dimanche, 27 mars 2016
L'Equinozio di Primavera e gli Dèi di Roma
Il mese di Marzo costituisce il momento della generazione della potenza di Roma per mezzo di una serie di celebrazioni aventi il carattere specifico del rinnovamento, a cominciare dal sacro Fuoco di Vesta, simbolo del rapporto sacrificale perenne tra Roma e i suoi Dèi, che nel primo giorno del mese veniva ritualmente spento e riacceso. Il rinnovamento è celebrato nel nome di due divinità, il maschio Mars e la femmina Juno-Minerva, i due aspetti della donna come Vergine e come Madre: la duplice polarità di Marzo si realizza nella nascita iniziatica dei giovani, maschi e femmine, che nel successivo mese di Giugno si uniranno in matrimonio per proseguire l’eterna realtà di Roma nel tempo dei secoli futuri e nello spazio dell’espansione della sua civiltà ai popoli dell’area mediterranea.
La ri-nascita dell’Urbe ha il suo centro nella presenza in questo mese dell’Equinozio di Primavera, evento astronomico (e non solo) che i Romani nel tempo arcaico facevano cadere nel mese di Marzo, inserendo, se fosse stato necessario, un mese aggiuntivo (Interkalaris o Mercedonius) affinché Equinozio e mese di Marzo coincidessero, in quanto il primo giorno di Marzo era l’originario Capodanno di Roma (giorno che forse in un’età più arcaica cadeva il 21 Aprile). La connessione tra Marzo, mese dei giovani che entrano con l’iniziazione nella societas romana, ed Equinozio di Primavera, rifiorire della terra e sopravanzare delle ore di luce su quelle oscure della notte, rende intuitivo perché sia questa la data scelta da un punto di vista astronomico ma soprattutto sapienziale come inizio del Nuovo Anno.
Alle due divinità principali, Mars e Juno-Minerva, protettrici rispettivamente dell’iniziazione dei maschi e delle femmine, si associano divinità connesse all’abbondanza (Consus e Anna Perenna) e riti di allontanamento del “vecchio” (i Mamuralia) o di commemorazione degli antichi (gli Argei, compagni di Ercole). L’aspetto direttamente connesso alla generazione sul piano materiale lo si ritrova nella cerimonia degli Equirria, dedicati a Consus in ricordo del ratto delle Sabine mediante cui ebbe inizio la procreazione in Roma, e in quella di Anna Perenna, la quale cadeva alle Eidus, solitamente dedicate a Juppiter, celebrazione del ciclo annuale che si rinnova (Anna Perenna è chiaramente la “perennità”).
GIUNONE E MINERVA, IL POLO FEMMINILE DI MARZO
Qui ci limiteremo ad esaminare le figure, molto complesse, di Juno-Minerva e di Mars[1], e precisiamo subito che scriviamo “Juno-Minerva” perché la Juno italica non ha nulla a che vedere con la greca Hera, alla quale venne più tardi assimilata: nel mondo latino la Dèa si presenta con attributi analoghi a quelli di Minerva, come vediamo nella statua della Juno Sospita (Salvatrice) di Lanuvio, divinità preromana vestita con i calcei repandi, calzature a punta rialzata che De Francisci fa risalire alle culture egeo-antoliche[2] e armata con la lancia e l’ancile, lo scudo bilobato dei Saliares di Mars, coperta da una pelle di capro[3] (la nebrys). Nella Roma arcaica essa non era la paredra di Juppiter, ma una divinità guerriera protettrice della città e dei suoi abitanti, e presiedeva alle iniziazioni delle adolescenti nel suo tempio di Lanuvio; ad essa i Romani dedicarono le Kalendae di Febbraio, affidando alla classe dei Cavalieri il ruolo di suoi sacerdoti, proprio per le caratteristiche di “protettori dell’Urbe” proprie a questi guerrieri come si può constatare nelle loro cerimonie dell’Equinozio di Autunno. Tutto ciò la rende analoga alla Minerva Tritonia di Lavinio, anch’essa vestita con la pelle caprina e armata di lancia e scudo ed anch’essa protettrice del passaggio rituale delle giovani donne nella città fondata da Enea.
Come Juno e Minerva sono collegate all’iniziazione femminile, così lo è Mars per i maschi, i quali, probabilmente dopo un primo rituale a cui erano stati sottoposti a Febbraio nel corso dei Lupercalia, ora a Marzo entravano a tutti gli effetti nella societas romana come guerrieri nel corso delle cerimonie dei Saliares.
La Juno celebrata alle Kalendae di Marzo era la Juno Lucina (protettrice dei parti ma anche Dèa della luce) o Matrona (l’attributo deriva dalla stessa radice *mas affine a Mars e alla parola maschio); il suo nome è etimologicamente collegato a juventas in quanto protettrice delle giovani fanciulle, alle quali era propria la juno, così come al maschio il genius, e come questi si connette con la gens, poiché il maschio prolunga nel tempo la sua gens dando il proprio nomen al figlio, la juno è in rapporto con la juventas, in quanto solo la donna giovane può procreare. Nella concezione romana la procreazione è per la donna quello che per gli uomini è la guerra, lo scopo della propria esistenza, ed è per questo motivo che Juno e Mars sono venerati nello stesso mese.
Ad essa erano dedicati i Matronalia; la Dèa era venerata in un tempio sull’Esquilino, nella zona di via in Selci presso l’attuale chiesa di San Francesco di Paola, e il tempio, già esistente nel 375 a.C., sarebbe stato dedicato dalle matrone a seguito di un voto fatto da una di esse in occasione del proprio parto. Il suo tempio sorgeva in un bosco sacro alla Dèa ma sicuramente più antico di esso, tanto che Plinio[4] riteneva che il nome di Lucina fosse derivato da lucus e non da lux; qui si trovava la sacra lotus, pianta che ritroviamo nei riti di Vesta, quando la nuova sacerdotessa scelta dal Pontefice Massimo tagliava i suoi capelli e li appendeva alla lotus capillata nell’Atrium Vestae. Il nome Lucina si può comunque collegare a luce, con il significato di “dare alla luce”, ed è nel lucus di questo tempio che venne dato l’oracolo alle donne sabine sterili: “Le italiche madri siano penetrate dal capro”[5], che è alla base del rituale fecondatore dei Lupercalia.
La celebrazione di Juno Lucina era tenuta nei Matronalia, festa in cui le matrone portavano offerte alla Dèa per propiziarsi una gravidanza felice; in questo giorno si attuava uno scambio di ruoli tra matrone e servi, come nei Saturnalia di Dicembre tra i padroni e i loro servitori, per cui erano le matrone a servire a tavola i loro schiavi, come scrive Macrobio[6]: “Le matrone servivano la cena agli schiavi, come fanno i padroni durante i Saturnali: quelle per incitare all’inizio dell’anno con questo onore gli schiavi a pronta obbedienza, questi come per ringraziarli del lavoro compiuto”.
Minerva aveva la sua festa nel giorno delle Quinquatrus, giorno che cadeva, come dice il nome, il quinto giorno oscuro dopo le Eidus: il giorno era in origine sicuramente dedicato a Mars, dato che in esso i Saliari celebravano uno dei loro riti, ma venne in seguito “usurpato” da Minerva, certo in coincidenza con la sovrapposizione della Triade etrusca Juppiter-Juno-Minerva all’arcaica Triade Juppiter -Mars-Quirinus.
Viene spontaneo chiedersi: perché sostituire Mars con Minerva? L’innamoramento di Mars per Minerva tramandato nella nota leggenda di Anna Perenna è chiaramente un mito tardivo di epoca repubblicana e di origine greca, mentre Minerva si trova in origine collegata a Mars per altri motivi, in quanto è a loro due, insieme ad altre divinità, che vengono offerte in sacrificio le armi degli eserciti sconfitti[7]. Ecco perché Minerva è chiamata anche coniunx di Mars, lei che, essendo vergine, non può essere sposa di nessuno, ed il mito di Anna Perenna e Mars conferma come tra le due divinità non sia intercorso alcun rapporto sessuale.
Forse originariamente Minerva era non una Dèa ma una “qualità divina”, tanto che dopo l’affermazione della nuova Triade, come osserva Carandini[8], mentre a Juppiter vennero dedicate le Eidus e a Juno le Kalendae, a Minerva non vennero dedicate le Nonae, come ci si aspetterebbe per quella simmetria fondamentale anche sul piano religioso per i Romani. Questa “qualità divina” potrebbe trovarsi nella connessione del suo nome con una serie di radici affini, da cui vengono parole aventi relazione con la Dèa, quali mensis[9] dalla radice *men(e)s, mensura da *mē, da cui derivano le parole indoeuropee indicanti misura, mentre *men è all’origine dei termini indicanti memoria, ricordare, lat. memini, e da *menu deriva uomo come “uomo pensante”[10]. Il carattere precipuo di Minerva sembra quindi essere quello della “misurazione” collegata all’idea di “uomo pensante”: uomo capace di organizzare tramite la misura e di ricordare tramite la memoria.
Minerva è la Dèa ordinatrice che dà una struttura armonica ed equilibrata al cosmo, e questa sua funzione ordinatrice è realizzazione della potenza divina sul piano della creazione come su quello umano, dove senza memoria e intelletto non è possibile comprendere e seguire il volere divino espresso negli auspicia. Sul piano divino collabora con Juppiter in quanto consente l’attuazione della volontà del Dio supremo dando ordine al mondo, sul piano umano è il principio che porta gli uomini alla creazione di una societas equilibrata nelle sue componenti e in particolare, per quanto riguarda il mese di Marzo, agisce con Mars nel rito iniziatico con il quale il giovane si realizza come guerriero.
Segno della sua azione ordinatrice è anche la funzione come protettrice degli artigiani e dei pedagoghi (i quali in questo mese ricevevano il minerval, il loro salario o un dono da parte degli studenti), cioè coloro che collaborano al perfezionamento del cosmo, abbellendolo sul piano fisico con le loro opere e arricchendo le potenzialità dei giovani per mezzo dell’insegnamento.
Se Mars è l’archetipo del Re-guerriero, padre di Re e di guerrieri come Romolo, Minerva è la Dèa della misura e dell’ordine che derivano sul piano politico dall’organizzazione civile che ha al suo àpice il Re; sul piano iniziatico Minerva dà al giovane che accede all’iniziazione quell’ordine interiore che è necessario per temperare la furia guerriera indirizzandola ad un livello superiore.
La presenza di Juno alle Kalendae di Mars e la sovrapposizione di Minerva nelle Quinquatrus, in origine proprie a Mars, inducono ad una riflessione: vi possiamo vedere una sorta di progressiva invasione del femminile nell’area che fino allora era stata esclusivamente riservata a Dèi maschili e coincidente con il momento in cui la più antica Triade, costituita da Juppiter, Mars e Quirinus, si avvia alla scomparsa con la sostituzione degli ultimi due da parte di Juno e Minerva, sotto l’influsso etruschizzante della dinastia dei Tarquini, i quali cercarono di sovrapporre le loro divinità a quelle romane. La resistenza opposta nel corso della costruzione del tempio a Juppiter sul Campidoglio da due divinità, Terminus e Juventas, per non essere spostate dall’area in cui il nuovo tempio sarebbe sorto può essere anche il segno dell’opposizione del patriziato romano al piano religioso dei Re etruschi; fu necessario far spazio al tempietto di Juventas nella cella di Juno, mentre per Terminus, che aveva un altare-stele a cielo aperto, si dovette praticare un’apertura nel tetto della cella di Juppiter, perché mantenesse il suo carattere di templum sub divo. Si ha anche notizia di un tempio di Mars che esisteva già sul Campidoglio[11] e che venne non a caso raso al suolo per far posto alla nuova Triade.
MARS, Il POLO MASCHILE DI MARZO
Mars, a cui è intitolato il mese, non è il signore della guerra, come venne concepito dopo la sua identificazione con l’Ares greco, ma ha le caratteristiche di un Dio connesso con la tutela dell’Ordine sia per mezzo della guerra offensiva, sia con la protezione di ciò che è generato, la città di Roma, i giovani, i campi che iniziano a germogliare, e per questo motivo presiede al ver sacrum, l’emigrazione di una generazione di uomini e di animali consacrati dalla nascita a tale compito.
Alcuni aspetti etimologici del suo nome fanno pensare che in origine egli fosse non un Dio guerriero ma piuttosto un Dio celeste: se in osco il suo nome è Mamers e forse in sabino Marmar (se è sabino il Dio presente nei Carmina dei Fratres Arvales), le varianti italiche del suo nome sono tutte derivate da una radice *Mauort-, alla quale è stato avvicinato il vedico Marut, nome della collettività dei compagni guerrieri di Indra, ma è possibile anche risalire ad una radice *mar, in relazione con il sanscrito marikis, lucente[12], per cui Mars sarebbe “il Dio splendente”, quindi una divinità avente carattere solare e celeste, e d’altronde il Carmen Saliare, se il verso è riferito a Mars, gli attribuisce il tuono e lo chiama “Dio della luce”[13], titoli solitamente propri di Juppiter, rispetto al quale Mars sembra essere precedente.
Il Dio, quando divenne iconico (probabilmente in origine era rappresentato solo dalla lancia sacra sia a Roma che in altre città latine), era rappresentato in armi con un copricapo costituito da un elmo ornato di due penne, secondo la testimonianza di Valerio Massimo e di Virgilio[14]. Suoi animali sacri erano il picchio e il lupo, il cui aspetto umano era rappresentato da suo figlio Pico, Re degli Aborigeni e fondatore di Alba, e da Fauno, figlio di Pico e quindi nipote di Mars.
Mars è una figura complessa che si può ricostruire solo eliminando l’aspetto meramente guerriero che è divenuto il suo attributo a causa della interpretatio greca: è, come abbiamo detto, il Dio che tutela l’ordine, se necessario anche con le armi, proteggendo l’esterno della città come i campi dei suoi cittadini, allontanando ciò che si contrappone all’ordine di Roma, i nemici umani ma anche le forze psichiche negative o comunque pericolose.
Questo lo si vede nella sua qualità di custode dei confini dei campi e dei possedimenti dell’agricoltore nel sacrificio privato del suovetaurilia, un toro, un ariete e un porco (offerta in origine esclusiva di questo Dio), funzione nella quale è chiamato a tenere lontano le intemperie e le malattie dai campi e dagli animali, e non a garantirne la fecondità e la crescita, perché queste sono azioni richieste ad altre divinità esclusivamente agricole. La cerimonia purificatoria dei campi degli Ambarvalia aveva il corrispondente a livello sociale nella lustratio quinquennale dei cives riuniti come milites nel Campo Marzio: attorno ai cives inquadrati militarmente veniva fatta girare l’offerta dei suovetaurilia, i quali erano poi sacrificati per ringraziare il Dio della protezione accordata nei cinque anni trascorsi. La cittadinanza come esercito ed i campi della città sono protetti intorno al perimetro da Mars in armi: “Tutta la sua funzione si esercita sulla periferia: indifferente alla natura di ciò che la sua vigilanza protegge, egli è la sentinella che opera al limite, sulla frontiera, ed arresta il nemico”[15].
La “perifericità” di Mars è evidente nella dislocazione dei suoi templi, eretti al di fuori del pomerium, dall’arcaica ara del Campo Marzio al grande tempio fuori Porta Capena, ove si riuniva l’esercito prima di muoversi per le imprese di guerra e da cui partiva la Transvectio Equitum, la parata dei Cavalieri di Roma.
Altro aspetto di Mars è la sua tutela sul ver sacrum, l’emigrazione dei giovani e degli animali di una città nati nell’anno in cui un grave evento aveva turbato l’ordine della nazione: la consacrazione di un’intera generazione è posta sotto la sua vigilanza affinché giunga senza pericolo alla mèta che la volontà divina le ha assegnato; l’“emigrazione” di Romolo e Remo da Alba potrebbe configurarsi come un ver sacrum, così come quello che in precedenza aveva condotto gli Aborigeni dai loro territori originari di Amiternum, Reate e Interamna in Sabina verso il luogo dove sorgerà Roma, sostituendosi ai Siculi intorno al XIII sec. a.C.
Mars era il Dio dell’iniziazione degli adolescenti, i quali a Marzo entravano nella societas romana assumendo nel giorno dei Liberalia la toga virilis sotto la protezione di Liber, che in origine nulla aveva a che vedere con il greco Diònisos, né tanto meno con una triade Ceres-Liber-Libera formata sui Misteri Eleusini. A Mars spetta invece l’iniziazione specifica del guerriero[16], illustrata dal ludus Troiae nel “vaso di Tragliatella”[17], nonché da particolari rituali raffigurati su vasi o specchi etruschi incisi e da una cista proveniente da Palestrina, ritrovamenti studiati da Dumézil[18] e da Torelli[19], in cui Mars, a volte triplicato in tre figure di bambini o di giovani, è seduto su un grande vaso o estratto da esso o bagnato con il liquido versato da Minerva o da una Vittoria alata, raffigurazioni così commentate da Dumézil: “Le scene considerate rappresentano probabilmente le cerimonie dell’iniziazione (o delle iniziazioni successive) del guerriero-tipo di Mars, in virtù delle quali egli deve acquistare ciò che d’ordinario si acquista in tal modo: invulnerabilità o infallibilità del colpo o furor”.
Lungo tutto il mese di Marzo si esplica l’azione rituale dei Sacerdotes Saliares (a cui corrispondevano probabilmente le poco conosciute Virgines Saliares sul piano femminile), i sacerdoti portatori dei dodici ancili, i sacri scudi bilobati tra i quali era nascosto uno dei sette Pignora della potenza di Roma. Il fatto che l’origine della loro danza fosse fatta risalire ad Enea riporta la fondazione del loro sodalizio ad una remota antichità, in cui la Grecia micenea e il mondo latino, e Roma in particolare, erano tra loro in rapporto culturale e commerciale[20], per la funzione di crocevia che fin da tempi antichissimi ebbe l’Urbe, situata com’era al punto d’incontro tra la strada che dall’Appennino portava le greggi al mare e la via fluviale che dalle saline di Ostia conduceva verso l’Etruria e che trovava un eccellente approdo proprio alle falde del Palatino.
Un discorso sui Saliares e sulle loro Virgines sarebbe troppo lungo da farsi in un articolo, per cui rimandiamo ai testi citati in nota[21] chi volesse approfondirne il rituale e il significato.
SI APRE UN CICLO?
Potremmo a questo punto concludere che con l’Equinozio di Primavera si apre il ciclo dell’anno, ma sarebbe un errore, perché un circolo non ha inizio né fine e solo l’uomo, per le sue necessità materiali, segna con un Capodanno il principio del tempo, dimenticando che ciò non è possibile. È per questo errore di prospettiva, insito nella sua componente terrena, che l’uomo si è costruito il mito del “progresso”, che è solo un’apparenza e non una realtà, perché il tempo non si muove lungo una retta. In realtà i tempi dell’anno nel loro succedersi l’uno all’altro portano ciascuno in sé il tempo precedente e contengono i germi del tempo successivo, in un circolo (o meglio in una spirale) che non ha inizio né fine.
Se vediamo nel suo insieme i quattro tempi dell’anno nella concezione religiosa e sapienziale di Roma, ci accorgiamo come questo sia vero: con il Solstizio d’Inverno ha inizio l’Età dell’Oro di Saturnus che porta a compimento attraverso un ritorno all’Inizio il potere di Juppiter affermatosi nell’Equinozio d’Autunno. ma nell’oscurità della morte apparente del Sole vi è il germe della rinascita di Primavera; all’Equinozio di Primavera si raggiunge l’equilibrio del maschile e del femminile nella polarità di Mars e Juno-Minerva prefigurata nel Solstizio d’Inverno da Saturno e da Bona Dèa, equilibrio che contiene il sé il germe dell’acme che verrà nel Solstizio d’Estate con l’avvento di Vesta, il Fuoco sacro che arde al centro dell’Urbe, mese dell’unione dei due nel vincolo del matrimonio, che avrà il compimento nell’affermazione del potere di Juppiter nel prossimo Equinozio d’Autunno, ma in cui già ha inizio la scomparsa della luce un attimo dopo il culminare del Sole al punto più alto del suo corso; con Juppiter l’Equinozio d’Autunno porta alla pienezza il potere germinato nel Solstizio d’Estate ma nella parità delle ore di luce e di oscurità è prefigurata la fine apparente della forza creatrice del Sole nel Solstizio d’Inverno che seguirà.
A questo punto, chi può mettere un segno e dire: “Questo è l’inizio”?
BIBLIOGRAFIA
CARANDINI: La nascita di Roma – Dèi, Lari, Eroi e uomini all’alba di una civiltà; ed. Einaudi, Torino 1997
DE FRANCISCI: Variazioni su temi di preistoria romana, ed. Bulzoni, Roma 1974
DEVOTO: Origini indoeuropee – Il lessico indoeuropeo, Tabelle, ed. Sansoni, Firenze 1962
DUMÉZIL: Jupiter Mars Quirinus, ed. Einaudi, Torino 1955
DUMÉZIL: La religione romana arcaica, ed. Rizzoli, Milano 1977
GALIANO e VIGNA: Il tempo di Roma, ed. Simmetria, Roma 2013
GALIANO Mars Pater, ed. Simmetria, Roma 2014
TORELLI: Lavinio e Roma, ed. Quasar, Roma 1984
TORELLI: La forza della tradizione, ed. Longanesi, Milano 2011 pagg. 51-55.
NOTE:
[1] Per un esame completo del mese di Marzo rinviamo a Il tempo di Roma di GALIANO e VIGNA; per una più ampia trattazione di Mars e dei suoi Sacerdotes Saliares a GALIANO Mars Pater.
[2] DE FRANCISCI Variazioni su temi di preistoria romana, pag. 109 nota 371.
[3] CICERONE De natura Deorum I, 82.
[4] PLINIO Nat Hist XVI, 44, 235.
[5] OVIDIO Fas II, 441.
[6] MACROBIO Sat I, 12, 7, il quale sembra non comprendere il significato di “ritorno all’Età dell’Oro” proprio di questi rituali.
[7] APPIANO Bellum Punic XX; LIVIO Hist XLV, 33.
[8] CARANDINI La nascita di Roma pag. 422.
[9] Il rapporto tra Minerva e la misura dei mesi lo troviamo nel rito di Settembre con cui si infiggeva il clavus annalis nella cella consacrata a Minerva nel tempio capitolino di Juppiter, a segnare l’inizio del nuovo anno.
[10] DEVOTO Origini indoeuropee rispettivamente n° 118, 324, 325, 328°.
[11] CARANDINI cit. pag. 356 nota 161.
[12] LEWIS e SHORT Latin Dictionary alla voce “Mars”.
[13] Frammento 2 del Carmen Saliare: “Cume tonas, Leucesie, prae tet tremonti / quot ibet etinei deis cum tonarem”, il cui testo, scritto in latino arcaico del IV sec. a.C., può essere approssimativamente così tradotto: “Quando tuoni, o Luminoso, davanti a te tremano / tutti gli Dèi che lassù ti hanno sentito tuonare”.
[14] VALERIO MASSIMO I, 8, 6; VIRGILIO Aen VI, 777–780.
[15] DUMÉZIL Jupiter Mars Quirinus, pag. 194.
[16] Dell’iniziazione guerriera a Roma abbiamo trattato in GALIANO Mars Pater e in GALIANO L’Ordo Equestris a Roma, in “Simmetria on line” n° 23 Luglio 2013.
[17] Oltre ai lavori citati nella nota precedente, si veda BAISTROCCHI Il Cerchio magico, riti circumambulatori in Roma antica, Roma s.d. (2010?) pagg. 72-88
[18] DUMÉZIL Jupiter Mars Quirinus pagg. 221–222.
[19] TORELLI La forza della tradizione pagg. 51-55.
[20] Relazioni confermate dai reperti archeologici più antichi ritrovati a Roma, che risalgono al Bronzo recente (circa 1350–1200 a.C.) e provengono dall’area sacra di Victoria e Vica Pota sul Palatino (CARANDINI pag. 100 nota 17) e dalla zona di Sant’Omobono ai piedi del Capitolium (idem pag. 238).
[21] In particolare GALIANO Mars Pater.
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dimanche, 23 septembre 2012
De la déesse de l’aurore
Thomas FERRIER:
De la déesse de l’aurore
Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com/
En ce 15 août, il me paraissait intéressant de consacrer un article à une déesse fondamentale au sein des mythologies indo-européennes, déité vierge uniquement lorsqu’elle adopte une dimension guerrière, à l’instar de Pallas Athênê en Grèce.
A l’origine, les divinités indo-européennes patronnent les éléments de la nature, et en particulier le ciel, la terre et les astres, mais aussi les phénomènes atmosphériques. Jean Haudry a notamment démontré que le système trifonctionnel indo-européen était appliqué aux cieux, ceux-ci se partageant entre le ciel de nuit, correspondant aux forces telluriques et infernales, le ciel de jour, correspondant à la lumière des divinités souveraines, et enfin le ciel intermédiaire, le *regwos (ou « érèbe »), ciel auroral et crépusculaire, lié à la couleur rouge, mais aussi ciel d’orage. Les trois couleurs sont donc le blanc de la souveraineté, le rouge de la guerre et le noir de la fonction de production. Dans ce schéma, le ciel nocturne, domaine du dieu *Werunos (« le vaste »), qui donnera Ouranos en grec et Varuna en sanskrit, peut être remplacé par la terre, domaine de la déesse *Dhghom (« Dêmêter »), épouse du dieu céleste *Dyeus (« Zeus ») et en ce sens surnommée *Diwona (« celle de Dyeus »), qu’on retrouve dans le nom de la divinité romaine Dea Dia, probablement aussi dans celui de Diane, et dans la grecque Dionè, mère d’Aphrodite, respectant ainsi ce code de couleurs.
Le ciel intermédiaire est patronné par deux divinités fondamentales des panthéons indo-européens, à savoir le dieu de l’orage, *Maworts (génitif *Mawrtos), et la déesse de l’aurore *Ausōs (génitif *Ausosos), l’un et l’autre formant réunis probablement à l’origine un couple divin, couple qui sous la forme de Mars et de Venus inspirera les artistes depuis Homère. *Ausōs portait plusieurs épiclèses importantes, *bherghenti (« celle qui est élevée ») et *Diwos *dhughater (« fille de Zeus »), mais était également liée à la racine *men-, relative à tout ce qui relève de l’intelligence.
La triple aurore grecque.
Le déesse grecque de l’aurore est Eôs, une déesse mineure du panthéon hellénique, qu’Homère qualifie d’ « aux doigts de rose », et pour laquelle peu de mythes sont associés, à savoir celui des amours d’Arès et d’Eôs d’une part et celui de Tithon d’autre part, amant troyen dont elle avait demandé à Zeus de lui accorder l’immortalité, mais en oubliant de lui faire accorder également la jeunesse éternelle, ce qui en fit de fait le premier zombie de la mythologie.
Si Eôs, déesse pourtant fondamentale des panthéons indo-européens, est si mineure, c’est en fait parce que son rôle a été repris par deux nouvelles divinités, qui étaient probablement à l’origine de simples épiclèses de l’Aurore, à savoir Athéna et Aphrodite. Même si leur étymologie est obscure, on peut émettre quelques hypothèses sérieuses. Athéna est formée de la racine *-nos/a qui désigne une divinité (exemple : Neptu-nus à Rome, Ðiro-na chez les Celtes) et de la base athê[- qui pourrait être liée à l’idée de hauteur. Athéna serait ainsi la déesse protectrice des citadelles, comme l’acropole d’Athènes. Elle incarne l’Aurore guerrière, casquée et armée. Quant à Aphrodite, son nom a été rapproché de celui de la déesse ouest-sémitique Ashtoreth (« Astarté »), déesse tout comme elle honorée à Chypre. S’il est probable que les deux déesses ont été associées dans l’esprit des chypriotes grecs, cela ne signifie pas pour autant qu’Aphrodite serait d’origine sémitique. En fait, son étymologie classique de « née de l’écume des mers » pourrait bien être la bonne, car on peut la comparer avec le nom de petites divinités féminines indiennes, les Apsaras, nymphes érotiques peuplant le Svarga (« paradis indien ») du dieu Indra dans la tradition védique, et elles aussi nées sorties des eaux. Elle incarne l’Aurore amoureuse, symbolisée par la rose.
Enfin, Athéna est la fille de la déesse de la sagesse, Mêtis (p.i.e *Men-tis) dont le nom rappelle très précisément celui de la déesse Minerve, son équivalente latine.
Cela nous amène à constater l’existence de trois déesses de l’aurore, celle du phénomène atmosphérique (Eôs), celle de la guerre défensive (Athêna) et celle du désir amoureux (Aphrodite), déesses par ailleurs toutes liées au dieu de la guerre Arês. Eôs et Aphrodite ont en effet été l’une et l’autre la maîtresse du dieu, alors qu’Athéna est présentée comme sa rivale sur les champs de bataille par Homère mais était souvent honorée aux côtés du dieu, comme dans le temple d’Arès à Athènes. En outre, même s’il existe par ailleurs un Zeus Areios, une version guerrière du dieu suprême, parmi toutes les déesses, seules Athéna et Aphrodite sont qualifiées d’Areia. Arês joue ici son rôle originel, celui de dieu de l’orage et de la guerre, même si, sous l’influence crétoise, les Grecs ont préféré conférer désormais à Zeus cette fonction de dieu foudroyant, qu’en revanche son homologue germano-scandinave Thor conservera.
Déesse de l’amour et de la guerre.
*Ausōs est donc une déesse plutôt complexe, liant deux aspects qui peuvent paraître contradictoires. Ce n’est d’ailleurs pas un phénomène propre aux divinités indo-européennes, puisque la déesse proto-sémitique *Ațtartu associait ces deux rôles, tout comme la déesse sumérienne Inanna, même si en revanche elle n’était pas aurorale. Par ailleurs, comme dans le cas grec, la déesse de l’aurore sous son nom propre a bien souvent perdu de sa superbe au profit de divinités nouvelles. Ce n’est toutefois pas le cas partout.
Dans le monde indo-iranien, la déesse Ushas (sanskrit) ou Ushah (vieux-perse) a conservé ses traits originels, même si elle partage désormais son rôle de déesse de l’amour avec la Venus indienne, la déesse Rati, « le Désir », mère du dieu de l’amour Kama comme Aphrodite est celle d’Erôs. Chez les Lituaniens, la déesse lituanienne Aushrinè reste au premier plan, alors que chez les Lettons, pour une raison inexpliquée, elle a changé de sexe et est devenu le dieu Auseklis et personnifie par ailleurs la planète Venus.
En revanche, chez les Romains, même si Aurora a conservé des éléments de culte plus solides, elle connaîtra une évolution parallèle à celle qu’elle a connue chez les Grecs. Si Aurora est Mater Matuta, « la déesse des matins », attestant de son rôle atmosphérique, elle n’est plus une déesse guerrière, son rôle étant repris par Minerve, et plus non plus déesse de l’amour, car Venus a pris le relai.
Dans le rôle de déesse aurorale guerrière, on trouve les Zoryas slaves (au nombre de trois), les Valkyries germano-scandinaves, toutes casquées et armées comme Athéna. Dans le rôle de déesse aurorale de l’amour, c’est en revanche Lada chez les Slaves et Freya chez les Germano-scandinaves. Cela explique pourquoi une partie des guerriers morts ne va pas au Valhalla pour rejoindre Odin mais au paradis de la déesse Freya, illustrant à l’état de vestige un rôle guerrier plus ancien. Freya, dont le nom signifie sans doute « chérie » (p.i.e *priya), est la Venus scandinave, alors qu’Ostara, déesse de l’aurore fêtée au moment de la Pâques germanique, est restreinte aux questions de fécondité de la nature.
La déesse albanaise Premtë, épouse du dieu de l’orage Perëndi, remplace Agim, « l’aurore », de même que la celte Epona, « celle du cheval », car une des représentations les plus anciennes est celle d’une Aurore cavalière. La Brighid celte, déesse vierge comme Athéna, et qui était appelée Brigantia par les Gaulois, patronnait les affaires guerrières, et apparaissait sous son aspect le plus cruel sous les traits de Morrigain.
Déesse de la planète Venus.
Indo-européens et Sémites ont, pour une raison mystérieuse, sans doute liée à la couleur de l’astre, associé l’Aurore et la planète Venus. En revanche, les Sumériens avaient lié la planète Venus à la déesse Inanna, aucune déesse spécifique de l’aurore n’apparaissant dans leur mythologie. Si les Akkadiens ont simplement remplacé Inanna par leur Ishtar, les peuples ouest-sémitiques ont en revanche associé l’astre à leur propre dieu de l’aurore, Shahar.
Une des particularités du dieu Shahar c’est d’avoir engendré deux frères jumeaux, qui sont Helel, dieu de l’étoile du matin, et Shalem, dieu de l’étoile du soir. On retrouve un phénomène comparable chez Aphrodite, Venus et le dieu letton Auseklis. Il est difficile de savoir si c’est un emprunt des Indo-Européens aux Sémites, ou bien des Sémites aux Indo-Européens, et à quelle époque. Chez les Arabes païens également, deux dieux jumeaux patronnent le matin et le soir, à savoir Aziz et Ruda.
Aphrodite est la mère de Phosphoros, également appelé Eosphoros, « porteur d’aurore », ce qui est significatif, et de son frère Hesperos. De la même façon, probablement par imitation de la déesse grecque, Venus est la mère de Lucifer et de Vesper, l’un et l’autre pouvant s’expliquer par le proto-indo-européen (*leuks-bher, « porteur de lumière » et *wesperos, « soir »). Enfin, les jumeaux divins de la mythologie lettone, fils du dieu du ciel Dievs, à savoir Usins (« Aurore ») et Martins (« Mars ») sont également associés au matin et au soir.
Si la planète Venus semble associée dès l’époque proto-indo-européenne à la déesse *Ausōs, l’introduction de deux fils patronnant le matin et le soir, un dieu du matin et un dieu du soir, semblent résulter d’une influence extérieure, sumérienne ou sémitique. Ainsi, chez les Celtes, les Germains, les Slaves par exemple, mais aussi en Inde et en Lituanie, on ne retrouve pas de « fils de l’aurore » patronnant le matin et le soir. Ce n’est le cas concrètement qu’en Grèce et à Rome, cette dernière ayant été en outre considérablement influencée par son aînée en Méditerranée. En outre, les jumeaux divins ne sont pas non plus « fils de l’Aurore », mais fils du dieu du ciel (Zeus en Grèce, Dievas en Lituanie, Dyaus en Inde), rôle repris à Rome par le dieu de la guerre (Romulus et Rémus sont fils de Mars et non de Jupiter).
Le mythe de la déesse-vierge guerrière.
On a pu constater que lorsqu’une déesse a remplacé l’Aurore dans son rôle guerrier, elle y a pris les traits d’une déesse virginale. C’est notamment le cas d’Athéna et de Minerve, comme si une sexualité accomplie était incompatible avec ce rôle plutôt masculin. Et c’est en raison d’une histoire d’amour que la valkyrie Brynhildr, amoureuse de Siegfried, connaîtra bien des tourments. Cette virginité est aussi l’apanage d’Artémis, déesse de la chasse et de la nature sauvage inviolée.
La déesse-vierge a été remplacée dans la mythologie européenne par la Vierge Marie, privée pourtant de tout rôle militaire. L’ « amazone » est devenue une sorcière, promise à la mort, et d’ailleurs Diane est considérée au moyen-âge comme la déesse par excellence du sabbat. La femme européenne pouvait apparaître comme une guerrière, ou en tout cas avait un rôle pour galvaniser les guerriers, même si elle ne participait pas directement au combat. Ce mythe se retrouve pleinement dans celui de Jeanne d’Arc, mais aussi dans les différentes incarnations patriotiques de la nation. Britannia est totalement calquée sur la Minerve romaine, et Germania ressemble à une valkyrie. La république française, incapable de rompre totalement avec le christianisme, a préféré une déesse-mère, Marianne, « petite Marie ». Elle a aussi choisi toutefois de se représenter en Cérès, déesse du blé, la fameuse semeuse, et non en divinité guerrière. On notera enfin que les Sans Culottes, et notamment Hébert, préféraient la déesse Raison, qui n’était autre que Minerve elle-même.
Venus sans Mars, Mars sans Venus.
De l’Athêna Potnia mycénienne à la déesse Raison, on retrouve une filiation que le christianisme même n’a pas réussi à rompre. Et face au puritanisme, la déesse Aphrodite a vaincu elle aussi. C’est dire si la déesse de l’aurore, en tant qu’Athéna comme en tant qu’Aphrodite, a joué et joue un rôle fondamental dans la psychê européenne. C’est elle qui raisonne Mars lorsqu’il est courroucé et l’occupe aux jeux de l’amour, délaissant alors le champ de bataille. Si Rome connut douze siècles de puissance, c’est parce qu’elle était la cité de Mars et de Venus, l’un et l’autre s’équilibrant, comme le souligna le poète Rutilius Namatianus. Et lorsque le politologue américain Robert Kagan définit l’Europe comme le continent de Venus, il nous rappelle que la puissance résulte de l’union des deux divinités, mais le dieu Mars est mal vu depuis un peu plus d’un demi-siècle en Europe. Lorsque Mars triompha, Venus était encore prisonnière des geôles vaticanes. Lorsque Venus triomphe, aujourd’hui, c’est Mars qui est sous les chaînes. Le déchaîner sauvera l’Europe. Car il n’y a pas de paix sans conflit (Venus sans Mars), et pas de science sans puissance (Minerve sans Mars).
Thomas Ferrier (LBTF/PSUNE)
00:05 Publié dans Traditions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : mythologie, traditions, aurore, vénus, indo-européens, dieux, déesses | | del.icio.us | | Digg | Facebook