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jeudi, 08 octobre 2015

Individualismo e Organicismo: il pensiero politico di Othmar Spann

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Individualismo e Organicismo: il pensiero politico di Othmar Spann

Ex: http://www.azionetradizionale.com
In questi ultimi giorni abbiamo approfondito la figura di Carlo Costamagna, delineandone l’Idea di Stato ed individuandone i punti di contatto con quella di Julius Evola.
Riteniamo, allo stesso modo, interessante pubblicare il contributo di un nostro collaboratore su una figura poco approfondita della Rivoluzione Conservatrice tedesca, quella di Othmar Spann, propugnatore di quella che Evola chiamerebbe “la grande tradizione politica europea”.
Viennese, studiò filosofia e scienze politiche in gioventù, per diventare poi il maggior esponente dell’ “universalismo organicista” che fu punto di riferimento per quanti tentarono di indirizzare in senso corporativo i fascismi europei. Proprio perchè fautore dello Stato Organico e avverso al totalitarismo, con l’occupazione dell’Austria da parte delle truppe tedesche, Spann fu incarcerato. Tornato in libertà, si ritirò a vita privata sino alla morte, avvenuta nel 1950. 
Scrisse delle sue vicissitudini Evola: «Gli Austriaci non perdonano le sue simpatie per la Germania, mentre i Tedeschi non gli perdonano le critiche da lui mosse al materialismo razzista».
Quanto ai rapporti con Evola, Spann risulta essere uno dei collaboratori stranieri della nota pagina Il Diorama filosofico curata da Evola nel giornale cremonese Il Regime Fascista di Farinacci.
Lasciamo l’ultima parola ad Evola:«Un suolo assai fecondo era anche presentato da Vienna, dove spesso trascorsi l’inverno, e dove entrai in relazione con esponenti della Destra e dell’antica aristocrazia, inoltre col gruppo facente capo al filosofo Othmar Spann, agente sulla stessa linea.» (Il cammino del Cinabro, Schweiller, Milano, 1973, p.139)

Per comprendere al meglio le opere e l’apparato concettuale del Barone Julius Evola, per capirne i rivoli, ma soprattutto la base della sua idea di Stato e società, non si può fare a meno di studiare le opere di Othmar Spann, (Vienna 1 ottobre 1878 -  Neustift 8 luglio 1950).

spann5758233-M.jpgInfatti, all’interno dell’opera Der wahre Staat (1921), sono contenuti principi, spunti, riflessioni poi riprese può volte dallo stesso Evola in molti dei suoi lavori.

Grazie allo stile asciutto e al ricorrente uso della schematizzazione, l’opera appare fruibile e facilmente comprensibile, soprattutto nei suoi punti più delicati. Tra questi, un posto sicuramente rilevante è attribuibile all’analisi di Spann sull’individualismo e alla seguente dicotomia tra l’individualismo stesso e universalismo.

L’analisi del primo tema necessita, secondo Spann, di una preventiva indagine sulla società, dalla quale risalta come ci siano due possibili interpretazioni di questo concetto: la prima afferma che la società “è una mera giustapposizione di singoli (individui) concepiti in sé e per sé come esseri indipendenti e a sé stanti”, quindi un insieme di atomi scissi tra loro; la seconda rappresenta la società come “ un tutto le cui parti non sono propriamente autonome e indipendenti, ma in un certo qual modo soltanto organi di questo tutto”: la loro esistenza è legata al fatto che sono parti necessarie della totalità.

Risalta bene agli occhi la grande differenza tra queste due concezioni, l’una legata all’individualismo, l’altra all’organicismo.

L’ideologia individualistica ha radici profonde, già durante il Rinascimento si avvia la cosiddetta “scoperta dell’individuo”, locuzione alle cui spalle si cela “il distacco e la liberazione da tutti i vincoli medievali della Scolastica”. Umanesimo e Rinascimento, coadiuvati poi dalla Riforma, annientano il Medioevo, e successivamente spetterà al giusnaturalismo forgiare la struttura di un nuovo ordinamento rigorosamente individualistico dello Stato e della società.

In questo nefasto percorso si possono scorgere due fasi dunque: la prima, corrispondente alla distruzione dello spirito e dei vincoli corporativi del Medioevo. La seconda legata all’irruzione delle idee individualistiche in politica, avente come acme la rivoluzione francese. Si noti come le analogie tra Spann ed Evola siano palesi.

Il pensiero individualista, secondo l’autore austriaco, ha come punto cardine l’autosufficienza, l’autarchia “spirituale” e, come meta, “l’individuo assoluto”, colui che basta spiritualmente a se stesso.

In questo tipo d’uomo sono ricompresi:

1)     l’uomo dello stato di natura pensato da Hobbes, in cui ogni singola persona, anche dopo la stipulazione del famoso patto, rimane autosufficiente poiché lo Stato che ne risulta è una mera società di protezione.

2)     L’Eracle, che, attingendo solo a sé stesso, si “prefigge lo scopo di superare, con infinita tensione della volontà, tutto quanto gli si contrappone”.

3)     Prometeo, il quale crede di agire facendo leva sulla sua roccaforte interiore, priva di Dio alcuno.

4)     Il genio, “visto come entità che si realizza e produce liberamente, estraendo ogni cosa dal suo essere”; il titanismo di Beethoven ne è un esempio.

5)     Robinson, il quale è autonomo anche per le cose materiali. Egli vive in completa indipendenza, non necessita della società.

Ad una prima occhiata, in tale classificazione potrebbe entrare anche la figura dell’eremita, poiché vive separato dal resto del mondo. Egli però non è veramente solo, anzi, vive insieme con Dio. Dunque, “ non si può pertanto riconoscere l’eremita come singolo assoluto, né come figura puramente individualistica. Egli rappresenta solo un personaggio apparentemente individualistico”.

Se dunque il singolo è totalmente indipendente, la società non può che essere una mera somma di queste individualità.

Proprio per le caratteristiche intrinseche dell’individualismo, l’individuo assoluto non può avere una moralità di fronte agli altri, ma soltanto verso se stesso. Dunque: “ per l’individualista c’è si un’etica individuale, ma non esiste etica sociale, c’è una moralità individuale, ma non una (originaria) moralità sociale”.

Al contrario, esiste un contratto tra i componenti della società il cui fine è quello di garantire aiuti, nella più semplice logica utilitaristica, la quale permea le uniche norme di comportamento sociale esistenti.

Oltre ad individuare i vari tipi d’uomo che possono essere ricompresi all’interno del concetto di individuo assoluto, Spann differenzia tre forme di individualismo:

1)   Anarchismo: tale tipo è collegabile all’affermazione:  “ Per me nulla sta al di sopra di me”, logicamente spiegabile con la convinzione dell’individuo assoluto di bastare a se stesso, di essere “interiormente solo e tutto con me stesso”. In questo ambito, all’individuo assoluto spetta la libertà illimitata, l’assenza di autorità, ossia, appunto, l’anarchia.

2)   Il Machiavellismo: secondo Spann, il pensiero di Machiavelli si poggia su un utilizzo, da parte del più forte, della società volto a soggiogare il più debole, dunque un uso della libertà in funzione di dominare l’inferiore.

3)   Il Diritto Naturale o la teoria del contratto: secondo tale teoria, l’anarchia in cui vivono i singoli è eliminata attraverso la stipulazione di un contratto  “ col quale gli uomini si garantiscono vicendevolmente sicurezza e diritto alla proprietà, dando in tal modo origine a comunità fondate sulla reciproca assistenza”. Tale caso ha però due varianti: la prima include la possibilità che gli uomini cedano i propri poteri nelle mani di un capo, che acquisisce incondizionati diritti di sovranità, che devono servire a garantire i diritti naturali di coloro che hanno stipulato il patto ( è la forma dell’assolutismo illuminato ). La seconda variante è caratterizzata dalla delega, stabilita dai cittadini, dei loro stessi diritti e poteri, a dei mandatari, che gli eserciteranno in nome dei singoli individui. (è il caso della democrazia e del liberalismo).

Ogni individualismo ha inoltre alcuni principi politici che lo caratterizzano.

1)   La libertà del singolo: la libertà deriva dall’autosufficienza del singolo ed è caratterizzata da due forme: una negativa, collegabile alla costrizione, poiché “ogni legame del singolo è una catena, un ostacolo frapposto alla sua autodeterminazione spirituale”. L’unico limite a tale libertà è il rispetto dovuto al contratto. Una positiva, che tramuta la libertà nella essenziale  condizione di vita del singolo, dato che al massimo grado delle “condizioni spirituali” dell’esistenza si perviene attraverso l’autosufficienza, ossia la libertà.

2)    Il minimo dei compiti dello Stato: il principio della libertà del singolo necessita come corollario la “massima non ingerenza dello Stato”, ridotto essenzialmente ad una associazione protettiva.

3)   Il diritto come minimo di limitazione reciproca della libertà: questo principio politico non riguarda né l’anarchismo, in cui v’è solo “un arbitrario ordinamento cooperativo, che può essere infranto in ogni momento”; né il machiavellismo, in cui a decidere è sempre il più forte. Discorso diverso riguarda il giusnaturalismo, che ammette il diritto, ma come “limitazione della libertà dell’uno attraverso la libertà dell’altro”, come uno strumento capace di concedere il massimo grado di libertà al minimo costo in termini di libertà stessa.

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Carlo Costamagna

Abbiamo detto dunque che una delle caratteristiche fondamentali dell’individualismo è proprio l’autosufficienza spirituale, la quale rivela “un orientamento morale a-metafisico” dell’individualismo”, causato dalla possibilità, per l’uomo, di ritirarsi in sé stesso.

Tale rifiuto della metafisica costituisce un importate attributo dell’individualismo, che si aggiunge alla tendenza utilitaristica insita in tale ideologia. Conformemente alla logica dell’utile, i valori morali non saranno validi aprioristicamente ed intrinsecamente, bensì lo saranno in quanto utili.

Da questo percorso si perviene ad una morale utilitaria, “buono si dimostra ciò che è utile”, ma anche ad un’etica relativistica, “il che vuol dire ch’essa può ben variare in conformità alle circostanze”.

Tale dottrina è al contempo empiristica, “vale a dire che la moralità è un risultato dell’esperienza, ossia dell’esperienza delle cose che si debbono considerare tanto utili quanto buone.

Infine, un ultimo carattere dell’individualismo è il cosmopolitismo. Infatti: “ Uguaglianza non significa soltanto uguaglianza entro i confini del proprio Stato, ma altresì “uguaglianza di tutto ciò che ha sembianze umane”. Così facendo tale ideologia porta a compimento due processi differenti: da un lato “rende tutti uguali, equiparando e atomizzando ogni cosa”; dall’altro crea tra uomo ed uomo un solco invalicabile.

Da tutta questa disamina risalta che il più grande errore dell’individualismo è, secondo l’autore, l’autosufficienza, che, se da un lato rende titanicamente grande il singolo, dall’altro diviene incredibilmente “povero e solitario”, creando altresì una forte confusione, dovuta alla pretesa impossibile di separare l’individuo dal mondo cosmico: “ Quando Eracle ha compiuto le sue imprese si pone la domanda: a che scopo è stato tutto ciò ? Nell’istante in cui ci si chiede questo, già si nega la propria autosufficienza e si cerca un ordine superiore il quale accolga in sé il mio, conferendo senso e valore alla mia dimensione. Con questa domanda il singolo s’inserisce nel tutto universale”.

jeudi, 01 octobre 2015

Carlo Costamagna: un illustre sconosciuto del ‘900 da riscoprire

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Carlo Costamagna: un illustre sconosciuto del ‘900 da riscoprire

 
In attesa della conferenza di sabato 3 Ottobre , presso la libreria di Raido, scopriamo la figura e il pensiero di Carlo Costamagna, tramite anche l’ausilio dell’ultimo  libro scritto da Rodolfo Sideri
L’Umanesimo nazionale di Carlo Costamagna

a cura della Redazione

Ex: http://www.azionetradizionale.com

In un’epoca di “democrazia liquida”, di sovranità limitata e quant’altro, parlare del pensiero politico di Carlo Costamagna significa entrare a gamba tesa sulle categorie moderne del politico. Ed è proprio questo il merito di Carlo Costamagna: oggettivizzare in forma giuridica e politica quella “rivolta contro il mondo moderno” che rischia, altrimenti, di essere un’inattuabile visione del mondo.

E’ questo, perciò, il merito dell’ultimo libro di Rodolfo Sideri – “L’Umanesimo nazionale di Carlo Costamagna”  che riscopre questo illustre sconosciuto del ‘900, e riporta alla luce pagine importantissime della sua troppo poco nota opera. Opera riedita in minima parte, ma comunque fondamentale e da conoscere.

Tutta l’opera di Costamagna parte da un quesito: avrebbe potuto, il Fascismo, sorto grazie agli irripetibile eventi della Prima Guerra Mondiale, superare le contingenze temporali che lo avevano informato per divenire dottrina a-temporale dello Stato? E’ per questo che Costamagna cerca di definire la “dottrina fascista dello Stato”. Infatti, non è di “scienza” bensì di “dottrina” che devesi parlare nei confronti dello Stato. Lo Stato non è mera organizzazione politica: è “ordine” che contiene la diseguaglianza intrinseca di chi lo compone. E’ “ordine” poichè fondato su di una visione superiore: non un contratto sociale, semmai, reciproca subordinazione ad una volontà superiore e formatrice.

“Fascismo” è per Costamagna perciò un movimento “restauratore” della vera Idea di Stato (e di Uomo). Per questo Costamagna si batte in seno al Fascismo cercando spazio e consenso alle sue idee. Idee radicali, forse troppo per un movimento rivoluzionario divenuto prima regime e poi, in alcuni casi, burocrazia statolatrica. Costamagna propugna idee che lo rendono antipatico a chi aveva fatto carriera col Fascismo: invoca la formazione di una élite che vada al comando, integralmente fascista; invoca la funzione temporanea dello stesso “duce”, subordinata all’affermazione del vero Stato, secondo il leitmotiv diffuso fra i fascisti più intrepidi: “Deve essere Mussolini a servire il Fascismo, e non il Fascismo servire Mussolini

Lo Stato è realtà a sè, non è un “fatto giuridico”. E’ realtà irriducibile. Ed in Costamagna la concezione dello Stato diventa tutt’uno con quella dell’uomo: perché a quell’uomo avente dimensione spirituale ed integrale non potrà che corrispondere uno stato analogo.

Costamagna afferma, di conseguenza, la superiorità dello Stato su tutto: nazione, popolo, diritto stesso. Lo Stato è autosufficiente, è principio generatore. Si oppone così alla visione contrattualistica che pone l’individuo, ed il razionalismo, a fondamento dello Stato. E’ la riaffermazione totale del principio virile ed aristocratico della politica. La grande politica, potremmo dire.

Costamagna si schiera contro l’illuminismo, il liberalismo ed il positivismo in genere. E va oltre. La sua acuta analisi lo porta a comprendere che è proprio nella frattura, già segnalata da Evola e Guenon, determinata dal razionalismo e poi proseguita con Umanesimo e Rinascimento, che stanno i motivi della decadenza attuale.

Le pagine di Costamagna sulla sovranità sono una anticipazione beffarda al triste destino delle nazioni europee post-1945. Il vero Stato o è sovrano o non è. E’ uno schiavo eunuco, lo stato senza vera sovranità.

La questione del “bene comune” invece – un vero e proprio mantra del liberalismo e dell’individualismo moderno – secondo Costamagna si può risolvere solo alla luce di un’esperienza e d’una visione spirituale. Dove, però, per bene comune si intende un bene “politico”, e non misurabile secondo i criteri edonistici della felicità o, peggio, quelli economicistici della ricchezza.

Non è questa la sede per affrontare la biografia politica di Costamagna, che meriterebbe dei capitoli a parte che neanche il libro di Sideri, nella sua economia complessiva, può affrontare se non di sfuggita. Molto ci sarebbe da dire in merito al capitolo del rapporto con Gentile ed Evola. Rispetto al primo, non possiamo che ribadire e sottoscrivere le posizioni di Costamagna contro quell’idealismo liberale di Gentile che nulla aveva a che realmente spartire con il Fascismo. Ricordiamo di sfuggita che solo per un limite del Fascismo, che non seppe o non volle essere coerente con le sue premesse rivoluzionarie, non si apportò nella cultura politica quella spinta radicale che invece uomini come Costamagna, ardentemente fascisti – della “prima ora”, a differenza di Gentile – invocavano a gran voce. Gentile dagli anni ‘30, cioè dopo il consolidamento istituzionale del Fascismo, non ebbe vita facile, bersagliato com’era dall’eterogeneo mondo degli anti-idealisti fascisti.

Quanto al rapporto con Evola, parlano abbastanza le collaborazioni alla rivista di Costamagna “Lo Stato”. Inoltre, un capitolo a parte, pressoché sconosciuto, meriterebbe il progetto che nel secondo dopoguerra avrebbe visto Evola, su incarico di Berlino, costituire delle “uova del drago” a Roma all’indomani della conquista alleata. A tale progetto Costamagna avrebbe partecipato attivamente ma, altro non è dato sapere.

Capitolo a parte, su cui si sofferma Sideri, è dedicato ai rapporti fra Costamagna e la Rivoluzione Conservatrice germanica (austriaca e tedesca), nei rapporti con Spann e Schmitt in particolare. L’economia dell’opera non ha consentito di approfondirli ma, pure, Sideri sottolinea alcuni aspetti di convergenza e di divergenza che ci fanno dire come Costamagna abbia superato (positivamente) alcuni limiti di entrambi i filoni. Anche sul grandissimo Carl Schmitt, Costamagna infatti segna il punto, soprattutto circa le differenti vedute in merito al cosiddetto Führerprinzip.

Non male per un illustre sconosciuto

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