jeudi, 05 novembre 2009
Eurasia: Continente autarchico!
Archives - 2004
Eurasia: Continente autarchico!
Che l’Eurasia possa divenire un continente autarchico non è un’utopia, ma lo confermano i freddi dati economici; per scongiurare tale eventualità, che metterebbe la parola fine alla globalizzazione capitalistica, i moloch del libero mercato stanno correndo ai ripari.
Peraltro, l’Eurasia è l’unico blocco potenziale che negli ultimi 25 anni abbia ridotto i consumi di petrolio a vantaggio di altre fonti energetiche, idrogeno, energia solare … e con il protocollo di Kyoto abbia almeno ipotizzato la possibilità di uno sviluppo economico alternativo.
Analizzando le stime accertate per quanto riguarda le riserve di greggio, gas naturale e carbone, possiamo facilmente comprendere gli scopi delle guerre statunitensi contro Afghanistan e Iraq: un disperato tentativo di accaparrarsi immensi giacimenti di materie prime, evitare un declino ormai irreversibile e mantenere uno stile di vita insostenibile (36,1% di emissioni di anidride carbonica nel mondo, a fronte di una popolazione del 4% circa dell’intero pianeta).
Ma lasciamo parlare le cifre. (1)
Il 65,4% delle riserve petrolifere accertate alla fine del 2002 si trovano in Medio Oriente, il 9,4% in Sudamerica e solo il 4,8% in America settentrionale; 8 milioni di barili di greggio vengono estratti ogni giorno in Arabia Saudita, 7,8 in Russia, 5,8 negli USA, 3,5 in Iran, 3,3 in Cina, 3,05 in Messico.
* Riserve di greggio (accertate al 2002 in miliardi di barili):
Asia del Pacifico: 38,7
Nord America: 49,9
Africa: 97,5
Eurasia: 97,5
Sud e Centro America: 98,6
Medio Oriente: 685,6
* Giacimenti di gas naturale (accertati al 2002, in migliaia di miliardi di m3):
Sud e Centro America: 7,08
Nord America: 7,15
Africa: 11,84
Asia del Pacifico: 12,61
Medio Oriente: 56,06
Eurasia: 61,04
* Disponibilità di carbone (accertate al 2002 in miliardi di tonnellate)
Medio Oriente: 1,7
Sud e Centro America: 21,8
Africa: 55,4
Nord America: 257,8
Asia del Pacifico: 292,5
Eurasia: 355,4
Ricapitolando, l’Eurasia possiede il doppio delle riserve di greggio degli Stati Uniti (la cui supremazia è ancora schiacciantemente detenuta dal Medio Oriente), è superiore di nove volte per quanto riguarda i giacimenti di gas naturale rispetto a quelli nordamericani e ha disponibilità di carbone per oltre 1/3 maggiore.
Teniamo inoltre presente che -in base agli scenari individuati dai ricercatori della multinazionale Royal Dutch Shell- si assisterà nei prossimi anni a una vera e propria corsa verso il gas naturale -risorsa della quale la Russia è ricchissima-; entro il 2010, esso sostituirà il carbone (che oggi costituisce il 24% della produzione d’energia primaria nel mondo), entro il 2020 il petrolio (ora al 35%).
Se teniamo presente la disponibilità manifestata da vari paesi arabi di vendere il proprio petrolio in euro (Iraq -poi aggredito- Libia, ma anche paesi dell’OPEC e Russia), riusciamo a immaginare facilmente perché oggi gli Stati Uniti stiano giocando allo «scontro di civiltà» e di quale portata sia il tradimento operato da quelle classi dirigenti europee che insistono a mantenerci legati al carro di Washington.
Una sovranità limitata che la nazione italiana paga in modo particolare; nel maggio 1994 viene completamente liberalizzato il prezzo dei prodotti petroliferi, dopo un lungo periodo nel quale esso veniva stabilito dal governo attraverso il CIP (Comitato interministeriale prezzi).
Premesso che il prezzo del petrolio incide in minima parte sul prezzo finale e che il 68% di quello di un litro di carburante è costituito da gravame fiscale che finisce nelle casse dello Stato, bisogna ricordare che rincari o ribassi del restante 32% segue l’andamento di logiche particolari, spesso legate al rapporto domanda-offerta ma che hanno in linea di massima origine negli Stati Uniti (che dominano il mercato mondiale con i loro 19,8 milioni di barili di greggio consumati ogni giorno).
Come rivela Gabriele Dossena sul “Corriere della Sera” «nella formazione delle quotazioni del greggio al New York merchantile exchange intervengono per esempio fattori come il calo delle scorte americane, oppure cambiamenti climatici locali che possono spingere la domanda oltre le previsioni… Un ruolo determinante lo rivestono pure le raffinerie, gli impianti in grado di trasformare il famoso barile di petrolio in una diversità di prodotti finiti…
Ebbene basta un guasto in una di queste raffinerie, oppure un improvviso spostamento della domanda dalla benzina al gasolio o più semplicemente una parziale inattività per manutenzione dell’impianto, ed ecco che i prezzi del prodotto finale come per incanto si impennano per tutto il resto della popolazione mondiale. C’è infatti un indice, sconosciuto ai non addetti ai lavori, che ogni giorno riporta l’andamento delle quotazioni di carburanti e prodotti finiti: è l’indice Platt’s (Platt’s oilgram price service), di origine americana, una sorta di bussola utilizzata dalle compagnie petrolifere per fissare i prezzi che poi vengono applicati in ogni parte del mondo». (2)
Se qualcuno finge ancora di non capire quanto ci costi la dipendenza dal protettorato a stelle e strisce e la logica del mondialismo usurocratico farebbe bene a svegliarsi: la battaglia finale per la “Terra di Mezzo” (l’Heartland) è da tempo iniziata; la coscienza del destino imperiale dell’Eurasia, blocco continentale autarchico e Tradizionale, dev’essere diffusa, pena l’estinzione nel magma indifferenziato del villaggio globale.
Stefano Vernole
Note:
(1) Tutti i dati riportati sono tratti dal “Corriere della sera - Documenti”, 20 giugno 2003, p. 5
(2) Gabriele Dossena, “C’è un guasto a una raffineria americana? Da noi benzina più cara”, ibidem
Ultimo aggiornamento: domenica 15 febbraio 2004
00:10 Publié dans Eurasisme | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : géopolitique, eurasie, eurasisme, europe, affaires européennes, asie, affaires asiatiques, économie | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Les commentaires sont fermés.