samedi, 09 octobre 2010
Maurras e gli intellettuali
di Francesco Perfetti
Fonte: il giornale [scheda fonte]
In occasione del conferimento della laurea honoris causa rilasciatagli dall’Università di Aix-en-Provence, il grande poeta inglese Thomas Stearns Eliot pronunciò una commossa allocuzione dedicata a Charles Maurras, il fondatore dell’Action Française, ricordando l’impressione che gli aveva fatto la lettura del saggio su L’avenir de l’Intelligence, che egli aveva intrapreso nel 1911, allorché si trovava, studente poco più che ventenne, a Parigi.
Il rapporto del maurrassismo con il mondo degli intellettuali è stato analizzato nel corso di un convegno internazionale tenutosi a Parigi, al Centre d’Histoire de Science po., i cui atti sono stati oggi pubblicati col titolo Le maurrasisme et la culture (Presses Universitaires du Septentrion, pagg. 370, euro 26) a cura di Olivier Dard, Michel Leymarie e Neil McWilliam. Ne emerge un quadro mosso, articolato, pieno di sfumature che fa comprendere il fascino che, nel bene o nel male, lo scrittore francese ha esercitato sugli intellettuali del suo tempo.
All’indomani della Prima guerra mondiale, nel momento di maggior successo del movimento dell’Action Française, si parlò del “Parti de l’Intelligence”. E non a torto perché, si potrebbe dire con una battuta, è con Charles Maurras che l’intelligenza e la cultura passarono a destra. E non è un caso che Julien Benda scrivesse il suo celebre pamphlet su La trahison des clercs proprio per denunciare il fatto che molti intellettuali erano finiti, come intellettuali militanti, nelle file dell’Action Française e sulle pagine del quotidiano omonimo. Furono molto vicini a Maurras, anche se in qualche caso poi se ne allontanarono, pensatori cattolici come Jacques Maritain e Georges Bernanos, polemisti come Léon Daudet e Henri Massis, scrittori come Thierry Maulnier, storici come Jacques Bainville e Pierre Gaxotte e via discorrendo. E subirono la suggestione delle sue idee altre personalità del mondo culturale della Francia del tempo, da Paul Bourget a Drieu La Rochelle, da Henri de Montherlant ad André Malraux fino ad Henri Daniel-Rops. Persino uno scrittore come Marcel Proust, così diverso, quanto meno sul piano stilistico, dal classicismo di Maurras non fu insensibile al suo fascino: in una lunga lettera fattagli pervenire nel 1921 l’autore dellaRecherche inviava al suo corrispondente l’omaggio della propria riconoscenza e ammirazione, gli confessava di nutrire l’illusione di esistere, almeno qualche volta, nel suo ricordo e precisava di non aver mai perduto una sola occasione per poter parlare pubblicamente di lui. Che Proust dovesse essere grato a Maurras era in fondo logico, perché era stato quest’ultimo a lanciarlo nel mondo letterario francese con un lungo saggio elogiativo del primo lavoro, Les Plaisirs et les jours (1896).
Maurras, prima di dedicarsi alla politica e di assumere il ruolo di capo riconosciuto della destra francese, si era affermato come giornalista, poeta e scrittore. Dal contatto con la sua ardente e adorata terra di Provenza – dove era nato nel 1868 a Martigues – impregnata di romanità, Maurras aveva sviluppato una sensibilità per tutto ciò che si riferiva al mondo classico. Avrebbe scritto, in seguito, belle pagine sul suo rapporto con Roma: «Sono romano nella misura in cui mi sento uomo: animale che costruisce città e Stati, non un vagante roditore di radici; animale sociale e non carnivoro solitario. Sono romano per tutto ciò che vi è di positivo nel mio essere, per tutto ciò che vi aggiunsero il piacere, il lavoro, il pensiero, la memoria, la ragione, la scienza, le arti, la politica e la poesia degli uomini che vissero insieme prima di me». Poi, il viaggio in Grecia, come inviato speciale della Gazette de France per i giochi olimpici, aveva fatto il resto. E aveva segnato il suo passaggio alla politica: l’amore per la classicità si era tradotto in desiderio di ordine.
Da poeta e scrittore classicheggiante Maurras si era trasformato in politico, anzi in teorico della politica elaborando un sistema, quello del nazionalismo integrale, culminante nel progetto di una monarchia «tradizionale, ereditaria, antiparlamentare e decentrata» che doveva recuperare il senso della storia francese. E che, di fatto, diventò popolare soprattutto fra gli intellettuali e gli studenti universitari, anche non monarchici ma nazionalisti, al punto che il padre del sindacalismo rivoluzionario, Georges Sorel, giunse a scrivere che Maurras rappresentava per la monarchia ciò che Marx aveva rappresentato per il socialismo.
L’avventura politica di Maurras e dell’Action Française, iniziata nella spumeggiante e pittoresca fin de siècle con i cabaret, il Moulin Rouge e le dame del Chez Maxim, era proseguita nei ruggenti anni Venti e Trenta, che vedevano, dopo il conflitto mondiale, affermarsi regimi autoritari e totalitari. L’antigermanesimo, frutto del suo classicismo e del suo antiromanticismo, avrebbe spinto Maurras a guardare con simpatia al fascismo italiano, dopo la vittoria del Fronte Popolare, proprio in funzione antitedesca per fronteggiare il pericolo hitleriano in Europa. Nel 1940, durante l’occupazione tedesca, paradossalmente, l’anziano scrittore e polemista sostenne il governo di Vichy come consigliere del maresciallo Pétain che gli sembrava incarnare il simbolo dell’unità dei francesi. Una scelta, questa, che provocò una profonda frattura fra i suoi seguaci, molti dei quali (a cominciare dallo stesso Charles de Gaulle) avrebbero scelto la strada della Resistenza. Una scelta che avrebbe avuto conseguenze sulla stessa vita di Maurras, arrestato nel 1944, processato per collaborazionismo e condannato a morte con una sentenza poi trasformata in ergastolo.
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mardi, 11 mai 2010
Léon Daudet ou "le libre réactionnaire"
Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1988
Un livre d'Eric Vatré: Léon Daudet ou "le libre réactionnaire"
par Jacques d'ARRIBEHAUDE
Eric Vatré est en train de se faire une spécialité dans la biographie, art difficile et ingrat où les Français pa-raissent souvent légers devant les gigantesques tra-vaux d'érudition des chercheurs anglo-saxons. La personnalité de Léon Daudet est ici bien évoquée. Une des plumes les plus alertes, les plus vives, les plus cinglantes de la critique littéraire de ce premier demi-siècle. Un grand et passionné remueur d'idées et d'opinions, d'une liberté de ton absolue au service d'une pensée résolument hostile à ce qu'on a appelé depuis "l'idéologie dominante".
D'où le titre choisi par Vatré, à mon avis un pléonasme, car on imagine mal un réactionnaire qui ne choisirait pas librement d'être à contre-courant de ce qu'il aurait tout avantage à courtiser à longueur de colonnes, à l'exemple de l'ordinaire racaille journalistique contemporaine.
Vatré constate, sans vraiment l'expliquer, l'énigme d'une "Action Française" où cohabitent Maurras, apôtre farouche et sourd de la France seule et de sa prétendue supériorité intellectuelle, et Daudet, autre-ment ouvert, féru de Shakespeare, enthousiaste de Proust et de Céline, sensible à la peinture, à la musique, aux souffles poétiques venus d'ailleurs, là où Maurras, fossilisé dans ses plâtres académiques, sonne éperdument le clairon des grandeurs mortes dans le saint pré-carré du monarque introuvable.
Au total, Daudet, l'un des hommes au monde les moins doués pour l'action, et, en ce sens, une belle figure de cette IIIème République qu'il haïssait, et dont les ténors parlementaires ventripotents, crasseux et barbichus, si ridicules qu'ils fussent, sem-blent des aigles prodigieux comparés à nos politiciens actuels.
A lire et à relire avec le plus grand profit, pour plus de renseignements sur cette époque sans pareille, Les Décombres de Lucien Rebatet.
Jacques d'ARRIBEHAUDE.
Eric VATRE, Léon Daudet ou le "libre réaction-nai-re", Editions France-Empire, 1987, 350 pages, 110 FF.
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