vendredi, 12 octobre 2012
Guillaume Faye: “Al capitalismo restano due giri di roulette, poi torna il medioevo”
Guillaume Faye: “Al capitalismo restano due giri di roulette, poi torna il medioevo”
Ma chi è questo apocalittico che con chiaroveggenza quasi oracolare aveva stabilito che il decennio 2010-2020 sarà quello della convergenza di catastrofi che rischia di mettere fine alla civiltà globalizzata? E’ un inquieto, un eccentrico, un irregolare, che da un cursus honorum di tutto rispetto – iniziato con un dottorato a Sciences Po – è precipitato nella deriva situazionista di una carriera da giornalista sul Figaro Magazine, Paris Match eVSD, più qualche performance come sceneggiatore e attore porno, e una breve stagione di animatore-vedette su Skyrock, stazione radio seguitissima da punk ed emarginati consapevoli. E’ un antimoderno lucido e sferzante, che appartiene alla schiera dei grandi insofferenti al progresso, dei refrattari ai luoghi comuni, come lo erano a loro tempo Joseph de Maistre, Baudelaire, Flaubert, Céline, e tutti i grandi intellettuali atrabiliari di tradizione francese.
“La globalizzazione è come la carne avariata”
Allineato sul fronte sulfureo della Nouvelle droite antiamericana, filosoficamente pagana e antimonoteista, Faye però è ormai un isolato della destra identitaria, dacché ha abbandonato il maestro storico e fondatore del movimento Alain de Benoist, che l’ha accusato di estremismo razzista, per poi scomunicarlo come revisionista. E infatti, tra una pausa e l’altra dei suoi pellegrinaggi negli gli Stati Uniti, per la conferenza di American Renaissance sulla minaccia demografica delle minoranze non bianche, o a Mosca, per un convegno sull’avvenire del mondo bianco, preludio alla creazione del Consiglio dei popoli di origine europea, Faye è riuscito a smarcarsi dalla destra radicale nazionalista e rivoluzionaria, accusando i suoi esponenti di aver mostrato “l’atavico spirito femmineo del collaborazionista” nei confronti dell’islam e dell’immigrazione islamica.
Così, l’ultimo denunciatore della modernità e delle sue illusioni, guarda oggi con raccapriccio alla crisi dei mercati finanziari. “La civiltà globalizzata è un po’ come la carne avariata, dove basta solo un pezzo del 10 per cento per contaminare l’insieme”, dice infatti Faye usando una metafora assai cruda. Ma le conseguenze, in realtà, sono ancora più sanguinolente: “La crisi di oggi è più grave di quella del ’29. Data l’interdipendenza del sistema finanziario globale, basta infatti una crisi dei crediti a tasso variabile, come quella dei subprime americani, che le banche rifilano a clienti non in grado di rimborsare, per provocare un effetto domino su scala planetaria. Quando le banche cominciano a crollare una dopo l’altra, è tutto il sistema mondiale che rischia di non essere più in grado di prestare soldi, dunque di investire nell’economia. Assisteremo a una recessione gigantesca, non subito, ma tra un paio d’anni, perché viviamo in un’economia globalizzata, dove non ci sono più barriere tra persone e capitali, e il virus si propaga in modo incontrollabile. Oggi, infatti, il capitalista non è più un individuo isolato, o un gruppo di speculatori invisibili, ma alberga in ognuno di noi, se è vero che un fondo pensione americano raccoglie i piccoli risparmi di milioni di persone che aspirano a una redditività del 4 per cento l’anno”.
E’ questo il dramma del mondo contemporaneo, secondo l’apocalittico Faye, che si avvicina all’analisi del nostro Giulio Tremonti ma senza condividerne gli effetti virtuosi, visto che non spetta a un cane sciolto come lui stabilire in modo solidale come innescare un’autocorrezione del sistema dominante: “L’unico modo per evitare il contagio sarebbe quello di ripristinare un sistema relativamente autarchico. Gli stati cercano di intervenire: davanti al fallimento delle banche, gli americani nazionalizzano società di credito e di assicurazioni. Ma l’economia finanziaria somiglia sempre di più a un’economia da casinò, dove chiunque ha un po’ di soldi, entra, si siede al tavolo verde e comincia a giocare alla roulette un gioco puramente speculativo ed estremamente pericoloso. Il libero scambismo mondiale è una follia. Il liberismo senza frontiere è assurdo. Provoca delocalizzazione e disoccupazione, alimentando la spirale astratta dell’economia virtuale. Bisognerebbe tornare alla terra e alla ricchezza prodotta dal lavoro, entro uno spazio chiuso. Se non si producono oggetti e nemmeno servizi, siamo in un’economia virtuale, che peraltro in Francia e in Italia si regge oramai su un debito pubblico esorbitante, che graverà sulle nuove generazioni.”
Una convergenza di catastrofi
E’ per questo che agli occhi di Faye il capitalismo potrà anche superare la crisi a breve termine, ma a lungo termine è condannato, perché è lo stesso sistema a essere degenerescente. La crisi, infatti, si ripeterà ogni quattro-cinque anni, ma finirà per diventare inesorabile a causa della “convergenza di catastrofi” che si profila all’orizzonte: “Crisi mondiale delle materie prime, dell’energia petrolifera, della domanda troppo sostenuta di India e Cina, della mancanza di acqua nell’intero pianeta”. Che fare allora davanti al prevedibile cataclisma? La risposta degli Stati Uniti per Faye, che in fondo resta un ostinato antiamericano, sembra inadeguata: “Gli Stati Uniti non sono una nazione, ma un’impresa fondata sul complesso militare industriale e per questo hanno bisogno di fare la guerra. La Cina è troppo potente, perciò adesso hanno trovato il modo di provocare la Russia”. Vista dalla Georgia, però, la provocazione sembra venire da Mosca. “In effetti anche la Russia, come l’America, ha bisogno della guerra fredda – insiste Faye – mentre l’Europa non ha i mezzi per entrare in gioco. Per questo io avevo lanciato l’idea di un’Eurosiberia, ma i russi non hanno fiducia nell’Europa atlantista. E’ comprensibile, mettiamoci al posto loro…”. Anche in fatto di libertà Faye sembra avere idee autarchiche: “Putin non offre molte garanzie sul piano delle libertà individuali, è vero, ma ai russi non interessa: pensano solo alla ricchezza, alla prosperità economica, e del resto anche in occidente se non sei ricco non puoi pubblicare grandi giornali, perciò non possiamo chiedere con innocenza alla Russia di essere democratica”.
Il problema vero per Faye è uno solo, la civiltà globalizzata, uniforme, senza frontiere. “Il rischio di conflitto aumenta, le crisi si propagano a tutta velocità, come i flussi immigratori, portatori di guerre di religione”. E’ la tesi dell’“Archeofuturismo”, il saggio del 1998, che prevedeva la catastrofe dell’inizio del XXI secolo. “Un tempo la terra era separata in grandi civiltà a compartimenti stagni. Ognuna viveva le sue crisi, senza rischio di contagio. Oggi purtroppo non è così. Per questo – spiega Faye – io difendo la teoria dell’autarchia dei grandi spazi, Eurosiberia, Africa, Asia, America del nord, America del sud, con un’economia locale sana, pulita”.
L’utopia archeofuturista proietta nel futuro il passato remoto, ma serve a correggere la fiducia nel progresso costante e ininterrotto che alberga nel cuore del contemporaneo. “Noi crediamo ai miracoli se immaginiamo che per nove miliardi di persone sarà possibile avere un livello di vita paragonabile a quello occidentale. E’ semplicemente impossibile”, spiega Faye e, per dimostrarlo, non esita a utilizzare un argomento pudicamente definito “la variabile di aggiustamento umano” che tuttavia risulta scabroso per il politicamente corretto. “La popolazione del globo terrestre tornerà a un miliardo di persone. Ci saranno stermini di massa, effetto della fame e delle carestie. E’ impossibile immaginare un tasso di crescita del sei per cento l’anno, come se avessimo sei ‘pianeta Terra’ a disposizione. Alla fine del XXI secolo, la terra avrà due velocità: una piccola minoranza vivrà come oggi, un’altra vivrà un nuovo medioevo, senza tecnologia, senza risorse”.
Nel 2100 mancherà l’energia per telefonare
Non disarma Faye nemmeno se uno insiste sul progresso che l’economia globale ha rappresentato per un miliardo di persone che ora sono in grado di mangiare. “Sono molto pessimista, è vero, ma come il medico che scopre un tumore e non dice che è un’influenza. Noi siamo ancora in balia dell’ideologia del progresso, pensiamo che sia una curva ascendente e lineare. Nel 1960 si diceva che per il 2000 saremmo andati a ballare sulla luna. Errore. Quando nacque il Concorde si disse che nel 2000 avremmo avuto tutti aerei supersonici. Altra illusione. Nel 2100 non potremo nemmeno telefonare da Parigi a Roma, perché non ci sarà energia a sufficienza. I francesi si sono accorti che c’è stato un calo del 15 per cento nel consumo di energia. Continuiamo a pensare che saremo sempre più ricchi, più felici, ma intanto non sappiamo ancora come sostituire il petrolio, mentre le fonti alternative non basteranno al fabbisogno industriale. Del resto basta leggere la storia di Roma antica di Lucien Gerphagnion, per rendersi conto come non sia la prima volta che succede nella storia dell’umanità. L’impero romano regredì enormemente con le invasioni barbariche, se pensiamo che il livello di vita dell’élite romana nel primo secolo dopo Cristo, vale a dire cent’anni dopo Cicerone, era già come quello dell’élite europea nel XIX secolo: acqua corrente, strade pavimentate. Mancava la luce elettrica, ovviamente”.
Marina Valensise
© Il Foglio, 21 settembre 2008
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