Tra il 1922 ed il 1934 Mussolini e il Fascismo vennero considerati dai conservatori e da buona parte dell’opinione pubblica britannica come il leader ed il partito capace di “far prevalere la legalità sull’anarchia”. I conservatori affermavano che il Fascismo era “per il patriottismo, per una vita nazionale solida e sana, per lo stimolo dell’efficienza e per l’economia” e consideravano la “rivoluzione” mussoliniana come una “ricostruzione politica e sociale” al fine di “unificare e coordinare tutte le classi al servizio della nazione”. Il Fascismo in Inghilterra riscuoteva “le simpatie di tutte le parti politiche” ad “eccezione dei comunisti”. I conservatori, come Winston Churchill, descrivevano l’Italia come un Paese che dava “l’impressione di disciplina e di ordine”. Mussolini era considerato uno statista che “pensava solo al bene duraturo del suo popolo” e il governo da lui presieduto veniva visto come un esecutivo “sostenuto dal consenso attivo e pratico delle masse”. Fu in questo contesto che, nell’ottobre del 1932, maturò la scelta da parte di Oswald Mosley (foto) (Londra, 16 novembre del 1896-Orsay, 3 dicembre del 1980) di fondare un nuovo movimento denominato British Union of Fascists (BUF). Alcuni politici di destra arrivarono ad ipotizzare un’alleanza tra i conservatori e le blackshirts (camicie nere) in funzione antilaburista. I principi e le linee guida della BUF erano: 1) politica economica basata sull’organizzazione corporativa delle Stato; socializzazione delle aziende al di sopra di una certa dimensione strutturale attraverso un’amministrazione unica comprendente i capitalisti, gli operai ed i consumatori. In caso di discordie insanabili tra le diverse componenti sociali, sarebbe dovuto intervenire d’autorità lo Stato, proponendo una revisione del suffragio basato sul lavoro corporativo: la Camera dei Comuni non doveva più essere partitica, ma bensì corporativa (ogni lavoratore votava un rappresentante della sua corporazione); 2) patriottismo, devozione assoluta al Re e all’Impero e apertura alle istanze rivendicative degli ex combattenti; 3) amicizia tra le tutte le nazioni fasciste europee. La crisi del 1929 aggravò la già precaria situazione economica inglese ed i governi, laburista prima e conservatore poi, si mostrarono incapaci di guidare il paese fuori dalla “grande depressione”. La soluzione di Mosley alle contingenti difficoltà economiche prevedeva l’adozione di una politica protezionistica (ovvero sottrarre il mercato britannico alle incertezze del sistema capitalistico e garantire alla nazione una totale autosufficienza) e l’introduzione di tecniche moderne di produzione di massa (così da consentire, con la produzione di massa, l’aumento dei salari, senza tuttavia perdere in competitività imprenditoriale). Bisognava, inoltre, limitare gli scambi economici al canale preferenziale tra la madre patria e l’Impero coloniale. Fondamentale era il potenziamento dell’agricoltura che avrebbe dovuto permettere di ottenere una produzione interna sufficiente a soddisfare il fabbisogno della popolazione inglese senza dover far ricorso alle importazioni dall’estero. Tale organizzazione della politica economica si era resa ancor più urgente dopo la crisi del 1929. Bisognava evitare il declino della nazione britannica perché essa doveva “continuare a vivere in un modo degno della sua grandezza”. La creazione di uno Stato corporativo sul modello italiano era il prioritario obiettivo che la BUF si proponeva di realizzare non appena avesse ottenuto il suo primo successo elettorale. Fu proprio l’unione tra tradizione e rivoluzione che attirò al movimento di Mosley i consensi di “alcuni autentici, ma patriottici, rivoluzionari”. Costoro erano per la maggior parte uomini che, come lo stesso Mosley e buona parte dei dirigenti del suo partito, avevano combattuto durante la prima guerra mondiale. Essi capivano che il Fascismo italiano era una rivolta dei giovani contro la vecchia e mediocre politica, una politica timorosa e insensibile a priori all’irrinunciabile cambiamento. Comunque la condanna senza appello del vecchio sistema dei partiti fu dovuta al fatto che la British Union of Fascists rifiutò sempre di essere la guardia pretoriana della destra tradizionale. Nel 1930 Mosley propose all’esecutivo il celebre Memorandum Mosley in cui egli illustrava le sue idee riguardo l’economia: insieme ai laburisti più radicali, Mosley pensava ad una politica di programmazione, di controllo degli investimenti e di rafforzamento dell’esecutivo “sia per un controllo dell’alta finanza sia per un progressivo svuotamento degli influssi incontrollabili dell’economia mondiale attraverso tempestive misure protezionistiche, oppure attuando un autoisolamento dell’economia nazionale” (Ernst Nolte). Per il suo estremismo antisemita Mosley perse l’appoggio di numerosi uomini influenti tra cui Lord Rothermere (Harold Sidney Harmsworth) e i Tory non solo esclusero categoricamente ogni forma di alleanza con la BUF, ma fecero altresì approvare dal parlamento inglese una legge che poneva il movimento fascista britannico sotto il controllo della Polizia. L’atteggiamento di Mosley verso Mussolini ed il Fascismo era ambivalente: da un lato egli negava categoricamente qualsiasi intenzione di emulare il corrispettivo mussoliniano ed insisteva sull’originalità del Fascismo inglese. Dall’altro molti erano gli elogi riservati al Duce ed alle sue mirabili realizzazioni nel campo sociale. Per quanto riguarda i rapporti con il capo del Fascismo littorio, Mosley incontrò Mussolini “circa una mezza dozzina di volte tra il 1932 ed il 1936”. A rovinare il clima favorevole per il suo partito ci pensò lo stesso Mosley: il 4 ottobre del 1936 i fascisti in camicia nera da lui guidati marciarono sull’East End di Londra per intimidire e ridurre al silenzio le organizzazioni sindacali e i gruppi ebraici che soggiornavano in quei quartieri. Il tentativo di scimmiottare la marcia su Roma (28 ottobre del 1922) si risolse in un autentico disastro: 300.000 uomini eressero barricate, si scontrarono con i sostenitori del Fascismo albionico e riuscirono a scacciarli. Questo episodio, noto come la “battaglia di Cable Street”, spezzò la schiena alla BUF. Rimasto vedovo nel frattempo (la prima moglie, Cinthya Curzon, figlia del viceré d’India George Curzon , era morta di peritonite nel 1933), Mosley si risposò nel 1936 con Diana Mitford, di 14 anni più giovane di lui. Le nozze vennero effettuate a casa di Joseph Goebbels (Ministro della Propaganda del Terzo Reich) e Adolf Hitler fu uno degli invitati. Mosley, di Benito Mussolini, ammirava “l’ottima cultura, l’affabilità, l’umorismo schietto, l’ottimismo, il realismo, la perspicacia, il coraggio e l’impegno politico costante”. I maggiori successi ottenuti dal capo fascista di palazzo Venezia erano, agli occhi dell’omologo inglese, l’organizzazione dello Stato italiano su basi corporative, la centralità della famiglia e la politica demografica, aspetti ripresi in seguito e molto apprezzati dal Mosley stesso. Mussolini, secondo l’opinione della BUF, non aveva altra intenzione se non quella di procurare al suo popolo nuove terre da coltivare: il suolo della nostra penisola, infatti, non era più sufficiente al sostentamento della popolazione italiana in esponenziale crescita numerica. Era perciò necessario rivolgere lo sguardo oltre i confini nazionali (conquistare l’Etiopia per espandere le colonie). Il governo di Roma era disponibilissimo a trattare pacificamente con la Gran Bretagna che, invece, si dimostrava perennemente ostile e diffidente verso l’Italia fascista mussoliniana perché aveva osato “sfidare l’ordine coloniale, contestando lo sfruttamento dei territori africani da parte delle grandi nazioni capitalistiche e proponendo che tali territori diventassero un’area di libero insediamento delle popolazioni mediterranee”. L’Italia del Duce, ammoniva la BUF, non si sarebbe tirata indietro di fronte ad un’eventuale minaccia di guerra e sarebbe stata per l’Inghilterra un avversario pericoloso, anche perché avrebbe potuto contare sull’aiuto incondizionato della Germania nazista e su quello del Giappone del Tenno. La BUF è stato probabilmente l’unico movimento fascista europeo che non ha mai ceduto alle seduzioni ed alle lusinghe nazionalsocialiste, ma che al contempo è sempre rimasto fedele all’originaria impostazione italiana, un’impostazione aliena da simpatie ideologiche per il tiranno nazista Adolf Hitler, il Fuhrer dei tedeschi. L’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940 costò cara ad Oswald Mosley e alla sua BUF. Dopo aver tentato in tutti i modi di ostacolarne l’ascesa (nel 1934 le adesioni al movimento fascista londinese raggiunsero approssimativamente le 40.000 unità, di cui 5-10.000 membri attivi), il governo di Sua Maestà Britannica, il 23 maggio del 1940, varò una legge fatta su misura per i fascisti inglesi, la legge 18 B. Il capo della BUF venne arrestato ed il partito di cui lui era l’antesignano fu sciolto d’autorità. Al termine del secondo conflitto mondiale, nel 1948, Mosley fondò l’Union Movement e con esso si candidò, nel 1959, a North Kensington e, nel 1966, nel collegio di Shoreditch e Finsbury, venendo sconfitto in entrambe le circoscrizioni elettorali inglesi. Nel 1951, Mosley, dopo essersi trasferito in Irlanda, traslocò a Parigi dove trascorse gli ultimi anni di vita. Nel 1968 scrisse un’autobiografia dal titolo “My life” e nel 1977 fu candidato alla carica di Rettore Magnifico dell’Università scozzese di Glasgow. Ottenne in questa occasione un centinaio di voti a favore. In sintesi, ecco quello che diceva il Mosley credendoci per davvero: “In realtà il Fascismo è il più grande, costruttivo e rivoluzionario credo esistente al mondo. Oggettivamente esso o è rivoluzionario o non lo è per niente”. Il retaggio di civiche, nonché di militari virtù in perfetto stile “Old England”, così come la sana educazione ricevuta dal Mosley, il suo senso della disciplina, l’sua attitudine al comando non meno che all’obbedienza, la sua raffinatezza nel portamento, la sua giovanile irruenza contro il compromesso e la fedeltà dell’ufficiale inglese a un superiore codice d’onore si aggiunsero agli umori e ai malumori della generazione mosleyana e alla avversione verso l’impotenza manifesta, verso il dilettantismo dei comportamenti politici e verso la corruzione dilagante. Mosley scriverà nel suo “My life”: “Le idee che restano astratte non mi hanno mai attratto; l’azione deve seguire il pensiero perché la vita politica non resti priva di significato”. Era l’antipatia per il laissez-faire liberale: la famosa teoria del “ci pensa direttamente il mercato”. (Brani scelti tratti, dopo parziali modifiche lessicali e brevi integrazioni, dall’articolo di Gino Salvi intitolato: Oswald Mosley e la British Union of Fascists. Storia Verità, gennaio-febbraio 2009, n. 55). |
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