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mardi, 20 octobre 2015

La Turchia, il PKK e lo Stato Islamico

Il conflitto siriano e l’avanzata dello Stato Islamico premono ormai anche sulla Turchia di Erdoğan condizionando sempre più i suoi orientamenti geopolitici. Le posizioni turche sono dipese, e continuano a dipendere, da un’attenta valutazione delle proprie priorità strategiche dovendosi destreggiare tra due minacce altrettanto pericolose per i propri interessi vitali. Se con un occhio i centri decisionali turchi guardano infatti al terrorismo di matrice jihadista, con l’altro non possono ignorare la minaccia decennale proveniente dalle ambizioni curde. Il dilemma sembra dunque essere quello tra il combattere lo Stato Islamico, favorendo in questo modo la causa curda, o declassare la minaccia jihadista al secondo posto concentrandosi sulla trentennale lotta contro i curdi. Tale dubbio strategico sembra aver infettato i centri decisionali turchi almeno fino all’estate del 2015 quando il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan ha dovuto affrontare anche una crisi interna legata alla perdita della maggioranza la quale ha necessariamente condizionato le scelte di politica estera.

La di per sé difficile gestione della tregua1 firmata nel 2013 tra Ankara e il PKK è stata progressivamente messa in crisi da due eventi fondamentali, uno esterno alla Turchia e l’altro relativo agli equilibri politici interni, i quali intersecandosi hanno reso sempre più difficili i rapporti tra Ankara e la minoranza curda fino a sfociare nei fatti di Suruc del 20 luglio.2

Il fattore esterno riguarda, come è logico intuire, la guerra in Siria. Proprio quest’ultima ha rafforzato il ruolo dell’Unità di protezione del popolo (YPG), braccio armato del Partito dell’Unione Democratica (PYD), partito indipendentista curdo vicino al PKK fondato nel 2003 nel nord della Siria. L’YPG ha sostanzialmente preso la guida delle operazioni di terra contro lo Stato Islamico in Siria, appoggiato da una coalizione internazionale refrattaria ad intervenire direttamente. Più la guerra in Siria prendeva forma e i curdi consolidavano le proprie posizioni, tanto più le tensioni tra Ankara e i curdi si esacerbavano. Da un lato, le accuse dei curdi nei confronti di Ankara si sono fatte più pesanti e pressanti, arrivando ad accusare i vertici turchi di aver fatto il doppio gioco appoggiando i jihadisti in funzione anticurda; dall’altro, quanto più l’YPG si presentava come il principale braccio armato di terra nella guerra contro lo Stato Islamico, tanto più la preoccupazione di Ankara diventava percepibile fino a raggiungere il suo punto massimo quando l’YPG ha proclamato la nascita dello Stato curdo vicino al confine meridionale della Turchia. Unendo i territori che da Kobane arrivano a Qamishli, il gruppo siriano curdo si è garantito una continuità territoriale la quale rappresenta, de facto, un primo tassello per la realizzazione del grande sogno trentennale curdo. Agli occhi di Ankara una simile entità politico-territoriale, situata per di più lungo i propri confini, non è tollerabile in quanto rappresenta chiaramente un pericoloso polo di attrazione per i curdi che vivono nella Penisola Anatolica.

La situazione così creatasi ha messo Ankara in una posizione scomoda costringendola ad una certa ambivalenza di intenti. Se, infatti, la Turchia non può di certo dichiarare esplicitamente guerra ai curdi, gli unici a farsi carico della lotta contro lo Stato Islamico sul terreno, è tuttavia altrettanto vero che la Turchia non può neanche impegnarsi in una guerra su larga scala contro lo Stato islamico poiché potrebbe essere l’unico vero freno alla costituzione di uno stato curdo al confine con la Turchia. In questo delicato scenario si inseriscono anche i rapporti tra la Turchia di Erdoğan e la coalizione internazionale anti-Stato Islamico capitanata dagli USA.

Fin dal 2014 gli USA hanno cercato l’appoggio della Turchia, considerandola il vero pivot militare nella strategia di indebolimento dello Stato Islamico. Pur di ottenere il sostegno turco e soprattutto le basi militari turche da cui attaccare le postazioni dello Stato Islamico, gli USA sembrano aver ceduto sulla possibilità che Ankara continui, senza troppe proteste da parte della comunità internazionale, la sua guerra su due fronti. La base militare di Incirlik sembra essere stata dunque barattata idealmente con una sorta di “chiudere gli occhi” in riferimento alla reale strategia di Ankara e materialmente con l’accettazione della richiesta turca di una No-fly zone nel nord della Siria. La No-Fly Zone, lunga 90 km e profonda circa 50, consentirebbe alla Turchia di raggiungere due principali obiettivi: da un lato ridurre la potenza militare di Assad, unico in campo a detenere una forza militare aerea, e dall’altro la zona cuscinetto così creata eviterebbe l’ulteriore avanzata dei miliziani curdi siriani dell’YPG volta a ricongiungere nuovi cantoni alla striscia di territorio già controllata. Sebbene celata dietro ragioni umanitarie legate soprattutto alla questione dei profughi siriani, la No-fly Zone permetterebbe, infine, alla Turchia di avere maggiore peso politico nel momento in cui si dovrà ricostruire la nuova Siria.

La delicata partita che si gioca tra i curdi e la Turchia di Erdoğan potrà, come è logico intuire, rafforzare, piuttosto che indebolire, le posizioni dello Stato Islamico. Quest’ultimo uscirebbe, in definitiva, come il grande vincitore nello scontro tra la Turchia e i curdi, traendo enormi vantaggi da un rinnovato clima di instabilità nelle regioni della Turchia a maggioranza curda. Lo Stato Islamico, infatti, direttamente minacciato sul terreno dall’YPG, vedrebbe in un simile scenario una dispersione delle forze nemiche curde su più fronti e soprattutto un rallentamento dei rifornimenti che giungono ai curdi siriani.

La Turchia non può attaccare lo Stato Islamico per non favorire il PKK, né dichiarare guerra ai Curdi che contengono l’espansione di ISIS. Ma il grande vincitore dello scontro tra Turchi e Curdi non potrà che essere lo Stato Islamico

Passando invece alle questioni interne, le elezioni parlamentari del 7 giugno e il risultato elettorale ottenuto dal HDP3 hanno significato per Erdoğan la fine, o perlomeno una battuta d’arresto non prevista, del suo sogno di modificare la costituzione così da trasformare la Turchia in un regime presidenzialista puro. Dopo aver sabotato la formazione di un governo di coalizione, il Presidente Erdoğan ha annunciato nuove elezioni anticipate per il prossimo primo novembre. Il presidente turco spera, dopo lo stop di giugno, di poter ottenere il massimo rendimento dalla delicata congiuntura, internazionale e nazionale, che si è venuta a creare.

In particolare, Erdoğan sembra voler sfruttare la difficile situazione esistente tra le varie anime del movimento indipendentista curdo al fine di poter recuperare i voti necessari per ottenere la maggioranza. Benché vi sia, infatti, una base comune tra l’HDP, il PKK e i gruppi curdi siriani, in realtà le tensioni tra tutte queste diverse fazioni non sono meno pericolose di quelle esistenti in generale tra i curdi e i turchi. Il PKK rischia di essere emarginato dai successi dell’YPG siriano ma anche di essere considerato un fattore meramente destabilizzante se paragonato al più pacifico HDP; la tenuta di quest’ultimo, reo, secondo i gruppi più estremisti, di aver mediato la tregua del 2013, è invece messa in pericolo dalla crescente instabilità nelle regioni a maggioranza curda a causa della ripresa della lotta da parte del PKK. In sostanza, la situazione creatasi pare fare il gioco di Erdoğan in quanto sembra potersi prospettare un possibile indebolimento dell’HDP e un conseguente recupero per l’AKP dei voti persi a giugno. Ma il partito di Erdoğan sta cercando di attingere voti anche da un altro bacino elettorale: il vero obiettivo degli F16 schierati contro lo Stato Islamico e le postazioni curde sembrerebbe essere in realtà, non tanto l’annientamento militare dei terroristi, quanto il recupero dei voti dei nazionalisti turchi persi dall’AKP a favore dell’MHP, il partito ultranazionalista turco. Occorre sottolineare a tal riguardo che in Turchia una forte maggioranza dell’opinione pubblica vede nel PKK una minaccia alla sicurezza superiore rispetto a quella proveniente dallo Stato Islamico.

La ripresa della lotta armata del PKK e gli F-16 schierati in Siria dovrebbero garantire a Erdoğan il recupero di voti nazionalisti e, con essi, della maggioranza parlamentare necessaria a modificare la Costituzione e introdurre in Turchia un sistema presidenziale puro.

La Turchia, insomma, è chiaramente schierata su due fronti: se da un lato attacca lo Stato Islamico, dall’altro non perde di vista la minaccia curda che si fa sempre più pressante. I curdi, infatti, difficilmente si lasceranno sfuggire l’occasione, oggi concreta più che mai, di realizzare il sogno di un Kurdistan unito e indipendente. L’impressione è dunque che Erdoğan stia sfruttando la situazione in Siria a proprio vantaggio in funzione anticurda sia all’esterno, contro la formazione di uno stato curdo unito, sia all’interno, contro lo straordinario risultato elettorale raggiunto dall’HDP. Gli effetti sull’intero contesto regionale di questo “secondo fronte” di guerra, sempre più caldo e carico di incognite a livello interno, non possono essere trascurati. Emblematico in questo senso il tragico attentato che ha avuto luogo ad Ankara il 10 ottobre 2015. La situazione regionale, già fortemente precaria e instabile, è ora esposta ad un ulteriore pericolo di escalation. È infatti evidente che nello scontro tra Turchia e PKK sia in gioco non soltanto l’evolversi di una guerra civile iniziata nel 1984 quanto piuttosto il futuro stesso della lotta contro lo Stato Islamico.

NOTE:

1È sicuramente innegabile che i limiti del cessate il fuoco del 2013 fossero già evidenti prima che la situazione siriana provocasse nuove tensioni. Una delle condizioni della tregua era che i miliziani del PKK abbandonassero la Turchia stabilendosi in Iraq; in cambio il governo turco avrebbe dovuto portare avanti alcune riforme costituzionali e provvedere ad una sorta di amnistia. L’esecuzione di questi passaggi è avvenuta lentamente e tra la sfiducia reciproca delle parti; di fatto non tutti i miliziani si sono ritirati dal territorio turco e l’amnistia non è mai stata promulgata così come non sono mai state portate avanti le riforme politiche richieste dai curdi. Inoltre, PKK e governo di Ankara, non hanno mai cessato di scambiarsi accuse reciproche di violazione degli accordi.
2 Il 20 luglio la città di Suruc, città al confine con la Siria a maggioranza curda, è stata scossa da un attacco suicida. L’attentato è stato apparentemente organizzato dallo Stato Islamico ma i curdi hanno accusato il governo turco di aver supportato i jihadisti. L’accusa è ormai sollevata dai curdi da mesi; l’attentato a Suruc non è stato altro, infatti, che la scintilla che ha dato il via formale a quel processo di accuse e recriminazioni reciproche tra il PKK e Ankara che fino all’estate del 2015 era spesso comparso soltanto fra le righe. I concitati eventi che ne sono seguiti, la risposta armata del PKK a Ceylanpinar e le successive contromosse turche, hanno definitivamente posto fine al cessate il fuoco provvisorio firmato da Ankara e dal PKK nel 2013.
3 Il PHD, il partito che si batte ormai da anni per l’uguaglianza dei diritti politici della minoranza curda, ha raggiunto il 13% nelle elezioni, superando quindi la soglia di sbarramento del 10% pensata proprio per evitare l’entrata in parlamento dei partiti filo-curdi.

lundi, 10 août 2015

Pacte USA-Turquie contre l’EIIL

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Pacte USA-Turquie contre l’EIIL, les deux compères feignent de combattre les coupeurs de têtes

Auteur : Giulietto Chiesa
Traduction Christophe pour ilFattoQuotidiano.fr 
Ex: http://www.zejournal.mobi

Nous assistons actuellement à un scandale des plus ignobles, à mi-chemin entre la pure violence impériale – qui a désormais outrepassé toutes les limites de le décence -, et la désinformation la plus totale utilisée pour couvrir le tout et justifier la violence comme seule solution possible.

Mais de quoi s’agit-il donc ? Je veux parler de l’ »alliance », rétablie récemment, entre les États-Unis et la Turquie en vue de combattre « le plus efficacement possible » (attention au vocabulaire utilisé) le croque-mitaine, c’est-à-dire ce qu’on appelle l’État islamique ou EIIL.

Mais est-ce le véritable objectif ? Bien sûr que non. L’ »alliance » nouée ces derniers jours ne concerne pas deux, mais trois parties. Le 3e allié est ce qu’on appelle les « insurgés syriens« . C’est comme cela que les désigne pudiquement l’International New York Times du 28 juillet, dans un article coécrit par pas moins de 3 correspondants, Anne Barnard, Michael R.Gordon et Éric Schmitt, qui partagent ainsi joyeusement le mensonge et l’hypocrisie.

Derrière ce noble objectif – celui de combattre l’EIIL -, l’Empire et la Turquie s’apprêtent à mettre en place une bande longue de 100 km aux frontières de la Turquie, où pourront s’installer en toute quiétude les « insurgés syriens » qui ne sont rien d’autre que les restes de l’ASL (Armée syrienne libre), mélangés à des éléments d’al-Qaïda.

La bande de terre fait en réalité partie du territoire d’un État souverain, qui s’appelle la Syrie, et qui va donc être occupé simultanément par trois de ses ennemis, lesquels font semblant d’en combattre un quatrième. […]

Les trois journalistes auteurs de cet article ont sans doute jeté un oeil sur une carte de la région et se sont aperçus que cette « bande », une fois occupée, permettra aux avions américains de survoler la zone où le gouvernement syrien combat les « insurgés ». Est-ce que cela est légal ? Quelqu’un leur a donné l’autorisation ? Absolument pas. C’est l’arbitraire le plus total. Tout ça au nom de la guerre contre l’EIIL.

Les trois journalistes auteurs de cette brillante analyse se fient aveuglément à des déclarations anonymes provenant de l’administration US qui affirment que les coupeurs de tête de l’ex-ASL sont « relativement modérés ». Mais voyez-vous cela, nous apprenons dans le même temps qu’ « un grand nombre de ces ‘’rebelles’’ a été entrainé dans le cadre d’un programme secret de la CIA, » ce qui montre combien ces combattants sont vraiment ‘’libres’’. Il est indéniable – apprend-on également – que sur le champ de bataille ces jeunes sont « souvent mélangés, et travaillent de concert avec des insurgés islamiques bien plus extrémistes. »  Tiens tiens. Est-ce que par hasard il ne s’agirait pas précisément des combattants de l’EIIL ? Contentons-nous de survoler tout cela. C’est d’ailleurs ce que fait la gigantesque machine médiatique américaine et mondiale, elle « survole » la situation.

Bon évidemment, les avions américains vont être amenés à abattre les avions syriens. Que voulez-vous, il faut aussi les comprendre ces avions américains. Du reste, l’expérience de la No-Fly Zone en Libye s’est révélée extrêmement positive, comme nous le savons. Les avions de Kadhafi ont été détruits au sol, et c’est ce qui attend les avions de Bashar el-Assad.

Ne faudrait-il pas attendre l’autorisation du Conseil de sécurité de l’ONU ? Cela présenterait le risque de voir la Russie et la Chine opposer leur véto. Non non, allons-y. L’Empire s’autorise lui-même. Et les effets – si cela réussit – seront identiques. La Syrie sera liquidée, son territoire deviendra la proie des bandes sanguinaires, exactement comme ce qui s’est passé en ex-Libye.

Aussi parce que, comme l’écrivent nos trois fameux journalistes,  les « insurgés«  ont comme principal objectif, non pas de combattre l’État islamique, avec lequel ils ont d’excellents rapports, militaires et financiers, mais celui d’abattre Bashar el-Assad. Ce qui est également l’intérêt non affiché des Américains, en plus du fait que cela constituerait une belle faveur faite à Israël et à l’Arabie Saoudite. Après, on verra bien.

L’intérêt des Turcs dans tout cela ? Utiliser la situation pour frapper les milices kurdes, en faisant d’une pierre deux coups. Pour moi qui assiste à cette pantomime sanglante, tout cela me fait immédiatement penser à la question des immigrés, dont on n’arrête pas de parler en long en large et en travers en Italie. Peu nombreux sont ceux qui semblent se rendre compte que des centaines de milliers de malheureux vont à nouveau être obligés – grâce à l’Empire et à nos gouvernants – de tenter de rejoindre nos côtes, pour fuir, pour survivre. Nous préparons, avec la plus grande stupidité, méconnaissance et lâcheté, notre propre tragédie.

Ainsi va le monde. Les journaux occidentaux ont hurlé à gorge déployée pendant un an et demi, et continuent de le faire, à propos de l’invasion de l’Ukraine par la Russie. Mais ce qui se passe depuis trois ans en Syrie, ils ne le voient pas. Ou plutôt, il ne nous le montrent pas. De toute façon, ils ne nous ont pas non plus montré la guerre en Ukraine ni la soi-disant « invasion » russe. Et donc, nous sommes quittes.

mercredi, 17 avril 2013

Le problème kurde: une marge de manoeuvre

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Bernhard TOMASCHITZ:

Le problème kurde: une marge de manoeuvre

 

Le PKK a annoncé une trêve. Cette annonce s’explique par l’importance croissante que revêt le peuple kurde dans le jeu géopolitique et géo-énergétique au Proche-Orient

 

A l’occasion du “Newroz”, la fête du Nouvel An kurde et iranienne, le commandant en chef militaire du PKK (“Parti des Travailleurs du Kurdistan”), Murat Karayilan, a divulgué urbi et orbi  une déclaration du chef historique du PKK, Abdullah Öçalan, emprisonné depuis 1999. Dans cette déclaration, on pouvait lire: “Nous appellons officiellement, et sans ambigüité aucune, à un armistice, qui entrera en vigueur dès le 21 mars”. Par l’effet de cet appel, les guerilleros en lutte pour un Kurdistan libre ne commenceront plus aucune action militaire. Karaliyan ajoutait néanmoins un avertissement: “Mais si nos forces sont attaquées, elles se défendront tout naturellement”.

 

On ne peut donc pas encore dire que la guerre civile turque, commencée en 1984 entre le PKK (que l’UE et les Etats-Unis considèrent comme une organisation terroriste) et l’armée turque, est désormais terminée. Mais les chances de voir s’établir la paix dans les régions kurdes de l’Anatolie orientale sont plus réelles aujourd’hui qu’elles ne l’ont jamais été depuis le début des hostilités il y a près de trente ans. D’une part, le gouvernement d’Ankara a accordé des droits à la minorité kurde; ces droits demeurent toutefois encore fort modestes. D’autre part, Öçalan croit sans doute que s’offre à lui l’occasion unique de rentrer dans l’histoire comme un pacificateur. Mais ce ne sont ni les concessions turques ni les espoirs d’Öçalan qui me semblent déterminants: il y a surtout le fait que les données géopolitiques ont été complètement bouleversées dans la région au cours de ces dernières années.

 

La Turquie veut, elle, se positionner comme une puissance régionale dans le Proche- et Moyen-Orient. Elle ne peut pas jouer ce rôle pleinement si elle doit sans cesse consacrer ses ressources militaires à une “petite guerre”, une guerilla, qui cloue d’office le gros de l’armée sur le territoire anatolien. Ensuite, la Turquie se veut un pays de transit pour les hydrocarbures. Les oléoducs et gazoducs existants, comme ceux qui relient Bakou à Ceyhan, via Tiflis en Géorgie, transportent déjà le pétrole de la région caspienne à la côte méditerranéenne de la Turquie; qui plus est, les Turcs envisagent l’installation d’autres “pipelines” qui transporteront les hydrocarbures de la région kurde du Nord de l’Irak vers l’Europe en passant par la Turquie. Pour sécuriser totalement le transport de ces hydrocarbures, il est impératif, pour Ankara, de pacifier les régions kurdes sous souveraineté turque.

 

C’est là que se rejoignent les intérêts d’Ankara et de Washington. Le partenaire turc des Etats-Unis dans le cadre de l’OTAN a un rôle capital à jouer dans les plans américains: il doit servir à contourner la Russie, rival géopolitique, de façon à ce que le pétrole et le gaz naturel d’Asie centrale et de la région caspienne soient acheminés vers l’Ouest sans passer par des pays sous contrôle russe. La Turquie est indispensable dans cette stratégie de contournement de la Russie. Le 7 août 2012, le journaliste Murat Yetkin écrivait ces lignes dans le quotidien turc de langue anglaise “Hürriyet Daily News”: “Parce que l’Irak menace de se désagréger, Massoud Barzani, le chef du gouvernement régional kurde du Nord du pays, une région voisine de la Turquie, a commencé à signer des accords pétroliers et gaziers avec des géants énergétiques, en dépit du désaccord manifesté par le premier ministre irakien Nouri al-Maliki”. En septembre 2012, l’agence de presse Reuters annonçait que le consortium pétrolier britannique Shell songeait à s’engager dans le Kurdistan irakien. Les champs pétrolifères de cette région sont d’ores et déjà exploités par les consortiums ExxonMobil (Etats-Unis) et Total (France).

 

On ne s’étonnera pas, dès lors, que Yetkin en arrive à cette conclusion: “Les géants énergétiques ont intérêt à livrer aux marchés occidentaux un maximum de gaz et de pétrole, issus de régions qui ne sont pas contrôlées par la Russie ou l’Iran ou qui le sont moins. Dans cette perspective, la Turquie offre une possibilité: sous la protection de l’OTAN, elle pourra servir de transit à des ressources énergétiques venues, d’une part, du Kurdistan irakien et, d’autre part, de l’Azerbaïdjan, pour qu’elles soient acheminées vers l’Ouest. La présence du PKK, interdit et combattu, et les combats qui se déroulent dans l’Est de la Turquie constituent de véritables épines dans la chair de ce projet et un obstacle important à une coopération interétatique de grande ampleur”.

 

On peut donc émettre l’hypothèse que les Etats-Unis ont exercé une pression en coulisses sur les deux protagonistes du conflit turco-kurde. Washington pourrait très bien avoir fait pression 1) sur la Turquie, pour qu’elle octroie aux Kurdes plus de droits de façon à ce qu’ils n’aient plus ni envie ni intérêts à soutenir le PKK et 2) sur les autorités kurdes du Nord de l’Irak pour qu’elles ne protègent plus les combattants du PKK. De fait, les relations entre Ankara et le Kurdistan irakien (de jure, partie de l’Irak; de facto, quasiment indépendant) se sont largement normalisées au cours de ces dernières années. Pour Washington, la valeur stratégique du peuple kurde s’est nettement amplifiée, depuis la deuxième guerre du Golfe (2003), vu que ce peuple kurde vit à cheval sur tous les pays de la région: la Turquie, la Syrie, l’Irak et l’Iran. A ce propos, dès juin 2011, Meghan L. O’Sullivan évoquait la question kurde. Madame O’Sullivan avait été, sous le règne du Président George W. Bush, membre du “Conseil National de Sécurité”; aujourd’hui, elle est professeur à Harvard. Pour elle, la région peuplée de Kurdes est une région où ceux-ci peuvent exercer une pression politique importante sur les politiques intérieures de l’Irak, de la Syrie et de la Turquie; en tant que “groupe collectif”, ils pourraient détenir un poids économique déterminant et, ainsi, “devenir à coup sûr plus modérés et indispensables aux intérêts américains au Proche-Orient”. Ces arguments de Madame O’Sullivan pourraient très bien induire le gouvernement d’Obama à inclure une “perspective kurde” dans ses stratégies pour le Proche- et le Moyen-Orient.

 

Ensuite, Meghan L. O’Sullivan explique que les Etats-Unis devraient “encourager sotto voce” tout nouveau gouvernement turc “à traiter sa minorité kurde avec magnanimité” et à faire d’une telle politique magnanime la pierre angulaire de toute relation bilatérale. Pour ce qui concerne les Kurdes d’Irak, Washington devrait, d’après Madame O’Sullivan, utiliser les bonnes relations existantes avec la Turquie pour faire avancer le “pragmatisme”. Et comme ces relations turco-kurdes, limitées aux Kurdes d’Irak, sont désormais bien développées, ces Kurdes d’Irak, sous la houlette des Américains, pourraient jouer un rôle clef dans l’ensemble de la communauté ethnique kurde. Mais avant d’en arriver là, les relations turco-kurdes en Anatolie sous souveraineté turque doivent connaître un processus de détente. Il faut surtout qu’Ankara cesse de craindre les revendications territoriales de tout éventuel Etat kurde indépendant.

 

Cependant, les plans concoctés à Washington laissent plutôt entrevoir que le Kurdistan irakien sera tôt ou tard placé sous la souveraineté turque. C’est un projet que l’on devine dans un écrit de Parag Khanna, conseiller d’Obama en matières de politique étrangère lors de sa première course à la Présidence: “La Turquie devrait avoir peu à craindre d’un Kurdistan indépendant car elle a toutes les cartes en main pour décider si, oui ou non, le Kurdistan sera une Bolivie du Machrek, c’est-à-dire un pays riche en matières premières mais géographiquement isolé parce qu’enclavé”. De ce fait, la Turquie peut amorcer une stratégie à long terme face au Kurdistan: en liant les Kurdes à elle, elle les amènera sous sa dépendance.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(Article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°13-14/2013, http://www.zurzeit.at/ ).

samedi, 10 novembre 2012

Histoire : le Kurdistan et les Kurdes

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Histoire : le Kurdistan et les Kurdes

Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

1) Heurts et malheurs de l’Histoire kurde

Avant le 16ème siècle, le Kurdistan tel qu’il est connu et reconnu aujourd’hui, avec son découpage en quatre parties, était une des régions de l’Iran. Il fut abandonné par les rois safavides à l’empire Ottoman en 1514, lors de la bataille de Tchâldorân, avant d’être partagé entre l’Iran, la Syrie, la Turquie et l’Iran à la fin de la Première Guerre Mondiale. Malgré les hauts et les bas de leur histoire, les Kurdes continuent cependant à pratiquer une langue commune qui témoigne de leur unité culturelle. Jusqu’à présent, et malgré l’adversité, ces derniers sont parvenus à conserver leur union, leur solidarité, et leur identité transnationale. Durant l’Antiquité, les Kurdes habitaient les régions orientales de la Mésopotamie et l’Iran-vitch. Leur territoire n’a jamais cessé de changer d’appellation au cours de l’histoire. Il fut nommé Kura Gutium par les Sumériens, Kurdasu par les Elamites, Qardu par les Babyloniens et Carduchoi par les Grecs. Sous les Seldjoukides, à l’époque du Sultân Sandjar, le nom de Kurdistan fut définitivement choisi pour cette région.

Au 7ème siècle av. J.-C le Kurdistan irakien d’aujourd’hui constituait une partie de l’empire assyrien. Lorsqu’Assurbanipal, l’empereur assyrien, mourut en 633 av. J.-C, Cyaxare le roi mède s’allia aux Babyloniens contre les Assyriens. En 614 av. J.-C, Cyaxare traversa les chaînes montagneuses du Zagros et assiégea la capitale assyrienne, Assur, en 614 av. J.-C. Après s’être emparé des autres villes assyriennes (dont Ninive, en 613 av. J.-C. où s’était caché le dernier roi assyrien), Cyaxare accepta le pacte de paix babylonien et parvint de la sorte à asseoir fermement son royaume. Désormais, cette région occupée allait devenir partie intégrante de la Perse, sous les Achéménides, les Séleucides, les Arsacides et les Sassanides. D’après Xénophon [1], les habitants kurdes de Zagros furent recrutés par l’armée achéménide pour soutenir le conflit engagé contre Alexandre le macédonien. Strabon [2] et Eratosthène [3] ont également évoqué la troupe kurde de Xerxès III qui fut en lutte contre l’armée d’Alexandre.


Certaines sources comme Noldke (1897) considèrent que les tribus kurdes du sud et du centre de l’Iran, nommés les Martis, ont émigré à la suite des conquêtes sassanides vers le nord-ouest de l’actuel Iran, dans la région de Kurdu, et qu’ils ont assimilé la culture et les noms des habitants kurdes de cette région. Ce furent eux qui participèrent aux guerres, aux côtés des Sassanides et les Arsacides contre les Romains byzantins. Pendant cette période, les Romains appelaient les Kurdes iraniens Kardukh ou Kardikh en rappelant ainsi le nom de leur région. Sous les Sassanides, l’actuel Irak se nommait Assurestân ou Irânchahr (« la ville d’Iran »). Ce pays était partagé en douze provinces et la région kurde d’Irak formait la province de Châd-pirouz. Les villes kurdes les plus importantes de l’époque étaient Garmiân (l’actuelle Karkouk) et Achap (actuellement Emâdieh).

Avec les invasions arabes (dirigée par le calife Omar) entre les années 634 et 642, les régions kurdes de l’Iran, et notamment Arbil, Mosel et Nassibine, tombèrent aux mains des Arabes. Après la mort d’Omar, son successeur Osman envahit de nouveau les régions kurdes du nord. Mais les Iraniens, et bien entendu les Kurdes, s’insurgèrent à plusieurs reprises contre le gouvernement arabe pour libérer leur région et regagner leur autonomie. Mohammad-ibn-e Tabari [4] se souvient de l’une de ces rebellions : « …le même jour on entendit dire qu’à Mosel, les kurdes s’étaient révoltés. Mossayebn-e Zohaïr, le gouverneur de Koufa, proposa à Mansour, calife abbasside, d’y envoyer son ami Khaled pour réprimer les insurgés. Mansour accepta et Khaled devint le gouverneur de Mosel. » (Histoire de Tabari, 11ème tome, p. 4977) En 1910, lors des fouilles archéologiques dans la province de Souleymanieh, les archéologues ont trouvé une peau de bête sur laquelle on pouvait lire en langue kurde et en écriture pehlevi un poème constitué de quatre vers. Ce poème qui fut plus tard nommé « Hormozgân », rappelle l’invasion arabe et le triste souvenir des destructions commises à cette époque. Selon les archéologues, ce poème fut composé aux premiers jours de l’occupation arabe. La traduction qui suit est tout d’abord issue du pehlevi, avant d’être traduit du persan vers le français (par l’auteure de ces lignes) :

Les temples sont détruits et les feux sont éteints
Les grand mo’bed [5] se sont cachés
Le cruel arabe a ruiné
Les villages ouvriers, jusqu’à la ville de Sour
Ils ont capturé les femmes et les enfants pour l’esclavage
Les hommes braves s’éteignent dans leur sang
Le culte de Zarathoustra resta sans tuteur
Ahoura-Mazda n’a plus de pitié pour personne

Sous les Abbassides, le pouvoir du gouvernement central ne cessa de diminuer, offrant ainsi une bonne occasion aux gouvernements non-alignés de se révolter et de réclamer leur autonomie à l’est et à l’ouest de l’Iran. Les Tâhirides, les Samanides et les Saffârides s’emparèrent de l’est de l’Iran tandis que les Hassanouyehs, les Bani-Ayyârâns, les Buyides, les Hézâr-Aspiâns, les Mavânides et les Ayyubides occupèrent l’ouest du pays. Durant cette période, le terme « kurde » s’appliquait à une tribu iranienne sous l’emprise arabe.

Au 11ème siècle, avec l’arrivée au pouvoir des turcomans Seldjoukides, sous le règne du Sultân Sandjar en 1090, les Kurdes fondèrent pour la première fois de leur histoire, un Etat à proprement parler kurde, qui prit le nom de Kurdistan. Hamdollâh Mostowfi fut le premier, en 1319, à mentionner dans son livre Nezha-t ol-Gholoub le nom du Kurdistan et de ses seize régions : « …le Kurdistan et ses seize régions, Alâni, Alichtar, Bahâr, Khaftiân, Darband, Tâj-khâtoun, Darband-Rangi, Dezbil, Dinvar, Soltân-Abâd, Tchamtchamâl, Cahrouz, Kermânchâh, Hersin, Vastâm sont limités aux Etats arabes, au Khûzistân, à l’Irak et à l’Azerbaïdjan… ». Les atabegs turcomans gouvernèrent également le territoire kurde pendant une très longue période. Les descendants de Saboktakin prirent en main les affaires de la ville et de la région d’Arbil entre 1144 et 1232, et les Ourtukides régnèrent à Halab et à Mardine entre 1101 et 1312.

Pendant l’invasion mongole et suite à sa défaite, le roi Jalâl-eddin Khârezmchah, poursuivi par les mongols, s’enfuit vers les territoires kurdes. Ces derniers détruisirent toutes les provinces kurdes afin de débusquer le roi iranien. Ce qui ne l’empêcha pas de régner pendant un certain temps à l’ouest de l’Iran, mais aussi, d’être finalement assassiné en 1213. Houlâkou-khân le Mongol, après avoir conquis les régions centrales de l’Iran, prit le chemin de Hamedân et de Kermânchâh à destination de Baghdâd. Une fois de plus en 1259, en chemin pour conquérir l’Arménie, les Mongols assiégèrent les régions kurdes de l’Iran. Sous le règne des Ilkhanides (branche mongole constituée de convertis à l’Islam) les Kurdes s’emparèrent d’Arbil en 1297. Progressivement, après la mort du roi mongol Mohammad Khodâbandeh, le pouvoir des Kurdes s’intensifia, et ce, jusqu’à la chute des Mongols en 1349. Malgré leurs efforts, les Kurdes ne parvinrent pas à former un gouvernement autonome. A peine libérés de l’emprise mongole, ils se retrouvèrent sous la coupe des Turcomans Gharâ-ghoyunlous qui cédèrent leur place aux Agh-ghoyunlous. Avec l’arrivée de Tamerlan en Iran, les régions kurdes ne tardèrent pas à tomber, et cette fois, en obligeant les Kurdes à s’enfuirent à travers monts et vaux, simplement pour préserver leur vie.

Sous les Safavides, le roi Chah Ismaël propagea le chiisme partout en Iran. Les Kurdes, sunnites, devinrent méfiants envers le roi et adhérèrent à l’empire Ottoman, ennemi sunnite des Safavides. Après la défaite de Chah Ismaël face au Sultan Selim au cours de la bataille de Tchâldorân en 1514, vingt-cinq gouverneurs kurdes rallièrent l’empire Ottoman en ouvrant ainsi un nouveau chapitre de l’histoire des Kurdes. L’Iran perdit de ce fait, l’essentiel de ses régions kurdes. Désormais, le problème territorial rendait les Kurdes conscients de leur importance politique dans la région. Pendant de longues années, l’empire Ottoman gouverna la majorité des contrées kurdes (jusqu’à la fin de la Première Guerre mondiale et jusqu’à la chute des Ottomans en 1918, qui rendit l’autonomie et la liberté à la région de Kurdistan, aux territoires arabes, à l’Asie mineure et aux Balkans).

Quant à la région du Kurdistan, bien qu’un jour elle ait appartenue à l’Iran dans sa totalité, elle se retrouva partagée entre quatre pays, l’Iran, la Syrie, la Turquie et l’Irak mais, également, entre l’Azerbaïdjan et l’Arménie.

Le Kurdistan n’est jamais parvenu à proclamer son autonomie, et jusqu’à présent, le peuple kurde reste aux prises avec les problèmes politiques. Aujourd’hui, le nombre des habitants kurdes dans les quatre pays est de vingt-cinq millions, dont sept millions sont de nationalité iranienne. En Iran, les régions où l’on communique en langue kurde comprennent les provinces de l’Azerbaïdjan de l’est, l’Ilâm, le Kurdistan, Kermânchâh et le Khorâssân du nord. Pourtant, d’autres provinces de l’Iran comprennent des populations kurdes qui ne constituent cependant qu’une minorité, à l’exemple des provinces du Guilân, des villes de Ghazvin et de Qom, de la région de Fars, du Mazandarân, de Hamedân et du Baloutchistan.

2) Géographie historique du Kurdistan

Les tribus kurdes sont parmi les tribus aryennes ayant émigré sur le plateau iranien il y a quelques millénaires. L’histoire pré islamique de ce peuple n’est pas connue avec précision. Le poète Ferdowsi les considérait comme les descendants des jeunes hommes ayant échappé au mythologique roi Zahâk, qui s’étant réfugiés dans la montagne, n’en étaient jamais redescendus. La langue persane moderne des premiers siècles de l’Hégire quant à elle, donne le sens pasteur et montagnard au mot « kurde ». On a retrouvé dans des documents sumériens, akkadiens, babéliens et assyriens, des noms de peuples qui rappellent les noms kurdes. Le plus proche d’entre ces noms de peuples, dont la situation géographique et la description justifient également l’origine kurde, est le nom des « Kordoukhoy », nom que l’on croise également dans l’ouvrage de Xénophon. Ce peuple vivait dans les montagnes situées entre l’Irak et l’Arménie, en particulier en un lieu aujourd’hui appelé « Zekhou », situé à soixante kilomètres au nord-ouest de Mossoul en Irak.

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Montagnes du Kurdistan situées en Irak

Polybius (200-120 av. J.-C.) parle également de peuples vivant dans le sud de l’actuel Azerbaïdjan, nommés les « Kourtivi » ou « Kortii ». Strabon et Tite-Live précisaient que certaines tribus appartenant à ce peuple vivaient également dans la province du Fars. Effectivement, depuis l’époque antique jusqu’à aujourd’hui, des nomades kurdes vivent dans les Fârs.

L’histoire kurde préislamique n’est pas connue avec précision mais après l’islam, les géographes et historiens musulmans qui ont compilé l’histoire du monde islamique n’ont pas manqué de citer les Kurdes. Cela dit, les Kurdes étant considéré comme un peuple parmi d’autres, les détails historiques ou une histoire uniquement focalisée sur ce peuple n’existent pas. Et c’est uniquement à l’époque safavide qu’un premier livre historique, de langue persane, le Sharaf nâmeh de Badlisi, se concentre uniquement sur le peuple kurde.

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Pont safavide, Sanandadj

Au moment de l’invasion arabe, c’est en l’an 637 ou 641 que les Arabes occupèrent les fortifications kurdes. En l’an 643, au moment de la conquête du Fârs, les Kurdes de cette province participèrent à la défense des villes de Fasâ et de Dârâbjerd. La conquête des villes de Zour et de Dârâbâd, villes kurdes de la région, se fit en l’an 642. Abou Moussa Ash’ari vainquit les Kurdes en l’an 645, et en l’an 658, les Kurdes de la région d’Ahwâz dans le sud participèrent à la révolte de Khariat Ibn Râshed contre l’Imâm Ali et après la mort de Khariat, nombre d’entre eux furent également tués.

En l’an 708, les Kurdes du Fârs se soulevèrent et cette révolte fut réprimée dans le sang par le cruel gouverneur Hojjâj Ibn Youssef. En l’an 765, les Kurdes de Mossoul se soulevèrent à leur tour et le calife abbasside Mansour envoya Khâled Barmaki les réprimer encore une fois durement. En l’an 838, l’un des chefs kurdes des alentours de Mossoul, Ja’far Ibn Fahrjis se révolta contre le calife abbasside Mu’tasim et le calife envoya son célèbre chef de guerre Aytâkh pour l’écraser. Aytâkh, après une violente guerre, tua Ja’far, ainsi que beaucoup de ses hommes et prit en esclavage de nombreux Kurdes, emportant avec lui les chefs tribaux et les femmes. L’un de capitaines turcs du calife, au nom de Vassif qui avait participé à cette guerre, se réserva à lui seul pour tribut 500 Kurdes. En l’an 894, sous la direction du chef Hamdan Ibn Hamdoun, les bédouins arabes passèrent une alliance avec les Kurdes des régions de Mossoul et Mardin et déclarèrent la guerre à Mu’tadid, le calife abbasside de l’époque, ce qui conduisit à la mort et à la défaite de nombre d’entre eux.

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Pont de Gheshlâgh, Sanandadj

En l’an 926, sous le califat d’Al-Muqtadir bi-llah et l’émirat de Nâsser-o-Dowleh Hamdâni, les Kurdes de Mossoul se révoltèrent de nouveau. Entre les années 938 et 956, un dénommé Deyssâm, membre des kharijites, de père arabe et de mère kurde, rassembla sous son égide les Kurdes de l’Azerbaïdjan et déclara la guerre aux Al-e Mosâfer et autres émirs locaux de la région. Sa révolte fut réprimée et il mourut en prison. Aux Xe, XIe et XIIe siècles, les Shaddâdian, dynastie kurde, régnèrent en tant que suzerains locaux sur la plupart des régions kurdes. Cette dynastie appartenait à la grande tribu kurde des Ravardi, également tribu d’origine des dynasties ayyoubides, fondée par Saladin, lui-même kurde, qui régnèrent en Syrie, dans le Croissant fertile et en Egypte.

En l’an 1004, Azed-o-Dowleh Deylami, fatigué des raids kurdes sur son territoire, déclara la guerre aux Kurdes de Mossoul et après les avoir vaincus, ordonna la destruction de leurs fortifications et l’exécution de la majorité des chefs kurdes. En l’an 983, dans la région de Ghom, Mohammad Ibn Ghânem se rallia aux Kurdes Barzakani et se révolta contre le roi Fakhr-o-Dowleh Deylami. Ce dernier envoya d’abord Badr Ibn Hosnouyeh en mission de paix, mais les négociations traînèrent en longueur et la révolte fut finalement réprimée. Mohammad Ibn Ghânem mourut donc en captivité. L’un des importants événements du règne de Sharaf-o-Dowleh Deylami (982-989) fut sa bataille contre Badr Ibn Hosnouyeh à Kermânshâh qui se termina par la victoire de Badr, qui prit alors le contrôle d’une grande partie de l’ouest iranien. Il fut tué en 1014 par la tribu kurde des Jowraghân. Shams-o-Dowleh, le fils de Sharaf-o-Dowleh profita de cette occasion pour annexer l’ensemble des territoires que son père avait perdu. Il y avait les régions Shâpourkhâst (actuelle ville de Khorramâbâd), Dinvar, Boroujerd, Nahâvand, Asad Abâd et une partie d’Ahwâz.

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Vue générale de la ville de Bâneh

Il semble que l’expression Kurdistan fut pour la première fois utilisée par les Seldjoukides pour distinguer les régions kurdes de la région du Jebâl qui comprenait l’Azerbaïdjan, le Lorestân, et une partie des montagnes du Zagros dont le centre était à l’époque la région de Bahâr, situé à dix huit kilomètres au nord-ouest de Hamedân, puis Tchamtchamâl, près de l’actuelle ville de Kermânshâh. Le Kurdistan n’échappa pas non plus aux massacres et aux ravages de l’invasion mongole. Cette région fut ravagée une autre fois à l’époque des Tatars et de Tamerlan.

Shâh Esmâïl, premier roi de la dynastie chiite safavide, n’essaya guère de se rapprocher des Kurdes, sunnites. Les Ottomans sunnites tentèrent ainsi de s’allier aux Kurdes. Sous le règne safavide, la majorité des territoires kurdes appartenaient à l’Iran.

Après les Safavides, avec la prise de pouvoir par les Zend, famille aux racines kurdes, pour la première fois les Kurdes devinrent les dirigeants de l’Iran. Vers la fin du règne des Zend, la tribu des Donbali, grande tribu kurde, régnait sur une bonne partie de l’Azerbaïdjan de l’Ouest. Leur capitale était la ville de Khoy. Au XIXe siècle, les Kurdes vivant sur le territoire ottoman exprimèrent plusieurs fois leur désir d’indépendance au travers la création des gouvernements locaux kurdes. En 1878, le Sheikh Obbeydollâh Naghshbandi eut l’idée de créer un Etat indépendant kurde sous l’égide de l’Empire ottoman. En 1880, ses partisans occupèrent les régions des alentours d’Oroumieh, Sâvojbolâgh, Marâgheh et Miândoâb et l’armée iranienne eut à les repousser hors des frontières. En 1946, Ghâzi Mohammad profita de l’occupation alliée en Iran et avec l’appui de l’armée soviétique, – qui occupait la moitié nord de l’Iran -, annonça la création de la République Populaire du Kurdistan, avec pour capitale Mahâbâd. Cette république éphémère tomba après le retrait des Forces Alliées.

 Afsâneh Pourmazâheri (1) Heurts et malheurs de l’Histoire kurde

et Arefeh Hedjazi 2) Géographie historique du Kurdistan

Bibliographie :
- MINORSKII Vladimir Fedorovich, trad. TABANI Habibollâh, le Kurde, Kord, ed. Gostareh, Téhéran, 2000
- MOHAMMADI, Ayat, Survol de l’histoire politique kurde, Seyri dar târikh-e siâsi kord, ed. Porsémân, Téhéran, 2007
- RINGGENBERG Patrick, Guide culturel de l’Iran, Iran, ed. Rozaneh, Téhéran, 2005

Notes

[1] Historien, essayiste et chef militaire grec (430-352 av. J.C.) il naquit dans une famille riche et reçut les enseignements d’Isocrate et de Socrate.

[2] Géographe grec (58- 25 av. J.-C.) ses mémoires historiques ne nous sont guère parvenues, mais sa géographie fut en grande partie conservée. Il y pose certaines questions relatives à l’origine des peuples, à leurs migrations, à la fondation des empires et aux relations de l’homme et de son milieu naturel.

[3] Astronome, mathématicien et géographe grec (276-196 av. J.-C) auteur de travaux en littérature, en philosophie, en grammaire et en chronologie, directeur de la bibliothèque d’Alexandrie, il est surtout connu par son « crible » une méthode pour trouver les nombres premiers et par l’invention d’un instrument de calcul, le « mésolabe ».

[4] Historien et théologien arabe (838-923) il passa l’essentiel de sa vie à Baghdâd et fut ensuite professeur de droit et de Hadith. Il écrivit une histoire universelle de la Création jusqu’à 915. Sa deuxième grande œuvre est son commentaire du Coran.

[5] Prêtre zoroastrien.

mercredi, 24 octobre 2012

Number 2 U.S. Military Commander In Turkey

Number 2 U.S. Military Commander In Turkey

Hürriyet Daily News
October 23, 2012

US admiral in Turkey to discuss closer cooperation in anti-PKK fight

Sevil Küçükkoşum

Admiral_James_A__Winnefeld,_Jr.jpgANKARA: A top U.S. admiral is visiting Turkey today amid increasing military cooperation between Washington and Ankara on the fight against the outlawed Kurdistan Workers’ Party (PKK) and mounting tension on the Turkish-Syrian border to Syria’s crisis.

Adm. James Winnefeld, the vice chairman of the Joint Chiefs of Staff, is in Turkey as part of a previously scheduled counterpart visit with Deputy Chief of the Turkish General Staff Gen. Hulusi Akar, an official from the U.S Embassy to Turkey said.

“Admiral Winnefeld will participate in a series of discussions on military-to-military cooperation and mutual defense issues impacting both Turkey and the United States,” U.S. embassy spokesman in Ankara, T.J. Grubisha, told the Hürriyet Daily News today.

The fight against the PKK will top the agenda of the talks, while the Syrian crisis will also be discussed, a Turkish official told Daily News prior to the talks with the U.S. admiral. The Turkish side is also set to brief Winnefeld about problems related to intelligence-sharing between the U.S. and Turkey, the official said.

Francis Ricciardone, the U.S. ambassador to Ankara, told the Turkish media last week that a U.S. official would visit Turkey in the upcoming days to discuss cooperation between the two countries on the issue of fight against the PKK.

Ricciardone expressed his disappointment with frequent references to Washington’s unwillingness in the fight against the PKK and said he felt sorry and angered by such suspicions. “This makes our enemy successful in placing suspicion between allies. This might give hope to our enemies,” he said.

Ricciardone also said Washington had suggested that Turkey implement “tactics, techniques and procedures” (TTP), a multidisciplinary military maneuver that paved the way for the killing of Osama bin Laden, the architect of the Sept. 11 terrorist attack.