Conservazione:
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«Al conservatorismo si giunge dottrinalmente attraverso la critica dell’Utopia […] e delle sue conseguenze pratiche, [e] viene fatta in nome dell’esperienza. Si arriva con ciò al principio generale che la durata di istituzioni in un determinato paese, è la prova della loro ragione di essere; che si potranno operare modificazioni e miglioramenti, ma sempre nel loro orizzonte. Questa genesi mostra come il conservatorismo sia generalmente legato a un empirismo di tipo scettico; talvolta però anche a uno storicismo di tipo idealistico, sulla base perciò di una identificazione di Dio con la storia» (pp. 17-18).
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Reazione:
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Rispetto al conservatorismo «completamente diversa è la struttura del pensiero reazionario […]. Mentre il conservatore è riconciliato con la realtà presente, il reazionario è totalmente insoddisfatto e vi vede una decadenza rispetto a una realtà storica passata. Vuole perciò tornare indietro nel tempo, a un momento in cui i germi di questa decadenza e dissoluzione non esistevano, o meglio, erano difficilmente percettibili. Al pensiero reazionario appartiene dunque il momento della forma archeologica dell’utopia, destinata «sempre» a cedere rispetto a una forma utopica rivoluzionaria. […] Il torto del pensiero reazionario è di confondere l’affermazione di principi soprastorici con l’immagine di una realtà storica realizzata, così da essere indotta a pensare che l’eternità di principi escluda la «novità dei problemi»; problemi che devono essere risolti in relazione a quei principi, ma dopo che siano stati riconosciuti nella loro «novità»; altrimenti si corre il rischio mortale di pensare come storici i principi stessi. Per questa apparenza si è detto che per il pensiero reazionario vale il «sic vos non vobis»; che cioè è destinato ad essere un momento di qualcos’altro, cioè del passaggio da una fase del pensiero progressista alla seconda» (pp. 19-20). «Ma in realtà il pensiero «puramente» reazionario non esiste. Esso è una commistione tra l’interpretazione soprastorica della permanenza dei principi e il pensiero utopistico spostato al passato, sembra cedere al pensiero rivoluzionario soltanto se lo si considera sotto questo secondo aspetto in cui il primo viene arbitrariamente del tutto inglobato» (pp. 21-22).
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Tradizione:
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«È […] di tutta evidenza che è il «valore» a fondare la tradizione e non l’inverso. Il significato dell’endiade «valori tradizionali» è perciò questo: esistono dei valori assoluti e soprastorici che «perciò» possono e devono venir «consegnati»; esiste un «ordine» che è immutabile, anche per Dio stesso. La sua «autorità» non è affatto imposizione «repressiva», perché si tratta di un ordine increato, oggetto di intuizione non sensibile; solo in questa accezione il termine «autorità» ritrova il suo significato etimologico (da augere, accrescere) e si può parlare di autorità liberatrice» (p. 22).
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È utile anche un accenno al concetto di Utopia:
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essa è la «possibilità che sia raggiunta una posizione mondana in cui tutte le contraddizioni siano risolte e si pervenga a una condizione in cui vi sia perfetto accordo tra virtù e felicità, così che la felicità possa realizzarsi senza sforzo e senza sacrificio; al limite, possiamo dire che l’idea dell’«universale felicità mondana» è l’essenza dell’utopia» (pp. 17-18). In questo senso Utopia non è concetto perfettamente sovrapponibile a quello di Rivoluzione, che «indica rottura di continuità: a un ordine se ne sostituisce un altro che non è semplice «sviluppo» del precedente» (p. 10).
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