Engels e Marx omofobi e sessisti (e non lo sapevano…)
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La struggente lettera di Lorenzo “Voroshilov”Altobelli, pubblicata su questa testata il 13 agosto 2014 (cfr. Cronaca di una espulsione annunciata) mi ha fatto fare un piccolo salto indietro nel tempo, quando la sinistra comunista era conformata allo stalinismo e, come in una chiesa, si operava per ghettizzare, processare ed espellere i dissidenti, gli “apostati”, gli “eretici”. Non solo: nell’URSS, dopo l’omicidio di Sergej Kirov, importante dirigente del Partito Comunista a Leningrado, iniziò una vasta operazione di epurazione che con procedimenti giudiziari sommari, colpì anche semplici cittadini, non iscritti al PCUS, considerati ostili al regime e alla linea imperante, imposta attraverso il cosiddetto “centralismo democratico”: dico “cosiddetto” perché nei partiti comunisti in Europa occidentale (il PCI ad esempio), vi era libertà per i membri del partito di discutere e dibattere sulla linea politica e una volta che la decisione del partito era stata presa dal voto della maggioranza, tutti i membri si impegnavano a sostenere in toto quella linea. Quest’ultimo aspetto rappresenta il centralismo, almeno come lo intendeva Lenin.
Invece il nostro caro Lorenzo è stato vittima di una concezione staliniana e – mi si conceda – kafkiana del centralismo, ed espulso dalla federazione giovanile del partito comunista a cui era iscritto. Non faremo il nome, per rispetto nei suoi confronti, del partito a cui era iscritto. Ma il caso è simile: perché nel PCUS stalinista la linea era imposta dal capo, il quale era la fonte unica della Verità Assoluta: chi sgarrava veniva arrestato e obbligato a fare ammenda del crimine ideologico, come essere sionista, trockijsta, socialdemocratico, anarchico, elemento reazionario e piccolo borghese ecc.
Qual è stato il “crimine” ideologico di cui si è macchiato il povero Lorenzo? Ha forse detto che negli Stati Uniti d’America di Obama si sta realizzando, grazie al suo New Deal, il socialismo? Ha elogiato forse la Fondazione Italiani Europei di D’Alema come vera esegesi del socialismo, sostituendo la Repubblica e il Fatto Quotidiano all’ormai defunta Unità (nelle cui feste Togliatti è stato sostituito da De Gasperi)? Ha pubblicato un articolo dove il kibbutz e l’espropriazione di territorio palestinese sono elogiati come via somma per la sinistra del domani?
Peggio cari miei! Peggio! Gramsci gli ha gettato i Quaderni dal carcere addosso, rinnegandolo! Togliatti si sta rigirando nella tomba per questo “crimine”! Secchia sta oliando il mitra, pronto a risorgere dal sepolcro per giustiziarlo a Dongo! Lorenzo, da marxista, ha semplicemente fatto riflessioni marxiste: ha postato sulla sua bacheca Facebook un video, dove viene mostrato una sorta di corteo del Gay Pride con, nelle prime file, modelli che marciano muovendo «il proprio corpo in un certo modo per fare un certo tipo di passetto», ancheggiando in maniera “provocante” e femminile. [1]
Il commento? L’analisi, marxista fino al midollo spinale – dove non si critica l’omosessualità, ma il piegarsi di certi personaggi alle regole di mercato – è la seguente:
«I modelli che sfilano su quella passerella sono ormai stati ridotti anche loro alla stessa stregua delle modelle e dei modelli, cioè di uomini e donne eterosessuali, oggetto delle ferree leggi di mercato, della pubblicità e della mercificazione, da parte di un capitalismo che tutto mercifica, che tutto deve trasformare in plus-lavoro e quindi in plus-valore. Ma guardali bene! E riporta alla tua mente le sfilate di vari modelli/e! Il loro è solo in parte un modo naturale di sfilare! In che senso? Il/la modello/a sfila in modo elegante, a volte anche spregiudicato, restando però in certi precisi canoni di grazia ed appunto, come già detto, eleganza. In questo caso invece siamo di fronte ad un modo di camminare forzato, estremamente aggressivo, con ancheggiamenti esageratamente pronunciati e giochi gestuali particolarmente aggressivi, veloci e teatrali, soprattutto nella parte finale del video. Per non parlare dei pantaloni, così attillati, fini e di maglio largo, da offrire completamente il senso di nudità completa delle parti intime maschili, che vengono esposte in modo volgare e pornografico». [2]
Lorenzo – si noti bene – non contestava né l’orientamento sessuale dei modelli né tanto meno il diritto di questi a battersi per ottenere miglioramenti delle loro condizioni di cittadini e di lavoratori ma la riduzione a spettacolo dell’omosessualità, trasformata in una baracconata, così come avviene anche nei Gay Pride, ridotti a carnevalate peraltro del tutto inutili nella capacità di incidere seriamente sui diritti della comunità LGBT.
I soggetti, in sintesi, concedendosi a tale manifestazione, si stavano riducendo a oggetti mercificati. Mancava solo l’etichetta col prezzo appiccicato sulle magliette! Né più, né meno.
Un crimine? Oggi dire a un uomo che egli sta vendendo la sua forza lavoro ad un capitalismo selvaggio che tutto mercifica, lo stesso capitalismo che rende precarie le vite dei giovani (idem per il sottoscritto), che manda in pensione le persone sempre più in la con l’età dopo averle spremute come agrumi, che cancella le più elementari leggi sul mondo del lavoro, non è più sinonimo di marxismo, comunismo, socialismo, ecc. Vuol dire essere fuori moda, out, “vecchi dentro”, matusa, nonni, ecc.
Questo, però, se rivolgo il mio discorso all’eterosessuale maschio che si automercifica. Ma se le stesse critiche vengono rivolte alla femmina o alla comunità LGBT, apriti cielo!
Si è etichettati come reazionari, fascisti, catto-integralisti, talebani, mostri, satanassi con coda, forcone, corna, baffetti e pizzo e voce satanica alla Ignazio La Russa! E il tutto, anche se non si ha nessun atteggiamente ostile né contro la comunità LGBT – che non è diversa da nessuno! – né contro le donne.
Ma Lorenzo ha avuto l’ardire di attaccare la fonte stessa dell’“omosessualismo”: il femminismo!
E, fulmini & saette! La Gestapo/Stasi del genderismo femminista ha tuonato contro di lui.
Perché se si attacca il femminismo si attacca una “santa istituzione” della sinistra postsessantottina, ed è come – per il buonismo boldrinesco – sparare sulla Croce Rossa, prendendosela con i “più deboli”, coi “poveretti”, cioè le femmine. Ma è veramente così?
Nulla di più falso!
L’ideologia femminista è – se usassimo una terminologia veteromarxiana – un’ideologia borghese. Se utilizzassimo una terminologia moderna la potremmo definire “arma di distrazione di massa”, un mezzo utilizzato dai poteri forti di allora e di oggi (soprattutto tramite le ex studentesse e contestatrici di un tempo che, conseguite lauree e master, siedono nei CdA delle multinazionali a rafforzare la status quo del vigente ordine costituito) per indebolire un movimento operaio in ascesa creando contraddizioni di genere inesistenti.
Insomma, parlando dell’Italia degli anni ’70, per paradosso il femminismo/fricchettonismo fece al movimento operaio molto più male che non l’offensiva padronale o la “strategia della tensione”.
In base al ragionamento neofemminista, la donna appartenente ai ceti “bassi”, grazie a quel clima teso a creare questa nuova forma di razzismo, molto più subdolo dell’etnopluralismo sbandierato dai neofascisti & neodestristi, fra il compagno lavoratore e la “principessina” Grace Kally o la ricca Miss Kennedy, moglie dell’uomo che iniziò il conflitto in Vietnam, col femminismo inizia a sentirsi più in sintonia con queste due: che diamine, Kennedy non tradiva forse la “first lady” con Marilyn Monroe, anch’essa ridotta a donna-oggetto dal fallocentrismo?
Insomma, al bando la lotta di classe! Trionfi la giustizia di genere e l’interclassismo (ideologia “corporativista” per eccellenza, dato che gli interessi di Marisa, casalinga e lavoratrice a tempo pieno con due marmocchi da accudire e un marito che torna a casa la sera stanco e stressato dal lavoro, non collimano affatto con quelli della moglie dell’imprenditore membro dell’Assolombarda/Confindustria: tutt’al più con Luisella, la cameriera dei ricchi di turno, ma li si va oltre la “lotta di genere” e si rientra forzatamente nell’incipit de Il manifesto del partito comunista: «La storia dell’uomo è storia di lotta di classe»).
E tanti saluti a Miss. Boldrini, che si occupa di questi e altri temi “impellenti” ma dimentica di denunciare inghippi d’altro “genere” che riguardano il mondo del lavoro che il suo premier sta affossando col Jobs Act & Co.! L’articolo 18? Ma va! E’ più attuale il sessismo e il femminicidio! E le “morti bianche”? Ma dove!). Il neofemminismo
«Ha fatto logicamente gli interessi stessi del capitale spaccando il movimento operaio della fine anni degli ’70, tra uomini da una parte, i presunti oppressori, e le donne dall’altra, le presunte vittime. Cosa ci sia di marxista in questa visione del mondo, proprio non riesco a capirlo…»
No Lorenzo, il marxismo è tutt’altra cosa! Qui vengono presi singoli casi incresciosi (perchè la violenza, da parte maschile o femminile è sempre sbagliata) utilizzati dalla stampa di turno per distrarre e parlare d’altro, e non di diritti del lavoratore, tanto per cambiare. Quindi, da maschio, rigirando la frittata lanciata dalle femministe, e denunciando come Lorenzo il carattere interclassista e borghese dell’ideologia “di genere” (che inizia col femminismo e si conclude col cosiddetto “genderismo”, la messa in discussione dei due generi in nome della creazione di un “altro” indistinto. Genitore 1 e 2 non vuol dire nulla, è un attentato ad ogni certezza per manipolare l’immaginario collettivo e il bambino: non è certo così che lo si educa a tollerare le differenze, ma lo si plasma a diventare quel “un altro” indistinto che dovrebbe decidere quello che vuole essere, “un altro” totalmente sradicato e privato di ogni identità), denuncio il carattere “sessista” e “anticostituzionale” di queste ideologie, sentendomi discriminato, umiliato e sessualmente molestato!
Parlare di “femminicidio” significa dimenticare l’uguaglianza giuridica delle persone davanti alla legge, per mettere uno dei due generi sul piedistallo, elevandolo al privilegio: un tempo vi erano la nobiltà e il clero, ora il genere femminile per una società femminilizzata.
Con il “femminicidio” si esce dal solco della formula «La legge è uguale per tutti» creando guarentigie particolari per un genere rispetto all’altro: «C’è un codice per il maschio e un codice separato – e privilegiato – per le donne». L’importante è dire che “TUTTI” i maschi sono portatori sani di un gene distruttivo che è… il loro pene!
Si, avete capito bene! Il tutto, spacciando tale ideologia per marxismo.
Se io, maschio, ammazzo un altro maschio avrò una condanna, ma se uccido una donna la condanna sarà peggiore. Insomma, un tale diceva che «dove c’è uguaglianza c’è ingiustizia»… peccato che il tale sia Werner Sombart, economista corporativista appartenente alla “Rivoluzione conservatrice” e autore di un saggio dichiaratamente reazionario ripubblicato nel 1977 dalle Edizioni di Ar di Franco Freda intitolato “L’ordinamento per ceti” (p. 24), che proponeva una comunità organica, olistica e differenziata al suo interno per ordini e ceti, ognuno dotato di appositi diritti e privilegi.
E’ questa la società a cui auspicano le femministe?
Intendono, superato il dominio dei ceti nobiliari “di sangue” e “di spada” (un dominio senz’altro iniquo), e l’affermazione di quello borghese “di censo”, dove l’uomo conta per quello “che ha” (altrettanto iniquo), instaurare un diritto privilegiato per le donne, un “diritto di genere”?
Insomma, cosa rende le femministe tanto diverse dai nobili e dal clero reazionario contro cui si scagliarono giacobini e sanculotti?
Quelle masse ebbero il coraggio di prendere la Bastiglia e di iniziare una nuovo corso, mentre oggi chiunque, come il nostro Lorenzo “Voroshilov” Altobelli, denuncia una mutazione antropologica all’interno della sinistra, viene denunciato dai suoi stessi “compagni” ormai ottenebrati, come reazionario, come potatore sano di violenza maschilistica, omofobico-fallocentrica!
Insomma, oggi Robespierre verrebbe pestato dalle femministe e il re (dopotutto è maschio e “fascio”) condannato, mentre la “povera” regina Maria Antonietta, vittima dello stesso paternalismo “di genere”, verrebbe salvata, in quanto donna, accomunata a Josephine, povera piccola fiammiferaia parigina. Insomma, dal revisionismo si è passati direttamente al “negazionismo” interclassista… di bassa leva.
Il Sessantotto, movimento che ha avuto i suoi aspetti positivi e negativi, si caratterizzò come un fenomeno generazionale capace di mettere in discussione le evidenti contraddizioni della società borghese, produsse una vera e propria rivolta contro le strutture sociali e culturali di allora e le vecchie consuetudini e convinzioni morali e culturali di tutti, giovani e non.
Quella Contestazione introdusse però un elemento allogeno all’interno della sinistra, una nuova cultura modernista e funzionale all’individualismo capitalistico, con forti presupposti di matrice liberal, cresciuta e sviluppatasi nei campus americani, impregnati di ideologie neoradicali, fra cui il neofemminismo.
Aspetti che colse anche Pier Paolo Pasolini, intellettuale “controcorrente”, ostracizzato dai reazionari di allora perché omosessuale ma anche dai “progressisti” e che stalinisticamente fu espulso dal PCI per il suo orientamento sessuale, proprio perché capace di mettere in discussione una modernizzazione in grado di sradicare le molteplici culture presenti nel nostro paese e creare il nuovo “homo consumans”.
Ebbene, tale cultura liberal, contestata da Pasolini, trattato alla stregua di un “comunista reazionario” (ma oggi elevato a “icona gay”: ve lo immaginereste marciare, tutto impellicciato, truccato, con abiti aderenti e pantaloni in pelle, ad un Gay Pride per il matrimonio gay, lui che arrivò a criticare aborto e divorzio da posizioni antimaterialiste e antiindividualiste?)-, mise in discussione anche Marx, “classista”, troppo “morale”, troppo poco interessato ai diritti individuali, e così “grigio”… troppo poco “arcobaleno”.
La Contestazione, come già detto, introdusse nella sinistra e nella società nuovi imput liberal, fra cui il neofemminismo, che in Europa, per fare breccia in una certa intellighenzia “di sinistra”, formatasi magari negli ambienti comunisti, si tinse di rosso: consiglio a riguardo l’illuminante lettura del testo Le filosofie femministe (Milano, Mondadori, 2002, 251 pp., 10,00 euro), scritto dall’attivista femminista Adriana Cavarero e da Franco Restaino (un “femministo”, mi si conceda il neologismo, cioè un maschio schierato armi e bagagli con la causa femminista e genderista, che quasi si vergogna di essere di sesso maschile), docenti rispettivamente di Filosofia politica all’Università di Verona e di Filosofia teoretica all’Università di Roma Tor Vergata; un testo “fazioso” ma utile a illustrare questo processo che trasforma Marx ed Engels in due “femministi” e “omosessualisti” ante litteram. Nel testo è evidente la filiazione fra le due culture sopra citate e la forzatura con cui i due autori cercano di far indossare il fazzoletto rosso al movimento femminista, un movimento che nel mondo anglosassone è anticomunista e antimarxista e per il quale Marx ed Engels e addirittura Freud, sono giudicati “fallocentrici” e “paternalistici”. Peggio: il cambio di contraddizione, dalla classe al genere, funzionale al liberismo, è palese in molte autrici citate. Il neofemminismo – data la sua funzionalità nel favorire l’ideologia ultraindividualista – inizia a cavalcare l’omosessualità, sostenendo addirittura che l’eterosessualità è un’invenzione del “maschilismo paternalista” per sottomettere la donna, e la “penetrazione” (cioè il normale coito!) è un mezzo per opprimerla. Franco Restaino, commentando autori come D. H. Lawrence, Henry Miller, Norman Mailer e il «noto scrittore omosessuale “lanciato” da Sartre, Jean Genet, nota che i loro scritti si caratterizzano per la denuncia dell’atteggiamento «patriarcale e sessista» dei rapporti uomo/donna o all’interno del rapporto omosessuale (???). Il neofemminismo radicale, quindi, ha come referenti soggetti completamente altri rispetto al marxismo:
«Non la classe, non la razza, ma il sesso, quindi, sta all’origine della “politica”, cioè dei rapporti di potere e di dominio nella società e fra gli individui. Gli atti sessuali, quindi, sono innanzitutto non atti di piacere o di procreazione ma atti politici, atti nei quali di perpetua la supremazia maschile sulla donna in tutti i momenti della storia e in tutte le forme istituzionali (la principale è quella della eterosessualità) e con tutti i mezzi (dalle “lusinghe” del “mito” della donna alle “minacce” di violenza sessuale)». [3]
Anne Koedt (1941), nel saggio Il mito dell’orgasmo vaginale (1968) va oltre, e contesta sia Marx che Freud e la sua scienza che mette al centro del suo discorso l’arma “inventata” per perpetrare violenza sulla donna: il pene (come se alle donne facesse schifo fare del sesso eterosessuale)! Dalle sue tesi – che da Freud ci conducono direttamente al reparto psichiatrico dell’ex manicomio di Mombello, a Limbiate (Mi), nel settore “camicia di forza” – si arriva a questa conclusione, che sta al marxismo come Adolf Hitler sta all’ARCI. Per l’autrice stabilire che l’orgasmo vaginale è un mito, avrebbe conseguenze per l’uomo (lo destabilizzerebbe), per la donna (la “libererebbe”) e per la società (composta da uomini e donne ormai destabilizzati). Per i primi, li renderà coscienti di essere «sessualmente superflui se la clitoride è sostituita alla vagina come il centro del piacere della donna», mentre la donna – non è una mia invenzione, lo dice la Koedt – potrà affiancare l’eterosessualità, che servirà a mero scopo procreativo per non far estinguere la razza umana, col lesbismo e/o la bisessualità. [4] Anne Koedt scrive che «Lo stabilimento dell’orgasmo clitorideo come fatto minaccerebbe l’istituzione eterosessuale. Esso infatti indicherebbe che il piacere sessuale è ottenibile sia dall’uomo sia da un’altra donna, facendo così dell’eterosessualità non un assoluto ma un opzione». [5] Viva la franchezza! Così, mentre Marx auspica ad una società dove maschi e femmine sono giuridicamente uguali, cittadini/e liberi/e di una comunità dove tutto viene condiviso per il bene comune, dove tutti divengono padroni dei mezzi di produzione e dove nessuno verrebbe mai ghettizzato per il suo orientamento, le “ziette” acide & sessiste alla Boldrini vogliono ridurre il maschio a mero “schiavo/toro da monta” per non far piombare la società – ormai femminilizzata – all’estinzione, mentre la donna, sempre più mascolinizzata e androgina, amministra lo stato e si diverte, divenendo o lesbica o bisessuale o quel che vuole lei. Lei si “libera”, mentre il maschio è sottomesso! Il passo successivo lo si ha nel maggio 1970, quando un sottogruppo del movimento femminista, le femministe lesbiche, fanno irruzione in un teatro in cui si stava rappresentando un testo femminista, occupando il palco. Nascono così le Radicalesbian, le “nonnine” delle Pussy Riot & Femen (le “eroine” stipendiate da Georges Soros), che diffondono un testo intitolato “La donna-identificata donna” che, partendo dalle analisi della Koedt, radicalizza tale messaggio, ci fa arrivare direttamente al “genderismo”, cioè alla relativizzazione delle differenze di genere fra uomo e donna che, guarda caso, parte sempre dalla colpevolizzazione del maschio eterosessuale: «In una società in cui gli uomini non opprimessero le donne e l’espressione sessuale fosse libera di seguire i sentimenti, le categorie di omosessualità e di eterosessualità scomparirebbero». [6]
La messa in discussione del genere è evidente nel saggio Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica (1980), di Adrienne Rich che, con la scusa di difendere il diritti della donna, arriva a sostenere che l’eterosessualità è una forzatura indotta da una società patriarcale, e arriverà a definire le soggettività o identità lesbiche col termine “ambiguo” di “non-donne” e “non-uomini”… insomma, oltre ad una spersonalizzazione assoluta, ecco le origini della messa in discussione del concetto di “mamma” e “papà” che ritroviamo in politiche “genderiste” che hanno creato termini marziani (e non marxiani) tipo “genitore 1” e “genitore 2”, una politica che cerca di corrodere il marxismo, com’è evidente nel saggio del 1974 di Gayle S. Rubin Lo scambio delle donne. Note sulla “economia politica” del sesso, dove Engels è letteralmente preso per la barba e tirato dentro ad un discorso senza capo né coda cercando di forzare il suo famoso saggio scritto del 1884, “L’origine della famiglia, della proprietà e dello Stato”, in chiave lesbo-femminista, mettendo in discussione il concetto di sesso-genere. [7] Insomma, ecco le radici di tutto! Approfondiremo in futuro…
Tornando al “caso Altobelli” – ma gli Altobelli sono tanti nella sinistra radicale italiana, tutti accusati dal politically correct di omofobia e “paternalismo di genere”, processati in quanto maschi dal “neostalinismo femmino-genderista” che non sventola più la bandiera rossa, ma quella arcobaleno, a cui non serve più la gelida durezza dell’acciaio zdanoviano ma usa la femminilizzazione della società che impone nuove mode – notiamo che egli, marxista-leninista doc, oggi non sarebbe il solo ad essere processato dalla neosinistra occidentale. Sì, oggi Altobelli non dovrebbe passare da solo le forche caudine del politicamente corretto e chiedere venia, perdono, cospargendosi il capo di cenere per aver denunciato l’inghippo del genderismo. Al suo fianco vi sarebbero i due padri nobili del socialismo scientifico, due a cui ancora molti si appellano nelle file di Sel e di quella risciacquatura di piatti che è l’odierna sinistra vendola-luxuriana fatta di poeti che inviano i loro amichetti in Russia a denunciare “Il Mostro”, dimenticando che negli States di Obama c’è la pena di morte, differenza etnica, di genere, di ceto, di classe e di tutto, insomma, il darwinismo sociale puro, per dire che “loro” avrebbero detto di “Sì” alla legge Taubira, e anzi, loro avrebbero ufficiato le nozze fra “individuo 1” maschio/femmina e “individuo 2” maschio/femmina, benedicendo senz’altro la loro adozione a distanza e il loro parto eterologo, anch’esso a distanza, magari effettuato con un’indigena (in affitto) del Terzo mondo in nome del cosiddetto progresso.
Di chi sto parlando? Al banco degli imputati, “rei” di omofobia – documentata! – chiamo alla sbarra, ammanettati, il qui presente Karl Marx e l’amico – oh, sono solo amici, niente battute con doppi sensi – Friederich Engels! Cosa?? Sì, avete capito bene!
Anche Marx ed Engels erano omofobici & sessisti! Dal loro carteggio le prove che inchiodano i filosofi più “odiati” (e citati “ad cavolum”) dalla paladina delle donne… l’amazzone Laura “Wonder Woman” Boldrini
Marx ed Engels sono per ogni marxista che si rispetti due punti fermi. Nell’iconografia sovietica erano al primo posto, prima addirittura di Lenin, fondatore dello Stato socialista e ideologo del marxismo-leninismo, una variante della dottrina marx-engelsiana. Persino in era stalinista e post-stalinista l’iconografia dell’URSS non variava di una virgola: Stalin era così “umile” da mettersi in fondo alla fila nel pantheon dei padri del socialismo. Primi, però, sono sempre i due tedeschi: Marx ed Engels. Idem per la vecchia socialdemocrazia, che pur contestando a Lenin la sua visione “elitista” e “centralista”, vedeva nei due filosofi i “fari” dell’esegesi di ciò che avveniva nel mondo. Questo è il Novecento. Oggi, però, Marx ed Engels, se qualcuno spulciasse nel carteggio fra i due filosofi, verrebbero severamente espulsi da qualunque partito che anche lontanamente si battesse per la liberazione delle masse. I due filosofi, nelle lettere, si scambiavano salaci battute volgari – Orsù, mica erano radical-chic! Mica indossavano cachemire e andavano a cena con Valeria Marini & Pippo Franco, “sovseggiando” (con erre moscia che fa molto “salotto chic”) champagne & caviale durante la presentazione di un’antologia di poesie scritte da un poeta sconosciuto morto durate un corteo di protesta per difendere i diritti della mosca bianca tze-tze! E non avevano i rasta sulla barba! –, attaccando gli avversari con appellativi che oggi porterebbero Vendola, Ferrero, Diliberto, Ferrando e magari anche lo stalinissimo Rizzo, ad espellere i due dai partiti per “scarsa vigilanza”, “omofobia”, “paternalismo”, “odio di genere” e per non aver appoggiato Vladimir Luxuria.
Paradosso? Giudicate un po’ voi!
Engels, in una lettera inviata all’amico da Manchester il 22 giugno 1869, parlò addirittura dell’esistenza di “lobby gay” (oggi si verrebbe espulsi per direttissima e paragonati ai nazisti runo-muniti di Pravy Sektor che parlano ancora di “complotto ebraico”) scrivendo che
«I pederasti iniziano a contarsi e scoprono di formare una potenza all’interno dello Stato. Mancava solo un’organizzazione, ma secondo questo libro sembra che esista già in segreto. E poiché contano uomini tanto importanti nei vecchi partiti ed anche nei nuovi, da Rösing a Schweitzer, la loro vittoria è inevitabile. D’ora in poi sarà: “Guerre aux cons, paix aux trous de cul”. È solo una fortuna che noi personalmente siamo troppo vecchi per avere timori, se questo partito vincesse, di dover pagare tributo corporale ai vincitori. Ma le giovani generazioni!». [8)
La frase in francese va tradotta con «Guerra alle fi…, pace ai buchi del c…»… ! Il 21 luglio 1868, in una lettera relativa al libro scritto di Carl Boruttau (1837-1873), Gedanken über Gewissens Freiheit (1865), inviato all’amico Engels, in cui si discuteva della libertà sessuale, Marx scriveva: «Chi è questo incalorito Dr. Boruttau, che rivela un organo così sensibile all’amor sessuale?» e l’amico rispondeva (23 luglio 1868) «Del Dr Boruttau dal caloroso membro non so altro se non che “ha commercio” anche con i lassalliani (frazione Schweitzer). La cosa più buffa è il “francese” della sua dedica a un’anima gemella a Mosca». La lettera è il commento a un libro (forse Incubus) che Karl Heinrich Ulrichs, il primo militante omosessuale, aveva inviato a Marx, che l’aveva “girato” a sua volta all’amico Engels. Che ne approfitta per insultare i seguaci di Ferdinand Lassalle, a capo dell’ala nazionalista e corporativista dei socialisti di allora (combattuta da Marx e da Engels), qui insultati come presunti omosessuali. Anche il destinatario moscovita della dedica scritta in cattivo francese è accusato di omosessualità. [9] Il nostro “omofobico/fallocratico” Engels scrive in una lettera inviata a Sorge, dell’11 febbraio 1891, in cui Hasselmann è insultato tranquillamente come Arschficker, cioè “rompiculo”. [10] Proseguiamo. In un’altra lettera del carteggio, oltre a denunciare la “lobby gay”, Engels scrive:
«Incidentalmente, solo in Germania era possibile che un tizio simile apparisse [riferito a Karl Heinrich Ulrichs], trasformasse la sozzura in una teoria e invitasse: “introite” [“entrate”] eccetera. Sfortunatamente non era ancora abbastanza coraggioso da confessare apertamente di esser “lo”, e deve ancora operare coram publico, “dal davanti”, ma non “dal fronte dentro”, come una volta dice per errore. Ma aspetta solo che il nuovo codice penale nord-tedesco riconosca i droits de cul. E sarà tutto diverso. Per le povere persone “del davanti” come noi, con la nostra infantile passione per le donne, le cose si metteranno male». [11]
Ecc. ecc. Insomma, che cattivo ‘sto Engels: si vantava di essere una «persona “del davanti” […], con [una] infantile passione per le donne»… Chissà come verrebbe criminalizzato dall’Asse Vendola-Boldrini-Luxuria, che, con sguardo acido e schifato, gli urlerebbero: «Maschilista! Sessista! Putiniano! Odi le compagne del «Collettivo per l’autocoscienza e la liberazione dal maschio fascista»! Moooostroooo! Gesù – l’ha detto il dott. “teologo” Vip Elton John, “esperto” in materia – sarebbe per le nozze gay e le adozioni “d’altro genere”!»…e via bestemmiando!
Qui non si vuole attaccare Engels per la sua “omofobia”, dato che era un uomo dell’ ‘800 e quindi tutto va storicizzato. L’omofobia è senz’altro sbagliata e settori consistenti della sinistra – si pensi allo stalinismo – si macchiarono di tale bruttura. [12] Ma volendo ironizzare un po’ – fermo restando che nessuno giudicherebbe mai nessuno per il suo orientamento sessuale – qui vogliamo far riflettere il lettore invitandolo a rileggere gli scritti di Altobelli, perché oggi Lorenzo, per aver criticato il genderismo e non l’omosessualità in quanto tale, è stato espulso dai neostalinisti del politically correct, lo stesso che oggi metterebbe alla gogna il duo Engels-Marx per essere quello che erano, uomini dell’800 o, peggio ancora, che manipola quotidianamente i loro scritti (o che ormai li ha buttati al macero a partire dalla svolta della Bolognina, non per sposare Keynes, ma Obama), trasformandoli in fricchettoni romantici dell’epoca o in liberali illuministi “de sinistra”. Insomma, sono sicuro che i due, se fossero vivi oggi, nel XXI secolo, pur di non dare soddisfazione a tali inquisitori, scapperebbero lontano un miglio, gambe in spalla, dalle sezioni/circoli/club dei partiti cosiddetti “marx-engelsiani” d’oggi o da un qualunque centro sociale o circolo ARCI “de sinistra” presente nel territorio italiano-europeo. I due, il giorno delle elezioni, probabilmente organizzerebbero una bella gita al lago o altro, ma non voterebbero mai Bertinotti, Vendola o Ferrero, l’elogiatore delle “compagne” Pussy Riot! L’odierna sinistra, maestra di anacronismo/revisionismo, travisa il pensiero dei due filosofi, sposandolo con ideologie liberal-individualiste atte a manipolare l’individuo e il suo esser “animale comunitario”. Oggi in sintesi, mi duole ammetterlo, un marxista – pur condannando l’omofobia e ogni violenza/sfruttamento ai danni di donne e uomini, non solo donne – sarebbe distante anni luce dall’odierna sinistra, ormai funzionale al sistema e declassata a stampella dell’odierna eurocrazia liberista.
[3] Franco Restaino, Il pensiero femminista. Una storia possibile, in Adriana Cavarero e Franco Restaino, Le filosofie femministe, Milano, Mondadori, 2002, p. 36.
[5] Anne Koedt, The Myth of the Vaginal Orgasm, in M. Schneir (a cura di), The Vintage Book of Feminism, Ldon, 1995, pp. 371, 372, cit. in Franco Restaino, Il pensiero femminista. Una storia possibile, in Adriana Cavarero e Franco Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 39.
[6] The Woman – Identified Woman, New York, 1970, in in M. Schneir (a cura di), The Vintage Book of Feminism, London, 1995, p. 163.
[7] Franco Restaino, Il pensiero femminista. Una storia possibile, in Adriana Cavarero e Franco Restaino, Le filosofie femministe, cit., p. 41.
[8] Karl Marx – Friedrich Engels, Opere Complete, vol. 43, Lettere 1868-1870, lett. n. 195, pag.349, Editori Riuniti, Roma, 1975. Johann Baptist von Schweitzer (1833-1875), socialista, fu condannato nel 1862 a due anni di carcere per “proposte omosessuali”. Cfr. Hubert Kennedy, Johann Baptist von Schweitzer: the queer Marx loved to hate, i “Journal of Homosexuality”, a. XXIX, n. 2-3, 1995, pp. 69-96.
[9] Nel testo originale della lettera, in tedesco, c’è un gioco di parole tra schwüle e schwul [finocchio].
[10] Marx-Engels Werke, Band 32, Diet Verlag, Berlin (Pankow) 1965, vol. 38, pp. 30-31, ed. it. Opere, vol. 43, Editori Riuniti, Roma 1972.
[11] Carteggio Marx-Engels, Editori Riuniti, Roma 1972, vol. 5, p. 325.
[12] Fabio Giovannini, Comunisti e diversi. Il Pci e la questione omosessuale, Bari, Dedalo, 1981.