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mardi, 12 mars 2019

Hommage à Guillaume Faye par Thierry Durolle

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Hommage à Guillaume Faye

par Thierry Durolle

Guillaume Faye vient de rejoindre la grise escadre des oies sauvages. Son départ pour d’autre aventures ne fut pas un choc, du moins pour beaucoup d’entre nous, qui l’avions vu dépérir physiquement vidéos après vidéos. Ainsi je ne fus pas surpris quand mon camarade et ami Robert Steuckers me révéla l’ampleur réel des dégâts. Comme bien trop souvent dans ces cas-là, ce n’était plus qu’une question de temps.

Je refuse néanmoins de garder l’image d’un homme affaibli. Au contraire, et bien que n’ayant jamais eu la chance de le rencontrer, l’impression qu’il me donnait, en vidéo ou sur papier, était celle d’une énergie, d’un volcan bouillonnant, d’un type animé par un feu sacré -celui-là même que nos peuples en dormition ont laissé s’éteindre dans leurs foyers. Même mort, Guillaume Faye me donne toujours cette impression. Elle réchauffe les cœurs dans les moments de doute.

A l’instar d’un Dominique Venner, certes dans un style bien différent, Guillaume Faye suscitait l’admiration. Il n’était pas juste un intellectuel de plus au sein de la Droite radicale, encore moins un compilateur ou un recenseur. Faye était un créateur (notamment de concepts), incarnation de l’esprit faustien, doué d’une curiosité et d’un talent qui ont de toute évidence fait des jaloux. Personne d’autre que Guillaume Faye aurait pu écrire L’archéofuturisme, son livre le plus important à côté du Système à tuer les peuples et La colonisation de l’Europe.

Inutile de s’appesantir sur un parcours qui fit couler beaucoup d’encre et baver de nombreuses limaces. Ces dernières oublient trop souvent – voire volontairement – que le quatrième âge n’épargne rien ni personne. Du point de vu des idées, ses prises de position quant au sionisme n’étaient pas les miennes. Et il est vrai que son avant-dernier livre le faisait passer à mes yeux pour un idiot utile d’une cause qui, non seulement n’est pas la nôtre, mais qui s’y oppose farouchement. Quant à son libéralisme, un brin crédule, il était la porte ouverte au pire de la société marchande.

gf-globalcoup.jpgCes points de désaccord ne suffisaient pas à rendre le personnage infréquentable et persona non grata. Ce qui me liait avant tout à Guillaume Faye, c’était son combat pour sauver notre civilisation, c’est-à-dire avant tout la race blanche. On aura beau nommer nos enfants et nos petits-enfants Sigurd ou Leonidas, et leur transmettre tout notre patrimoine d’Européens, comment pourrons-nous nous reconnaître en eux si nous avons affaire à des métèques et des mulâtres ? Je voue à Guillaume Faye un immense respect pour être resté fidèle à cette cause primordiale, à savoir défendre notre droit à demeurer ce que nous sommes.

Une page vient de se tourner avec la disparition de Guillaume Faye. Celui-ci, j’en suis convaincu, appartient dorénavant non pas à notre histoire, mais à l’Histoire. Le flambeau qu’il a emprunté aux Dieux (par défi?) est maintenant entre nos mains. Lourde responsabilité. Je me tourne vers mes enfants, la torche à la main. Leur transmettre ce feu sacré qui animait Guillaume Faye, les éclairer sur ces sentiers qui mènent parfois à la perdition et surtout, leur donner envie de tout brûler, comme Surtr, pour purifier ce monde vermoulu afin qu’un nouvel Âge d’Or fasse son apparition, voilà ma façon d’honorer la mémoire de cet homme.

Guillaume Faye marche avec nous !

 

Vaj: “Vi racconto Guillaume Faye, esteta armato per l’Europa libera”

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L’intervista. Vaj: “Vi racconto Guillaume Faye, esteta armato per l’Europa libera”

Stefano Vaj

Ex: http://www.barbadillo.it

Ricordare Guillaume Faye senza retorica, ma andando al fondo delle tesi intellettuali che hanno caratterizzato l’opera del pensatore francese: è questo il senso dell’intervista che Barbadillo ha realizzato a Stefano Vaj, noto professionista milanese legato allo scrittore transalpino, dal 2001 docente di diritto delle nuove tecnologie all’università di Padova, già collaboratore di quotidiani e periodici disparati, dalla Gazzetta Ticinese a Rinascita alla Padania, da Nouvelle Ecole a The Ring a l’Uomo libero, con vari saggi ed articoli in materia di movimento delle idee, metapolitica e divulgazione scientifica, che si affiancano ad un’altrettanto intensa attività di conferenziere e traduttore. Già segretario del circolo culturale futurista Quarto Tempo e responsabile per l’Italia del Sécretariat Etudes et Recherches del GRECE, è autore tra l’altro di: Biopolitica. Il nuovo paradigma (SEB, Milano 2005), Indagine sui diritti dell’uomo. Genealogia di una morale (LEdE, Roma 1985), La tecnica, l’uomo e il futuro (l’Uomo libero, Milano 1984), L’uomo e l’ambiente (l’Uomo libero, Milano 1982), Legalità e legittimità nell’ordinamento giuridico italiano (ContrOpinione, Milano 1980).

Stefano Vaj, quando ha conosciuto la prima volta Faye?

“Ho conosciuto Guillaume Faye a Parigi nel 1978, durante l’undicesimo congresso annuale del GRECE, il Groupement de Recherche et Etudes pour la Civilisation Européenne, e mi colpì subito l’incredibile passione e vitalità che metteva sia nella lettura di un intervento scritto nell’atmosfera ovattata di un palazzo dei congressi, sia in ciò scriveva, in cui la formazione nietzschana che è uno dei nostri tratti comuni lo portava a ricercare soprattutto l’apertura di nuove piste, la rilettura mobilitante della realtà. I rapporti si rafforzarono poi sia nell’occasione delle università d’estate dell’associazione di cui è stato animatore, e in cui abbiamo passato innumerevoli ore a discutere dei temi più diversi, sia delle mie visite a Parigi, all’epoca molto frequenti, nel quadro dell’attività del Sécretariat Etudes et Recherches da cui è nata l’idea di tradurre in italiano Il sistema per uccidere i popoli (https://guillaumefayearchive.wordpress.com/2007/07/14/il-sistema-per-uccidere-i-popoli/), un testo pubblicato prendendo “per stanchezza” i curatori di Copernic, la casa editrice di Alain de Benoist, e che pure influenzerà drasticamente lo scenario intellettuale europeo indicando con quarant’anni di anticipo nella globalizzazione oligarchica e nella distruzione di sovranità e culture il vero tema cruciale della nostra epoca”.

E’ incasellabile nella categoria degli esteti armati?

“Sicuramente nell’opera e nella attività di Faye non c’è una singola riga o frase o pensiero che non abbia un senso militante, uno scopo polemico, una valenza strategica ai fini non del fatto di comprendere il mondo, ma di cambiarlo. Per usare un’altra espressione tipica marxista, per Faye l’attività intellettuale si risolve nel brandire l’arma della critica per definire il “che fare”. La domanda implicita è: in cosa pensare in un modo diverso ad un certo processo storico, all’eredità di un autore, ad un fenomeno culturale, ad un trend sociale, può essere utile in funziona ad un certo progetto? Su cosa dobbiamo puntare? Tutto il resto semplicemente non gli interessava, in particolare l’erudizione compiaciuta o l’accuratezza filologica o lo specialismo erano mille miglia lontane dalle sue preoccupazioni. E alla base di questo c’è sempre stata una fondamentale intuizione estetica a favore di tutto ciò che rappresenta superamento di sé, affermazione titanica, sfida di civiltà, ricchezza nella diversità… Un tratto che trascende l’attendibilità o meno delle singole varie prese di posizione vulcanicamente generate, ma che non esitava a rimettere in discussione specie nel confronto con chi, come vale anche per me, condivideva la suddetta Weltanschauung e sensibilità fondamentale”.

Il suo contributo alle idee della nuova destra?

“Guillaume Faye è stato l’unico esponente del GRECE che non provenisse da qualche ambiente della destra francese, fascista o antifascista, moderata o estrema, centralista o autonomista, colonialista, bonapartista o legittimista o liberale che fosse. Ha certo subito, senza entusiasmo ma disciplinatamente, la decisione dell’associazione (con il senno del poi più o meno suicida) di accettare la definizione di Nouvelle Droite e rinchiudersi in un recinto da cui era condannato a parlare, nella migliore delle ipotesi, solo a metà della società francese ed europea, e non necessariamente la migliore, rendendo più facile la propria marginalizzazione. Ma Faye ha sempre coltivato a livello personale e informale relazioni con contatti intellettuali molto più trasversali, e la sua opera è stata a lungo poco criminalizzabile, venendo talora, come nel caso di NSC, La nuova società dei consumi (https://guillaumefayearchive.wordpress.com/2007/07/14/nsc-la-nuova-societa-dei-consumi/), ripresa anche da ambienti di estrema sinistra, o nel caso di Nouveau Discours à la Nation Européenne da ambienti gollisti e sovranisti ante litteram – cosa che cambierà solo nel momento in cui comincerà ad occuparsi dell’immigrazione di massa come sfida esistenziale alla sopravvivenza dell’Europa, divenendo allora popolare in ambienti di destra classica che del suo pensiero per altro hanno sempre capito poco. Perciò direi che il suo contributo non si è certo limitato alle idee della Nuova Destra, anzi. Rispetto alla nuova destra stessa diciamo che ne ha ritardato la deriva talora accademica, talora neoprimitiva, talora misticheggiante, insistendo su un approccio futurista ed iconoclasta, oltre che tecnofilo, ai problemi della nostra società”.

L’attualità di Archeofuturismo?

“Archeofuturismo, il libro del “ritorno sulla breccia” di Faye alla fine del novecento dopo una sparizione decennale, è soprattutto un bilancio sui limiti e sugli equivoci dell’esperienza della Nouvelle Droite, ed è un’apertura sulle questioni e sulle sfide più immediate del mondo che conosciamo tuttora, dalle prospettive transumaniste aperte dalla tecnologia moderna alla minaccia della fine della storia e dell’instaurazione di un melting pot mondialista. Mentre lo scenario disegnato nella novella “archeofuturista” che conclude il libro, e che mette in scena a Milano un mio ipotetico… discendente diretto (!), è stata presa erroneamente come una sorta di utopia raffigurante l’unica alternativa probabile o desiderabile al Brave New World che incombe, in realtà non si tratta d’altro che di un gioco intellettuale per dimostrare la possibilità di dare una risposta non passiva, difensiva, e sterilmente reazionaria, alle trasformazioni in corso, in cui ad ogni problema e ad ogni rischio corrisponde dal punto di vista di Faye anche una opportunità., che non conoscevamo prima. L’attualità di Archeofuturismo perciò direi che è soprattutto metodologica. Ed è comunque un libro pertinente e interessante anche rispetto alla situazione del 2019″.

gfaffiche.jpgAveva stroncato il gesto del gendarme Beltrame, morto per fermare un islamista. Che ne pensa?

“Sono fondamentalmente d’accordo. Nell’episodio (http://www.gfaye.com/lofficier-arnaud-beltrame-etait-un-bon-militaire-et-un-exemple-ni-lun-ni-lautre/), un gendarme francese si è offerto come vittima sacrificale ad un jihadista per salvare la vita di un civile, lasciandoci prevedibilmente la pelle e non “fermando” proprio nessuno. Ciò che da esponente del “romanticismo d’acciaio” aborre Faye dell’episodio, o meglio della narrativa retorica che ad esso ha fatto seguito, è lo spreco di buoni sentimenti per quello che va considerato come un totale fallimento militare e propagandistico nei confronti del jihadismo; laddove semmai sarebbe lo spirito combattivo, la capacità tecnica e la volontà di resistenza che andrebbero additati come obbiettivi ed esempi”.

Cosa resta della testimonianza di Faye?

“Resta certamente la sua abbondante anche se non alluvionale produzione scritta, di cui assolutamente sottovalutata è la parte meno immediatamente “politica” ma altrettanto e più provocatoria, come Per farla finita con il nichilismo (https://guillaumefayearchive.wordpress.com/2007/07/14/per...), analisi non troppo attendibile quanto geniale del pensiero di Heidegger, o Futurismo e Modernità (https://guillaumefayearchive.wordpress.com/2010/01/21/fut...). E ancora e soprattutto l’esempio e l’influenza che ha esercitato sulle persone che hanno avuto la ventura di conoscerlo. I miei due libri principali, Indagine sui diritti dell’uomo (http://www.dirittidelluomo.org/) e Biopolitica. Il nuovo paradigma (http://www.biopolitica.it/) non sarebbero mai usciti o sarebbero stati completamente diversi senza lo stimolo rappresentato dal pensiero e dagli scritti di Faye. Un terzo testo che mi ha procurato qualche noia, anche per l’idea colorita di chi l’ha originariamente pubblicato di intitolarlo Per l’autodifesa tecnica totale, è costituito pressoché interamente da una discussione serrata, e in gran parte critica, di La colonisation de l’Europe, saggio per cui Faye è stato condannato, il cui anti-islamismo primario tuttora non condivido, ma che rappresenta tutt’oggi un testo fondamentale con cui confrontarsi nel discutere di immigrazione extraeuropea nel nostro continente”.

@barbadilloit

Remembering Guillaume Faye with Jared Taylor

Interregnum

Remembering Guillaume Faye with Jared Taylor (S03E06)

 
 
Jared Taylor joins us to commemorate the life and work of Guillaume Faye. Jared, to whom Faye’s last published book is dedicated, discusses Faye’s life, work and irrepressible spirit.
 
 

Guillaume Faye, Rest in Peace

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Guillaume Faye, Rest in Peace

Jared Taylor,

American Renaissance, March 11, 2019

Ex: https://www.amren.com

We have lost a brilliant and impassioned champion for our people.

Guillaume Faye died during the night of March 6 and 7. I knew he was battling cancer and that the end was near, but it was still a great shock to know that his fiery spirit had finally flickered out. It was my great privilege to have known Faye for more than 15 years; our movement has lost one of its most powerful voices, and I have lost a friend. I know no one who spoke for our people with more passion, insight, and conviction.

Faye was born in 1949 in the southeastern French city of Angoulême, to a middle-class family that was conservative, even Bonapartist. He would later note that the natural trajectory of his thinking was from French chauvinism to a pan-European patriotism that included whites wherever they live.

Faye and I attended the same school—the Paris Institute of Political Studies—though he was five years ahead of me and we did not know each other. While in school, he was already one of the key figures in the Study and Research Group of European Civilization—the French acronym, GRECE, means “Greece”—which is associated with the New Right philosopher Alain de Benoist. As a GRECE member from 1970 to 1986, he not only contributed to publications such as Éléments and Nouvelle École, but wrote two important books: Le Système à tuer les peuples (The System that Kills Peoples, 1981) and Nouveau discours à la nation européenne (New Discourse to the European Nation, 1985). Already in the early 1980s, Faye was writing about the impending death of Europe and how to save it. Even though Third-World immigration was a fraction of what it is today, he argued that non-Europeans must return to their homelands.

Nevertheless, at this time, Faye also believed that cultural and economic dominance by the United States was the greatest threat to Europe, and he proposed an alliance between Europe and the Muslim world to fight American influence. He saw the Islamic republic of Ayatollah Khomeini as a possible model for fundamentalist European nationalism and as an ally against American hegemony.

Faye broke with GRECE in 1987, mainly because he thought its leaders were too often lost in abstractions and refused to grapple with real problems. Faye then spent a period of nearly 10 years as a pop journalist and radio personality. His byline—sometimes his own, sometimes a pen name—appeared in center-right publications such as Figaro-Magazine, Paris-Match, Magazine-Hebdo, and Valeurs Actuelles. He was a popular DJ on the start-up radio station, Voice of the Lizard, and adopted the name of Skyman when the station went on to become the commercially successful Skyrock. He was a joker and prankster, and seemed to have left politics behind.

Guillaume Faye as Skyman, and in the photo to the right.

gf-sky.jpgDuring the 1990s, Faye wrote or co-wrote pop-culture titles. He was a pick-up artist well before anyone had heard of the manosphere.

Faye has never denied that he was something of a libertine in this period. He drank hard, took drugs, and even appeared in a few pornographic movies. But by the time I met him in 2003, he had returned to his true love: fighting for Europe. He had burst back onto the nationalist scene with Archeofuturism (1998), The Colonization of Europe (2000), and Why We Fight (2001). These three books alone would have secured him an honored place in our movement but, of course, he went on to write many more.

I will never forget our first meeting. Because I speak French and had visited France several times, I had met many of the great figures in French nationalism, but Faye was the one who most impressed me from the start. Sixteen years ago, even ardent French patriots hesitated to talk openly about race. Europeans can make ethnic/nationalist appeals without raising the vexed question of race, whereas Americans cannot. For us, cleavages are inescapably racial.

Faye understood race. He knew that European identity was both cultural and biological, and he welcomed me unreservedly as a fellow European fighting for our people. At the same time, I was struck by Faye’s erudition, the power of his mind, his facility for words, and his unwavering commitment.

Three years later, I invited Faye to what was his first appearance before an American audience. He spoke at the seventh American Renaissance conference, where his subject was “The Threat to the West.” He also spoke in 2012, on a theme that came to be one of his favorites: “America and Europe: Brothers in Arms.” Some in the audience struggled with his French accent, others were charmed by it, but everyone was caught up in his passion for our people.

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In Europe, Faye became one of the most important intellectual leaders of the identitarian movement, which first took root in France, and is helping create a pan-European loyalty to the West. Identitarians from all over Europe are always present in the torchlight parades that mark the nationalist, independence-day celebrations that are especially popular in Eastern Europe.

Faye long ago discarded the view that Islam could help Europe resist America. At a 2006 conference in Moscow on “The Future of the White World,” he instead proposed a “Eurosiberian” federation for white nations. He called for the resurrection of the ancient Latin concept of the “Septentrion,” or a northern “ethnosphere” of white people.

In his personal life, Faye was a proponent of free sexual expression, which he sometimes linked to pre-Christian forms of morality. He identified with the spirit of paganism without being part of any movement to revive it as a living religion. Faye did not, however, limit his alliances. He was happy to make common cause with traditional Christians, royalists, young Catholics, neo-pagans, and even Americans if they shared his love for Europe and the people who created it.

In 2010, Arktos Media began translating Faye’s books into English, and now offers eight titles that cover the breadth of his work since Archeofuturism. Now the entire English-speaking world can marvel at Faye’s rhetorical power and mordant insights. Faye finally has the global audience he deserves, and distinctive Faye expressions such as “ethnomasochism,” “xenophilia,” devirilization,” and “archeofuturism” are now part of a world-wide vocabulary of racial consciousness.

Arktos will soon be publishing an English translation of Faye’s latest book, Racial Civil War. Faye asked me to write a preface for the original French version, which has just appeared. Our last conversations were by telephone from his hospital bed. I thanked him for the opportunity to render a final service to a brilliant man who threw himself into the greatest struggle of our time, and I was reassured to know that in his last days he was warmly cared for by family and by comrades young and old.

Racial Civil War is Faye at his most powerful and eloquent. He warns that Europe has only two choices: submission or racial civil war. His beloved France is at the center of the book, but Faye’s pitiless dissection of the servile mentality of French elites applies word for word to every white country from Germany to Canada to New Zealand. Racial Civil War is the final blast of a mighty trumpet, a glittering capstone to a life of struggle and commitment.

Faye dedicated this book to me and to my dear friend Sam Dickson, a Faye “co-combatant” of 40 years. This dedication underscores Faye’s conception of the global dimension of our fight, and his recognition that not all Americans are part of “the system that kills peoples.”

I will close with words from Faye’s introduction to Racial Civil War, which reflect the clarity and intensity of his commitment to France:

The autochthonous people—let us use the word, THE WHITES—live in exasperated misery, dispossessed in their own land. An unexpected spark could unleash righteous self defense and, at last, a counter-offensive. I don’t just talk about such a will to survive; I wish it.

The first duty of an intellectual is to be honest with his readers. . . . Yes, I want my people to rise up, to rekindle the pride they should never have lost, and to go on to final victory. I want this more than anything.

About Jared Taylor

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Jared Taylor is the editor of American Renaissance and the author of White Identity: Racial Consciousness in the 21st Century.

L'illusoire programme pour l'Europe d'Emmanuel Macron

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L'illusoire programme pour l'Europe d'Emmanuel Macron

par Jean Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

Le Programme pour l'Europe (voir référence ci-dessous) que viennent de proposer Emmanuel Macron et La République en Marche est-il autre chose qu'une opération électorale ? Celle-ci viserait les prochaines élections européennes, mais aussi à plus long terme la future élection présidentielle française.

Tous ceux qui ont milité dans le passé pour la construction européenne et l'adoption au niveau du Parlement de Strasbourg et de la Commission de Bruxelles d'ambitieux programmes communs à l'ensemble de l'Union Européenne (UE) ou tout au moins à l'ensemble des membres européens de la zone euro devraient se réjouir. Ils y retrouveraient l'essentiel des objectifs que selon eux l'UE devrait se donner pour devenir entre les Etats-Unis et le Brics (Russie-Chine) une puissance mondiale équivalente.

Ainsi, dans l'indispensable domaine d'une défense européenne autonome par rapport à un OTAN dominé par Washington, les propositions du programme pour l'Europe devraient donner satisfaction. On y trouve la création d'un Fonds européen de défense qui financera des équipements militaires communs et des programmes conjoints de recherche développement en matière militaire, d'un État-major ou Quartier Général européen permanent chargé d'assurer une planification et un contrôle des opérations de défense européenne, l'établissement d'une coopération entre les Etats membres qui souhaitent se regrouper sur les questions de défense sans attendre la participation de tous les pays de l'UE.

Tout ceci est bel et bon. Mais comme dans l'ensemble du Programme pour l'Europe il s'agit d'intentions, certains diront de vœux pieux, sans aucune précision de ce que pourrait faire la France pour concrètement entraîner d'autres pays européens, sinon toute l'UE, dans la mise en œuvre concrète de ces programmes. Il est évident que si ces pays refusent de s'engager au service de tels objectifs, ce n'est pas sans raisons. En matière de défense, par exemple, ils ne veulent pas affecter les crédits budgétaires qui seraient nécessaire. Plus gravement, ils refusent d'affronter les Etats-Unis et le Pentagone qui ont toujours visé à faire des Etats européens des supplétifs passifs de leurs projets visant à dominer militairement la Russie.

Il est évident que le programme militaire pour l'Europe proposé par Emmanuel Macron suscitera l'indifférence, sinon une hostilité ouverte, de la part des pays européens qui ont toujours voulu faire reposer la défense de l'Europe sur la seule armée américaine, au lieu de construire une véritable force de défense européenne. Emmanuel Macron serait bien en peine de faire changer ce rapport de force. Il ne donne d'ailleurs aucune précision sur la façon dont la France pourrait s'y prendre pour faire avancer cette défense européenne, soit au sein de l'UE, soit même au sein de quelques Etats européens qui se regrouperaient au service de cet objectifs.

Ceci n'a rien d'étonnant. Pour faire des propositions concrètes dans ce domaine de la défense, comme dans tous les autres Programmes pour l'Europe d'Emmanuel Macron, il faudrait engager en France même de très importants travaux préparatoires. Il faudrait aussi, dans la mesure du possible,lancer dès maintenant des négociations avec un minimum d'Etats européens qui pourraient adhérer à ces programmes. Il est évident qu'Emmanuel Macron n'a ni les moyens ni même l'intention de le faire.

Comme quoi il devrait apparaître clair, même au sein de la République en Marche, que le programme pour l'Europe d'Emmanuel Macron est simplement un programme électoral, pour ne pas dire une gesticulation électorale. Tout laisse penser que les autres gouvernements européens l'ont compris depuis longtemps. L'indifférence avec laquelle, si l'on en croit des sources diplomatiques, ils ont reçu le Programme pour l'Europe en est la preuve.

Référence

https://en-marche.fr/emmanuel-macron/le-programme/europe

Note

Le 10/02 au soir , Jean Luc Mélenchon a publié dans Libération une tribune incitant à sortir de l'Europe. Cela sera sans doute dorénavant le réflexe salutaire de beaucoup d'Européens scandalisés par l'hyper-libéralisme économique et l'atlantisme de l'UE. Bien évidemment il a suscité l'indignation au sein de ce que l'on nomme désormais la macronerie.

Hervé Juvin : "L'Europe va changer de cap"

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Hervé Juvin : "L'Europe va changer de cap"

 
 
Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com
 
Vous pouvez ci-dessous découvrir un entretien avec Hervé Juvin, réalisé par Edouard Chanot pour son émission Parade - Riposte, et diffusé le 6 mars 2019 sur Sputnik, dans lequel il évoque la nécessité de changer les objectifs et le fonctionnement de l'Union européenne. Économiste de formation, vice-président de Géopragma, Hervé Juvin est notamment l'auteur de deux essais essentiels, Le renversement du monde (Gallimard, 2010) et La grande séparation - Pour une écologie des civilisations (Gallimard, 2013). Candidat aux élections européennes sur la liste du Rassemblement national, il a publié récemment un manifeste intitulé France, le moment politique (Rocher, 2018).
 

 

Manifeste pour une vraie renaissance européenne

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Manifeste pour une vraie renaissance européenne

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Prolégomènes.

Emmanuel Macron dans une tribune a évoqué une renaissance européenne. Pour qu’il faille une renaissance européenne, il faudrait déjà préciser en quoi il y a décadence. Or son propos passe sous silence tous les maux qui rongent l’Europe et tous les périls qui s’annoncent. Sa « renaissance » n’est qu’un linceul blanc posé sur le corps de l’Europe en voie d’agonie.

Les maux qui rongent l’Europe ? La dénatalité endémique qui ravage notre continent. Les flux migratoires de substitution, issus notamment des anciennes colonies et/ou des sociétés islamiques, qui la dénaturent, engendrant crise identitaire et crise sécuritaire sur le sol de l’Europe. Les périls qui s’annoncent ? Que les Européens (Russie incluse) finissent minoritaires sur leur propre sol au cours du XXIème siècle. Que leur civilisation s’éteigne. Quels autres maux ? La guerre froide larvée entre l’Europe et la Russie, par le biais de la stratégie américaine de division des Européens, jouant les uns contre les autres, et d’encerclement de la Russie par des états hostiles.

La tutelle américaine, par le biais de l’OTAN, par le biais aussi de son influence diplomatique et culturelle, et enfin par la menace de sanctions économiques contre nos entreprises si elles ne jouaient par son jeu, a même contraint les Européens à exercer des sanctions économiques contre la Russie. Pire, nos dirigeants vont encore plus loin dans la soumission aux USA, au point de souhaiter une domination encore plus forte en soutenant les interventionnistes du parti démocrate au lieu de préférer profiter de l’isolationnisme de Trump pour se libérer de leur tutelle.

Illusions et mensonges.

Lorsque ces périls ne sont pas purement et simplement niés par nos dirigeants, et même lorsqu’un constat honnête, comme la déclaration d’Angela Merkel sur l’échec de la société multiculturelle, est énoncé, qui n’est pas le moins du monde suivi d’actes ou qui est démenti dans les faits quelques mois après pour accueillir des centaines de milliers de migrants, ils sont ignorés. Dans la tribune d’Emmanuel Macron, pas un mot n’est consacré à l’immigration ou à l’islam.

Les mondialistes qui nous dirigent ne veulent rien changer à leur gouvernance mais ils veulent renforcer les moyens de museler l’opposition. Au nom des droits de l’homme, ils restreignent les libertés du peuple. Le projet Macron pour l’Europe se limite à créer des gadgets institutionnels supplémentaires, parfaitement inutiles et sans doute destinés à récompenser ses affidés en créant des postes bien rémunérés grâce à nos impôts. C’est l’Europe de l’impotence et de la stagnation. L’Europe politique est renvoyée aux calendes grecques. Aucune avancée significative n’est proposée. Il s’agit seulement de l’empêcher. Macron consolide ainsi l’aspect technocratique et mondialiste de l’Europe en créant des institutions parasitaires et en fermant l’horizon d’une véritable renaissance.

Les souverainistes en face, s’ils nient moins ces périls, les placent de toute façon au second plan au nom de leur obsession économique consistant à tout voir par ce seul prisme, rassurant car il ne demande pas le courage politique que serait celui consistant à dénoncer le péril migratoire. Le péril pour eux vient davantage du voisin européen qu’ils regarderont en chiens de faïence, que de l’immigration extracontinentale et de ses conséquences. Ils restent dans un cadre politique qui était celui d’une Europe qui pesait 25% de l’humanité et qui dominait les trois-quarts de la planète. Les temps ont changé mais ils ne veulent pas le voir, de peur de devoir franchir des Rubicons idéologiques qu’ils refusent par nostalgie incapacitante. Ils prêtent à une UE impuissante un pouvoir exorbitant, exonérant à bon compte les gouvernements de leurs responsabilités, et accusent l’euro de tous les maux. Que l’immigration post-coloniale ait été organisée en France depuis 1946, au Royaume-Uni depuis 1948 ou en Allemagne depuis 1963, sans le moindre rôle joué par la CEE puis par l’UE, ne les intéresse pas. Ils rêvent justement de renvoyer au voisin européen le dernier migrant entré.

thomas ferrier.jpg

Notons enfin que l’émergence des populismes et des nationalismes centrifuges est d’abord un symptôme de l’échec de cette Union européenne là et des principes qui la président depuis l’origine. Il ne faut donc pas s’opposer à eux par principe mais prendre acte du fait que leur existence est le reflet de politiques désirées par les peuples européens et que l’oligarchie leur refuse par dogme mondialiste, et notamment du rejet croissant des flux migratoires par ces mêmes peuples, à qui les premiers flux de travail depuis les années 50 avaient été présentés comme temporaires et dont la pérennité n’a jamais été ni désirée ni acceptée.

Trois pactes pour le salut et l’avenir de l’Europe.

Au plus tôt…

Un pacte de liberté.

Un pacte pour finaliser la décolonisation et émanciper réellement les anciennes colonies. Commençons par émanciper complètement les départements et territoires d’outre-mer afin d’affirmer notre destin européen et de rendre la souveraineté à des peuples dont l’identité est autre.  Abandonnons le franc CFA et les politiques de francophonie, d’anglophonie et de lusophonie. Si l’identité de l’Europe nous importe, nous devons admettre que l’identité de l’Afrique importe aux Africains et la respecter.  Dans ce cadre, les pays émetteurs de flux migratoires de l’Afrique vers l’Europe doivent aussi respecter notre identité et encourager leurs ressortissants expatriés à retourner dans leur pays. Pour ce faire, il faut bien sûr que l’Europe agisse en cohérence en coupant l’appel d’air et en arrêtant les pompes aspirantes, en recentrant ses politiques publiques sur ses propres citoyens. L’Europe se désengagera totalement des affaires africaines et arrêtera d’influencer les politiques de ce continent.

L’avenir de l’Europe n’est pas lié à celui de l’Afrique et réciproquement. L’avenir des Européens est en Europe et l’avenir des Africains est en Afrique. Liberté pour les uns comme pour les autres de demeurer eux-mêmes sur la terre de leurs ancêtres.

Un pacte d’égalité.

Les Européens doivent assumer leur destin par eux-mêmes sans la tutelle d’une puissance étrangère qui se veut amie mais qui les oppresse notamment depuis la chute du bloc soviétique. L’OTAN aurait dû disparaître en 1991 au moment où l’URSS redevenait la Russie et où Gorbatchev proposait de faire de l’Europe une « maison commune ». Il est donc temps que l’Europe dénonce le traité de l’Atlantique-nord et bâtisse une véritable armée européenne indépendante. La présence des forces américaines en Europe, qui déstabilise notre relation avec la Russie et aliène notre souveraineté, doit cesser. A terme, cette armée européenne intégrera jusqu’à l’armée russe.

Ce pacte d’égalité, c’est que l’Europe sera respectée par les USA comme un égal, que les USA ne mèneront pas de rétorsions économiques contre l’Europe sans réponse en retour de sa part, qu’ils respecteront notre richesse culturelle, dont ils s’inspirent pour leur cinéma du fait de leurs origines européennes, et qu’un cinéma européen digne de ce nom, qui reste à rebâtir, sera accueilli aussi largement aux USA que le cinéma américain l’est en Europe.

Un pacte de fraternité.

Nous refusons cette guerre froide larvée entre l’Union européenne et la Russie qu’attisent tactiquement les USA. Nous proposerons donc un pacte de fraternité à l’ensemble des pays de l’Europe orientale et en particulier à la Russie. Mais nous tiendrons compte aussi des légitimes inquiétudes des pays d’Europe centrale qui ont subi jadis le joug du bolchevisme, qu’ils confondent à tort avec la Russie.

Il s’agira dans le cas des pays baltes de rassurer ces derniers sur leur identité en encourageant la Russie à faire revenir les russophones de ces pays, dont la présence trop forte attise une russophobie nocive, et dans ce cadre l’Union Européenne devra engager un plan d’investissement économique important en partenariat avec la Russie.

Toutes les sanctions économiques contre la Russie, qui en plus nuisent à l’économie ouest-européenne, seront levées et les visas entre l’Union Européenne et la Russie, comme avec l’Ukraine et le Belarus, seront levés. Une réconciliation Ukraine/Russie sous l’égide de l’Union européenne, à partir de la situation établie, sera engagée. Un plan européen d’action économique sur le Donbass, qui restera en Ukraine, sera mis en place.

A terme, l’intégration complète à une Union européenne refondée de manière simultanée de l’Ukraine, du Belarus et de la Russie, est envisagée comme un objectif fondamental. Nous n’avons pas à craindre l’élargissement de l’Union européenne à des pays européens, que ce soit ceux des Balkans occidentaux, Serbie en tête, ou que ce soit ceux de l’Europe orientale.

Une vraie ambition pour l’Europe.

A plus long terme…

Une Europe unie et démocratique.

L’Union européenne sera réorientée dans un sens démocratique et toutes les institutions non élues seront abrogées. Les deux conseils et la commission de Bruxelles seront supprimés. Le parlement européen de Strasbourg deviendra l’institution principale de cette Union refondée. A partir de lui, sera proposée une véritable constitution européenne aux citoyens d’Europe, qui permettra de doter le continent européen d’institutions démocratiques fortes.

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Cette Union européenne refondée sera une « nouvelle Athènes ». Une nationalité européenne définie par l’ascendance sera instituée afin de pérenniser l’identité native de l’Europe et de garantir un espace européen de libertés, de droits et de devoirs, entre personnes ayant un destin commun par leur origine commune. Une présidence élue au suffrage universel direct sera institué. Un sénat européen représentera les régions et les nations d’Europe.

L’euro deviendra la monnaie nationale de l’Union européenne puis de l’Europe unie. Il sera contrôlé par la Banque nationale européenne (ex-BCE) elle-même pilotée par le ministère européen des finances. Le budget européen se substituera intégralement aux anciens budgets nationaux, permettant ainsi une politique de meilleure répartition de la ressource en Europe et des économies d’échelle massives. La bonne gestion budgétaire impliquera un plan européen d’économies sur toutes les dépenses supplémentaires de nature « humanitariste » que l’Europe s’est imposée à elle-même pour plaire aux globalistes et sur toutes les dépenses liées à la question migratoire et qui n’auront plus lieu d’être.

Une Europe unie et identitaire.

Il s’agira d’affirmer le caractère européen de l’Europe et de toutes les nations et régions qui la composent, l’Europe elle-même étant considérée comme une nation par l’unité de peuplement et de civilisation qui la caractérise depuis des millénaires.

Il faudra également empêcher la propagande consistant à encourager l’aliénation et le remplacement de l’Europe, à laquelle on opposera une grande politique continentale de réaffirmation identitaire.

Par le biais de la nationalité européenne et des droits et devoirs exclusifs dont disposeront ses détenteurs, des politiques encourageant des logiques remigratoires seront mises en place afin de garantir le caractère européen de l’Europe pour l’avenir et démentir ainsi les prospectives sombres annoncées pour l’Europe au cours du XXIème siècle selon les paradigmes actuels.

Il s’agira enfin de relancer la natalité européenne et non d’encourager une natalité de substitution. La détention de la nationalité européenne conditionnera les aides sociales et les allocations en ce domaine, mais aussi dans le domaine de l’emploi et de l’éducation.

Une Europe unie et continentale.

L’objectif est que l’Europe soit unie, dotée de son Etat unitaire stratège et de son gouvernement légitime, sur un espace compris entre l’Islande et la Russie. Aucune nation d’Europe, aucun peuple d’Europe, ne sera laissé à nos portes.

En revanche, les pourparlers d’adhésion avec la Turquie, même s’ils sont actuellement au point mort, seront officiellement abandonnés.

Cet espace continental unitaire respectera les identités de chaque région et nation historique par l’adoption d’un principe de subsidiarité identitaire et si la liberté de circulation à l’intérieur de cet espace sera absolue, le droit d’installation en revanche sera conditionné à l’acceptation pleine et entière au préalable des habitants, au niveau de la cité ou de la région. Les cultures d’Europe n’ont pas vocation à disparaître par fusion mais au contraire à se renforcer mutuellement.

Conclusion.

Il est temps d’engager une véritable renaissance de l’Europe en osant doter cette dernière des institutions européennes puissantes et efficaces dont elle manque cruellement, et d’affirmer une souveraineté européenne réelle, qui ne se limite pas à des paroles mensongères de politiciens en berne dans les sondages.

Ce n’est pas par des petits pas ou par des déclarations que l’Europe s’unira mais par une volonté politique de fer, une vision d’avenir, et le soutien des Européens, alors réveillés et convaincus. Pour que l’Europe en 2050 soit toujours l’Europe, il faut l’unir mais sur les bonnes bases et la doter d’une tête et d’un cadre.

Pour l’Europe éternelle, pour l’Europe européenne, agissons et forgeons à nouveau notre destin en hommes libres, en Européens !

Thomas FERRIER (Le Parti des Européens)

Meilleurs extraits de la revue de presse de Pierre Bérard (11 mars 2019)

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Meilleurs extraits de la revue de presse de Pierre Bérard (11 mars 2019)

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Au sommaire :

Selon Vincent Lapierre présent à Paris pour l’acte XIII des Gilets Jaunes il ne fait plus de doute que les casseurs, antifa et autres black-block présents depuis quelques semaines  dans toutes les manifestations ne sont là que pour pourrir le mouvement, lui donner une image violente dont les médias raffolent et accessoirement y exercer leur talents de kapo en en chassant tous ceux qui ont la réputation de nourrir des sympathies pour un « fascisme » imaginaire. Les quelques centaines de miliciens antifa se montrent ainsi des auxiliaire précieux de la police pour détruire un mouvement qui, surgi d’une France invisible jusqu’alors en dormition, n’a pas su se structurer afin d’éliminer de ses rangs un cancer qui risque d’en venir à bout :  

Vincent Lapierre à l’acte XIV des GJ perturbé par les ratonnades des antifa :
 
 
Autre reportage incisif au coeur de la manifestation parisienne des Gilets Jaunes pour l’acte XV. Il montre une réalité bien différente de celle qui à cours dans les médias de grand chemin :
 
 
La piste des « fascistes » semeurs de haine et de violence refuse de se démentir. Il est vrai qu'elle a tellement servi depuis des décennies quelle est devenue le réflexe conditionné des médias pavloviens autant que des politiques qu’on appelle non sans ironie « responsables ». C’est pourquoi cet article du Point se lit comme l’exception qui confirme la règle. Bon, il n’était pas très difficile de conclure comme le fait l’hebdomadaire à la culpabilité de l’extrême gauche puisque les antifa signent leurs forfaits avec, il faut bien le reconnaitre, une mansuétude des forces de police et de ceux qui les commandent qui ne doit étonner que les demeurés de la politique et de ses coups bas :
 
 

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Michel Drac trace à gros traits dans une courte vidéo les différences majeures entre la situation de la France en 1968 et en 2018, et les dissemblances qui s’ensuivent entre la révolte étudiante et celle des Gilets Jaunes. Il distingue cinq différences essentielles dont la plus importante lui parait être l’existence de l'euro qui nous interdit toute dévaluation alors qu’après les cadeaux offerts aux syndicats en juin 1968 Pompidou devenu président avait pu dévaluer fortement le franc :
 
 
Toujours dans Le Point, un article de Jérôme Fourquet intitulé « France, le grand bouleversement » qui annonce ce que des esprits affutés avaient révélé depuis une quarantaine d’années à savoir le grand remplacement en marche, vécu alors comme un succession de fake news tout juste bonnes pour les rustres amateur de conspirations :
 
 
Alain Finkielkraut témoignait sur Bfm-Tv au lendemain de l’incident auquel il a été confronté en marge du quatorzième acte de Gilets Jaunes. L’indignation justifiée qu’a soulevé cette agression verbale a constitué le point d’orgue d’une campagne contre l’antisémitisme qui prend des allures dantesques (alors que la hausse des actes réputés antisémites s’inscrit tendanciellement dans une baisse de 8,5% depuis 18 ans). On notera que le philosophe sait voir ce qu’il voit et le dit tranquillement : le petit groupe de manifestants qui s’en est pris à lui était constitué de salafistes fanatisés dont l’un au moins, le plus véhément, est connu du renseignement et a été arrêté depuis. Il fréquente la galaxie Milli Gorus, un réseau de mosquées turques. Contre cette montée de l’antisémitisme, surtout marquée par des graffitis de pissotière, la gauche divine, comme toujours a appelé à des manifestations qui mobilisent le banc et l’arrière banc des bonnes consciences « antifascistes ». Finkielkraut n’est pas dupe de cette récupération de la mémoire juive dans une démonstration au cours de laquelle il s’est agi d’accuser le Rassemblement National (alors que Marine Le Pen fut l’une des première à marquer sa solidarité avec l’académicien) et de refuser de comprendre d’où vient présentement l’essentiel du nouvel antisémitisme. Les organisateurs, intellectuellement déficients ou paresseux, présenteront cette nouvelle vague d’antisémitisme comme un avatar de celui des années trente qui était endogène contrairement à celui d’aujourd’hui qui est exogène et se présente sous les traits avantageux de l'antiracisme. Pour toutes ces raisons Alain Finkielkraut se montrait dubitatif  par rapport à cette manifestation qui rameutait dans le cortège des pleureuses nombre de maires de banlieue qui n’ont de cesse d’alimenter le clientélisme communautariste afin d’y gagner, espère-t-ils, leur réélection. Dieu se rit des hommes qui déplorent les effets dont ils chérissent les causes :
 
Alain Finkielkraut, extraits d’un entretien revigorant à Die Welt :
 

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Michel Onfray n’est pas dupe des manoeuvre et des coups bas qui accompagnent les insultes qu’a dû endurer Alain Finkielkraut lors de sa rencontre inopinée avec l’acte quatorze des Gilets Jaunes : 
 
 
L’historien israélien (de gauche) Shlomo Sand remet en place le président Macron concernant son amalgame entre « anti-sionisme » et « antisémitisme ». Texte de 2017 publié par Mediapart :  
 
 
Alors que l’on s’interroge en haut lieu sur les accointances supposées entre anti-sionisme et antisémitisme, un article de l’historien Henry Laurens vient justement montrer que de 1933 à1939 les sionistes n’hésitèrent pas à « collaborer » avec l’Allemagne nazie au grand dam de ceux qui mettaient en avant la lutte contre l’antisémitisme du national-socialisme par l’arme du boycott. Le travail d’historien pratiqué scrupuleusement montre une fois de plus que la réalité des faits se distancie grandement des schémas manichéens qui ont cours dans notre bel aujourd'hui  :
 
 
Une revue de presse consacrée à l’antisémitisme par l’OJIM. L’ensemble des articles collationnés mettent en cause le RN et LFI alors que la totalité des homicides judéophobes relevés en France depuis une dizaine d’années désigne des criminels issus de l’immigration arabo-musulmane. De même le lien entre islamisme et antisémitisme est passé sous silence. Comment résoudre un problème grave si l’on ne sait ou l’on ne veut pas en poser correctement toutes les données ? :
 
 
Du RIFifi à la Nouvelle Librairie, tel est le titre de la très récente émission produite par Radio Méridien Zéro. Avec François Bousquet qui explique parfaitement le projet de ZAR (zone à reconquérir) que constitue pour lui la librairie et l’ensemble des initiatives qui s’articulent à elle (les 34 premières minutes de l’émission). Xavier Eman ensuite. Il anime la revue papier de Zentropa, un fanzine paraissant tous les deux mois. Il publie par ailleurs un deuxième livre Terminus pour le hussard (éd Auda Isarn) et en dehors de sa chronique régulière dans Éléments co-dirige l'excellente revue Livr’arbrites dont la dernière livraison est consacrée à Ernst Jünger. Thierry Bouzard conclut l'émission avec une réflexion sur le Rock Identitaire Français :
 
 

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Concernant Ernst Jünger on peut lire également une étude de la germaniste Isabelle Grazioli-Rozet parue sur le site Philitt et consacrée à la rencontre intellectuelle entre Jünger et Mircea Eliade. Rencontre qui aboutit à la création de la revue Antaios, première version. Une deuxième version paru plus tardivement dans les années 90, dirigée par Chritopher  (deux parties) :
 
 
 
Michel Drac présente La doctrine du fascisme publiée en 1932. Ce livre écrit partiellement par le philosophe Giovanni Gentile et signé de Benito Mussolini condense la vision du monde telle que la percevait le Duce une dizaine d’années après la marche sur Rome. Le résumé qu’en fait Drac est concret, précis et objectif et nous éloigne très rapidement des simplifications polémiques dont les discours contemporains sur le fascisme se sont gavés. Les clichés dont témoignent ces lieux communs doivent beaucoup à la réthorique stalinienne des années trente. Leur persistance est une des marques du succès de la stratégie gramsciste mise en œuvre dès cette époque par l’internationale communiste. Ce compte rendu lumineux signale aussi bien les insuffisances que les réussites de ce régime qui prétendait soumettre l’individu à l’État. Il souligne également la résurgence païenne que représentait cette conception du monde, pour aussi bizarre et inattendue que cela paraisse. Pour Drac elle fut incubée tout au long de l’existence du Saint Empire Romain Germanique qui comprenait une large partie de l’Italie contemporaine. Pour terminer Michel Drac se livre à un exercice amusant, celui de fachomètre  consistant à classer les forces politiques françaises en fonction de leur facho attitude.  
Macron s’en sort premier de la liste, ce qui n’étonnera personne :
 
 
Pourquoi Viktor Orban mène-t-il une politique résolument nataliste ? :
 
 
La social-démocrate Annika Strandhäll, ministre suédoise de la Sécurité sociale, a déclaré dans un tweet que la politique nataliste hongroise mise en place par le gouvernement Orban « ressemblait aux années 30 ». « Ce qui se passe en Hongrie est alarmant. Orban souhaite que davantage d’ « authentiques » enfants hongrois naissent. Cette politique ressemble à celle des années des années trente ». Afin d’en juger plus objectivement, ce qui n’est pas difficile, voici le discours sur l’état de la nation hongroise prononcé au mois de février de cette année où Orban détaille les mesures prises pour réveiller la natalité hongroise. Un crime odieux, apparemment, pour les tenants de l’idéologie libérale-libertaire qui recourent sans mesure à la reductio ad hitlerum
 
 

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La machine politique russe en quête de « volonté longue ». Une étude magistrale de Vladislav Surkov, l’un des conseillers de Poutine, qui s’exprime avec un sens accompli des réalités présentes :
 
 
Excellente critique par la démographe Michèle Tribalat  du livre de Paul Collier Exodus. Immigration et multiculturalisme au XXI siècle qui vient d’être traduit de l’Américain aux éditions de L'artilleur :
 

Pour Paul-Francois Schira, juriste et énarque : « Il n’y a pas de destin commun sans enracinement ». Interview accordée au Figaro Vox à l’occasion de la sortie de son dernier essai La demeure des hommes paru chez Tallandier. Dans ce très intéressant entretien qui s’articule autour d’une citation empruntée à Polybe « Aucune civilisation ne cède à une agression extérieure si elle n’a pas d’abord développé un mal qui l’a rongée de l’intérieur » l’auteur instruit intelligemment le procès du libéralisme et de l’individualisme :
 
 

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Point de vue d'Hervé Juvin sur l’idéologie du progrès qui se place au coeur de la doctrine politique d’Emmanuel Macron qui s’en veut le représentant exclusif face aux forces « obscurantistes » du conservatisme et du nationalisme. « L’avenir tel que la République en Marche veut y conduire la France a été écrit en 1990, explique Juvin. Libre échange, entreprises mondiales, sociétés multiculturelles, règne du droit et uniformisation du monde sur le modèle américain ». Aucune des promesses énoncées dans les années 90 par ce programme n’ont été tenues, et Juvin en tire lucidement les leçons argumentées. Selon lui, le globalisme c’est le passé, et le localisme l'avenir :
 
 
Jean-Paul Demoule qui avait connu il y a quelques années un relatif succès de librairie en publiant Mais où sont passés les Indo-européens se voit aujourd’hui « corrigé »  par trois linguistes spécialisés dans l’étude des langues indo-européennes. La thèse centrale soutenue par Demoule suggérait que les Indo-européens étaient une vue de l’esprit essentiellement soutenue par les cerveaux maniaques du nazisme. Cette politisation outrancière d’une question historique très mal comprise lui vaut cette fois un blâme bien mérité. Article difficile qui pour être pleinement savouré exige que l’on appréhende les bases de la linguistique :
 
 
L’étonnant parcours de la jeune militante écologiste suédoise Greta Thunberg, coqueluche internationale de l’environnement (et de la société multiculturelle). Une fabrication du capitalisme vert bien décidé à ne pas renoncer à la « croissance ». Elle sert ainsi de label aux spin-doctor d'un réseau créé par le Forum économique mondial en 2011. Les jeunes qu’elle embrigade savent-ils qu’ils marchent pour la davocratie ? :
 
 

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Richard Labévière spécialiste du Proche-Orient était l’invité d’Élise Blaise sur le plateau  de Samedi Politique (TVL). Il rend compte de la situation militaire en Syrie et explique pourquoi la diplomatie française vidée de tous ses experts en islamologie et d’arabisants s’est mise à la remorque d’idéologues néo-conservateurs qui obéissent d’abord aux intérêts américains au dépens de nos propres atouts dans la région. La France a eu tout faux depuis les débuts de la crise en 2011 et se trouve désormais exclue du jeu (première référence). Il est largement question dans cette vidéo de l’article du colonel Legrier qui commandait l’artillerie française dans la zone Irakienne. Cet article qui a fait l’objet d’un interdit du gouvernement Macron constitue la seconde référence  :
 
 
 
Entretien de Thibault Isabel avec le philosophe et mathématicien Olivier Rey sur Pasolini à propos de l’ouvrage de ce dernier intitulé « Le chaos. Contre la terreur » dont il a écrit la préface. Le livre est édité chez RN  :
 
 
Toujours sur le même site un article plus ancien de Falk van Gaver sur l’effondrement à venir. De manière générale les dizaines d’articles publiés sur L’inactuelle sont très intéressants et apportent un complément 
de réflexion à une revue comme Krisis :
 
 
L’une des plus récentes interviews de L’inactuelle est celle de l'excellent Dany-Robert Dufour, spécialiste de la critique du libéralisme. Il aborde ici la notion de peuple et la difficulté de le représenter. Il décrypte également l’anthropologie libérale toute entière fondée sur le paradigme de l’agent individuel cherchant en permanence à maximiser son meilleur intérêt. Ce modèle apparait pour le première fois chez le penseur anglais du XVIII siècle Mandeville, auteur de La Fable des abeilles (« les vices privés fondent l’harmonie sociale »). Une telle approche ne peut déboucher que sur la généralisation de la pléonexie que l’on voit s’étaler partout de nos jours. Dufour vient de publier Le code Jupiter. Philosophie de la ruse et de la démesure aux éditions des Equateurs, sous le pseudonyme de Démosthène : 
 
 

Between Buddha & Führer: The Young Cioran on Germany

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Between Buddha & Führer:
The Young Cioran on Germany

ecioran-barbarie.pngEmil Cioran
Apologie de la Barbarie: Berlin – Bucharest (1932-1941)
Paris: L’Herne, 2015

This is a very interesting book released by the superior publishing house L’Herne: a collection of Emil Cioran’s articles published in Romanian newspapers, mostly from before the war. Besides becoming a famous aphorist in later years, before the Allied victory, Cioran was still free to be a perceptive and biting cultural critic and political analyst.

While reading the book, I was chiefly interested in understanding the motivations behind Cioran’s support for nationalism and fascism. We can identify a few recurring themes:

  • A sense of humiliation at Romania’s underdevelopment, historical irrelevance, and cultural/intellectual dependence with regard to the West: “That is why the Romanian always agrees with the latest author he has read” (22).
  • A pronounced Germanophilia, appreciating German artists’ and intellectuals’ intensity, pathos, and diagnostic of Western decadence.
  • Frustration with democratic politics as leading selfish individualism and political impotence.
  • A marked preference for belief and irrational creativity over sterile rationalism and skepticism.

Cioran, who had already been well acquainted with German high culture during his studies in Romania, really took to Hitlerian Germany when he moved in 1933 there on a scholarship from the Humboldt Foundation. He writes:

In Germany, I realized that I was mistaken in believing that one can perfectly integrate a foreign culture. I hoped to identify myself perfectly with the values of German history, to cut my Romanian cultural roots to assimilate completely into German culture. I will not comment here on the absurdity of this illusion. (100)

The influence of Cioran’s German sources clearly shines through, including Nietzsche, Spengler, and Hitler himself.[1] [2] Cioran’s infatuation proved lasting. He wrote in 1937: “I think there are few people – even in Germany – who admire Hitler more than I do” (240).

On one level, Cioran’s politics are eminently realistic, frankly acknowledging the tragic side of human existence. He admires Italian Fascism and especially German National Socialism because these political movements had restored strong beliefs and had heightened the historical level and international power of these nations. If liberties must be trampled upon and certain individuals marginalized for a community to flourish, so be it. On foreign policy, he favors national self-sufficiency and Realpolitik as against dependence upon unstable or sentimental alliances.

Cioran is extremely skeptical of pacifist and universalist movements, convinced that great nations each have their own historical direction. Human history, in his view, would not necessarily converge and ought to remain pluralistic. If Europe was to converge to one culture, this would tragically require the triumph and imposition of one culture on the others. In particular, he believed Franco-German peace would be impossible without the collapse of one nation or the other (little did he suspect both would be crushed). Diversity and a degree of tension between nations and civilizations were good, providing “the essential antinomies which are the basis of life” (98).

Alongside these rather realistic considerations, spoken in a generally detached and level-headed tone, Cioran’s politics and in particular his nationalism were powerfully motivated by a sense of despair at the state of Romania. Cioran viscerally identified with his nation and intensely felt what he considered to be its deficiencies as a bucolic and peripheral culture. He then makes an at once passionate and desperate plea a zealous nationalist and totalitarian dictatorship which could spark Romania’s spark geopolitical, historical, and cultural renewal. Only such a regime, on the German model, could organize the youth and redeem an otherwise irrelevant nation. The continuation of democracy, by contrast, would mean only the disintegration of the nation into a collection of fissiparous and spoiled individuals: “Another period of ‘democracy’ and Romania will inevitably confirm its status of historical accident” (225).

Cioran_Reichsausländer_01-200x300.jpgA rare and stimulating combination in Cioran’s writings: unsentimental observation and intense pathos.

Cioran’s nationalism was highly idiosyncratic. He writes with amusing condescension of the local tradition of nostalgic and parochial patriotic writing: “To be sure, the geographical nationalism which we have witnessed up to now, with all its literature of patriotic exaltation and its idyllic vision of our historical existence, has its merits and its rights” (150). He was also uninterested in a nationalism as merely a moralistic defensive conservatism, defined merely as the maintenance of the borders of the Greater Romania which, with the annexation of Transylvania, had been miraculously established in the wake of the First World War.

For Cioran nationalism had to serve a great political project, it had to have a set of values and ambitions enabling a great historical flourishing, rather than be merely a sentimental or selfish end in itself. He writes of A. C. Cuza, a prominent politician who made anti-Semitism his signature issue:

Nationalism, as a sentimental formula, lacking in any ideological backbone or political perspectives, has no value. The dishonorable destiny of A. C. Cuza has no other explanation than the agitations of an apolitical man whose fanaticism, which has never gone further than anti-Semitism, was never able to become a fatality for Romania. If we had had no Jews, A. C. Cuza would never have thought of his country. (214)

Similarly, Cioran argues that the embrace of nationalism is dependent on time and purpose:

One is a nationalist only in a given time, when to not be a nationalist is a crime against the nation. In a given time means in a historical moment when everyone’s participation is a matter of conscience. The demands of the historical moment also mean: one is not [only] a nationalist, one is also a nationalist. (149-50)

Cioran was also – at least in this selection of articles – uninterested in Christianity and aggressively rejected Romania’s past and traditions, in favor a revolutionary project of martial organization, planned industrialization, and national independence. For Cioran, Romania needed nothing less than a “national revolution” requiring “a long-lasting megalomania” (154).

All this seems far removed from the agrarian traditionalism and Christian mysticism of Corneliu Zelea Codreanu’s Iron Guard. Cioran did, however, hail the Guard as a Romanian “awakening” and after Codreanu’s murder wrote a moving ode to the Captain [3]. By contrast, Cioran excoriates the consensual Transylvanian politician Iulia Maniu as an ineffectual and corrosive “Balkan buddhist,” peddling “political leukemia” (220).

A friend of mine observed that at least some aspects of Cioran’s program resembles Nicolae Ceaușescu’s later formula: perhaps late Romanian communism did seek to reflect some of the nation’s deep-seated aspirations concerning its place in the world.

One is struck by the contrast between Cioran’s lyricism on Germany, his desperate call to “transfigurate” Romania, and his perfectly lucid and quite balanced assessment of Fascist Italy [4]. There is something quite unreasonable in Cioran’s revolutionary ambitions. Fascism, certainly, is an effective way of instating political stability, steady leadership, and civil peace, annihilating communism, maximizing national power and independence, and educating and systematically organizing the nation according to whatever values you hold dear.

cioranherne.jpgBut fascism cannot work miracles. Politics must work with the human material and historical trajectory that one has. That is being true to oneself. To wish for total transformation and the tabula rasa is to invite disaster. Such revolutions are generally an exercise in self-harm. Once the passions and intoxications have settled, one finds the nation stunted and lessened: by civil war, by tyranny, by self-mutilation and deformation in the stubborn in the name of utopian goals. The historic gap with the ‘advanced’ nations is widened further still by the ordeal.

In the case of Romania, I can imagine that a spirited, moderate, and progressive authoritarian regime might have been able to raise the country’s historical level, just as Fascism had in Italy. Romania could aspire to be a Balkan hegemon. Beyond this, raising Romania would have required generations of careful and steady work, not hysterical outbursts, notably concerning population policy. The country had a comparatively low population density – a territory twice the size as England, but with half the population. There was a vigorous and progressive eugenics movement in interwar Romania [5] which also sought to improve the people’s biological stock, but this came to naught.

Another very striking aspect of Cioran’s fascism and nationalism is that he does not take race seriously. He says in his first article written from Germany (November 14, 1933):

If one objects that today’s political orientation [in Germany] is unacceptable, that it is founded on false values, that racism is a scientific illusion, and that German exclusivism is a collective megalomania, I would respond: What does it matter, so long as Germany feels well, fresh, and alive under such a regime?

Reducing National Socialism’s appeal to mere emotional power, although that is important, will certainly puzzle progressive racialists and evolutionary humanists.[2] [6] In the same vein, Cioran occasionally expresses sympathy for communism, because of that ideology’s ability to inspire belief. There is something irresponsible in all this. And yet, living in an order of rot and incoherence, we can only share in Cioran’s hope: “We have no other mission than to work for the intensification of the process of fatal collapse” (51).

One wonders how Cioran’s disenchantment with Hitlerian Germany occurred. The fact that he wrote his conversion note [7]On France [7] in 1941, before the major reversals for the Axis, is certainly intriguing.

Cioran’s comments on Romania’s ineptitude are striking and sadly well in line with the current state of the Balkans. Cioran hailed from Transylvania, which though having a Romanian majority, had significant Saxon and Hungarian minorities and a tradition of Austro-Hungarian government. Cioran contrasts the stolid Saxons with the erratic Romanians, the staid Transylvanian “citizens” with the corrupt “patriots” of the old-Romanian provinces (Wallachia, Moldova). So while he rejected any idea of Romania becoming merely a respectable, prosperous “Switzerland,” Cioran also desired some good old-fashioned (bourgeois?) competence. He indeed calls Transylvania “Romania’s Prussia.”

To this day, besides Bucharest, the wealthier and more functional parts of the country are to be found in Transylvania. In the 2014 presidential elections, there was an eerie overlap [8] between the vote for the liberal-conservative candidate Klaus Iohannes and the historical boundaries of Austria-Hungary.

What I find most stimulating in Cioran is his dialectic between his concerns as a pure intellectual – lucidity, the vanity of things, universal truth – and his recognition of and desire for the intoxicating needs of Life: belief, action in the here-and-now, ruthlessness, and passion. Cioran writes:

The oscillation between preoccupations that could not be further from current events and the need to adopt, within the historical process, an immediate attitude, produces, in the mind of certain contemporary intellectuals, a strange frenzy, a constant irritation, and an exasperating tension. (117)

I was shocked to encounter the following passage and yet the thought had also occurred to me:

In Germany, I began to study Buddhism in order not to be intoxicated or contaminated with Hitlerism. But my meditation on the void brought me to understand, by the contrast, Hitlerism better than did any ideological book. Immediate positivity and the terror of temporal decision, the total lack of transcendence of politics, but especially the bowing before the merciless empire of becoming, all these grow in a dictatorship to the point of exasperation. A suffocating rhythm, alternating with a megalomaniacal breath, gives it a particular psychology. The profile of dictatorship is a monumental chiaroscuro. (233-34)

Nature, ‘red in tooth and claw,’ and the inevitable void: a fertile dialectic, from which we may hope Life with prevail.

Notes

[1] [9] E.g. Cioran observes that fears surrounding Hungary’s ambition to reconquer Transylvania from Romania only existed due to Romania’s own internal political weakness: “[There is an] unacceptable illusion among us according to which foreign relations could compensate for an internal deficiency, whereas in fact the value of these relations depends, at bottom, on our inner strength” (171). A classic Hitlerian point.

[2] [10] Elsewhere, Cioran denounces, in the name of a lucid Realpolitik, overdependence on the unreliable alliance with France and sympathy for the “Latin sister nation” Italy, which was then supporting Hungary: “Concerning affinities of blood and race, who knows how many illusions are not hidden in such beliefs?” (172). Certainly, people have often confused linguistic proximity with actual blood kinship.

 

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[1] Image: https://www.counter-currents.com/wp-content/uploads/2019/03/Cioran_Reichsausländer_01.jpg

[2] [1]: #_ftn1

[3] ode to the Captain: https://www.counter-currents.com/2016/10/ode-to-the-captain/

[4] Fascist Italy: https://www.counter-currents.com/2019/01/italy-mussolini-fascism/

[5] eugenics movement in interwar Romania: https://www.upress.pitt.edu/books/9780822961260/

[6] [2]: #_ftn2

[7] conversion note : https://www.counter-currents.com/2019/02/ciorans-on-france/

[8] eerie overlap: https://www.reddit.com/r/MapPorn/comments/8cv6cf/the_map_of_the_austrohungarian_empire_18671918/

[9] [1]: #_ftnref1

[10] [2]: #_ftnref2