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jeudi, 02 décembre 2010

Summit NATO: il gioco di Ankara

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Summit Nato, il gioco di Ankara

di Alberto TUNDO

Ex: http://it.peacereporter.net/

Via il riferimento all'Iran nei documenti sullo scudo missilistico e pianificazione strategica concertata: a Lisbona la Turchia ha imposto il suo gioco

Aveva delle buone carte da giocare e alla fine della partita ha portato a casa i suoi punti. Se ha senso cercare un vincitore al termine del vertice Nato di Lisbona, allora certamente uno dei Paesi che può essere più soddisfatto del meeting è la Turchia.

Il doppio colpo di Ankara. Sono due i successi più evidenti ottenuti dalla delegazione turca, due vittorie che mettono Ankara al centro della scena e sono di fatto la consacrazione di un gioco diplomatico condotto con grande abilità dal premier Tayyip Erdogan e dal suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, da molti osservatori ritenuto l'ideologo di questo neo-ottomanesimo, cioè del ritorno ad una politica estera quasi imperiale. Com'era stato largamente previsto, i turchi hanno puntato i piedi su due temi in particolare, legati strettamente a quella che è diventata una priorità della politica di difesa Usa e, quindi, della Nato: lo scudo missilistico. La Turchia ha ottenuto che nei documenti ufficiali, lo schema difensivo a beneficio dei partner europei basato su un sistema di radar e missili intercettori, non sia diretto apertis verbis contro l'Iran. Allo stesso modo, ha imposto a Washington e ai partner dell'Alleanza un suo ruolo nella pianificazione strategica, prima dell'utilizzo dello scudo, e nella gestione delle relative strutture situate sul proprio territorio. "La questione - aveva detto Erdogan alla stampa - è chi avrà il comando e dovrebbe spettare a noi, soprattutto se è un piano che va attuato nei nostri confini, altrimenti non ci sarà possibile accettarlo". Sembra una cosa da poco ma geopoliticamente vale molto e certifica la trasformazione del brutto anatroccolo in un cigno: il membro dell'Alleanza che un tempo portava in dote la sua posizione strategica, adesso è un attore che ha una propria capacità di manovra, un proprio spazio vitale che prescinde dalla Nato. Negli ultimi anni, il governo turco si è avvicinato molto a quello iraniano, fungendo da mediatore e garante con la comunità internazionale, per la questione nucleare; ma Ankara è legata a Teheran dagli enormi interessi che riguardano la partita energetica, con la Turchia che è il principale consumatore del gas iraniano.

Una crescente indipendenza. Lo scorso luglio, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, fu proprio Ankara ad opporsi ad un inasprimento delle sanzioni contro l'Iran, sospettato dagli Stati Uniti ma non solo di lavorare ad un progetto nucleare con scopi militari. Una minaccia, quella dell'atomica degli ayatollah, contro la quale era stato progettato un sistema difensivo che prevedeva l'integrazione delle strutture dei vari Paesi dell'Alleanza in un quadro di difesa integrato, con radar e missili intercettori montati in Polonia, Romania e Turchia appunto, la quale non vuole che lo scudo missilistico sia presentato al mondo come un'arma in funzione anti-iraniana. E' una questione di interessi economici, geopolitici ma anche di sicurezza nazionale: la leadership turca sa cosa potrebbe accadere se gli Stati Uniti o Israele arrivassero ad uno scontro armato con l'Iran, con cui divide i confini orientali, quindi si è mossa per disinnescare la bomba. Ad un congelamento dei rapporti con Gerusalemme, Ankara ha accompagnato segni di distensione e normalizzazione nei confronti di due Paesi del cosiddetto "asse del male", Iran e Siria. Non è un caso che nel documento strategico sulla sicurezza nazionale, detto libro rosso, diffuso ad ottobre dall'esercito turco, questi ultimi due stati sono stati eliminati dalla lista delle potenziali fonti di pericolo. Israele, invece, vi figura ancora.

Prima veniamo noi, poi la Nato. Gli analisti aspettavano Ankara al varco, dopo il "tradimento" del voto pro-Iran al Consiglio di Sicurezza: adesso dovrà dimostrare di essere ancora un partner fedele e affidabile, hanno detto in molti nei giorni a ridosso del vertice. Ma la Turchia non si è presentata per fare un atto di contrizione, tutt'altro. La difficoltà principale stava nel far passare il messaggio che se l'Iran dovesse dimostrarsi un pericolo, non sarà il governo turco a frenare una politica di containment. Ma al momento non lo è. Lo dicono sondaggi recentissimi, secondo i quali per i turchi un Iran dotato di armi nucleari non costituirebbe comunque una minaccia, non evidente come quella terroristica. "La Turchia prende le sue decisioni in primo luogo guardando al suo interesse nazionale e solo dopo alla solidarietà dell'Alleanza", ha detto senza mezzi termini il presidente turco Abdullah Gul. Non c'è molto da dire. Questa chiarezza spiega perché Washington e gli altri alleati si siano dovuti rassegnare a eliminare qualsiasi riferimento all'Iran e a far entrare la Turchia nella stanza dei bottoni, quella in cui le linee strategiche vengono definite. Gli elementi di dettaglio, come quelli riguardanti il comando, il controllo e il posizionamento degli elementi del sistema difensivo, verranno decisi più avanti. Al momento si sa che ai governi alleati sarà chiesto uno sforzo di circa 200 milioni di euro, da qui ai prossimi dieci anni, per integrare i propri sistemi missilistici nel quadro dello scudo americano.

Alberto Tundo

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