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vendredi, 23 septembre 2016

GEOPOLITICA DELL’ORTODOSSIA

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GEOPOLITICA DELL’ORTODOSSIA

di Claudio Mutti*

Ex: http://www.eurasia-rivista.org

claudio mutti,géopolitique,russie,orthodoxie,religion,politique internationale,europe,affaires eruopéennesIl titolo di questo numero di “Eurasia” è stato palesemente suggerito da quello di un’omonima opera di François Thual1 che, prendendo in esame il caso esemplare del cristianesimo ortodosso, mostra come il fattore religioso, lungi dal ridursi a dato secondario o sovrastrutturale, possa fornire ad un soggetto politico un patrimonio di miti e di simboli, fino a costituire un motore determinante delle sue azioni e delle sue scelte. Certo, agli studiosi di geopolitica si offre la possibilità di sottoporre ad un’indagine analoga anche altre grandi religioni che, dopo aver occupato spazi diversi del continente eurasiatico, hanno fondato ciascuna una propria civiltà, ciascuna ispirando le dinamiche del proprio spazio rispettivo; e in effetti non mancano, nella letteratura di settore, gli studi concernenti le implicazioni geopolitiche delle varie forme religiose2.

Per quanto riguarda in modo specifico l’Ortodossia, è stato detto che a renderla particolarmente idonea all’approccio geopolitico è il suo caratteristico rapporto con la terra. “In nessun’altra area come in quella di tradizione ortodossa – scrive uno studioso – il problema della terra intesa come imperskaja zemljà (‘terra imperiale’), sacra per definizione, riveste tanta importanza. (…) il pensiero imperiale-territoriale, di matrice religiosa, è centrale nella concezione ortodossa (…) nella cultura politica di stampo bizantino-ortodosso la terra assume un carattere sacrale, che ne determina non solo l’inviolabilità, ma anche la santità dell’espansione: la Svjataja Russkaja Zemljà (‘Santa Terra Russa’) è per esempio speculare alla Srpska Sveta Zemlja (‘Santa Terra Serba’)”3.

La geopolitica dell’Ortodossia è quindi intimamente collegata ad una concezione che, formatasi in epoca bizantina, è stata trasmessa alle entità statuali che hanno ricevuto l’eredità di Bisanzio.

Tra gli elementi costitutivi di tale concezione, risulta centrale l’idea della translatio imperii, ossia del trasferimento della funzione imperiale da Roma a Bisanzio e da Bisanzio a Mosca. Tale translatio ebbe il suo inizio storico nel 324, quando Costantino fondò una seconda capitale nella parte orientale dello Stato romano, cosicché nel 381 il patriarca bizantino poteva affermare di essere secondo soltanto a Roma, dal momento che “Costantinopoli è la nuova Roma”4. Mille anni dopo, nel 1393, quando l’“eresia latina” si era ormai definitivamente installata a Roma e Bisanzio veniva minacciata da ogni parte, il patriarca costantinopolitano Antonio IV rivolse le sue aspettative verso la Russia, ricordando al “gran principe” moscovita Vasilij I che i cristiani dovevano avere una sola Chiesa e un solo basileus ton Romaion. Ancora un secolo e, nel 1492, quarant’anni dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, il metropolita Zosimo presentò la candidatura di Mosca: “Costantino il Grande fondò la nuova Roma, san Vladimiro battezzò la Russia, ora Ivan III è il nuovo Costantino della nuova Costantinopoli, Mosca”5. Una ventina d’anni più tardi, il monaco Filoteo di Pskov formulò in una lettera allo zar Ivan III la teoria di Mosca quale terza Roma: “Tutti gl’imperi cristiani arrivarono alla loro fine e sono stati riuniti nell’unico impero del nostro sovrano, secondo i libri profetici, cioè nell’impero russo. Due Rome sono cadute, ma la terza è già in piedi e non ci sarà una quarta”6.

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A tradurre in termini geopolitici l’ideale della Santa Russia ortodossa e bizantina saranno, paradossalmente, i rappresentanti del dispotismo illuminato russo. Pietro il Grande (1682-1721) e Caterina II (1762-1796), per i quali il richiamo ai valori religiosi e alla difesa dei cristiani ortodossi costituivano una fonte di legittimazione delle loro conquiste, assoggettarono sì la Chiesa, ma ne recuperarono il messaggio ideologico. “A partire dall’inizio del XVIII secolo – scrive Thual – la geopolitica estera russa è in una fase di espansione continua; la gestione quotidiana di questo spazio imperiale e la diplomazia russa si ispireranno a due principi: la difesa dell’Ortodossia, una specie di panortodossismo che avrà un ruolo più importante del panslavismo per quanto concerne la politica estera russa. Se la nascita dei temi ideologici risale al periodo precedente a quello dei Romanov, sarà proprio questa dinastia a riattualizzarli ed a farli passare dallo stadio di mito, di suggestione collettiva, allo stadio di schema d’azione e di canovaccio per il comportamento politico”7. Caterina II, in particolare, concepì l’idea di far sorgere nella penisola balcanica una sorta di nuovo impero bizantino, alla testa del quale si sarebbe insediato un membro della famiglia imperiale russa. Tale disegno non si realizzò, ma col trattato di Küçük Kaynarca del 1774 Caterina ottenne che da quel momento in poi lo Zar di Russia parlasse a nome di tutti gli ortodossi sudditi della Sublime Porta. Da allora la fede ortodossa continuò a nutrire gli obiettivi specifici della geopolitica russa: la riconquista di Costantinopoli e delle vie di comunicazione tra il Mar Nero e il Mediterraneo, la trasformazione dei paesi ortodossi dei Balcani in Stati satelliti della Russia, il recupero dell’Armenia e dei Luoghi Santi in Palestina.

A questa visione geopolitica, incentrata sul rapporto conflittuale tra Russia e Turchia, Konstantin Leont’ev (1831-1891), il “Nietzsche russo”8, contrappone una tesi ben diversa: le due potenze eurasiatiche, in quanto espressioni di due civiltà minacciate entrambe dalla sovversione liberale e democratica proveniente da Occidente, dovrebbero trovare i termini di un’intesa e costituire una barriera di spirito tradizionale9.

Leont’ev rimase vox clamantis in deserto; ma in un certo modo  la sua tesi è stata confermata, sia pure da un punto di vista diametralmente opposto, dal teorico dello “scontro delle civiltà”, il quale fissa la frontiera della civiltà occidentale “là dove finisce il cristianesimo occidentale e iniziano l’islamismo e l’ortodossia”10. Il simbolismo geografico è eloquente: alla Mezzaluna islamica, che dai Balcani giunge al Caucaso attraverso l’Anatolia, si unisce la Croce ortodossa, l’asse della quale, radicato in Palestina, attraversa l’isola di Cipro e giunge a Costantinopoli, per dirigersi poi verso la Romania, dove si congiungono i due bracci: quello serbo e quello russo11.

* Direttore di “Eurasia”.

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  1. F. Thual, Géopolitique de l’Orthodoxie, Institut de Relations Internationales et Stratégiques, Paris 1993; ed. it. Geopolitica dell’Ortodossia, Saggio introduttivo di A. Vitale, Società Editrice Barbarossa, Milano 1995. Dello stesso autore, in italiano: Il mondo fatto a pezzi, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008.
  2. Per limitarci all’attività di François Thual, possiamo citare Géopolitique du chiisme, Arléa, Paris 1995 e Géopolitique du Bouddhisme, Editions des Syrtes, Brest 2002.
  3. A. Vitale, Saggio introduttivo a: F. Thual, Geopolitica dell’Ortodossia, cit., pp. 8-9.
  4. R. Lee Wolff, The Three Romes: The Migration of an Ideology and the Making of an Autocrat, in “Daedalus”, primavera 1959, p. 294.
  5. In Pamjatniki drevnerusskogo kanoničeskago prava, I, St-Peterburg 1908, pp. 795 ss.
  6. V. Malinin, Starec Eleazarova monastyria Filofei i ego poslanija, Kiev 1901, suppl. pp. 54.
  7. F. Thual, Geopolitica dell’Ortodossia, cit., p. 49.
  8. N. Berdjaev, Konstantin Leont’ev. Očerk iz istorii russkoj religioznoj mysli, YMCA Press, Paris 1926, pp. 37-39.
  9. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1987. Per una presentazione del pensiero di Leont’ev si veda A. Ferrari, La terza Roma, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1986.
  10. S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, p. 230.
  11. 11. Cfr. O. Clément, La Chiesa ortodossa, in: Storia delle religioni a cura di Henri-Charles Puech, 10. Il cristianesimo medievale, Universale Laterza, Bari 1977, p. 165.

Bernays et les secrets de la propagande américaine

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Bernays et les secrets de la propagande américaine

par Nicolas Bonnal

Ex: http://www.dedefensa.org

Reparlons un peu des Femen. Pourtant si nous en sommes là, c’est un peu grâce à elles. Sous leur comportement abject et « provocant », elles ont amené une radicalisation de la situation en Ukraine, une radicalisation du fanatisme occidental en matière de tolérance et de sexualité, une radicalisation enfin du traitement médiatique de la cible russe – ou chrétienne, puisque c’est devenu la même chose. La stratégie de gradation a été remarquable depuis quatre ans, et  il était normal que ce qui n’était au départ qu’une simple provocation innocente débouchât sur la crise actuelle.

Le montage Femen peut être remonté à la source, et pour ce faire je remonterai à Frédéric Bernays à son fameux livre sur la Propagande.

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Bernays est le technicien du lavage de cerveau, du conditionnement, de la manipulation de l’esprit, ce qu’on voudra. Dans les années vingt, il crée le conditionnement populaire global, aidé en cela par les rapides progrès technologiques : radios, journaux, cinéma – car pour lui le cinéma peut tout permettre :

« Dans notre monde contemporain, le cinéma est à son insu la courroie de transmission la plus efficace de la propagande. Il n'a pas son pareil pour propager idées et opinions. Le cinéma a le pouvoir d'uniformiser les pensées et les habitudes de vie de toute la nation. »

Hollywood imposé dans toutes les salles de pays mués en colonies culturelles donne ainsi un énorme avantage aux Américains.

Ce neveu de Freud, simple journaliste au départ (mais il n’y a pas de simple journaliste : voyez Clemenceau, Churchill, Lénine ou Goebbels), responsable la propagande du président Wilson, fabrique le « hun » allemand pour le public américain durant la Première Guerre mondiale, quand les milieux financiers internationaux parient pour les « démocraties » contre les empires centraux – et contre aussi la Russie tzariste pourtant alliée.  Bernays ensuite fait fortune dans le conseil aux entreprises américaines, en leur enseignant à vendre n’importe quoi au public riche et naïf de l’Amérique du Nord. Il publie à la fin des années 20 un excellent exposé de ses techniques et de ses idéaux, qui ne manqueront pas d’influencer Goebbels au pouvoir – ou dans l’opposition.

Certaines formules sont même stupéfiantes. Bernays affirme qu’un quotidien est d’abord et avant un instrument de propagande sous couvert d’information objective :

bernaysbook.jpg« Aujourd'hui, à l'heure où j'écris cette page, la une du New York Times contient huit informations importantes. Quatre d'entre elles, soit la moitié, sont de la propagande. Le lecteur naïf pensera sans doute qu'elles portent sur des faits d'actualité, et pourtant… »

Ensuite il se considère comme un général ou un clairon qui doit sonner le rassemblement des troupes. Le capitalisme moderne et massifié est d’essence militaire :

« Ce qu'il faut retenir, c'est d'abord que la propagande est universelle et permanente ; ensuite, qu'au bout du compte elle revient à enrégimenter l'opinion publique, exactement comme une armée enrégimente les corps de ses soldats. »

Puis Bernays « lâche le morceau » : nous sommes dirigés déjà par une élite invisible de manipulateurs et de tireurs de ficelles.

« La manipulation des opinions et des habitudes organisées des masses joue un rôle important dans une société démocratique. Ceux qui manipulent ce mécanisme social imperceptible forment un gouvernement invisible qui dirige véritablement le pays. Ce sont eux qui tirent les ficelles. »

Et sur le président américain, voilà ce qu’il écrit :

« On reproche également à la propagande d'avoir fait du président des États-Unis un personnage à ce point considérable qu'il apparaît comme une vivante incarnation du héros, pour ne pas dire de la divinité, à qui l'on rend un culte. »

Et j’en reviens aux Femen.

On sait que le succès le plus retentissant de Bernays aura été d'amener les femmes américaines à fumer – et donc les femmes dans le monde à s’empoisonner.  En 1929,  George Washington Hill (1884-1946), président de l'American Tobacco Co., décide de s'attaquer au tabou qui interdit à une femme de fumer en public. Hill embauche Bernays, qui, de son côté, consulte le psychanalyste Abraham Arden Brill. Brill explique à Bernays que la cigarette est un symbole phallique représentant le pouvoir sexuel du mâle (!) : s'il est possible de lier la cigarette à une forme de « contestation » de ce pouvoir sexuel, alors les femmes fumeront.

S’ensuit une opération bien digne d’une révolution orange.

Lors d’une parade, un groupe de jeunes femmes avaient caché des cigarettes sous leurs vêtements et, à un signal donné, elles les sortirent et les allumèrent devant des journalistes et des photographes prévenus. Les jeunes femmes expliquèrent que ce qu'elles allumaient ainsi, c'était des « torches de la liberté ». Toujours la liberté…

On devine sans mal qui avait donné le signal de cet allumage collectif de cigarettes et qui avait inventé ce slogan ; comme on devine aussi qu'il s'était agi à chaque fois de la même personne et que c'est encore elle qui avait alerté les médias.

Fumer étant devenu socialement acceptable pour les femmes, les ventes de cigarettes à cette nouvelle clientèle allaient exploser. Et les cancers de la gorge ou du sein (un vrai bilan de guerre en l’occurrence).

Bernays n’a jamais été dépassé.

Et « on » a repris les mêmes méthodes avec les Femen. Un groupuscule d’excitées rétribuées et facilement médiatisées ; une condescendance pour le moins suspecte des médias dits occidentaux, toujours prêts à partir en croisade ; enfin une cible, la Russie, Vladimir Poutine (Merkel lui avait sèchement demandé de tolérer une naïve exhibition de nos provocatrices démocrates), le christianisme. Le tour est joué, et peu de temps après, on peut partir en guerre.

Quant à la cigarette, on l’interdit souvent férocement et intentionnellement ; et on risque aujourd’hui l’arrestation et la prison si on fume là où il ne faut pas. Quand on vous répète que la démocratie américaine est d’essence militaire…

Nicolas Bonnal

Retour sur une élection pas comme les autres à Berlin

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Retour sur une élection pas comme les autres à Berlin

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Les résultats définitifs de l’élection pour le parlement du Land de Berlin accentuent les tendances constatées au moment du sondage sorti des urnes. Avec 21.6%, la SPD perd 6.7 points alors qu’elle était au pouvoir en coalition au niveau de la capitale. Elle paie là son alliance au niveau national avec la CDU dans le cadre de la « grande coalition ». La CDU paie la politique migratoire suicidaire d’Angela Merkel, les électeurs de son camp lui répondant « wir schaffen nicht das » (« nous n’y arriverons pas »). Avec 17.6% des voix et 5.7 points de perte, elle connaît un résultat désastreux, à peine remise de son effondrement dans le Mecklembourg-Poméranie. A eux deux réunis, la grande coalition SPD/CDU n’atteint pas 40% des voix. Cette contre-performance va certainement accentuer la crise entre la CDU et son alliée bavaroise la CSU.

Die Linke (« La gauche ») avec 15.6% des voix progresse de 3.9 points aux dépens de la SPD et en partie de la liste Piraten. Les Verts (Die Grüne) en revanche avec seulement 15.2%, bien que n’étant pas associés au gouvernement, régressent de 2.4 points. Leur laxisme migratoire légendaire a pu les pénaliser légèrement dans cette élection.

C’est l’AFD de Frauke Petry qui avec 14.2% des voix réussit une progression spectaculaire. Annoncée seulement aux alentours de 11.5% en début de soirée, elle atteint au final presque 15%, soit la tendance haute annoncée par les sondages. Berlin-Est notamment a donné à l’AFD des scores plus que significatifs alors que Berlin-Ouest reste davantage « conformiste ». L’AFD sèche tout ce qui est à sa droite, que ce soit la scission ALFA (de Bernd Lucke) qui n’obtient que 0.4% des voix ou l’extrême-droite historique, la NPD obtenant péniblement 0.6%, ayant souffert d’un fort vote utile en faveur de l’AFD, tout comme Pro Deutschland qui tombe à 0,4% des voix (-0,8).

La formation de protection du monde animal Die Partei (« Le Parti ») obtient enfin 2% et les Pirates 1.7% soit une perte sèche de 7.2 points. Après un exploit à l’élection précédente, la formation pirate retourne à son noyau d’origine. Elle a été largement marginalisée par les enjeux locaux et par la montée de l’AFD contre laquelle la gauche radicale semble s’être davantage mobilisée.

Thomas FERRIER (Le Parti des Européens)

A propos des élections législatives russes

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Victoire de Putinus Augustus

A propos des élections législatives russes

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Le dépouillement s’étant arrêté à 99,5% des suffrages, mon analyse reposera sur ces chiffres provisoires, mais les chiffres définitifs ne devraient de toute façon différer que de manière extrêmement marginale. Le nombre d’élus de chaque parti est également connu.

united-russia.jpgAvec 54,2% des voix environ, le parti Russie Unie de Poutine et Medvedev s’impose largement, bien davantage que ce que prévoyaient les sondages, y compris ceux sortis des urnes, où le mouvement était plutôt annoncé aux alentours de 43% environ, alors qu’il est de dix points supérieurs au final. Cela alimentera toutes les spéculations, non sans raison, mais n’oublions pas qu’à l’époque d’Eltsine, les USA ne s’offusquaient pas de méthodes démocratiquement « particulières » lorsqu’il s’agissait de s’opposer aux communistes. Russie Unie obtient également 72% de la douma et 343 sièges, écrasant de tout son poids les trois formations politiques qui ont réussi à passer la barre fatidique nécessaire pour obtenir un groupe parlementaire.

Avec 13,4% et 13,2%, communistes du KPFR (Ziouganov) et nationalistes du LPDR (Jirinovski), deux formations qui existent au moins depuis 1993, les partis de l’opposition légale sont largement marginalisés. Les premiers obtiennent 42 sièges et les seconds 39 sièges. Ils auront chacun leur groupe parlementaire mais dont le poids ne sera pas déterminant pour influencer les grandes orientations décidées par Poutine. Enfin « Russie Juste », une sorte de sociale-démocratie à la russe, obtient 6,2% des voix et 23 sièges. Ces trois partis perdent en tout 108 sièges, diminuant en conséquence leurs moyens.

Les autres mouvements politiques sont très modestes. Yabloko, « La Pomme », un mouvement de centre-droit, n’obtient que 2% des voix, de même que le mouvement Parnas (0,73%), les Verts (0,76%), le Parti de la Croissance (1,29%) ou encore le Parti des Retraités pour la Justice (1,74%). L’extrême-gauche (« Communistes de Russie ») résiste mieux avec 2,3% des voix.

L’opposition modérée, patriote et/ou nationaliste, est également très affaiblie. Rodina, qui a perdu toutes ses figures marquantes, dont Rogozine et Glaziev, n’obtient qu’1,5% des voix, et encore faut-il préciser que ce mouvement est « poutinien » de fait. Patriotes de Russie obtiennent 0,59%.

Vladimir Poutine a donc largement gagné ces élections, une fois de plus, comme depuis 2000, et a même renforcé sa puissance politique, réduisant l’opposition modérée à une portion congrue, même si les communistes résistent encore, alors que certains sondages les annonçaient à 8% des voix.

La démocratie autoritaire mise en place par Poutine après l’effondrement du pays sous Eltsine ne se cache plus. Physiquement Poutine ressemble de plus en plus à Octavien, plus connu sous son nom d’Auguste. Tout comme Octavien paraissait bien timide lorsqu’il hérita de César, ce qui abusa Antoine, Poutine était un inconnu lorsqu’Eltsine le nomma premier ministre puis le choisit comme héritier politique après avoir décidé de démissionner. Il s’est révélé petit à petit à la tête du pays comme une personnalité hors norme, qui suscite à la fois crainte et respect. Son nom même peut lui paraître prédestiné.

En effet son prénom Vladimir signifie « maître du monde » ou « garant de la paix » et son nom Poutine signifie « l’homme du chemin », donc « celui qui indique le chemin ». En outre Vladimir Ier le Soleil Rouge fut le fondateur de la Rus’ de Kiev, dont la Russie est héritière au même titre que l’Ukraine, et le premier prince chrétien des Slaves de l’Est, converti en 988. Poutine dirige la Russie depuis plus de quinze ans sans discontinuité, ayant simplement laissé à son poulain Medvedev, un « homme-ours » là encore prédestiné par son nom même, un mandat présidentiel de transition.

Tout comme Octavien/Auguste, il œuvre sans relâche à la renaissance de la Russie et à son retour sur la scène internationale, à tout prix, même s’il subit des sanctions économiques de l’Occident en raison de son action supposée en Ukraine et notamment de l’annexion de la Crimée. Poutine a neutralisé les véléités séparatistes des Tchétchènes au prix d’une alliance avec Ramzan Kadyrov, qui tient cette région d’une main de fer et d’une bien insupportable main verte, qui plus est. Il a neutralisé le rapprochement de la Géorgie, de l’Ukraine et de la Moldavie en faveur de l’OTAN, et aussi en conséquence vis-à-vis de l’Union Européenne. C’est aussi pour cela que Poutine reste si populaire dans une Russie gardant la tête haute.

Thomas FERRIER (Le Parti des Européens)

Erkenbrand: The Alt-Right in the Netherlands

Bart & Michael - Erkenbrand: The Alt-Right in the Netherlands

cropped-Erkenbrand-09.jpgDutch Alt-Right activists Bart and Michael have taken the initiative to set up regular meetups in the Netherlands people concerned with the future of Europe. Their first conference, Erkenbrand, will take place in Rotterdam at the end of September and include guests such as Millennial Woes and Roger Devlin.

We begin with a few necessary introductions, including a brief mention of the upcoming Erkenbrand conference in Holland. We then delve into the ongoing demographic crisis in the West. Although this topic is certainly commonplace within the Alt-Right, there has been very little coverage on the how it has affected Holland in particular. Thankfully, Bart and Michael are more than willing to fill us in. We learn that Holland, much like the rest of the West, is being flooded with non-European immigrants. Major cities like Amsterdam are already nearly half non-Dutch; the countryside, unfortunately, is beginning to undergo a similar transformation. We also discuss Geert Wilders, the establishment right, and whether or not we will be able to save our countries through the political process.

In the members’ hour, we begin by discussing the vital role that networking plays within our movement. We consider the fact that many aspects of Western culture – history, myths, art, etc. – are currently being altered or, in some cases, blatantly removed for political reasons. Bart and Michael then tell us more about Amsterdam. Thanks to 100 years of socialist rule, the Netherlands’ capital has become overrun with prostitution, drugs, and crime. We also discuss how liberalism’s promotion of tolerance has effectively created a culture of indifference, in which people now consider it moral to allow immorality. The show concludes with a consideration of the steps that need to be taken to preserve the West.

Guest's website: http://www.erkenbrand.nl

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