Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

mardi, 20 janvier 2009

Bataille pour l'énergie, de l'Ukraine à l'Arctique

Bataille pour l'énergie, de l'Ukraine à l'Arctique

En juillet, mon article "bataille pour l'actique" repris sur Yahoo actualités prévoyait que le grand nord serait une des zones de bataille du siècle qui commence, une bataille qui pousserait les puissances dominantes actuelles (occident et russie) mais également les puissances émergentes comme la Chine a "nordiser" leur politique géo-énergétique. Cette théorie est partagée avec un certain nombre de mes confrères, géopoliticiens et bien d'autres journalistes avisés.
Les tensions vers l'arctique sont liées a la futur guerre pour l'énergie entamée il y a déjà bien longtemps mais qui va plausiblement s'intensifer de façon drastique dans les mois et/ou les années qui viennent. La situation de "tension" actuelle liés à la crise du Gaz est également un symptôme annonciateur.

Kommersant. titrait récemment que L'administration US a rendu publique le 12 janvier la directive du président Georges W. Bush sur la politique américaine en Arctique. Repris sur Ria Novosti et traduit en Francais, voila globalement le contenu de l'article que je vous retranscris ici titré : "Vers une confrontation en Arctique ? "

Le document exige que le Sénat ratifie dans le plus bref délai la convention internationale sur le droit de la mer, qui réglera le partage de l'Arctique. Seulement, le Conseil de sécurité de Russie a lui aussi élaboré une nouvelle stratégie de mise en valeur de la région. Selon le représentant spécial du président russe pour la coopération en Arctique, Artur Tchilingarov, son essence réside dans les paroles suivantes: "Nous ne cèderons l'Arctique à personne".

On ne sait pas encore au juste quels sont les réserves de gaz et de pétrole de l'océan Arctique, mais selon le Service géologique américaine, il possède 20% des hydrocarbures mondiaux.

La demande de ratifier la convention internationale sur le droit de la mer est le point le plus important de la directive du président sortant, a indiqué une source du Kommersant au ministère russe des Affaires étrangères. Les Etats-Unis restent jusqu'à présent le dernier pays arctique à n'avoir pas ratifié la convention, ce qui constitue un des obstacles au partage international de l'Arctique.

Artur Tchilingarov a confirmé hier que la présence russe dans l'océan Arctique serait activement élargie. Il a également indiqué que le travail sur l'argumentation des prétentions russes au plateau continental arctique continuait et même touchait à sa fin. Tous les documents prouvant que le Pôle nord appartient à la Russie pourraient être transmis à l'ONU dès 2010. M.Tchilingarov a déclaré auparavant que si l'ONU ne reconnaissait pas le droit de la Russie sur le Pôle nord, le pays se retirerait de la convention sur le droit de la mer.

"Il est évident qu'un "front arctique" sera une réalité dans quelques années: les enjeux sont trop importants", fait remarquer le directeur des programmes politiques du Conseil pour la politique extérieure et de défense Andreï Fedorov. "Les positions de la Russie sont pour le moment plus solides que celles des autres pays, mais il ne faut pas s'imaginer que cela va durer très longtemps".

Un signal rouge qui vire au violet alors que la Cour internationale de justice (CIJ) de l'ONU vient au même moment affirméee être "disposée" (compétente ?) à trancher les litiges susceptibles de surgir autour du plateau continental de l'océan glacial Arctique, riche en hydrocarbures et que la guerre du gaz fait rage au coeur de l'Ukraine, véritable partie d'échec a trois entre la Russie, l'Union de Bruxelles et l'Ukraine Orange. Rappellons par une carte la position pour l'instant essentielle de l'Ukraine pour le transfert du gaz Russe vers l'Europe :

C'est parceque l'Ukraine Orange (sous pression lobbiyque de forces qui tentent de saper les relations Russo-Européenes ) n'est pour l'instant pas un partenaire fiable (preuve en est les évenements actuels) que le gouvernement Russe souhaite "diversifier" les approvisionnements vers l'Europe et ne pas être dépendant des humeurs d'un président en carton nommé par la CIA et Soros ! Pour cela, les projets NORTH STREAM et SOUTH STREAM semblent être des solutions sures et fiables pour garantir l'approvisionnement vers l'Union Européenne (CF carte).

00:43 Publié dans Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : géo-économie, énergie, gaz, pétrole, gazoducs, oléoducs, ukraine | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Spunti di riflessione sulla crisi economica

71-chomage.jpg

http://www.rinascita.info/

 

Spunti di riflessione sulla crisi economica

  

Mercoledì 14 Gennaio 2009 – 17:50 – Vittoriano Peyrani

  
 



Per risolvere la crisi economica in atto i nostri politici suggeriscono di aumentare i consumi, rimedio pericoloso per l’ecosistema e per il senso morale poiché suggerisce di comprare e discaricare oggetti con maggiore frequenza. Questo, poi, in un sistema globalizzato rischia di far aumentare le importazioni di prodotti finiti da altre nazioni che, sfruttando oltre ogni limite la loro manodopera, possono permettersi una concorrenza sleale. Diversamente, cioè comprando prodotti italiani, si aumenterebbe comunque l’importazione di materie prime generando ugualmente più forti passivi di bilancio con conseguente pericoloso esborso di interessi passivi sul debito. In ultima analisi si avvantaggerebbe solo il sistema bancario.
Gli economisti, invece, suggeriscono di fare investimenti per aumentare la produttività rischiando di far sprecare risorse in quanto la recessione generale mette in forse la possibilità di vendita sia all’interno che all’estero. […]

Si deve evitare di perpetuare il potere delle banche internazionali che si basa su di un grave sfruttamento del lavoro e dei consumatori.

L’economia classica è funzionale al potere parassitario degli attuali signori del denaro e non può portare soluzioni positive ai problemi perché ha già fallito con disastri ancora non del tutto calcolabili.


Economisti e politici, con una modestia che purtroppo non hanno mai dimostrato, studino con attenzione come si fece in Italia ad attenuare la crisi economica del 1929, anche allora iniziata negli Stati Uniti.


L’Italia era stata oggetto di sanzioni gravissime da parte degli stati aderenti alla Società delle Nazioni, angloamericani e francesi in primis. Era stata costretta a ricorrere ad una autarchia dispendiosa e di complessa realizzazione.
Certo allora eravamo governati da un dittatore che in realtà tale non era potendo solo legiferare, come anche ora spesso avviene, per decreti. Questi dovevano essere poi approvati dai due rami del parlamento, Camera della Corporazioni che rappresentava il mondo del lavoro, della cultura e delle arti, e Senato del Regno, di nomina regia e quindi non controllabile dal cosiddetto dittatore. Comunque il sistema era basato su di un consenso popolare di gran lunga superiore a quello dei governi attuali che sono oggetto di grande dissenso e critiche perché non prendono in nessuna considerazione i bisogni delle famiglie.


Il successo fu dovuto alla scelta di leggi e di uomini.
Vediamo che cosa dovrebbero recepire gli studiosi dall’esame del passato per trovare le cause e i rimedi ai guasti di oggi:

1) Innanzitutto lo studio del passato dimostra che un sistema globalizzato non è utile al miglioramento della condizione dei popoli ma è solo un meccanismo favorevole all’accentramento del dominio politico planetario da parte della finanza. Se mai, invece, la globalizzazione porta in sé i germi di mali incontrollabili, come inflazione, stagflazione, deflazione.
il libero mercato non è che una formula ipocrita per favorire i gruppi commerciali più forti e non certo per aumentare il benessere e la libertà di tutti.


In un sistema caratterizzato dal gigantismo e dalla liberalizzazione dei monopoli statali, la concorrenza non può verificarsi per gli incroci di possesso di azioni fra gruppi che dovrebbero confrontarsi sfidandosi con l’abbassamento dei prezzi, ma che non lo fanno perché avvantaggerebbero un’azienda e ne danneggerebbero un’altra, sempre di loro proprietà.


In conclusione gli incentivi alla produzione ed al consumo possono avere effetti solo in mercati circoscritti e che si possano proteggere con sistemi doganali efficaci, cosa che viene demonizzata in ogni modo dal pensiero unico democratico.
Nelle recenti riunioni del “G8” e del “G20” si è stabilito che i rimedi devono essere uguali e concordati in tutto il pianeta ma si attende quanto proporrà il neopresidente Obama non appena sarà integrato nelle sue funzioni. In sostanza si aspetta il verbo del presidente del paese che ha generato la crisi, che ha tutte le intenzioni di farla pagare agli altri, che continuerà sulla strada del liberismo che ha creato questa devastazione per i risparmiatori di tutto il mondo. Egli ha condotto la campagna elettorale (come del resto pure il suo avversario Mac Cain) con i soldi dei banchieri che ora controllano il suo operare.

 
Si parla di una nuova Bretton Wood per mantenere, attraverso una moneta unica di riferimento a livello planetario, ancora il dollaro, il potere finanziario nelle mani di coloro che da queste devastazioni hanno sicuramente ottenuto arricchimenti ancora più veloci. Gli Stati Uniti, attraverso gli enti finanziari in loro potere, come Banca dei Regolamenti Internazionali, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale ed altri ancora, cercano con le buone come aperture di credito. sorvolando sui conseguenti interessi, o con le cattive (guerre, ritorsioni economiche, sanzioni, minacce) di evitare decisioni autonome degli altri paesi mentre stanno strangolandoli e appropriandosi delle loro ricchezze più rapidamente che mai. Sanno benissimo che la prima nazione che si sgancerà dal sistema monetario internazionale ne avrà grandi vantaggi ma sfuggirà alla loro presa.


Studiando la storia si dovrebbe notare che l’Italia, in un breve ventennio, nonostante una crisi economica internazionale di gran lunga superiore a quella che fino ad ora si sta presentando e nonostante una chiusura autarchica imposta dal resto del mondo con le sanzioni, ebbe momenti di una certa prosperità: si studino quali provvedimenti furono presi e li si adattino ai nostri tempi.


E più ancora si studi la Germania Nazionalsocialista che dal 1933 al 1939, cioè in soli sei anni, in un sistema economicamente chiuso, cioè senza sfruttare colonie o mercati altrui, trovò lavoro per quattordici milioni di disoccupati e portò alle famiglie un benessere prima sconosciuto.


Non si vuole studiare quali interventi legislativi e quali modalità di scelte di uomini si attuarono e non si vuole applicare oggi quanto vi era di positivo, con le opportune modifiche imposte dai tempi. Questo implicherebbe, infatti, una drastica riduzione del libero mercato, cioè a dire della libera speculazione, che i signori del denaro non vogliono accettare.
Concludendo la rovina attuale è generata dai seguenti fattori.


La globalizzazione che ha tolto ogni freno alla esagerata cupidigia delle banche e delle multinazionali del commercio. Basti un esempio: il petrolio è salito da 30 a 150 dollari al barile non per la tanto decantata legge della domanda e dell’offerta (non è mai mancato o scarseggiato) e non per aumenti dei costi di produzione ma solo per lo spostamento dell’attenzione e degli investimenti dalle borse, in crisi, al mercato delle materie prime da parte di chi non voleva diminuire i propri usuali enormi guadagni. Tali operazioni sono state pagate dagli automobilisti, oltre cha da tutto il sistema economico, con un tremendo aumento dei prezzi. Questa è una delle concause della attuale crisi.


Le liberalizzazioni. Le aziende nazionalizzate talvolta funzionavano egregiamente come le Poste Italiane, le Ferrovie dello Stato, E.N.I., E.N.E.L, A.G.I.P., S.A.I.P.E.M. e molte altre. Alcune invece avevano un forte passivo. La colpa gravissima della burocrazia politico-amministrativa statale, è che, invece di sistemarle le ha fatte andare peggio per poi svenderle al capitale nazionale o straniero. Non si può ignorare l’evidente corredo di conflitti di interessi e tangenti date a quei politici che hanno deciso l’operazione e che precedentemente erano stati consulenti delle grandi banche acquirenti (sic!).


Il signoraggio della moneta concesso a banche private crea un artificioso debito pubblico perché i governi, invece di stampare in proprio moneta in biglietti di stato, si indebitano con le banche che creano denaro dal nulla (biglietti di banca), senza alcuna copertura o garanzia aurea o in beni immobiliari e lo imprestano agli stati contro interesse. Gli stupidi pensano che se battesse moneta lo stato creerebbe, esagerando nell’emissione, una grave inflazione ed hanno più fiducia nelle banche private. Santa ingenuità! I risultati delle sovranità monetaria ceduta ai privati si vedono nella crisi spaventosa che incombe su di noi tutti. I privati hanno come scopo unico del loro agire il guadagno e siccome non vi è alcun controllo popolare, democratico o di enti appositi, superano ogni limite immaginabile di ingordigia.


Il disordine, l’incapacità, di una classe dirigente inetta, corrotta e meschina non controllata in nessun modo da governo o da enti costituiti al proposito.


Il sistema politico che crea irresponsabilità dei vertici e della gerarchia esponendola al ricatto ed alla corruzione di un sistema finanziario strapotente ed incontrollato che vive sull’equivoco di un potere che salirebbe dal basso, con le elezioni. Il potere invece, da qualche secolo, discende dai poteri forti finanziari internazionali. Prova ne sia che tutti indistintamente i nostri politici della maggioranza ma anche dell’opposizione, si recano negli Stati Uniti, evidentemente per la conferma della investitura nelle loro funzioni. Questo sistema crea poi un’inversione dei valori veramente immorale; si pensi solo al fatto che un qualsiasi maneggione di una cooperativa di prestazioni d’opera può in pratica scegliere chi mandare a lavorare e chi no mentre al datore di lavoro, che paga le tasse, supera la rete di disposizioni paralizzanti, crea lavoro, investe e rischia il proprio denaro, la legge non da questa possibilità! […]


Gli economisti ed i politici, già declassati nella stima generale per non aver previsto questa crisi e per non saper quali provvedimenti prendere per superarla, devono snebbiarsi il cervello dai pregiudizi indotti da un pressione fortissima a favore della globalizzazione: è stata questa a portare la rovina e la porterà sempre più in futuro. Che si debba abbandonare il sistema economico attuale lo prova il fatto che, dopo che gli Stati Uniti hanno immesso in circolazione 700 e più miliardi di dollari, creando le premesse per una grave svalutazione della moneta e quindi della retribuzione del lavoro, l’Europa ed il Giappone sono state costrette a fare altrettanto perché diversamente ci sarebbero state ripercussioni negative sull’equilibrio dell’import-export. […]

Per evitare la iattura dell’abbassamento del nostro tenore di vita senza nemmeno vantaggio per i paesi emergenti ma solo per le multinazionali commerciali, dunque, la soluzione è quella di dimenticare, almeno parzialmente e provvisoriamente, il libero mercato selvaggio. I paesi emergenti devono, in altre parole, consumare la loro superproduzione all’interno, considerato anche che le loro popolazioni hanno bassissimi consumi e sfruttano i loro concittadini creando un danno a loro ed a noi.

E poi, chi andrà a raccontare ai disoccupati che il libero mercato è indispensabile al miglioramento generale dell’economia quando oggi appare evidente che esso serve solo allo sfrenato arricchimento della compagnie commerciali? Il libero scambio dei prodotti è solo funzionale ai poteri forti internazionali che non vogliono mollare la presa per quanto riguarda il loro dominio sul pianeta attraverso il denaro. Studiando il passato si deve ricordare che una cosa sono i sistemi politici, discutibili finché si vuole, altro sono i risultati economici ottenuti con la socializzazione delle imprese e la compartecipazione dei lavoratori agli utili. In questo modo i lavoratori sono innalzati a sentirsi parte attiva e responsabile di un progetto generale con risultati socio-economici inimmaginabili dagli economisti di maniera. L’ideologia liberista ha già dato rovinosa prova della sua applicazione. Occorre un cambiamento radicale.

00:25 Publié dans Economie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, crise, finances, usure, usurocratie, économie, banques | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Iberoamérica como gran espacio politico

 

Suedamerika_1905.png

Iberoamérica como gran espacio político

por Alberto Buela

¿Cómo consolidar un gran espacio indoibérico si su creación supone, de facto, un recorte a los poderes ya constituidos en el mundo?. Esta es la pregunta que vamos a intentar responder aquí.

El tema de este artículo se apoya en una intuición no desarrollada para Iberoamérica del iusfilósofo Carl Schmitt enunciada así: “Contra el universalismo de la hegemonía mundial angloamericana afirmamos la idea de una tierra repartida en grandes espacios continentales” [1] Ríos de tinta se han volcado sobre este tema apasionante pues desde los albores mismos de la independencia americana se vienen esgrimiendo razones en su favor y en su contra.

 

Así, y más allá de las banderías políticas, sean de izquierda o derechas, están aquellos que opinan que ésta es una posibilidad a construir y otros que sostienen su imposibilidad efectiva. Jorge Luís Borges era uno de estos últimos.

 

Pero hay algo en que todos coinciden: en afirmar la existencia del hecho bruto de que Iberoamérica está allí. Que es un gran espacio geográfico de 21 millones de km2, mientras que China e India juntas suman 12,9 millones de km2, en tanto que Europa a gatas roza los 10 millones de km2. Que si comparamos la relativa pequeñez de Nicaragua con sus 130,000km2 y sus 5,5 millones de habitantes con Bangladesh, con 144.000 km2, que tiene 150 millones de personas y que además observamos que Nicaragua posee dos lagos de agua dulce de 8.000 y 1.000 km2 o peor aún si lo hacemos entre el Amazonas y la estéril meseta tibetana, vemos que tanto poblacional como geopolíticamente las ventajas son enormes a favor del gran espacio iberoamericano.

 

En kilómetros cuadrados Brasil solo contiene a casi toda Europa, Italia entra completa dentro de la provincia de Buenos Aires en Argentina, que posee además otras veintitrés provincias más. Brasil es el quinto país en el mundo en extensión y Argentina el octavo espacio geográfico. Las comparaciones son inconmesurables en ciertos casos como el hecho de que Suramérica posee 50.000 km de vías navegables con sus tres grandes cuentas: el Orinoco, el Amazonas y el Plata que a su vez están interconectadas de modo tal que un barcaza de 1.200 toneladas navega cómodamente desde el puerto de Buenos Aires hasta el Guayra en Venezuela pasando por los ríos de La Plata, Paraná, Paraguay, Guaporé, Mamoré, Madeira, Amazonas, Negro, Casiquiare y Orinoco. Europa occidental con todo el poderío que ella representa posee solo 22.000 km de vías navegables de los que 16.000 km transcurren entre Francia y Alemania por el que transita el 40% de su transporte.

 

Cabe realizar acá una primera distinción, europeos o americanos, nos está permitido hablar de todo y sobre todo en la medida en que los temas no afecten el poder del one World, del “mundo uno”. El filósofo neomarxista Slavoj Zicek lo afirma sobre sus correligionarios: hoy los marxistas hablan y escriben limitados a los problemas culturales nunca sobre el poder.

 

Sobre Iberoamérica como ecúmene cultural se publican a diario cientos de miles de artículos y ensayos, pero sobre Iberoamérica como posible creación de un poder autónomo a los establecidos, casi nada. Y lo poco que se publica, en general, viene tergiversado. La misión y el mayor logro de España en el concierto de la historia de las naciones que han compuesto y componen este mundo en que vivimos ha sido el descubrimiento, conquista y colonización de América, así como su gran fracaso, por obra de sus enemigos históricos, ha sido el no haber podido plasmar en una realidad política la unidad del continente. Estas últimas cumbres de presidentes iberoamericanos que se vienen sucediendo son más un hecho cultural, y por eso tolerado por el mundo anglosajón, que un hecho político de consolidación y construcción de poder real y efectivo.

 

Por una cuestión ideológica es que, nosotros nos inscribimos dentro de la corriente denominada “realismo político”, nos vamos a limitar a Suramérica, pues tanto México como toda Centroamérica, a excepción de Cuba, están enfeudados lisa y llanamente con los Estados Unidos en su política continental y mundial.

 

Primera Parte

 

El tercer milenio comienza en América del Sur con las relaciones de poder totalmente trastocadas. Estados nacionales que perdieron todo su poder. Dirigentes políticos, sociales, culturales y religiosos sin un sentido de pertenencia ni de preferencia por sí mismos ni por los suyos. Modelo económico de exclusión de las amplias mayorías nacionales. Con una población que oscila en los 380 millones, donde el 40% está constituido por pobres, muy pobres y pobrísimos. Sólo el 10%, alrededor de 38 millones, tiene capacidad adquisitiva holgada.

 

La cuestión es saber hasta cuándo la realidad de Suramérica puede soportar la agudización de las contradicciones de un sistema político sin ninguna representatividad ni legitimidad, manejado por las oligarquías partidarias a gusto e piacere. ¿ Hasta cuándo un modelo económico para hambrear pueblos puede tener vigencia?.¿ Hasta dónde soportarán nuestros pueblos tamaña injusticia?.

 

Todas estas cuestiones y muchas otras no tienen respuesta mientras no se cree o recree un poder nacional autónomo y soberano que decida hacer lo contrario de lo que se viene haciendo.

 

Desde el punto de vista de la estrategia internacional tiene Suramérica que proponer una distinta de la que se nos viene imponiendo. Vayamos al grano.

 

Antigua Estrategia

 

Descubierta América por Colón pasaron los españoles a conquistar y colonizar Suramérica siguiendo una doble estrategia:

 

a) la estrategia andina de dominación que estaban utilizando los incas.

 

Los peninsulares se montaron sobre los grandes caminos que iban y venían del Cuzco. No trazaron nuevas rutas sino que se apoyaron y utilizaron las creadas por el Inca. Este es un dato no menor a tener en cuenta, pues el español no crea una estrategia de dominio sino que se monta en una ya establecida como era la del Inca para el control de las otras etnias.

 

b) la estrategia fluvial y marítima de dominación.

 

Utilizaron los grandes ríos Paraná, del Plata, Paraguay, Uruguay, Orinoco, Amazonas y las costas atlánticas. Esta es la estrategia adoptada, fundamentalmente, por portugueses y jesuitas en la colonización y conquista de los grandes espacios boscosos y costeros.

 

Son estas dos antiguas estrategias las que sirven como antecedente primero a lo que hoy denominamos Pacto Andino y Mercosur. Desde el punto de vista historiográfico merecerían un estudio detenido, pero no es este el lugar para hacerlo.

 

Estrategia Reciente

 

 La histórica estrategia de América del Sur se manejó desde la época de la Independencia a través de líneas de tensión. Líneas de tensión que buscaban tanto para Brasil como para Argentina el uso directo de los dos océanos. Argentina lo tuvo pues desde 1816 a 1825 fue bioceánica, pero merced a la gestión del primer presidente argentino Rivadavia, al servicio de Inglaterra y al accionar del general Alvear, pro inglés por nacimiento y educación, ante Bolivar, perdió ese estado.

 

Lograr el carácter de bi-oceánicos, al estilo de los Estados Unidos, o su impedimento, ha sido la meta de estas líneas de tensión.

 

Así Brasil tiene dos líneas madres, una hacia Santiago y otra hacia Bogotá. Argentina una hacia Lima y de allí a Caracas, con lo que interfiere las líneas brasileras. Por su parte Chile con su línea madre a Quito y de allí a San José cruza en su desarrollo las de Brasil y Argentina.

 

Uruguay y Paraguay no cuentan porque, desde siempre, medran entre las desavenencias argentino-brasileñas. Es evidente que su actitud no es ni loable ni moralmente aceptable, pero es sabido que la relación política no es entre buenos y malos sino entre amigos vs. enemigos. Bolivia luego de la Guerra del Pacífico es un Estado enclaustrado que depende para su salida al mar de Argentina (vía Bermejo) y Perú (puerto de Ilo). Es “un Estado imposible” en palabras de Juan Bautista Alberdi ya en 1852, subsidiado por Argentina. Perú tiene un vínculo privilegiado con Argentina desde el fondo de su historia (es el General San Martín quien lucha por su indenpendencia) pero su peso relativo en la región es muy poco. Con Ecuador sucede, mutatis mutandi, lo mismo pero su vinculación es con Chile. En cuanto a Colombia que sí es bi-oceánica, desde el asesinato de líder popular Eliécier Gaitán en 1948, está partida en dos: los liberales y conservadores por un lado, que han ejercido desde entonces el poder y las fuerzas populares desplazadas absolutamente del mismo. Con la guerrilla marxista-Farc- más antigua del continente, es un Estado-Nación que como Saturno se come a sus propios hijos. Posee el récord de asesinatos políticos y de los otros. Esta carencia de seguridad así como la existencia de una base territorial de la narcoguerrilla fuera del control del Estado- el presidente Pastrana se retiró de ese espacio- vienen a justificar la teoría de los Estados fracasados (failed states) que sostiene la Comisión Hart-Rudman de Seguridad nacional de USA para convalidar una intervención armada en la región. Sigue Venezuela, al que lograron transformar en el más ajeno de los países suramericanos a Suramérica tanto por su cuantiosa producción petrolera que lo enfeudó a los Estados Unidos su máximo comprador como por su clase política- socialdemócrata o socialcristiana-que respondió durante casi medio siglo más a los dictados de las internacionales partidarias que a los requerimientos de su propio pueblo. Ha sido el ejemplo más claro de totalitarismo partidocrático. Esta clase ignoró por completo que “Venezuela, es como un engranaje, un engranaje geopolítico entre el Caribe la Amazonia y los Andes y tiene una excepcional ventaja geopolítica. En la fachada caribeña Venezuela, limita por el norte no como nos enseñaron a nosotros cuando éramos niños con el Mar Caribe, no. Venezuela limita por el norte con República Dominicana, Venezuela limita por el norte con Estados Unidos ahí está el Estado libre asociado de Puerto Rico. Venezuela, limita por el norte con los países bajos el Reino de los países bajos, Venezuela limita por el Caribe con Francia, los llamados territorio de ultramar, lo cual nos da una configuración geopolítica sumamente interesante además de todos estos países. Venezuela pertenece a esa gran cuenca del Amazona, siete millones de kilómetros cuadrados -me refiero a toda la Cuenca- con la que nos interconectamos no sólo con la selva, sino con los grandes ríos. El Orinoco se une con el Amazona por ejemplo en una gigantesca arterial vial, es como la arteria del Continente Suramericano, una de las riquezas más grandes que tiene el planeta, en cuanto a recursos de vías, biodiversidad y reservas para la vida humana” (Hugo Chávez, Visión estratégica de Venezuela, conferencia en la Escuela Diplomática, Madrid, 16/5/02).

 

Paraguay y Uruguay medran entre Brasil y Argentina según convenga a sus intereses. Como este planteo se inscribe, siguiendo a Schmitt y Freund, dentro del realismo político, Chile no es tenido en cuenta en este análisis pues sucede simplemente que desde siempre la república del Arauco se aisló, tratando de desvincular sus destinos a los de Suramérica y no existe, a nuestros ojos, ninguna razón por la que vaya a cambiar su histórica y secular posición.

 

Quedan finalmente los escándalos morales y políticos que ofenden los mínimos sentimientos de dignidad como lo son la existencia de factorías europeas, formalmente declaradas repúblicas independientes como son los casos de Surinam- bastardo Estado-nación creado por la civilizada Holanda. Guyana, (Venezuela reclama tres cuartos de su territorio) dependencia inglesa poblada por 800 mil parias traídos por Inglaterra desde todos los rincones del mundo (hindúes, chinos, mongoles, africanos). Babel lingüística que hace incomprensible los más elementales trueques y tratos cotidianos. República cooperativa gobernada por una atroz dictadura desde la época de su simulada independencia en 1966. Finalmente, la colonia y presidio de Francia, Guayana, como último resabio de un colonialismo europeo que no quiere morir.

 

Estas tres bazofias políticas, Surinam, Guyana y Guayana, no participaron ni participarán jamás de la historia político-social de la América del Sur –se piensan caribeñas- hasta tanto no dejen de ser una simple proyección europea para arrojar allí el detritus que les molesta a holandeses, ingleses y franceses. Su participación está condicionada a la opción por América, que aún no han realizado de motu proprio.

 

Segunda Parte

 

Nueva Estrategia

 

El nuevo planteo que nosotros proponemos es la denominada “teoría del rombo” que consiste en el reemplazo parcial de las viejas líneas de tensión estratégica continental. Y busca una mayor encarnadura y realismo político, habida cuenta de la opción ya hecha por el gobierno mejicano por el ALCA y la efectiva subordinación de todos los gobiernos de América Central y el Caribe (salvo el cubano) al poder norteamericano.

 

La exigencia de un realismo político descarnado, nos obliga a descartar por universalista y abstracto el “latinoamericanismo” emotivo, cordialista y grato a nuestros oídos, pero ineficaz a la hora de plantear una estrategia común para los pueblos indoibéricos. Hablar hoy de Latinoamérica, además de ser un error conceptual y una categoría espuria para determinarnos en lo que no-somos (lo crea Francia, y lo adopta USA, el marxismo y la Iglesia), es un sin sentido geopolítico porque es inviable y no plausible. Es un engaño porque es pensar sobre una categoría sin arraigo, sin encarnadura, sin realidad. Es un universalismo más como lo es el de “humanidad”, que no tiene manos ni pies al decir de Kierkegaard. O como afirmaba Proudhon: Cada vez que escucho “humanidad” se que quieren engañar.

 

Esta exigencia de realidad a partir de la cual debemos plantear la Nueva Estrategia Suramericana (NES) no es óbice para dejar de lado la participación los otros pueblos americanos todos, pero claro está, ello se dará en mayor medida en que esos mismos pueblos logren modificar la política de entrega y subordinación de sus actuales gobiernos.

 

Sobre el antecedente más ilustre de la NES es dable mencionar el de Juan Perón quien en una conferencia de carácter reservado en la Escuela Nacional de Guerra durante noviembre de 1953 sostuvo: “tenemos que quebrar la estrategia del arco que va de Río a Santiago y crear una nueva para América del Sur”. Y proponía a renglón seguido la creación de un área de unión aduanera y libre comercio entre Argentina, Brasil y Chile denominada ABC. Parece ser que no gustó a los poderosos de entonces pues Getulio Vargas terminó en el suicidio (1954), Ibáñez del Campo en el ostracismo interno y Perón, dos años después, en el exilio.

 

Para que una acción política sea eficaz deben converger tres elementos: hombres, medios y acontecimientos. Los hombres los tenemos, son los pueblos enteros hambreados de la región y los cientos de dirigentes desplazados del ejercicio del poder por los profesionales de la política.

 

Los medios también, claro está, que son otros que los mass media, son las paredes de todas nuestras ciudades y los muros de nuestras fábricas cerradas.

 

Y en cuanto a los acontecimientos algunos nos son propicios y otros no. En Venezuela Hugo Chávez está en el ejercicio del poder luego de 40 años de dictadura democrática de los socialdemócratas y socialcristianos. En Brasil funciona el Foro de Porto Alegre que conmovió al one world de Davos y todos los intereses que ello representa y Lula posee una cierta autonomía respecto de USA. En Argentina el inconveniente mayor está en su cancillería que ve toda integración suramericana como una sumisión a la estrategia brasileña y en cuanto al Perú, su gobierno actual, el segundo de Alan García no tiene ninguna vocación de integración subcontinental.

 

Vistos los pro y los contra, la teoría del rombo por la figura que forma la unión de los vértices en Buenos Aires- Lima – Caracas- Brasilia como constitutivo de la nueva estrategia suramericana es lo que proponemos en este trabajo.

 

Ello permitiría la creación de un Gran Espacio con características de bi-oceánico, con salida tanto al Atlántico como al Pacífico. Con una masa poblacional con peso específico y de carácter homogéneo –lengua y convicciones similares-. Un gran espacio geoestratégico y geoeconómico con materias primas (minerales, hidrocarburos, gas, granos y carnes, flora y fauna) de primera importancia. Así, por ejemplo en minerales se encuentran el oro, cobre, cinc, manganeso, el 90% de las reservas conocidas de niobio del mundo, el 96% de las reservas de titanio y tungsteno, este último indispensable para la construcción de naves espaciales y misiles atómicos.

 

Este Gran Espacio cuenta con la ventaja de no ser una creación ex nihilo, dado que se realiza sobre el antecedente del Mercosur creación que tiene ya diez años de vigencia efectiva (Tratado de Asunción 1991). A lo que se le suma la experiencia del Pacto Andino. Y que al mismo tiempo se apoya en los ideales de Patria Grande de Bolivar y San Martín.

 

El Hinterland suramericano

 

Esta Isla Continental que es Suramérica tiene casi 18 millones de kilómetros cuadrados con una población que sobrepasa los 374 millones de habitantes cuya mayor parte vive en la franja costera que la bordea y donde se ubican las ciudades más importantes a excepción de la reciente Brasilia.

 

“El Hinterland, afirmaba hace ya un cuarto de siglo el venezolano José Curiel Rodriguez, es una gran área del planeta que comprende las cuencas de los ríos Amazonas, Orinoco y del Plata. Es una vez y media la superficie continental de los Estados Unidos.” [2] Este enorme territorio encerrado en este rombo imperfecto que expresa geométricamente nuestra teoría se encuentra prácticamente despoblado y genera las ambiciones de dominio de las potencias hegemónicas a través de teorías tales como la de “soberanía limitada” o acciones concretas como la compra de grandes territorios por sociedades estatales extranjeras. Con justa razón ha observado el politólogo Adolfo Koutoudjian que “Si comparamos con Asia o Africa, lo llamativo de este sub-continente es el enorme vacío central. Es la gran asignatura pendiente de la geopolítica suramericana. Seguimos siendo un continente poblado en sus costas que aún está avanzando hacia su interior. Esta situación implica un gran desafío geopolítico y económico para las posibilidades de realización y desarrollo de las patrias suramericanas. “El Dorado” aún puede estar en el interior continental” [3]Entre los megadatos que nos ofrece este corazón suramericano es que genera el 30% del total de agua dulce del mundo, poseyendo además el segundo acuífero del orbe (el acuífero guaraní) y recursos hidroeléctricos incalculables. Encierra la tercera parte de las reservas mundiales de bosques latifoliados.

 

Pero sobretodo es dable destacar la inteconexión fluvial de Suramérica que en el siglo XVI utilizaron los conquistadores españoles y que luego de cinco siglos permanece prácticamente en las mismas condiciones.

 

La vinculación hidrovial entre las tres cuencas: Orinoco, Amazona y del Plata permite la navegación desde Buenos Aires hasta Caracas y de este a oeste se presentan al menos tres conexiones interoceánicas.

 

Así el sistema Orinoco-Meta permite la interconexión bioceánica entre el Puerto Buenaventura(Colombia) con Puerto Ordaz(Venezuela) con 1866 kms. de vía fluvial y 779 de carretera.

 

El sistema Amazonas – Putumayo que une el puerto Belem do Pará(Brasil) con el de San Lorenzo(Ecuador) con 4535 kms. de vía fluvial, 230 de carretera y 549 de ferrocarril.

 

La alternativa Amazonas-Marañón que vincula los puertos de Belem do Pará con el de Chiclayo en el Perú con 4.796 kms. de vía fluvial y 700 kms. de carretera.

 

Además tenemos la salida al Atlántico de Bolivia desde su capital, La Paz, a través del Beni, Madeira, Amazonas. Sin olvidar la conexión con la red peruana a través del istmo de Fitzcarrald (3 kms.).

 

En cuanto a la navegación norte-sur o viceversa, se realiza, como explicamos más arriba, a través del sistema Orinoco, Casiquiare, Negro, Amazonas, Madeira, Mamoré, Guaporé, Paraguay, Paraná y del Plata. Es de destacar que la conexión Paraguay-Guaporé se realiza por sus respectivos tributarios los ríos Aguapé y Alegre y, atravesando la Laguna Rebeca y el riacho Barbados. Todo esto fue bellamente relatado por los hermanos Georgescu en su libro de viajes Los ríos de la integración suramericana (Caracas, 1984). Lo que permite afirmar que el tráfico fluvial entre Venezuela, Colombia, Perú, Ecuador, Bolivia, Brasil, Paraguay, Uruguay y Argentina, nueve de los diez países suramericanos, es una realidad al alcance de la mano que con un mínimo esfuerzo de los Estados involucrados se pondría en movimiento inmediatamente.

 

El transporte fluvial consume tres veces menos combustible que el ferrocarril y siete veces menos que el automotor por tonelada y por kilómetro, al par que reduce ostensiblemente la contaminación ambiental. Comparando los tres tipos de transportes se realiza una economía de potencia de nueve y tres veces respectivamente. Una barcaza fluvial carga 1200 toneladas, un tren 40 por vagón y un camión sólo 30, lo que significa una clara economía de esfuerzos tanto en la carga y descarga como en el número de viajes. Así, esta hidrored, barata y segura permitirá la conformación de un espacio autocentrado en economía, ampliando el Mercosur y el Pacto Andino, con lo que su recurrencia a los mercados exógenos pierde el carácter de obligatorio como sucede hoy día, pues puede llegar al autoabastecimiento sin dificultades mayúsculas.

 

La participación argentina en ese corazón de la tierra, según hemos propuesto, se debe realizar a través del eje Salta-Santa Cruz de la Sierra, porque la estrategia del Estado brasileño nos veta e impide nuestro acceso fluvial a través del Paraná-Paraguay-Guaporé. Además de contar con la renuente y esquiva participación del Paraguay, Estado meramente comercial.Puerto Suárez (Bolivia) y Corumbá(Brasil) dos ciudades separadas por el río Paraguay están a distancias equivalentes de La Paz, Brasilia, Sao Paulo, Asunción y Salta(Argentina), que forman entre ellas un rectángulo casi perfecto. Cada gran espacio tiene su centro geopolítico, así Puerto Suárez-Corumbá lo es para Suramérica como la isla de Malta lo es para el Mediterráneo.

 

Mapa del Sector

 

Nosotros defendemos y proponemos como el más beneficioso para América del Sur este corredor bioceánico mixto(marítimo, fluvial, ferro-vial) que tiene como gozne Corumbá-Puerto Suárez. En donde Argentina puede integrarse en forma expedita tanto desde Corrientes-Resistencia(acceso siempre impedido por Brasil) como de Salta.

 

El aporte de la Comunidad Económica Europea a Bolivia en la construcción del vínculo entre Puerto Suárez y Santa Cruz de la Sierra, nos está indicando una inteligencia sobre este asunto de vital importancia geoestratégica para nuestra región. Porque la ciudad importante en el corazón de América del Sur es ésta. Se ve claro el movimiento, los europeos, que no son tontos, están pivoteando sobre Santa Cruz, la ciudad fundada por Ñuflo de Chávez que tenía como lugarteniente a Juan de Garay, futuro fundador de Buenos Aires en 1580. Retoman una estrategia de 400 años, con la diferencia que ahora se puede salir, con cargas de gran peso, directamente a Europa desde Santa Cruz, por ferrocarril hasta Trinidad sobre el río Beni y de allí derecho en barco por el Madeira- Amazonas al Atlántico.

 

Está en nosotros, los americanos del sur, captarlo y redimensionarlo con un sentido propio y para beneficio nuestro. La construcción de un gran espacio autocentrado como son los 18 millones de kilómetros cuadrados suramericanos no es un chiste ni una idea baladí, es la construcción de un poder, y eso siempre despierta los celos y resistencias de aquellos que hoy lo poseen.

 

No tenemos ningún reparo, y forma parte de las relaciones bilaterales entre dos Estados, en que nuestras provincias limítrofes con Chile saquen por allí todas sus mercaderías, pero que no se disfracen dichas salidas, con la bandera de la integración suramericana. Por favor, que no se amañen falsas razones para que Argentina a su costo tenga que mantener 1.200 km. de rutas (Bs.As.-Mendoza) para que transiten alegremente los camiones de Brasil y Chile, que no aportan ningún beneficio ni al Estado nacional ni a la comunidad argentina, ni a la integración.

 

La Confederación Suramericana va más allá de las buenas relaciones bilaterales entre Estados, pasa, más bien, por la integración de los grandes vértices de poder continental como lo son Buenos Aires, Brasilia, Caracas, que hoy tienen líderes políticos afines, y en menor medida Lima. Si nos desviamos del fortalecimiento de los ejes marcados por este rombo imaginario, creando artificiales e interesados corredores bioceánicos lo que vamos a lograr es, más bien, la desintegración de Suramérica.

 

El espacio autocentrado

 

El carácter de autocentrado de este gran espacio está garantizado tanto por las producciones básicas como por la complementación tecnológica que, de hecho, realizan los países involucrados en el mismo. Así Argentina se ha destacado desde siempre en la producción de carnes, granos (la cosecha 2006-2007 llegó a la friolera de 100 millones de toneladas) y en las últimas décadas en el aprovechamiento nuclear de la energía (centrales atómicas, tecnología misilística). Brasil en la tecnología armamentista, subacuática, en medicamentos e informática así como en la producción de alimentos elaborados. Perú en industria pesquera. Bolivia en su industria minera. Ecuador en la tecnología farmaceutica indiana en medicina no-alopática. Venezuela con su capacidad petrolera y derivados. Paraguay y su capacidad horticultora y florifrutícola.

 

La existencia cierta de una capacidad productiva y tecnológica complementaria de todos nuestros países de la América del Sur le garantiza la autonomía y rompe la dependencia respecto de los otros mercados mundiales. Y lo trágico, y lo risible, es que esta capacidad está, que existe, o al menos existió. Y si bien fue desmantelada por los poderes exógenos para un mayor y mejor dominio sobre nosotros, es de fácil restauración. No hay que crear ex nihilo sino sólo reparar y recuperar.

 

Dado que Iberoamérica posee todos los elementos necesarios para desarrollar sus propias empresas transnacionales con capacidad para enfrentar a las del primer mundo, el sociólogo Heinz Dieterich Stefan, el principal colaborador de Noam Chomsky para Iberoamérica, afirma “El complejo biotecnológico-farmacéutico-medico de Cuba es, hoy día, en todos sus aspectos, comparable a una de las grandes transnacionales de Occidente. Si se uniera en una o dos grandes holdings con la respectiva industria brasileña y argentina, podría ocupar exitosamente una parte considerable del surplus mundial en este segmento de mercado que alcanza los trescientos mil millones de dólares.

 

La empresa aeronáutica brasileña Embraer, a su vez, tiene todo el potencial para compartir en partes iguales con Airbus y Boeing el mercado mundial de la aviación y, más temprano que tarde, de la industria espacial, aprovechándose al Ecuador como el lugar geográfico de mayor ventaja comparativa para el lanzamiento de cohetes al espacio. Varias líneas aéreas latinoamericanas podrían fusionarse y garantizar no sólo un mercado natural para la industria aeroespacial criolla, sino que competiría en condiciones iguales con los europeos y estadounidenses.

 

Las gigantescas exportaciones de materia prima -petróleo, minerales, granos, madera, etc.- garantizarían, por otra parte, varias grandes industrias navales en el subcontinente. En el sector energético se ofrece un Complejo suramericano, creado a través de la unión entre PdVSA de Venezuela, Petrobras de Brasil y la reestatizada YPF de Argentina. La física nuclear argentina y la brasileña mantienen todavía, pese a los sabotajes de los gobiernos neoliberales, un alto nivel de competencia y podrían ser el germen de un Complejo suramericano capaz de competir con las transnacionales Westinghouse y Siemens en energía nuclear. Y así, ad infinitum. [4] El Rombo

 

El eje Lima-Caracas es fundamental para la estrategia particular del Brasil pues pone coto a la injerencia internacional sobre la Amazonia. Intervención que se ve venir bajo excusas como el Plan Colombia para combatir al narcoterrorismo por parte de las tropas norteamericanas, tarea que Colombia no puede realizar sola. Es sabido que también desde centros europeos de poder, sobretodo los estados nórdicos, han propuesto considerar la Amazonia de soberanía limitada por parte del Brasil, con el argumento de que proteger la flora y fauna del pulmón del mundo. Sobre este punto es clara la ambición de los Estados Unidos quien a través de su ex candidato Al Gore como de su actual presidente Bush, dijo por boca de este último: Propongo que los países que tienen deuda con los Estados Unidos cambien esas deudas por sus florestas tropicales, lo que fue completado por el primero: Al contrario de lo que los brasileños piensan, la Amazonia no es de ellos sino de todos nosotros.

 

Cabe hacer notar acá que esta línea de tensión cuenta con un antecedente ilustre: el de San Martín, quien persiguiendo por el gran río a los españoles libertó la región de Maymas (Amazonia peruana). El historiador peruano Víctor Andrés Belaúnde nos recuerda al respecto: “Nos dice un documento español de la época que San Martín al liberar Maymas se propuso comunicarse con Europa a través del Amazonas. Este ideal del padre de la Patria y de su gran ministro Unanue, tenía que marcar el rumbo a la política peruana.” [5]En cuanto al eje Caracas-Brasilia le permitiría a Hugo Chávez consolidarse en el poder, porque contrapesaría la marcada influencia cubana en su gobierno, que por reacción en contrario genera naturalmente golpistas, alentados y financiados por los centros de poder mundial que ven en esta influencia peligrar sus intereses más inmediatos.

 

Tanto Brasil como Argentina están obligados a un doble esfuerzo de persuasión y de aspiración con respecto a Venezuela y Perú. De persuasión respecto de la adopción de esta estrategia del Rombo en cuanto a los beneficios que redundaría y de aspiración como el mecanismo natural de movimiento político de toda la región.

 

Finalmente cabe recordar dos argumentos de autoridad: 1) que el eje Brasilia-Buenos Aires fue descripto por el pensador peruano Francisco García Calderón hace ya casi un siglo, cuando sostuvo proféticamente: “El ochenta por ciento del comercio sudamericano corresponde al Brasil y la Argentina reunidos. Situados frente al Atlántico, el océano civilizador, son para el Nuevo Mundo los canales necesarios de la cultura occidental”. [6] [7] ¡Qué interesante observación!. De Castro se puede decir que conculca las libertades individuales, que se perpetúa en el poder, que está viejo y divaga un poco, pero lo que no nos está permitido es pensar que tiene una estrategia pro norteamericana. Si algo representa y va a representar en la historia, es la postura independiente y autónoma respecto del imperialismo norteamericano, cosa que ha hecho desde 1959. Ahora bien, si un hombre resistió durante, hasta ahora, 47años, en el poder y a pesar de los bloqueos, las invasiones y las bases en su territorio, no cayó; esto nos está diciendo que este hombre sabe de estrategia, no es un improvisado ni un aprendiz.

 

Este argumento de autoridad que estamos esgrimiendo, muestra dos cosas: que esta nueva estrategia suramericana que proponemos es la correcta, aun cuando nuestra cancillerías no la adopten y, segundo: que en los grandes líderes mundiales, también prima el planteo estratégico sobre el planteo ideológico. La autoexclusión de Cuba por parte de Castro es una prueba de ello.

 

La consolidación de este eje es de vital importancia en la construcción de un gran espacio suramericano de lo contrario perderemos definitivamente la posibilidad de ser y existir en forma libre y soberana en el mundo. Ello lo afirma categóricamente el pensador brasileño Helio Jaguaribe en un reciente reportaje: “ Si no logramos la consolidación del Mercosur y si no logramos constituir un área de libre comercio en Suramérica mediante un pacto apropiado entre nosotros y el Pacto Andino, estamos condenados a ser absorbidos por alguien en el 2005. En el momento que se constituye ALCA perdemos soberanía, pasamos a ser dependientes de fuerzas externas a la nuestra” [8]Conclusión

 

A la potencia mundial talasocrática- aquel imperio cuyo poder radica en el dominio de los mares- que busca absorber nuestra región al ALCA – Tratado de libre comercio desde Alaska a Tierra del Fuego- enunciado por G.Busch(padre) en el parlamento de Estados Unidos en 1991 y enmarcado en el proyecto de one world- esta Nueva Estrategia Suramericana(NES) propone la creación de un “puente con la Unión Europea ” y en particular con las naciones que nos son afines tanto por lazos culturales – España, Portugal, Italia, Francia- cuanto por las inmensas inversiones que realizaron en nuestra región. Inversiones que los atan firmemente a los destinos de Suramérica, aunque más no sea en defensa de sus intereses empresariales.

 

La estrategia de la región no debe agotarse en este “puente con Europa” sino que debe proyectarse hacia la Antártida para poder discutir con poder en el siglo XXI sobre ese continente internacionalizado por el Tratado Antártico. Adjuntamos a la presente meditación nuestro trabajo sobre la Antártica Suramericana como un complemento de la misma.

 

Esta estrategia debe continuarse hacia las naciones del África atlántica – Camerún, Guinea Ecuatorial, Angola y su proyección a Mozambique, con las que compartimos similares cosmovisiones. Ello permitiría hacer del Atlántico Sur una especie de Mare Nostrum , como observara sagazmente el ilustre pensador portugués Antonio Sardina (1887-1925), al modo como lo fue el Mediterráneo para los europeos meridionales en la antigüedad.

 

Sobretodo se debe trabajar sobre el Atlántico, habida cuenta que como muy bien afirma el General Heriberto Auel “en el siglo XXI el Pacífico será el océano político, así China, el antiguo Imperio del Centro que tradicionalmente no ha salido de sus fronteras, navega hoy con una Fuerza de Tareas las costas americanas del Pacífico ” [9] . De modo tal que la ocasión nos es propicia para fijar una estrategia sobre el Atlántico, que ha perdido interés para la potencia talasocrática mundial. Aun con marcadas diferencias respecto de nuestra propuesta, también el General brasileño Carlos de Meira Mattos, destacado especialista en temas geopolíticos también propone una estrategia Atlántica.

 

Plantear esta NES desde el movimiento obrero organizado argentino, que es el marco de mi pertenencia política y desde donde lo hago, disidente con el orden neoliberal de aplicación en la hora actual y su modelo político económico de exclusión de las grandes mayorías nacionales y populares en la participación de las decisiones que afectan los destinos de nuestros pueblos, es un signo más del cambio epocal a que estamos asistiendo.

 

Así como nuestros políticos han perdido toda credibilidad y prestigio debido a que las oligarquías partidarias usufructúan del poder para beneficio propio. Los candidatos son siempre los mismos y no tan solo los padres sino los hijos, nietos, sobrinos y parientes. De la misma manera nuestras cancillerías no están en condiciones de fijar ninguna política exterior habida cuenta que a partir de la tesis del “no-conflicto” del canciller de Alfonsín y de “la de las relaciones carnales con USA” del canciller de Menem, nuestro país quedó sometido “ a ser el de abajo” en las relaciones internacionales.

 

Ante estas dos gravísimas abdicaciones proponemos esta Nueva Estrategia Suramericana (NES).

 

·- ·-· -······-·
Alberto Buela

 

Notas:

 

1) La CGT disidente, el Centro de Estudios Peruanos, sindicalistas del Frente Bolivariano de Trabajadores de Venezuela y de la CGTB de Brasil reunidos en Buenos Aires en la sede del sindicato de mecánicos los días 29 y 30 de marzo de 2001 a propósito del Primer Encuentro del Pensamiento Estratégico de la Patria Grande sostuvieron y propusieron esta teoría que luego presentaron en el II Foro Social Mundial de Porto Alegre como una alternativa concreta al modelo neoliberal en el plano de la política internacional suramericana. Siendo conscientes que la gran cuestión es, como sostiene el filósofo peruano Alberto Wagner de Reyna: “¿Puede el espíritu contrapesar el mercado?. Sabemos, al menos, que hay acciones y rentas morales que no juegan en la Bolsa. Es menester demostrar que los pueblos son valores superiores a los “valores” cotizados en Bolsa. Los pueblos llegan a su felicidad por la afirmación de sus propios valores” [10]

 

2) La población estimada de Suramérica a mediados de 2008 se distribuye aproximadamente así:

 

Brasil: 188 millones
Colombia:        42
Argentina:        39
Venezuela:       27,5
Perú: 27
Chile:   16
Ecuador:          14
Bolivia:             10
Paraguay:          7
Uruguay: 3,5

Total 374 millones

3) En cuanto a la distorsión geográfica de los mapas mundiales en uso es dable señalar que el científico alemán Arno Peters ha sido recientemente el primero en denunciar la falsedad del mapa mundi desarrollado por el cartógrafo Mercator (Gerhard Kremer) en 1569 y que desde entonces ha sido de uso universal. Así puede verse el paradigma eurocentrista de Mercator en el siguiente mapa en donde Suramérica con 17,8 mill.de km2, aparece más pequeña que Europa con tan solo 9,7mill.de km2.

 

Arno Peters – Cartografía - año 1998

 

4) La Teoría del rombo de la primera parte de este trabajo se enriquece con la Teoría del rectángulo y se completa con esta tercera meditación sobre la Antártida suramericana, que nace por una aguda sugerencia del hidrógrafo y marino Cachaza Iramont quien en carta personal del 30-9-04 nos dice: “Sugiero que el rombo en su lado sur-occidental no sea un límite sino una frontera flexible y permeable a los intereses nacionales que nos permita ejecutar el sueño de ocupar efectivamente todos nuestros territorios que abarcan también la Antártida y los maritimos”.

 

La Antártida Suramericana

 

La Antártida es el continente situado en el interior del círculo polar antártico con un territorio cubierto de hielos de aproximadamente 14 millones de kilómetros cuadrados. Está separada de los otros continentes por las siguientes distancias: de Suramérica 1.000 km.; de África, 3.600 km.; de Australia, 2.250 km.

 

Para la descripción geográfica de la Antártida se utiliza, por convención, la teoría de los cuadrantes según la cual se divide el continente en Oriental y Occidental, tomando como punto de referencia los meridianos de Greenwich, el de los 90° este y el de los 90° oeste. La Antártida Oriental está compuesta por los cuadrantes australiano y africano y la Occidental por los suramericano y pacífico.

 

Cada cuadrante lleva el nombre del océano o continente que enfrenta, así, de los 0° a los 90° oeste se conoce como cuadrante suramericano [11] , de los 90° a los 180°oeste se denomina Pacífico. Africano desde 0° a 90° este y Australiano de 90° a 180°este.

 

El cuadrante suramericano se caracteriza por comprender la península Antártica y gran cantidad de islas, las más conocidas por el gran público son las Orcadas, Georgias, Sandwich y Shetland del Sur. Están también las islas Biscoe, la Belgrano, y la más grande del Continente: la Alejandro I. En el límite del nuestro cuadrante con el del Pacífico se encuentra la isla Pedro I.

 

Mapa de los cuadrantes

 

Reclamaciones territoriales

 

Las pretensiones de posesión sobre las tierras antárticas datan del siglo XIX y principios del XX. Sólo en el cuadrante suramericano existen grandes problemas por la superposición de pretensiones, en el resto la cuestión está mucho más clara y definida. Así, el cuadrante africano está todo pretendido por Noruega pero en forma longitudinal, el australiano por Australia y Nueva Zelanda, existe, como es natural por su carácter de ex potencia colonialista, una superposición francesa. En tanto, que el cuadrante Pacífico, salvo un pequeño sector por Nueva Zelanda, no está reclamado por nadie.

 

El que si tiene problemas de reclamaciones territoriales es el cuadrante suramericano en donde se superponen las pretensiones de Chile sobre parte del sector pretendido por Argentina y las pretensiones de Gran Bretaña que abarcan todo el sector argentino y casi toda la reclamación chilena.

 

El sector chileno va desde los 90° oeste, límite del cuadrante suramericano hasta los 53° oeste. Gran Bretaña va de los 80° oeste hasta los 20° oeste, mientras que Argentina reclama el sector que va desde los 74° oeste hasta los 25° oeste.

 

Mapa de reclamaciones territoriales

Es obvio, y manifiesto a todas luces, que Argentina está en mejores condiciones que Chile y Gran Bretaña para hacer valores sus pretensiones antárticas. Su masa continental es la que está más cerca. Geológicamente existe una continuidad del continente en la península antártica. Sus posesiones son más antiguas, ya que desde 1904, con el establecimiento de un observatorio metereológico y magnético en las islas Orcadas del Sur, ocupa en forma permanente, pública y pacífica los territorios antárticos que reclama para sí. Pero el éxito de los reclamos de reconocimiento territorial entre los Estados-nación soberanos que componen el derecho público internacional no se logra sólo con buenas razones e intenciones, sino sobre todo a través del poder persuasivo que se pueda acumular en la defensa del reclamo.

Tratado Antártico

 

Ya en junio de 1822 empezó a emplearse el adjetivo "panamericano", cuando se discute la posibilidad de celebrar en Washington (EEUU) una conferencia de Estados Americanos. En 1823, en presidente Monroe da a conocer al mundo su doctrina sintetizada en el dogma “América para los americanos” que desde entonces siempre se entendió y aplicó políticamente como “América para los norteamericanos”.

 

El panamericanismo pretende la aglutinación de América y la unificación política y cultural del continente, con arreglo a las normas e instituciones del pueblo norteamericano.
Con dicho fin, se han seguido los sistemas del "big stik"(política del garrote) y de la ayuda económica y técnica (Alianza para el Progreso- de ellos), y se ha pasado del terreno puramente especulativo al terreno institucional, mediante la creación y perfeccionamiento de la Organización de los Estados Americanos con la firma de la Carta de Bogotá en abril de 1948.

 

En el marco de esta idea fuerza los Estados Unidos imponen el Tratado Antártico que se firma el 1 de diciembre de 1959. De la misma manera que una década antes impuso el Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca(TIAR) o Tratado de Río de Janeiro(1947) y treinta años después, en 1978, alentó y creó la Organización del Tratado de cooperación amazónica(OTCA). Y en nuestros días busca imponer por todos los medios el Area de libre comercio de las Américas (ALCA).

 

Si con el TIAR no intervino en Malvinas cuando fuimos invadidos por una potencia europea como Inglaterra, lo que buscó fue penetrar toda la inteligencia bélico-militar de América del Sur el día después de la Gran Guerra. Y con la OEA colonizó todas nuestra cancillerías y nuestras políticas exteriores; con la creación de la OTCA busca penetrar en el Amazonas declarándolo de “soberanía limitada por parte de Brasil”. Y termina con el ALCA en la construcción de un gran supermercado de Alaska a Tierra del Fuego.

 

Luego de la firma del Tratado Antártico el status jurídico del territorio antártico quedó reducido en forma similar al de los fondos de los mares o al del espacio extraterrestre; es decir, de uso común a toda la humanidad y no se reconocen soberanías nacionales sobre él. El territorio queda reservado para usos pacíficos y, por ende, desmilitarizado.

 

Dos son los grupos de países que firmaron el tratado: a) los reclamantes de sector: Argentina, Chile, Gran Bretaña, Noruega, Australia, Nueva Zelanda y Francia y b) los no reclamantes: Estados Unidos, Unión Soviética, Japón, Bélgica y Sudáfrica. Se sumaron como adherentes a partir del año 1961: Brasil, Polonia, Checoeslovaquia, Dinamarca, Holanda, Rumania, Alemania. En la actualidad se han sumando al Tratado 28 países.

 

Como una muestra y mueca más, de esta historia política contemporánea de la que los países suramericanos no formamos parte y si lo hacemos es a título de convidados de piedra, paradojalmente el secretario ejecutivo del Tratado es un holandés, Jan Huber y la 18a reunión consultiva del Tratado Antártico, se realizó muy cerca del Ártico, en Estocolmo en 2005.

 

Nueva estrategia Antártica: Hacia una Antártida Suramericana

 

Es sabido que, lo que es de todos no es de nadie, o lo que es peor aún, aquello que se declara pertenecer a todos, termina siendo de los más poderosos. Al eliminar, de facto, el Tratado Antártico la soberanía nacional de los Estado-nación sobre el territorio antártico, lo que ha logrado es multiplicar los asentamientos y las bases de los Estados poderosos sobre los sectores reclamados por los Estados débiles, en este caso Argentina y Chile. Si esto continua manejándose en estos términos, y todo indica que así será, terminará la Antártida siendo explotada por empresas multinacionales asentadas en el G8.

 

Como hasta ahora, incluso en últimas publicaciones [12] se viene hablando de “Antártida Sudamericana” para referirse al cuadrante suramericano de la Antártida y no a la proyección política de nuestro territorio sobre el continente blanco, nosotros proponemos una estrategia suramericana sobre la Antártida para así poder constituir políticamente una Antártida suramericana.

 

Existen razones geológicas, políticas, históricas y culturales a favor y en contra de los distintos reclamos, que luego de casi un siglo de disputas estériles de los suramericanos sobre los territorios antárticos no logramos casi nada, y menos aún, el reconocimiento de los otros, que es el principio de existencia en el orden internacional. Así, los Estados existen porque son reconocidos como tales por los otros Estados, de ahí que el reconocimiento sea en algunos casos expeditivo como el apurón de Gran Bretaña en reconocer nuestros estados suramericanos en detrimento de España o lento como el Vaticano en reconocer al Estado de Israel, sabiendo que en ese acto perdía Jerusalén.

 

Por lo tanto nuestra propuesta consiste en afirmar la soberanía de Suramérica como un todo sobre el sector de la Antártida. Y esto se logra en nuestra opinión, de forma clara y distinta, por la proyección de los puntos extremos- geográficos, externos y evidentes- del continente suramericano y las islas que le pertenecen.

 

Así, más allá de algunos grados más o grados menos que pierdan o ganen nuestros respectivos países, desde las islas Sandwich del Sur(Argentina) a los 25° oeste, pasando por Joao Pessoa, en Brasil a los 45° oeste, y Punta Pariñas en Perú a los 81,5° oeste, hasta la Isla de Pascua(Chile) a los 110°oeste pasando en línea por la isla Pedro I, este gran sector que coincide prácticamente con el cuadrante suramericano, debe ser reclamado y defendido a través de una política continental conjunta.

 

Mapa de la Antártida Suramericana

 

Nuestros diez estados suramericanos se implicarían así en una política antártica común que recupere para el subcontinente el manejo soberano de su sector en la Antártida, porque sus territorios no son res nullius (de nadie) sino que deben estar bajo la soberanía de nuestros países. Y allí si, y solo allí, podrán ser considerados con provecho para nuestros respectivos pueblos como territorios res communis(de uso común).

 

En este manejo común de la Antártida suramericana mucho tendrán que ver y trabajar las respectivas direcciones nacionales del Antártico y la Reunión de administradores de programas antárticos latinoamericanos (RAPAL) que desde 1990 se reúne todos los años y congrega a Brasil, Uruguay, Chile, Perú, Ecuador y Argentina.

 

Y trabajar a dos puntas: a) en la realización de expediciones y establecimiento de bases comunes en la Antártida suramericana y b) en la educación del sentimiento de pertenencia común a la Patria Grande.

 

Sabemos de la resistencia y renuencia chilena a cualquier proyecto de integración suramericana, por eso el esfuerzo argentino como nación más privilegiada debe ser doble. Afirmarnos en lo que somos, para ayudar a los chilenos a liberarse de esa rémora atávica de la geofagia como alimento. Ir más allá de la teoría de los límites estatales, por otra parte siempre móviles para la intelligensia chilena, supone mostrar los beneficios que otorga una única y común Antártida suramericana. Porque como dijera ese gran pensador que fue Joaquín Edwards Bello en su bellísimo libro Nacionalismo Continental(1926) “la primera razón de nuestra debilidad(la suramericana)es la manía de aislamiento, defecto fatal, iniciador de la pequeñez general”.

 

Y también hay que decirlo aunque resulte impolítico, la construcción de una Antártida suramericana tiene al enemigo histórico del subcontinente iberoamericano, Gran Bretaña, ocupando de facto casi todo el sector y las islas aledañas como las Malvinas. En este sentido hay que recordar la enseñanza de ese patriota criollo que fuera Indalecio Gómez, quien siempre se negó a que Inglaterra fuera árbitro en nuestras disputas limítrofes dado que ella es usurpadora de parte de nuestra soberanía nacional y mal puede ser juez y parte al mismo tiempo.

 

Reiteramos entonces, la construcción de una Antártida suramericana supone una acción conjunta de los pueblos de la América del Sur, apoyada en un sentimiento común de pertenencia de esa porción de patria irredenta, para lo cual necesita realizar una economía de fuerzas para ser aplicadas en el momento justo a fin de disuadir a aquellos que por astucia y por la fuerza pretenden usurpárnosla.

 



[1] Schmitt, C.: La lucha por los grandes espacios y la ilusión norteamericana(1942)

 

[2]

 

Curiel Rodriguez, José: Pensando en Venezuela, Ed.Cultural Venezolana, Caracas, 1978, p.23
[3]

 

Koutoudjian, Adolfo: Geopolítica sudamericana, en revista “Octubre Sudamericano”, Bs.As. N° 0, dic.2000.-
[4]

 

Dieterich, Heinz: Necesidad de las empresas transnacionales latinoamericanas, Bs.As. agosto de 2002, publicación de internet, p.3
[5]

 

Belaúnde, Víctor A.: Peruanidad, Lima, 1983, p.354
[6]

 

< García Calderón: Francisco: La creación de un continente, Biblioteca de Ayacucho, Caracas, 1978, p. 305
[7]

 

Diario La Nación de Buenos Aires, 27/5/03 p.6
[8]

 

Jaguaribe, Helio: Reportaje en revista “Línea”, Buenos Aires, octubre 2000
[9]

 

Auel, Heriberto: El océano político, Academia argentina de asuntos Internacionales, Buenos Aires, 2001, p.8
[10]

 

Wagner de Reyna, Alberto: Crisis de la aldea global, Ed.del Copista, Córdoba(Arg.), 2000
[11]Decimos suramericano y no sudamericano como comúnmente se denomina, porque este último término es un galicismo que nos dejó la colonización cultural francesa. Nuestra lengua es el castellano y en ella debemos correctamente expresarnos y expresar la toponimia. Al respecto conviene recordar que el eximio poeta Leopoldo Marechal decía: No olvides que todo nombre indica un destino.
[12] Fue el geógrafo chileno Luis Riso Patrón quien en un opúsculo de 1907 titulado La Antártida Sudamericanael primero que utilizó el término. En esa línea se han publicado infinidad de títulos similares, el último del que tenemos noticias es el de Eugenio Genest Antártida Sudamericana, Buenos Aires, 2001.
.. Finalmente no se cumplió esta advertencia de Jaguaribe pues en el cumbre de presidentes americanos de Mar del Plata se rechazó la propuesta usamericana de integrarse en bloque a ALCA(tratado de libre comercio) En este sentido es atingente pensar que así como USA pretende, en menor medida, entorpecer el funcionamiento de la Unión Europea alargando la OTAN hacia el Este, en una incorporación permanente de naciones que hagan finalmente imposible dicha Unión, de la misma manera pretende alargar el Mercado de Libre Comercio hasta la Antártida, absorbiendo así a toda la América sudcentroamericana. Y 2) el de Fidel Castro cuando estuvo en Argentina el 25 y 26 de mayo de 2003 cuando declaró a la prensa: “Es vital que Argentina, Brasil, Perú y Venezuela lideren un cambio en América. Y aclaró: Hablo como un observador externo sin incluir a Cuba en un posible eje suramericano” . Vemos como el General San Matrín adopta durante su gobierno en el Perú una estrategia fluvial. ¿ Se deberá eso, al hecho de ser oriundo de la mesopotamia argentina, ese complejo formado por los ríos Paraná, Paraguay y Uruguay y colonizado por los jesuitas?.

Géopolitique et Mittleuropa

mittel_map.gif

Archives de SYNERGIES EUROPÉENNES - GRECE (Paris) - Décembre 1989

Robert Steuckers:

Géopolitique et Mitteleuropa

 

Contribution au XXIIIième Colloque du G.R.E.C.E. , Paris, Dimanche, 3 décembre 1989

 

 

Mesdames, Messieurs, Chers amis et camarades,

Quand, le soir du 9 novembre, une voix a interrompu le journaliste sportif, qui relatait les exploits d'une équipe de football, pour annoncer que le Mur de Berlin venait d'être ouvert, que sa sinistre existence avait cessé, que la rue avait arraché cette mesure aux gouvernants communistes de la RDA, j'ai su d'emblée qu'une ère historique nouvelle venait de naître, que l'Europe ne serait plus celle, manichéienne, de mon adolescence, que l'Europe de mon fils serait autre, que nous ne serions plus enfermés dans le ronron de notre Occident et que nos frères à l'Est ne seraient plus prisonniers de la logique communiste, logique sèche, froide, absconse et obsolète.

 

La destruction du Mur de Berlin annonce la guérison de l'Europe, son recentrage géographique et géopolitique. Si l'univers communiste a tenté en vain, pendant 40 ans, d'empêcher les Européens qui croupissaient sous son knout de recevoir des informations de l'Ouest, l'univers de la société marchande nous a gavé de sous-culture à profusion, de films idiots, de feuilletons d'une bêtise ahurissante et a sournoisement et systématiquement éradiqué en nous la fibre historique. A cette heure, nous nous trouvons donc en présence d'une moitié d'Européens qui peuvent dire tout ce qu'il veulent, mais si ce qu'ils veulent est important, on l'occultera et on le noiera sous une masse d'informations périphériques. Et en présence d'une autre moitié d'Européens qui ne peuvent en théorie rien dire, mais qui ont su garder au fond de leur cœur le souvenir de l'histoire, et qui savent transformer ce souvenir en force, en une force imperméable aux dogmes, en une force qui balaie les dictatures, les régimes sclérosés, les polices anti-émeutes.

Les peuples de l'Est de la Mitteleuropa sont debout sur leur sol, sur leur glèbe et, faute de dialoguer dans un parlement, dialoguent avec l'immémorial de leur histoire. Une histoire qui a été mouvementée, qui est d'une complexité inouïe, où ne se mêlent pas seulement les souvenirs des Germains et des Slaves, des Magyars et des Daces romanisés, mais aussi ceux des ethnies indo-européennes dont il ne reste plus de traces linguistiques comme les Celtes, les Illyriens et les Vénètes. Cette richesse (S3) constitue un remède contre les simplifications abusives: le cocktail ethnique de la Mitteleuropa est infiniment productif, en créations culturelles et en tragédies politiques, parce qu'il a été buriné par des millénaires. La césure de l'Europe n'a duré que 40 ans. Qu'est-ce que c'est face à des millénaires d'histoire commune? De quel poids pèse la sécheresse marxiste face à l'incommensurable richesse culturelle de l'Europe centrale, face au sublime de la culture baroque et au génie des mélodies populaires, qu'à l'aube du siècle des musiciens hors pair ont sublimées en musique classique (H4)? Pour l'écrivain hongrois György Konrád (K9, K10, K11), c'est ce formidable kaléidoscope de créations immortelles que Yalta a voulu fourrer dans sa camisole de force, c'est cette matrice qu'il a voulu stériliser, en imposant, depuis Washington et Moscou, une métaphysique paralysante de nature idéologique; un manichéisme lourd, porté par d'impavides idéologues ou militaires, incapables de relativiser quoi que ce soit et réduisant la mosaïque centre-européenne à un terrain d'exercice pour armées étrangères, pour un champ de tir destiné aux ogives nucléaires.

 

Mais le déclin de la Mitteleuropa, depuis la dissolution de la monarchie austro-hongroise, jusqu'à son absorption par l'Allemagne nationale-socialiste puis à la conquête soviétique, relève de la responsabilité des peuples centre-européens eux-mêmes: ils ont voulu bâtir des Etats-Nations homogènes à la mode jacobine sur un territoire aux contours si flous qu'aucune frontière ne pouvait jamais y être juste. En conséquence, la logique qui convient au cœur de notre continent est une logique des fluidités, des réseaux, des rhizomes et non pas une logique équarissante, homogénéisante, rigide et arasante (H4) qui blesse les âmes, aigrit les cœurs, provoque les massacres et l'irréparable. Et c'est exactement une logique souple de ce type que suggère pour la nation allemande l'enfant terrible de la social-démocratie autrichienne, Günther Nenning, un écrivain original ne s'encombrant d'aucun conformisme (N2). La nation allemande et l'esprit allemand, dit-il, transcendent toutes les frontières que l'histoire leur a assignées. De même pour les Hongrois, les Polonais et les Tchèques. 

 

La Mitteleuropa est donc un espace qui échappe à toutes les logiques cartésiennes. Mais qui n'en garde pas moins une originalité partagée par plusieurs peuples, une originalité telle qui fait qu'elle n'est pas saisissable à l'aide de quelques pauvres concepts étriqués mais seulement par l'âme et le cœur. Dans la sphère du concret, et plus précisément dans le domaine du droit, le professeur Wilhelm Brauneder (B9), constate que le droit autrichien, codifié dès la fin du XVIIIième siècle, sert de modèle à l'ensemble du monde slave et germanique et déborde en Lombardie. La Révolution française et l'épopée de Bonaparte mettront un terme à l'extension dans toute l'Europe de ce code de droit forgé dans les chanceleries viennoises. Mais la nostalgie de certaines mesures prévues, plus respectueuses des collectivités locales ou professionnelles, plus attentives aux phénomènes associatifs, durera jusqu'à la deuxième guerre mondiale.

 

La Mitteleuropa par sa diversité, par la superposition de ses multiples cultures nationales, parce qu'elle est synthèse de tant de contraires, s'oppose diamétralement à la culture atlantique qu'ont imposé nos suzerains américains. Outre-Atlantique, l'uniformisation est aisée, la mise au pas des cerveaux est facile: chaque immigrant est arrivé les mains vides, dans des villes sans histoire, face à une nature vierge, sans un ancêtre qui puisse lui rappeler la généalogie de chaque chose. Une telle uniformisation est impossible en Mitteleuropa: chaque maison, chaque chaumière, chaque autel, chaque forêt bruisse du murmure des siècles et des millénaires. Le communisme a tenté une uniformisation: il a échoué. Entre l'Amérique et la Mitteleuropa, incarnée par l'Autriche-Hongrie, une vieille haine couve et l'affaire Waldheim n'en est que le dernier et ridicule avatar. Une nation pluri-ethnique, soucieuse de respecter chaque spécificité populaire ou religieuse, soucieuse de forger un droit adapté à la mosaïque européenne, ne pouvait apparaître que comme "réactionnaire" aux yeux de ceux qui dominaient le Nouveau Monde après avoir éliminé les autochtones et obligé les immigrants à oublier ce qu'ils avaient été.

 

Pour échapper aux logiques de l'arasement, portée par les deux super-puissances, pour restaurer dans la foulée toutes les identités de l'Europe Centrale, pour leur assurer une indépendance politique et un développement autonome, un nombre impressionnant de projets ont été lancés dans le débat. Ces projets sont l'œuvre d'essayistes et d'écrivains issus de toutes les nationalités: Tchèques (K18), Polonais (K13), Croates, Hongrois (H4, H5, K9, K10, K11, S21, V1), Autrichiens (N2, D10, B9) , Allemands (A1, B7, W2), Slovaques. Certes, ces projets varient, sont chaque fois marqués par la nationalité de leurs auteurs. Le Hongrois György Konrád souhaite une confédération de la Pologne, de la Tchécoslovaquie et de la Hongrie, parce qu'il estime que l'expérience du socialisme réel et de la répression soviétique est une condition sine qua non pour définir la "culture du milieu". Dans la tradition de Masaryk, quelques essayistes pensent que la Mitteleuropa ne comprend que les pays qui ne sont ni allemands ni russes, de la Scandinavie à la Grèce. Mais peut-on exlure les deux Allemagnes et l'Autriche du débat sur la Mitteleuropa? Peut-on en exclure la Vénétie et la Lombardie, la Suisse, les Pays du Bénélux et, même, la France du Nord-Est voire le Sud-Est de l'Angleterre?

 

A ces questions, nous répondons évidemment: "non". La Mitteleuropa en tant que foyer de culture s'est diffusée, s'est insinuée partout en Europe, si bien que nous sommes tous, à des degrés divers, des Mitteleuropäer. Et l'indépendance des régions les plus éloignées des foyers que sont Vienne, Budapest et Prague, dépend en fin de compte de l'indépendance de l'Autriche, de la Hongrie et de la Tchécoslovaquie. Et dépend également de l'indépendance des Allemagnes. Et comme la question de l'Europe Centrale est indissolublement liée à la question allemande (W2), il faut que celle-ci soit réglée dans les plus brefs délais. La pression de tous les Européens conscients du destin de leur continent doit s'exercer tous azimuts dans ce sens.

 

En Allemagne, une impressionnante phalange d'auteurs ont élaboré au cours de ces dernières années des projets de confédération inter-allemande, suggérant une neutralisation des deux Allemagnes, qui aurait précédé la réunification et l'adoption d'une nouvelle constitution, à mi-chemin entre le socialisme et le libéralisme, inspirée partiellement de Jakob Kaiser, l'adversaire chrétien-démocrate d'Adenauer, qui voulait une Allemagne neutre et sociale-solidariste (H1). Cette recherche fébrile fut la première phase (A1, B6, B7, IJ1). La phase suivante, elle, évoquait aussi la réunification par confédération mais sortait du cadre strictement allemand pour analyser la situation des pays neutres d'Europe: la Yougoslavie, la Suisse, l'Autriche, la Suède et la Finlande. L'Allemagne devait calquer son futur statut sur ceux des neutres et adopter un mode de défense national dégagé des blocs (A1, B6, G7, L5, L7). C'était l'idée d'une Europe qui ne serait ni atlantiste ni soviétisée mais trop importante pour être finlandisée. La gauche comme la droite participaient au débat et l'observateur extérieur pouvait constater avec quelle aisance et quelle tolérance les uns reprenaient des arguments aux autres; tous dialoguaient sans tenir compte des étiquettes (IJ1). Avec la perestroïka de Gorbatchev, les projets de confédération allemande et de zone neutre, à insérer entre les blocs pour éviter toute confrontation directe, acquièrent automatiquement une dimension nouvelle dès que le nouveau leader soviétique parle de "maison commune".

 

Devant le nouveau discours de Gorbatchev, on peut s'enthousiasmer ou rester sceptique. On peut arguer que la politique d'ouverture, les paroles de pacification, sont comparables à la procession d'Echternach: trois pas en avant, deux pas en arrière; résultat final: un pas en avant (H11, G1). On peut penser que l'URSS cherche toujours à se mesurer avec les Etats-Unis mais que, pour parvenir à ses fins et pour franchir le fameux "technological gap", dont parlait Arnold Toynbee (T3), elle a besoin de capitaux européens, ouest-allemands en l'occurrence. Gorbatchev organiserait ainsi une nouvelle NEP à l'exemple de Lénine (H11) et tournerait le dos au brejnévisme, pratique politique se résumant en un repli stérile de la Russie sur elle-même. Ce repli ne permettrait pas l'envol d'une technologie soviétique autonome et provoquerait en fin de compte un recul sur le plan militaire. L'analyse est juste. Mais, malgré ce calcul russe et malgré la présence des divisions de l'Armée Rouge, Gorbatchev prend plusieurs risques: tomber sous la dépendance de l'Europe sur le plan technologique, mécontenter de larges strates du peuple soviétique peu habituées à la concurrence libérale, amorcer un processus de dissolution des franges marginales de son empire. Du coup, les Européens peuvent lui renvoyer la balle et dire que l'idée de la "maison commune" les intéresse, à condition que les Europes (CEE + AELE, sans discrimination) soient ses seuls fournisseurs de biens technologiques, qu'il accepte de livrer des matières premières à prix concurrentiels, qu'il évacue le glacis centre-européen, que les principes fédéralistes de la constitution soviétique soient réellement appliqués, y compris dans les pays baltes. Que Gorbatchev se rassure: l'éventuelle désagrégation des franges marginales de l'Empire ne portera pas atteinte à l'identité du peuple russe, si celui-ci prend réellement au sérieux les implications du projet de "maison commune". Ce qui signifie qu'il pourra s'ouvrir sans obstacle à l'Europe et que, simultanément, tous les Européens pourront s'ouvrir aux potentialités du territoire russe, Sibérie comprise.

 

Pour les nouveaux diplomates soviétiques (D1, IJ2, L4, P3), la "maison commune" constitue un projet dynamique collectif, auquel tous les Européens doivent participer indépendamment de l'idéologie qu'ils professent et appliquent. Il s'agit en outre d'un processus d'intégration qui rencontre les vœux séculaires des partisans de l'Europe unie. La diversité européenne postule une architecture politique complexe et souple, de façon à éviter les gâchis des deux guerres mondiales. Lesquelles prouvent que plus aucun problème ne peut être résolu par les armes sur le continent européen. La similitude entre ce discours et la notion de jus publicum europaeum  chez Carl Schmitt est évidente. Le jus publicum europaeum, c'était la limitation et la modération des conflits à l'intérieur du continent européen et/ou de la chrétienté, assorti du recours constant à la négociation. Aujourd'hui, expliquent les diplomates soviétiques, la recréation d'un jus publicum europaeum  sous la dénomination simple et concrète de "maison commune", postule non un désarmement unilatéral mais un alignement des systèmes militaires sur les critères de la défensive, peut-être selon les modèles suisse et yougoslave. Ensuite, ils suggèrent une accentuation des coopérations économiques inter-européennes. 95% des échanges entre Européens de l'Est et Européens de l'Ouest ne concernent rien que l'Europe, ce qui prouve, ajoute le Soviétique Lomejko (L4), que la "maison commune", considérée comme entité globale, pourrait vivre en une autarcie relative, avec un surplus d'indépendance vis-à-vis du reste du monde.

 

Devant ce nouveau discours gorbatchévien, les Occidentaux restent perplexes. Pour les Américains (Z2), c'est "une métaphore sans contenu précis" mais qui vise, si l'on sait lire entre les lignes, l'élimination des Etats-Unis sur le continent européen ou, du moins, une minimisation drastique de leur rôle dans la défense et l'économie européennes. Et l'Américain Zinner suggère un modus vivendi:  déconstruction de l'armement nucléaire américain en Europe si les Soviétiques en font autant; maintien de la présence économique américaine à part égale avec les Soviétiques. Les Etats-Unis ne renoncent pas au marché européen et entendent conserver la plus-value qu'ils retirent du contrôle des grands axes maritimes, plus-value qui se rétécirait comme une peau de chagrin si les flux d'échanges basculent vers l'Eurasie. Quant au porte-parole européen du débat organisé par le Club de Berlin, Wichard Woyke (W4), il se dit séduit par les propositions de Gorbatchev mais reste simplement prudent et refuse toute précipitation!

 

La "maison commune" partage donc bien des points communs avec l'idéal grand-européen qui a toujours été le nôtre et je concède qu'il est quelque peu vexant de le voir confisquer aujourd'hui par Gorbatchev. Mais voilà, l'idée grande-européenne est tellement évidente, la coopération entre toutes les nations d'Europe une nécessité historique vitale, qu'on devait tôt ou tard y aboutir sur l'ensemble du continent, y compris à Moscou. Evidemment —et c'est là que réside le danger—  Gorbatchev n'a pas beaucoup d'autres atouts dans son jeu que sa belle rhétorique; les remarques de Paul Zinner, porte-paroles des Etats-Unis, ne sont donc pas dépourvues de pertinence. L'économie soviétique est dans un état déplorable. Mais son armée est toujours là et elle est la plus puissante en Europe, même si la propagande de l'OTAN a quelque peu exagéré les chiffres. Sans concessions sous le couvert de l'idéal de la "maison commune", Polonais et Soviétiques passeraient mal l'hiver, puisque leurs stocks sont quasi vides. Il faut donc bien que les Occidentaux les remplissent. C'est la raison pour laquelle les virtualités du discours gorbatchévien doivent être exploitées à fond et dans le sens de nos intérêts car les Européens doivent prendre leurs rivaux américains et japonais de vitesse en proposant, sur base des arguments de Lomejko (L4), une idéologie corrigée de la "maison commune" intégrant ET les intérêts européens (ceux de la CEE ainsi que ceux de l'AELE) ET les intérêts soviétiques, tout en annulant les nombreux points confus où les Soviétiques, en bons joueurs d'échec, pourraient faire montre de duplicité. Au fond, l'Américain Zinner (Z2) ne propose rien d'autre: un pacte américano-soviétique de neutralisation de l'Europe. A nous de proposer un pacte euro-soviétique, faisant pièce à l'impérialisme américain.

 

Car, si un nouvel espace euro-centré devait voir le jour, il ne pourrait plus être organisé selon les critères du communisme puisque ces recettes se sont avérées totalement improductives. Mais comme le libéralisme à l'occidentale affaiblit le politique, cette seule instance apte à faire passer les décisions du virtuel au réel; comme le libéralisme ne semble plus capable d'assurer le plein-emploi, c'est-à-dire la maximisation des capacités créatrices de nos peuples et non pas seulement la simple maximisation du profit dans le sens où l'entendent les idéologies matérialistes libérales; comme le libéralisme ne peut servir de modèle aux peuples de l'Est, habitués aux réflexes collectifs même si ceux-ci ont été dénaturés par la rigidité communiste, il est évident que l'organisation socio-économique de l'Europe réunifiée de l'avenir devra faire référence à d'autres théories, à des théories alternatives. Une dissidente tchèque déclarait la semaine dernière à des journalistes occidentaux que jamais son peuple n'accepterait la logique marchande et qu'il s'insurgerait contre elle avec la même énergie que contre le communisme d'appareil. Déclaration qui nous force à admettre que les principes de l'intéressement et de la participation, chers au gaullisme des années 60 et moqués par la bonne conscience néo-libérale, ont l'avenir devant eux. C'est d'ailleurs la plus belle pierre que la France peut apporter à la construction du grand espace, de la "maison commune".

 

En effet, le printemps de Prague, écrasé en août 1968 par les chars de Brejnev, avait son théoricien de l'économie alternative: Ota Sik. Son œuvre, si elle était conjuguée aux travaux du MAUSS en France, aux projets des théoriciens de la régulation et aux critiques des économies "décontextualisantes", permettrait de combler une terrible lacune commune et au discours gorbatchévien et au discours des eurocrates: en effet, quel projet de société alternatif et innovant suggèrent-ils? Aucun. La tâche d'un mouvement comme le nôtre, au seuil des années 90, n'est-il pas de s'investir à fond dans ce type de recherche, afin de ne pas déchoir en simple supplément d'âme d'une société entièrement imprégnée de l'utilitarisme libéral? Car la vague néo-libérale n'a rien apporté de durable à nos sociétés et ceux qui, présents dans tous les partis de l'établissement, se sont trop facilement laissé séduire par le clinquant de son discours, vont rater le train des années 90, vont fermer leurs cerveaux aux idées d'avenir.

 

Mais revenons à la question allemande, qui verrouille encore et toujours le passage de l'Europe fragmentée à l'Europe totale. Parmi les projets de confédération et de réunification, que j'évoquais tout-à-l'heure, les questions de sécurité dominent. A gauche de l'échiquier politique, elles se mêlaient de considérations anti-militaristes et pacifistes. Ailleurs, la volonté de créer l'apaisement entre l'Est et l'Ouest, couplée à l'espoir toujours récurrent de la réunification, passait par une critique systématique des stratégies de l'OTAN, y compris dans les rangs chrétiens-démocrates. Ainsi, le Dr. Bernhard Friedmann, parlementaire CDU et responsable de plusieurs commissions parlementaires, publie en 1987 un livre qui fait l'effet d'une bombe (F5). La réunification, y explique-t-il, est le seul projet de sécurité collective pour l'Europe. L'Allemagne, comme jadis la France de De Gaulle, doit trouver un mode original d'insérer sa défense entre les deux gros, sans être un simple jouet entre leurs mains.

 

L'année suivante, le Professeur Willms, éminent politologue, qui a défini de manière particulièrement magistrale les concepts d'identité et de nation, suggère une "fédération centre-européenne", obéissant à des principes politiques véritablement alternatifs tels:

1) la représentation triple des professions, des régions et des partis;

2) un ordre économique repensé et

3) une défense renforcée à la mode helvétique.

 

De Gaulle avait suggéré des mesures analogues, du moins quant à la représentation. Les thèses de Willms (W2) doivent dès lors mobiliser l'attention des Français. Car elles permettent de transcender les logiques bloquantes de la partitocratie et de maximiser la représentation populaire au sein des parlements. Autre argument de poids avancé par Willms: la fédération centre-européenne ne peut fonctionner que sur base d'une amnistie réciproque, d'un "oubli" permettant à l'histoire de redémarrer après la parenthèse de la seconde guerre mondiale et de notre long après-guerre.

 

Le Général Kiessling, chassé de l'état-major de l'OTAN en 1984, vient, quant à lui, de publier un brûlot remarquable: Neutralität ist kein Verrat,  la neutralité n'est pas de la trahison (K2, K3). Dans cet ouvrage, il esquisse les grandes lignes d'un nouvel ordre européen. Parce que le statu quo est intenable. La volonté de rénover de fond en comble le statut de notre continent passe par une remise en question globale de tous les réflexes politiques et stratégiques auxquels nous avons été habitués depuis la guerre froide. C'est une contradiction insoluble de vouloir et la réunification et l'ancrage de la RFA dans les structures économiques et militaires occidentales. L'alignement sur l'Ouest, ce mot d'ordre d'Adenauer qui devait remplacer la raison d'Etat allemande, s'est révélé pure aberration. L'idée de réunification dans la neutralité est plus conforme aux principes généraux de la constitution démocratique de la RFA et permettrait d'insérer une Allemagne neutre entre les deux blocs, qui, ainsi, ne se feraient plus face directement.

 

C'est pourquoi Kiessling suggère un processus de réunification en huit étapes, passant 1) par le référendum populaire, 2) la constitution d'un conseil inter-allemand, 3) la reconstitution des Länder en RDA et la suppression de sa départementalisation, afin de redonner existence à des espaces homogènes et naturels et de supprimer des schémas administratifs desséchants, 4) la constitution d'une confédération allemande, 5) la réunification de Berlin, 6) l'élection d'une assemblée nationale constituante, 7) la proclamation de la République allemande, 8) la signature d'un traité de paix en bonne et due forme avec les Alliés de la seconde guerre mondiale. Cette République serait neutre et défendue par une armée unique de 300.000 hommes. La question reste ouverte de savoir si un pays comme l'Allemagne, avec des frontières ouvertes, sans protection naturelles, sauf les Alpes au Sud, peut se contenter d'une armée aussi dérisoire. La neutralité helvétique, malheureusement quelque peu battue en brèche lors de la "votation" de dimanche dernier, a été solide et durable parce que ce pays de 7 millions d'habitants peut mobiliser 650.000 hommes en 24 heures. Si ces proportions étaient appliquées à une Allemagne réunifiée, celle-ci devrait pouvoir mobiliser 7.400.000 hommes dans le même laps de temps!

 

Sur ce chapitre, la solution préconisée par le Colonel d.r. Lothar Penz (P2) est une imbrication de l'armée permanente, hyper-professionnalisée, dans des structures de défense populaire locale et dans la défense civile. Les brigades se mouvraient dans des zones territoriales bien circonscrites et constitueraient un système exclusivement défensif, procédant par "maillage" du territoire. Une Allemagne (ou une Europe centrale), défendue selon de telles stratégies, apaiserait et dissuaderait simultanément l'URSS. Le point commun des discussions lancées par Löser (L5), Kiessling (K2, K3) et Penz (P2), c'est la volonté de déconstruire les systèmes stratégiques offensifs qui forment la politique de l'OTAN et du Pacte de Varsovie, tout en garantissant une sécurité solide et crédible pour l'Europe.

 

En matière de politiques alternatives sérieuses, préconisées par des hommes compétents, ayant pignon sur rue, le terrain a été préparé en République Fédérale. Nous avions donc raison d'insister sur l'importance de ces projets dans les colonnes de notre presse et à la tribune de notre mouvement de pensée. D'autant plus, que le Chancelier Kohl lui-même vient de suggérer un processus de réunification simplifié, calqué sur toutes ces idées qui courent depuis quelques années. Kohl voit la réunification se produire en dix étapes, prévoyant des élections libres en RDA; ainsi que la création de "structures confédératives" et, enfin, la réunification après un référendum populaire. Cela ne manque pas de piquant, lorsque l'on sait que ce même chancelier avait traité les suggestions de Friedmann d'"insensées" (F5).

 

Le processus de réunification est donc en marche, qu'on le veuille ou non, qu'on le trouve trop lent ou trop rapide, qu'on estime ou non qu'il est grèvé de dangers et d'illusions. Alain Minc disait d'ailleurs, avec sa pertinence habituelle, dans La grande illusion  (M8), que le Mur de Berlin protégeait l'Est de l'Ouest au temps de l'immobilisme diplomatique soviétique mais qu'il s'est mis à protéger l'Ouest de l'Est dès que s'est enclenchée la politique de charme de Gorbatchev! Maintenant que le Mur n'existe plus, c'est toute la rigidité des conceptions atlantistes qui est ébranlée. Les craintes habituelles de l'Occident, des éditorialistes américains et des publicistes français, qui en restent aux conceptions de Richelieu, ne se sont plus guère fait entendre (L1). Ce qui inquiète l'Occident, c'est l'éventuel retrait de la RFA de la CEE et de l'OTAN. Si l'Alliance atlantique devient effectivement redondante et qu'elle est davantage un magasin où les Etats-Unis écoulent leurs vieux stocks militaires, comme nous le souligne très justement l'Amiral Sanguinetti, il est quelque peu hardi d'affirmer que la RFA va tout de go renoncer à ses débouchés ouest-européens et à ses investissements industriels, notamment en Espagne et au Portugal. La RFA et les autres pays de la CEE ont désormais l'occasion de pratiquer une politique économique qui ne se réduit pas à l'Europe hémiplégique qu'est la CEE mais de s'assigner pour terrain de manœuvre l'Europe Totale, CEE, AELE et COMECON compris, des Açores au Détroit de Bering! Avec Régis Debray, nous disons: faisons l'Europe TOUS AZIMUTS!

 

Mais ce n'est pas seulement la perestroïka et le projet de "maison commune" qui ont suscité la nouvelle synergie. Un projet de l'OTAN a lui aussi provoqué un déclic. Quand le scénario des manœuvres dites Wintex-Cimex de février-mars 1989 a été publié, il a provoqué un véritable tollé en Allemagne fédérale. En effet, dans ce charmant exercice, les militaires américains avaient prévu un conflit en Europe centrale qui ne se résolvait que par le lancement de 17 têtes nucléaires sur les territoires allemand, tchèque, hongrois et polonais. Le territoire soviétique était épargné, de crainte que des représailles ne frappent le territoire américain. L'Europe, depuis toujours, n'a été considérée que comme un terrain de bataille dans les stratégies américaines (S16, M4). Une seule alternative pour les Européens, comme titrait Der Spiegel:  "se sacrifier" (AA8). Entre le sacrifice exigé par les Etats-Unis et la prospérité promise par l'idéal de la "maison commune", il n'est pas difficile de comprendre pourquoi l'opinion publique allemande choisit de préférence le second terme de l'alternative. Même les politiciens de la CDU ont rué dans les brancards (AA9). L'Amiral Schmähling et les généraux Altenburg et Mack ont annoncé qu'en cas de conflit et d'application d'une telle stratégie criminelle, l'OTAN ne devait pas compter sur eux (S8). Déclaration qui équivaut à une démission pure et simple des principaux cadres de la Bundeswehr, fer de lance conventionnel de l'OTAN.

 

Cette gaffe gigantesque, commise par le Pentagone, a apporté de l'eau au moulin de Gorbatchev et révélé deux choses lourdes de concrétude: l'Europe ne peut survivre qu'en pratiquant une politique globale commune et en instaurant une défense commune, strictement défensive et en toute autonomie.

 

Le scénario des manœuvres Wintex-Cimex rend par conséquence le processus de réunification irréversible, de même que le rapprochement inter-européen, prélude à une confédération voire une fédération grande-européenne.

 

Depuis quelques années, nous avons défendu, à cette tribune, la théorie des "trois Europes", avec une Europe occidentale, sous influence américaine, ensuite une Europe centrale neutre ou en voie de neutralisation (s'étendant de la Suède à la Grèce), et, enfin, une Europe maintenue sous la coupe soviétique. Sur le plan économique, ces trois Europes correspondent peu ou prou à la CEE, l'AELE et le COMECON; sur le plan militaire, à l'OTAN, aux neutres et au Pacte de Varsovie. Nos vœux nous portaient à espérer un élargissement maximal de la zone centrale neutre, au détriment des zones d'influence soviétique et américaine. L'explosion de cet automne en RDA et la quasi neutralisation de la Hongrie ont accéléré ce processus de manière inattendue et l'agitation en Moldavie, dans les pays baltes, en Ukraine et en Biélorussie (B2, D8, G5, L2, S20, V3, Z1) ont jeté le doute sur la cohérence de l'URSS elle-même. N'oublions pas de mentionner aussi les manifestations tsaristes et l'audace du mouvement Pamyat à Moscou et à Leningrad. Toutes ces manifestations sont nationalistes et identitaires: elles contestent la perestroïka parce qu'elle est une idée abstraite et qu'elle pourrait introduire en Russie un libéralisme destructeur des identités. De cette façon, les visées impérialistes que pourrait dissimuler la stratégie soft  du Kremlin à l'heure de Gorbatchev se voient annulées par la pression qu'exercent en aval les nationalistes russes, baltes, ukrainiens, etc. sur la politique intérieure de l'URSS. Quand Gorbatchev avait lancé sa politique de restructuration, de perestroïka, en 1985, les problèmes nationaux n'étaient pas à l'ordre du jour; en bonne logique marxiste et réformiste, le progrès devait advenir tout simplement par régulations des paradigmes de gestion en matières économiques. Le 6 janvier 1986, dans les colonnes de la Pravda,  Gorbatchev déclare qu'il faut se débarrasser des réflexes nationaux archaïques et se vouer entièrement à un nouvel internationalisme prolétarien. Sous la pression des événements, cet optimisme progressiste très conventionnel fera long feu. Deux années plus tard, en juin 1988, Gorbatchev doit bien constater que la résistance à son projet internationaliste initial n'est pas venue des vieux cénacles brejnéviens, très minoritaires et complètement discrédités, mais des linéaments pré-marxistes, nationaux, qui structurent la mémoire des peuples de la grande fédération soviétique. Mieux: des groupes de pression mixtes, mi-nationaux mi-écologistes, contestent l'ensemble des structures soviétiques, voire la légitimité même de l'appareil. La perestroïka a ouvert la boîte de Pandore... 

 

L'Europe post-communiste est donc en marche (S13); l'idéologie communiste a largement fait faillite, comme idée et comme pratique. Ce qui implique que l'URSS en tant que puissance mondiale ne dispose plus de cinquièmes colonnes dynamiques dans les pays occidentaux; c'est également une des raisons du profil bas qu'adopte Gorbatchev car l'histoire de ce siècle nous enseigne que l'arme la plus redoutable de Moscou a précisément été cette cinquième colonne. Et si les services américains ont sans doute tablé sur les crypto-libéraux parmi les réformistes gorbatchéviens, ils ont fait chou blanc. Nous autres, en revanche, partisans des identités européennes, pouvont développer notre propre cinquième colonne parmi les nationalistes russes et non-russes d'URSS et parmi les écologistes indépendants. Parallèlement à cette évolution, les Etats-Unis accusent un sérieux déclin, après la parenthèse du reaganisme, plus verbale que concrète. Le professeur Paul Kennedy (K19) a tiré le bilan: lorsque la puissance dominante ne détient plus le leadership technologique absolu ni une incontestable supériorité économique en tous domaines, elle entre dans une phase de déclin. Déclin qui, pour les Etats-Unis, s'est symbolisé tout récemment par l'acquisition du Manhattan Center Building  par les Japonais. 

 

Sur cet arrière-plan de déclin des deux super-gros, nous n'avons pas encore eu le temps, en Europe occidentale, d'esquisser un scénario affirmateur, où se trouveraient condensés toutes nos aspirations et tous nos intérêts. C'est une faiblesse. François Schlosser, dans Le Nouvel Observateur  (S7), oppose un scénario positif à un scénario négatif. Ce dernier est une Europe nouvelle, auto-centrée autour de l'Allemagne, pays Baltes compris. Son scénario positif, c'est tout simplement un statu quo amélioré. Les pays européens du Comecon y sont positivement "finlandisés", ont reçu des institutions plus ou moins démocratiques et la CEE reste isolée sur elle-même. Les pays de l'AELE, eux, restent tels quels. Pour l'idéologie soft, qu'elle soit libérale ou socialoïde, ce statu quo amélioré est parfait: les économies se sont légèrement interpénétrées; les pays de l'Est sont gardés ou non par l'Armée Rouge si cela amuse encore Moscou mais il n'y a pas de grand espace européen, pas d'auto-centrage, pas de fusion, pas de réelle "maison commune". Les multinationales peuvent donc faire de bonnes affaires et améliorer leurs bilans. Les Etats-Unis restent économiquement présents en Europe, comme le souhaite Zinner (Z2). Valéry Giscard d'Estaing rejoint cette position lorsqu'il déclare à Paris-Match  (G4) que la CEE ne peut se dissoudre dans une Europe de l'Atlantique à l'Oural. La soft-idéologie ambiante, l'établissement, l'espace de la pensée marchande, sont des partisans de la toute petite Europe... Et des adversaires de l'Europe Totale: nos adversaires...

 

Le mauvais scénario, pour François Schlosser, c'est celui d'une Europe allemande, c'est-à-dire recentrée autour de l'Allemagne réunifiée. Ce qui effraie en fait Schlosser, ce n'est pas tant la germanisation proprement dite que l'autonomisation spontanée de l'Europe par rapport aux stratégies des multinationales, l'émergeance de nouveaux circuits et flux économiques, annulant l'effet de la division et de la balkanisation de l'Europe. Quoi qu'il en soit, l'Allemagne étant le centre du continent européen, toutes les relations économiques et commerciales devront nécessairement passer par son territoire. Le commerce italo-scandinave, hollando-hongrois, anglo-roumain, etc. passe obligatoirement par le territoire allemand. Ensuite, le processus d'unification du continent passe également par les relations bilatérales tissées entre les petites nations de l'Est et de l'Ouest, méthode de détente qu'avait préconisée Pierre Harmel dans les années 60. Avec le dégel hongrois, ce processus est en train de reprendre de plus belle (B12, H3).

 

Quant à la France, dont les voies d'expansion économique ne portent pas vers l'Est ou vers les Balkans, son opinion publique doit savoir que des projets cohérents existent à Paris et en Allemagne pour pallier à cette situation (F6, K7). Depuis 1988, les observateurs allemands constatent que les craintes françaises de voir "dériver" l'Allemagne vers l'Est s'estompent et disparaissent (K7). Sous l'impulsion de quelques cercles diplomatiques et, en apparence sous l'oeil bienveillant de Mitterand, Français et Allemands envisagent une Ostpolitik  commune. Richard von Weizsäcker le déclare en outre à Moscou: "La France et l'Allemagne peuvent collaborer [en Europe orientale et en URSS]. Il n'y a pas en ce domaine de voie allemande solitaire. Ce serait contre nos propres intérêts" (F6). D'importants cercles diplomatiques français abandonnent donc le vieil isolationisme récurrent de Paris, enterrent la méfiance héréditaire à l'égard de l'Allemagne, se distancient de l'idée d'une Europe exclusivement latine et carolingienne, renoncent à vouloir ancrer à tout prix la RFA à l'Ouest et adhèrent désormais à une forme de nationalisme grand-européen (K7). Ce sont là des tendances qu'il faut accentuer et qu'un visionnaire comme Jean Parvulesco a aperçu depuis longtemps déjà (P1, D5). A-t-il raison de dire que le grand projet gaullien de libération continentale, de libération eurasiatique, est en train de revenir subrepticement, à pas furtifs? Peut-être. Il est encore trop tôt pour répondre. L'histoire le confirmera ou l'infirmera.

 

Que la réunification plus que probable fasse imploser la CEE, que l'adhésion éventuelle de la Finlande, de la Pologne ou de la Hongrie à la CEE provoque un basculement tel qu'elle en acquiert un tout autre visage, l'important c'est qu'advienne, à l'aube du IIIième millénaire, l'Europe Totale que nous appelons de nos vœux. Mais la tâche sera lourde pour nous, si nous voulons participer à la construction de cet immense édifice. Nous devrons travailler avec plus d'énergie que jamais. Toutes les recettes de notre long après-guerre ont échoué. Plus aucune d'entre elles n'est intellectuellement satisfaisante. Il nous faut des systèmes sociaux nouveaux, obéissant à de tout autres principes. Il faut créer un droit adapté aux fantastiques innovations de notre siècle. Il faut réorganiser et redessiner nos territoires administratifs selon le mode des Länder allemands ou des cantons suisses, afin que toutes les spécificités qui constituent notre continent puissent être représentées valablement; ce n'est d'ailleurs pas un hasard si Kiessling demande la fin de la départementalisation en RDA et la reconstitution des anciennes provinces. Enfin, nos armées devront être restructurées de fond en comble et dégagées de cette Alliance contre-nature qu'est l'OTAN.

 

Ces travaux innombrables et herculéens, auxquels notre mouvement de pensée devra participer, signalent que l'histoire est revenue et qu'elle nous interpelle. Ce que Jean Parvulesco appelle l'"ensoleillement ontologique" illuminera le cœur de nombreux citoyens d'Europe. Car elle revient la saison rougeoyante des Grands Brasiers et la forteresse révolutionnaire d'avant-garde achève de se construire dans quelques cerveaux hardis...

 

J'espère que cette salle en compte quelques-uns et qu'ils accompliront ce que l'Histoire commande, quand tombe le crépuscule des blocs et que s'annonce l'aurore des peuples.

 

Je vous remercie. 

 

Bibliographie:

 

A.

 

A1) Herbert AMMON - Theodor SCHWEISFURTH, Friedensvertrag. Deutsche Konföderation. Europäisches Sicherheitssystem. Denkschrift zur Verwirklichung einer europäischen Friedensordnung,  Ibf, Starnberg, 1985.

 

A2) Dominique AUDIBERT, "Hongrie: un réveil désordonné", Le Point,  890, 9 octobre 1989.

 

A3) Dominique AUDIBERT, "Hongrie: Bye, bye Lénine,...", Le Point,  891, 16 octobre 1989.

 

A4) Rudolf AUGSTEIN, "Ami, Go Home", Der Spiegel,  19/1989.

 

B.

 

B1) Egon BAHR, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel,  19/1989.

 

B2) Arnulf BARING, "Zerfällt das Zarenreich?", Frankfurter Allgemeine Zeitung,  13. Sept. 1989.

 

B3) Jörg BECKER, "US-amerikanischer Einfluß auf die Medien", in Eckart SPOO, op. cit.

 

B4) Volker BEECKEN, "Der Europagedanke: Deutsche Antwort oder bundesdeutsche Lebenslüge?", in SCHLEE, op. cit.

 

B4 bis) Hermann von BERG, "Der Weg zur Einheit wird frei", Mut,  266, Okt. 1989.

 

B5) Pierre BLANCHET, "Europe de l'Est: après l'effondrement du système totalitaire. Sur les décombres, quoi?", débat avec la participation d'Alexandre ADLER, Claude LEFORT, Paul THIBAUT, Alain BESANÇON, Hélène CARRERE d'ENCAUSSE, Pierre HASSNER, Thierry de MONTBRIAL, Christophe BERTRAM, Helmut SONNENFELDT, in Le Nouvel Observateur,  2-8 novembre 1989.

 

B6) Volker BÖGE - Peter WILKE, Sicherheitspolitische Alternativen. Bestandaufnahme und Vorschläge zur Diskussion,  Nomos, Baden-Baden, 1984.

 

B7) F. BOLDT, "Mitteleuropa - Aktuelle Visionen seiner zukünftigen Gestalt", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

B8) Dieter BORKOWSKI, Erich Honecker. Statthalter Moskaus oder deutscher Patriot,  Bertelsmann, München, 1987.

 

B9) Wilhelm BRAUNEDER, "Juristisches Mitteleuropa. Die Rechtstraditionen gemeinsamer Kultur", Mut,  246, Februar 1988.

 

B10) Karen BRESLAU, "Are These the Taiwans of Europe?", Newsweek, November 13, 1989.

 

B11) Pierre BRIANÇON, "Pays de l'Est: Moscou joue la non-ingérence. Mais limitée", Le Point,  891, 16 octobre 1989.

 

B12) Georg BRUNNER, "Die Bedeutung der kleineren Staaten des Warschauer Pakts für das Ost-West-Verhältnis", in JACOBSEN et alii, op. cit.

 

B13) H.-P. BURMEISTER, F. BOLDT, Gy. MESZAROS (Hrsg.), Mitteleuropa. Traum oder Trauma? Überlegungen zum Selbstbild einer Region,  Temmen, Bremen, 1988.

 

Addendum:

 

B14) Justus B. BÜHLOW, Ostrevolution,  Sinus, Krefeld, 1981.

 

C.

 

C1) James de CANDOLE, "Václav Havel as a Conservative Thinker", The Salisbury Review,  Vol. 7, Nr. 2, December 1988.

 

C2) Jean CAU, "Elle ne se fara pas la réunification? Blague colossale! Elle est déjà faite!", Paris-Match,  23 novembre 1989.

 

C3) Yves CUAU, "La fin de l'après-guerre", Le Vif-L'Express,  352/2002, 17-23 novembre 1989.

 

C4) Arthur CONTE, "Aujourd'hui la mystique communiste est enterrée et Khomeiny prend la relève de Lénine", Paris-Match,  23 novembre 1989.

 

C5) Gordon A. CRAIG, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel, 1989.

 

D.

 

D1) Wjatscheslaw I. DASCHITSCHEW, "Das gesamteuropäische Haus und die deutsche Frage", in Mut,  267, Nov. 1989.

 

D2) Alain DAUVERGNE, "CEE: le risque d'implosion", Le Point,  888, 25 septembre 1989.

 

D3) Régis DEBRAY, Tous azimuts,  Ed. Odile Jacob, Paris, 1989.

 

D4) Patrick DEMERIN, Passion d'Allemagne. Une citadelle instable,  Ed. Autrement, Paris, 1986.

 

D5) Dominique DE ROUX, L'écriture de Charles De Gaulle,  Trédaniel, Paris, 1989.

 

D6) James F. DOBBINS, "Die Vereinigten Staaten von Amerika, die Sowjetunion und die Deutschlandpolitik", Mut, 257, Jan. 1989.

 

D7) Andreas DOLLFUS, "Europa JA - Zentralismus NEIN", Mut,  258, Feb. 1989.

 

D8) Juris DREIFELDS, "Latvian National Rebirth", Problems of Communism, July-August 1989.

 

D9) François-Georges DREYFUS, Les Allemands entre l'Est et l'Ouest, Albatros, Paris, 1987.

 

D10) Heinrich DRIMMEL, Die Antipoden. Die Neue Welt in den USA und Österreich vor 1918,  Amalthea, Wien/München, 1984.

 

D11) Heinz DÜRR, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel, 45/1989.

 

E.

 

E1) Horst EHMKE, "Perspektiven des europäisch-amerikanischen Verhältnisses in den neunziger Jahre", Europa Archiv, 44. Jahr, 15/16, 25. August 1989.

 

F.

 

F1) Ferenc FEHER/Agnès HELLER, Gauche de l'Est - Gauche de l'Ouest (contribution à la morphologie d'une relation problématique),  Index (Etude n°10), Köln, 1985.

 

F2) Karl FELDMEYER, "Die Rückkehr der deutschen Frage", Mut,  266, Okt. 1989.

 

F3) Andrzej FLIS, "Crisis and Political Ritual in Postwar Poland", Problems of Communism,  May-August 1989.

 

F4) Dieter FÖTISCH, "Die wirtschaftlichen Folgen der deutschen Wiedervereinigung", Criticón,  114, Juli/August 1989.

 

F5) Bernhard FRIEDMANN, Einheit statt Raketen. Thesen zur Wiedervereinigung als Sicherheitskonzept,  Busse-Seewald, Herford, 1987.

 

F6) Renata FRITSCH-BOURNAZEL, "Paris-Bonn: Wachsende Chancen gemeinsamer Ostpolitik?", in JACOBSEN et alii, op. cit.

 

G.

 

G1) Marie-France GARAUD (éd.), numéro spécial de la revue Géopolitique, été 1989.

 

G2) Hans-Dietrich GENSCHER, Interview accordée à Der Spiegel,  39/1989.

 

G3) Manfred GERLACH, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel, 45/1989.

 

G4) Valéry GISCARD d'ESTAING, Interview accordé à Laurence MASUREL pour Paris-Match,  23 Novembre 1989.

 

G5) Paul GOBLE, "Soviet Ethnic Politics", Problems of Communism,  July-August 1989.

 

G6) Günter GRASS, "Je ne crois pas à la réunification mais à la confédération des deux Etats", Paris-Match,  23 novembre 1989.

 

G7) Annemarie GROSSE-JÜTTE, "Profile neutraler/blockfreier Sicherheits- und Verteidigungspolitik", in Dieter LUTZ/A. GROSSE-JÜTTE, op. cit.

 

H.

 

H1) Christian HACKE, "Ein deutscher Patriot im Gegenstrom der Nachkriegsentwicklung. Zum 100. Geburtstag von Jakob Kaiser", Deutschland Archiv,  Februar 1988.

 

H2) Karl-Eckhard HAHN, "Westeuropäische Integration, mitteleuropäisches Tauwetter und die deutsche Frage", Criticón, 113, Mai/Juni 1989.

 

H3) János HAJDU, "Die Bedeutung der kleineren Staaten Europas für das Ost-West-Verhältnis", in JACOBSEN et alii, op. cit.

 

H4) P. HANAK, "Schöpferische Kraft und Pluralität in der mitteleuropäischen Kultur", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

H5) P. HANAK, "Mitteleuropa als historische Region der Neuzeit", Ibid.

 

H6) Peter HAUNGS (Hrsg.), Europäisierung Europas?,  Nomos, Baden-Baden, 1989.

 

H7) Václav HAVEL, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel, 45/1989.

 

H8) Kurt HEISSIG, "Deutschland und der Freiheitskampf Ost-Mitteleuropas", Die Aula,  7-8/1987.

 

H9) Stefan HEYM, "Hurra für den Pöbel", Der Spiegel,  45/1989.

 

H10) Rudolf HILF, Deutsche und Tschechen. Bedeutung und Wandlungen einer Nachbarschaft in Mitteleuropa mit einem Exkurs zur deutschen Frage,  Leske + Budrich, Opladen, 1986.

 

H11) Klaus HORNUNG, "Gorbatschow auf Lenin-Kurs. Moskau, die Deutsche Frage und der "neue Stil"", Mut,  260, April 1989.

 

I/J.

 

IJ1) Eckhard JESSE, "Der "dritte Weg" in der deutschen Frage. Über die Aktualität, Problematik und Randständigkeit einer deutschlanpolitischen Position", Deutschland Archiv,  22. Jahr, Nr. 5/1989.

 

IJ2) Hanns-D. JACOBSEN, Heinrich MACHOWSKI, Dirk SAGER (Hrsg.), Perspektiven für die Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa. Festschrift zum 20-jährigen Bestehen des Politischen Clubs Berlin,  Nomos, Baden-Baden, 1989.

 

K.

 

K1) Heinz J. KIEFER, "Die Europäische Nation Deutschland", Mut,  261, Mai 1989.

 

K2) Günter KIESSLING, Neutralität ist kein Verrat. Entwurf einer europäischen Friedensordnung,  Straube, Erlangen, 1989.

 

K3) Günter KIESSLING, "Abrüstung und deutsche Frage", in Europa. Nationaleuropäisches Forum,  2/1989.

 

K4) Klaus Peter KISKER, "Veränderungen in den ökonomischen Beziehungen USA-BRD", in Eckart SPOO, op. cit.

 

K5) Hans-Helmuth KNÜTTER; "Die westdeutschen Parteien und der Antifaschismus", Mut,  266, Okt. 1989.

 

K6) Mauno KOIVISTO, Interview accordée à l'hebdomadaire Der Spiegel, 37/1989.

 

K7) Ingo KOLBOOM, "Ostpolitik als deutsch-französische Herausforderung", Europa Archiv,  44. Jahr, 4, 25. Februar 1989.

 

K8) György KONRAD, Antipolitik. Mitteleuropäische Meditationen,  Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1985.

 

K9) György KONRAD, "Mein Traum von Europa", in Kursbuch,  81, Sept. 1985.

 

K10) György KONRAD, "Den westlichen Höhlenforschern zur Aufmerksamkeit empfohlen", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

K11) Michel KORINMAN, "Naissance et renaissance d'un projet géopolitique", Hérodote,  48, Janv.-mars 1988.

 

K12) Hartmut KOSCHYK, Die Zukunft Deutschlands in Europa,  BdV, Bonn, 1989.

 

K13) A. KRASINSKI, "Mitteleuropa", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

K14) Charles KRAUTHAMMER, "Return of the German Question", Time, September 25, 1989.

 

K15) J. KREN, "Historische Wandlungen des Tschechentums", in BURMEISTER  et alii, op. cit.

 

K16) Detlev KÜHN, "Nachdenken über Deutschland - und handeln", Mut,  253, Sept. 1988.

 

K17) Detlef KÜHN, "Noch in diesem Jahrhundert", Mut, 266, Okt. 1989.

 

K18) Milan KUNDERA, "Das Abenteuer des europäischen Romans. Ein Gespräch mit dem tschechischen Schriftsteller Milan Kundera", Beilage der Süddeutschen Zeitung zur Frankfurter Buchmesse,  7. Okt. 1987.

 

Addendum:

 

K19) Paul KENNEDY, The Rise and Fall of the Great Powers. Economic Change and Military Conflict from 1500 to 2000,  Random House, New York, 1987.

 

L.

 

L1) Pierre LELLOUCHE, "Au péril de l'Alliance", Le Point,  888, 25 septembre 1989.

 

L2) Egil LEVITS, "Der politische Aufbruch in den baltischen Staaten. Das Problem der Selbstbestimmung der nichtrussischen Völker in der Sowjetunion", Europa Archiv,  44. Jahr, 13, 10. Juli 1989.

 

L3) Werner LINK, "Gesamteuropäische Kooperationsansätze und Perspektiven", in Peter HAUNGS, op. cit.

 

L4) Wladimir B. LOMEJKO, "Das "Haus Europa" aus sowjetischer Sicht", in JACOBSEN/MACHOWSKI/SAGER, op. cit.

 

L5) Jochen LÖSER - Ulrike SCHILLING, Neutralität für Mitteleuropa. Das Ende der Blöcke,  Bertelsmann, München, 1984.

 

L6) Alain LOUYOT, "Cinq scénarios pour l'Europe", Le Vif-L'Express, 352/2002, 17-23 novembre 1989.

 

L7) Dieter LUTZ - Annemarie GROSSE-JÜTTE (Hrsg.), Neutralität - Eine Alternative? Zur Militär- und Sicherheitspolitik neutraler Staaten in Europa,  Nomos, Baden-Baden, 1982.

 

M.

 

M1) Claudio MAGRIS, Introduction à Roman SCHNUR, op. cit.

 

M2) Elie MARCUSE, "Europa über alles! Une interview exclusive de Horst Teltschick, le plus proche conseiller du Chancelier Kohl", Le Vif-L'Express, 352/2002, 17-23 novembre 1989.

 

M3) Tadeusz MAZOWIECKI, Interview accordée à Der Spiegel,  39/1989.

 

M4) Alfred MERCHTERSHEIMER/Erich SCHMIDT-EENBOOM, "Die Rolle der Bundesrepublik Deutschland in der US-Militärdoktrin", in Eckart SPOO, op. cit.

 

M5) Michael MEYER, "Germany's Mission", Newsweek,  November 13, 1989.

 

M6) Adam MICHNIK, "Liegt die Existenz der DDR im Interesse Polens?", Der Spiegel,  42/1989.

 

M7) Werner MEYER-LARSEN, "Durchmuddeln mit George", Der Spiegel,  8/89.

 

N.

 

N1) Miklos NEMETH, Interview accordée à Der Spiegel,  43/1989.

 

N2) Günther NENNING, "Dieses deutsche Geisterreich...", Mut,  266, Okt. 1989.

 

N3) Thomas NOWOTNY, "Neutralitätspolitik", Europa Archiv,  44. Jahr, 13, 10. Juli 1989.

 

O.

 

O1) Achille OCCHETTO, "Neue Leitideen für eine europäische Linke. Etatismus und Neoliberalismus: eine falsche Alternative", Die Neue Gesellschaft/Frankfurter Hefte,  33. Jahrgang, 8, August 1985.

 

P.

 

P1) Jean PARVULESCO, Préface à Dominique De Roux, op. cit. (D5).

 

P2) Lothar PENZ, "Zukünftige Verteidigung", in Europa. Nationaleuropäisches Forum,  2/1989.

 

P3) Nikolaï PORTUGALOW, "Perestroïka im Bewußtsein der Deutschen. Die Zukunft der Bundesrepublik in einem Europa vom Atlantik bis zum Ural", Der Spiegel,  23/1989.

 

R.

 

R1) Jean-François REVEL, "Repartir à zéro", Le Point,  891, 16 octobre 1989.

 

R2) A.M. ROSENTHAL, "Alptraum für Westeuropa", Der Spiegel,  19/1989.

 

R3) Peter RUGE, Interview accordée à l'hebdomadaire Le Point,  888, 25 septembre 1989, p.35.

 

S.

 

S1) Tilo SCHABERT, "Die Atlantische Zivilisation. Über die Entstehung der einen Welt des Westens", in Peter HAUNGS, op. cit.

 

S2) Alfred SCHICKEL, "Schlesien, Brücke zwischen Deutschen und Polen", Mut,  253, Sept. 1988.

 

S3) Bruno SCHIER, West und Ost in den Volkskulturen Mitteleuropas, N.G. Elwert Verlag, Marburg, 1989.

 

S4) Emil SCHLEE (Hrsg.), Deutsche Frage - Deutsche Antworten,  Arndt, Kiel, 1985.

 

S5) Rolf SCHLIERER, "Wiedervereinigung und Europäische Union", Criticón, 113, Mai/Juni 1989.

 

S6) Karl SCHLÖGEL, Die Mitte liegt ostwärts. Die Deutschen, der verlorene Osten und Mitteleuropa,  Corso bei Siedler, Berlin, 1986.

 

S7) François SCHLOSSER, "La fin du bloc de l'Est? Quand l'Allemagne s'éveillera...", Le Nouvel Observateur,  2-8 novembre 1989.

 

S8) Elmar SCHMÄHLING, "Unsere Existenz ist unmittelbar berührt. Die Atomstrategie der NATO", Der Spiegel,  18/1989.

 

S9) Roman SCHNUR, Transversale. Spurensicherungen in Mitteleuropa, Karolinger, Wien, 1988.

 

S10) Thomas SCHREIBER, "La permanence du problème national en Europe centrale et orientale", Hérodote,  48, janv.-mars 1988.

 

S11) Wolfgang SCHULLER, "Zusammengehörigkeit über Systemgrenzen", Mut,  246, Februar 1988.

 

S12) Peter SCHWAN, "Europa als Dritte Kraft", in Peter HAUNGS, op. cit.

 

S13) Hans-Peter SCHWARZ, "Auf dem Weg zum post-kommunistischen Europas", Europa Archiv,  44. Jahr, 11, 10. Juni 1989.

 

S14) Jaroslav SEDIVY, "Neue Bedingungen für die Beziehungen zwischen sozialistischen Staaten", Europa Archiv,  44. Jahr, 15/16, 25. August 1989.

 

S15) Thomas SHERLOCK, "Politics and History under Gorbachev", Problems of Communism,  May-August 1988.

 

S16) Eckart SPOO, Die Amerikaner in der Bundesrepublik. Besatzungsmacht oder Bündnispartner?,  Kiepenhauer & Witsch, Köln, 1989.

 

S17) Wolfgang STRAUSS, ""Nieder mit der Partei!"", in Europa. Nationaleuropäisches Forum,  2/1989.

 

S18) Carl Gustaf STRÖHM, "Bonn-Washington, eine zerrüttete Ehe?", Criticón, 113, Mai/Juni 1989.

 

S19) Scott SULLIVAN, "A German-Slav Affinity?", Newsweek,  November 13, 1989.

 

S20) Roman SZPORLUK, "Dilemmas of Russian Nationalism", Problems of Communism,  July-August 1989.

 

S21) J. SZÜCS, "Ungarns regionale Lage in Europa", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

T.

 

T1) Harald THOMAS, "Friedenszone nicht Schlachtfeld", in Europa. Nationaleuropäisches Forum,  2/1989.

 

T2) Piet TOMMISSEN, "De Grootruimtetheorie van wijlen Carl Schmitt", Dietsland Europa,  12/1985.

 

T3) Arnold TOYNBEE, A Study of History,  Volume 8, Oxford, OUP, 1954-63, pp. 126-150. Ibid., Volume 12 ("Reconsiderations"), pp. 536-546.

 

V.

 

V1) M. VAJDA, "Wer hat Rußland aus Europa ausgeschlossen?", in BURMEISTER et alii, op. cit.

 

V2) Georges VALANCE, "Une sacrée prise de poids", Le Point,  888, 25 septembre 1989.

 

V3) V. Stanley VARDYS, "Lithuanian National Politics", Problems of Communism,  July-August 1989.

 

V4) Michael VOGT, "Neutralität: Fakten und Gedanken zu einem politischen Tabu", in SCHLEE, op. cit.

 

V5) Karsten D. VOIGT, "Die Vereinigung Europas - Westeuropäische Integration und gesamteuropäische Kooperation", Europa Archiv,  44. Jahr, 13, 10. Juli 1989.

 

W.

 

W1) Karlheinz WEISSMANN, "Die konservative Option. Vorschläge für eine andere Politik", Criticón,  113, Mai/Juni 1989.

 

W2) Bernard WILLMS - Paul KLEINEWEFERS, Erneuerung aus der Mitte. Diesseits von Ost und West,  Busse-Seewald, Herford, 1988.

 

W3) Karel Van WOLFEREN, Vom Mythos der Unbesiegbaren. Anmerkungen zur Weltmacht Japan,  Droemer-Knaur, München, 1989.

 

W4) Wichard WOYKE, "Das "Haus Europa" aus westeuropäischer Sicht", in JABOBSEN et alii, op. cit.

 

Z.

 

Z1) Jan ZAPRUDNIK, "Bielorussian Reawakening", Problems of Communism, July-August 1989.

 

Z2) Paul E. ZINNER, "Das "gemeinsame Haus Europa" aus amerikanischer Sicht", in JACOBSEN et alii, op. cit.

 

 

Articles anonymes:

 

 

AA1) AA, "If two Germanies became one", The Economist, 2-8 September 1989.

 

AA2) AA, "Germanies in confusion", The Economist,  7-13 October 1989.

 

AA3) AA, "In Search of Central Europe", The Salisbury Review,  Vol. 6, Nr. 4, June 1988.

 

AA4) AA, "EG-Kommissar aus der DDR?", Der Spiegel,  44/1989.

 

AA5) AA, "Das Handels- und Industrieministerium Miti organisiert die Angriffe auf die Weltmärkte", Der Spiegel,  45/1989.

 

AA6) AA, "Deutschland, eine Supermacht?", Der Spiegel,  47/1989.

 

AA7) AA, "Der Umbruch im Warschauer Pakt macht Nato-Pläne zur Makulatur", Der Spiegel,  47/1989.

 

AA8) AA, "Wir Europäer sollen uns opfern", Der Spiegel,  17/1989.

 

AA9) AA, "Unsere Antwort wird Nein sein", Der Spiegel, 18/1989.

 

AA10) AA, "Der Iwan kommt - und feste druff. Wie die Amerikaner den großen Atomschlag in Europa übten", Der Spiegel,  18/1989.

 

AA11) AA, "Auf der Hut vor Deutschland", Der Spiegel,  19/1989.