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jeudi, 16 octobre 2014

Julius Evola e la donna crudele

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Julius Evola e la donna crudele

Ex: http://romeocastiglione.wordpress.com

Si annida il mistero tra le impalcature dell’imponente opera evoliana Metafisica del sesso. Nei capitoli ammalianti è celato un particolare erotismo evocativo; le tematiche affrontate nel volume brillano di un’immortale e remota luce. L’archetipo femminile è denso di sacralità e spiritualità arcana. La donna è inquadrata in un’ottica tradizionale, ancestrale: è sospesa nella perenne immutabilità ed è legata in modo preponderante alla terra, alla luna, ai ritmi ciclici del mondo. È un libro spiazzante, intrigante, coinvolgente. Le righe si sovrappongono nell’immaginario. Julius Evola esalta l’aspetto segreto della femmina, il lato nero, demoniaco. Secondo l’autore la donna riesce a far coesistere dentro di sé la disposizione alla pietà e quella alla crudeltà. In virtù di ciò egli rielabora alcune convinzioni di Lombroso e Ferreno. Particolarmente pone all’attenzione un prototipo di femmina violenta e spietata; tale modello si esalta nelle rivoluzioni e nei linciaggi. L’autore argomenta le supposizioni e riporta i passaggi più improntati del volume lombrosiano La donna delinquente. Credo che sia di ausilio il lungometraggio Malena: le donne del paese si accaniscono con perfida violenza sulla bellissima protagonista del film. La sfigurano pubblicamente. È un atto di giustizia sommaria. Malena abbatte i tabù. Di conseguenza provoca un’invidia assurda. È l’altra faccia della medaglia; rappresenta l’evasione. E deve essere distrutta.

Le donne crudeli di Tornatore sono simili alla perfida Emma Smael del lungometraggio Johnny Guitar di Nicholas Ray. Come il fuoco Emma Smael avvampa la nuda pelle. Ella sprigiona nell’atmosfera un aroma tragico intriso di dolore; ha un carisma esasperato, uno charme lugubre e impersonale. Porta i segni della rabbia oscura e antisolare. È vestita di nero, non cura il suo corpo. All’apparenza è un essere insignificante e indesiderabile. Ma sotto la scorza alberga un’anima inquieta, crudele, mesta. Luccica di cattiva luce quest’antieroina lunare. Emma fomenta il popolo, aizza le masse. Combatte la crociato contro i diversi, i forestieri, i fuorilegge. È puritana: disprezza le tentazioni dei sensi. Nello stesso tempo desidera ardentemente il bandito Ballerino Kid. Nel suo corpo si affrontano gli istinti contrastanti. Questa donna vorrebbe addirittura uccidere la sua segreta passione per far allontanare i bollenti spiriti. «Desideri Kid, ti vergogni e vorresti vederlo impiccato». Ribecca così Vienna, la nemica acerrima, la rivale assoluta.

Evola tenta di mettere insieme come un puzzle i richiami evocativi. In modo particolare è dedicato alla crudeltà della donna un intero capitolo. Così denocciola una carrellata di aneddoti storici: si sovrappongono le saghe della Tradizione. I persiani intravidero nell’universo femminile una particolare dualità. Fuoco e neve, durezze e dolcezza formano la donna. Ebbene sorge un collegamento tra crudeltà e sessualità: il tipo della baccante e della mènade è un esempio lampante. Nelle pieghe affiora un prototipo femminile afroditico ambiguo. La Dolores di Swinburne, la cosiddetta Nostra signora dello Spasimo è il vessillo del peccato, del piacere, della perdizione, della crudeltà latente. E il filosofo coglie alcune sottili sfumature. Ridisegna l’eroina Mimi della Boheme di Murger in un modo diverso; in sostanza inquadra la ragazza in una dimensione perfino “brutale e selvaggia”.

Ebbene il fascino muliebre è associato alla magia e alla stregoneria. Circe, Calipso e Brunhilde rappresentano l’esasperazione, l’estremizzazione, l’attrazione malefica. Tale tipologia di donna attrae l’uomo come una calamita famelica; la fascinazione è gravida di richiami alla negromanzia, all’occultismo. È la lagnanza della terra, lo spirito del peccato, la rottura. Perfino Ulisse è incantato dalle sirene: ascolta l’eco d’estasi legato a un palo. È una lotta tra il bene e il male. Anche il valoroso Gerardo Satriano nel romanzo L’eredità della priora è sedotto dalle fattucchiere lucane. Smarrisce la concezione del tempo e annulla la sua individualità. Così come perde la cognizione del tempo il giudice salentino protagonista del film Galantuomini di Winspeare. L’uomo prova una strana attrazione nei confronti di una donna legata al mondo della malavita. Per tale ragione perde tutte le certezze e confonde il bene e il male.

La letteratura, la poesia e il cinema hanno esaltato diverse volte le donne crudeli, in altre parole quelle dotate di un fascino antisolare, demoniaco. Per alcune strane similitudini elogio Giulia Venere, la domestica del libro Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Leggo, annoto i passi del racconto. Ed elaboro il pensiero. Penso che sia un accostamento intrigante; tramite poche righe il lettore è catapultato in un anfratto antimoderno. «Giulia era una donna alta e formosa – scrive Levi – doveva aver avuto, nella gioventù una specie di barbara e solenne bellezza. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria, ma restavano i segni dell’antica venusità nella sua struttura severa, come nei muri di un tempio classico, che ha perso i marmi che l’adornavano, ma conserva intatta la forma e le proporzioni. […] Questo viso aveva un fortissimo carattere arcaico, non nel senso del classico greco, né nel romano, ma di una antichità misteriosa e crudele, cresciuta sempre sulla stessa terra senza rapporti e mistioni con gli uomini, ma legata alla zolla e alle eterne divinità animali. Vi si vedevano una fredda sensualità, una oscura ironia, una crudeltà naturale, una protervia impenetrabile e una passività piena di potenza che si legavano in un’espressione insieme severa, intelligente, malvagia». Con molta probabilità anche Levi ha subìto il fascino distruttivo della maga lucana. Emerge un ritratto sensuale, erotico, spietato.

Tale donna è un archetipo, un modello evoliano. Il filosofo della tradizione nella sua Metafisica del sesso rimarca gli oscuri aspetti. E appare con prepotenza la “dimensione fredda” evocata perfino da uno scrittore progressista come Carlo Levi. «È questa la dimensione fredda della donna – scrive Evola – quale incarnazione terrestre della Vergine, di Durgâ e in quanto essere yin. […] Che la donna sia connessa più dell’uomo alla terra, all’elemento cosmico – naturale è cosa dimostrata. […] Ma nell’antichità questa connessione si riferiva piuttosto all’aspetto yin della natura, dal dominio sovrasensibile notturno e inconscio, irrazionale e abissale, delle forze vitali. Di qui, nella donna certe disposizioni veggenti e magiche in senso stretto».

Nella rappresentazione cinematografica del libro Irene Papas veste i panni di Giulia. Avvertiamo nelle pieghe delle scene un velato erotismo colmo di allusioni estatiche. La donna nasconde il suo copro con le vesti. Soltanto i piedi sono scoperti: pertanto codesta forma di pudore primordiale si differenzia da quello delle donne orientali. Le cinesi considerano i piedi l’elemento primitivo da nascondere; le arabe, invece, coprono la bocca. E Giulia cammina scalza fra le macerie derelitte. In uno spezzone lascia intravedere una gamba nuda; la copre subito con un’aria sensuale. Magnetizza così l’uomo. Quest’ultimo è attratto dal gesto insolito della megera, dai movimenti furtivi, dal sensualismo impersonale. Proprio Evola dedica al pudore taluni passaggi coinvolgenti. «Si sa fin troppo bene quanto spesso la donna usa le vesti per produrre un maggior effetto eccitante allusivo alle promesse della sua nudità. Montaigne ebbe a scrivere che ci sono cose che si nascondono per meglio mostrarle».  Giulia Venere si è cristallizzata nelle sembianze di Irene Papas ed è difficile scindere le due figure. Il gesto insolito dell’attrice greca è un frammento penetrante e ipnotico. Con pochissime e calde movenze è riuscita a descrivere i sentieri tracciati nel libro evoliano.

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