo con tecniche, o con vere e proprie menzogne, come la “vendita del successo” in cui consiste molta pseudo educazione contemporanea, non fa altro che produrre nuove depressioni e altri disagi. Tra questi, è piuttosto interessante l’attuale svalutazione mediatica e culturale dell’importanza nella vita delle persone di un rapporto di coppia stabile.
Del consumismo complessivo e della relativa esaltazione dell’individuo, col suo fascino e potere, fa parte infatti la celebrazione della fine della famiglia-coppia stabile, sostituita da famiglie aperte e variabili, inframmezzate da lunghi periodi di stato “single”. Peccato però che proprio le persone che vivono da sole, single, divorziati, separati o vedovi siano nel gruppo di testa dei depressi (in Europa e nel mondo).
Lo stabile e profondo rapporto d’amore con l’altro, così come la ricca e complessa socialità della famiglia, col suo dialogo tra generazioni e società circostante, sostiene infatti, oggi e da sempre, la formazione e sviluppo della persona. E quindi il suo benessere.


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