mardi, 18 mai 2010
Lo scontro delle civiltà in America
di Carlos Pereyra Mele
Fonte: eurasia [scheda fonte]

La crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008 come conseguenza delle bolle finanziarie americane e che si è diffusa a livello planetario grazie alla propria dinamica globalizzatrice, ha contagiato e assestato un duro colpo alle economie degli affiliati storici della triade (USA, UE e Giappone), la sua ultima manifestazione è quella rappresentata dal quasi default della Grecia nella cosiddetta Eurozona. Inoltre, si può confermare, che le potenze emergenti del cosiddetto gruppo BRIC (Brasile, Russia, Cina e India) non solo hanno superato la crisi, ma detengono forti tassi di crescita se comparati con quelli della triade summenzionata.
Sebbene sia prematuro determinare se in un futuro ravvicinato il BRIC si consoliderà in un blocco contrapposto a quello della triade, la sola crescita della Cina ha già determinato nell’attuale politica internazionale un forte cambio nei rapporti di potere come si sono conosciuti fino ad ora. Il BRIC approfondisce i suoi rapporti e lentamente sta stabilendo un’agenda comune i cui esiti si sono visti nel recente summit svoltosi in Brasilia (1).
Questa nuova realtà si presenta in termini politici e strategici globali con un evidente declino di quella che fu la superpotenza assoluta, gli USA, che, con la scomparsa dell’ex URSS, cercò di instaurare un mondo unipolare con gli alleati minori della Triade in funzione di soci. La realtà dimostra che la sua strategia, fondata su un gigantesco apparato militare dalle proporzioni mai viste nella storia dell’umanità, e per il quale non ha lesinato risorse finanziarie, economiche e tecnologiche, non ha raggiunto gli obiettivi prospettati dai governi americani, da Reagan fino a oggi. Anzi, si ammette che questo sistema è in crisi dottrinale e che cerca di rinnovare le sue strategie di fronte al rinvigorimento delle potenze continentali emergenti con le quali si confronta.
Per ottenere appoggio ideologico e dottrinale, i gruppi di potere degli USA hanno fatto ricorso a diverse dottrine e una di queste è stata quella dello Scontro delle Civiltà, concepita dal professor Samuel P. Huntington dell’Università di Eaton e direttore del John M. Olin Institute for Strategic Studies dell’Università di Harvard. Per mezzo di questa teoria l’autore ha predetto che i principali attori politici del secolo XXI saranno le civiltà al posto degli stati-nazione. Questa teoria è servita per individuare un nuovo “nemico”, poiché quello della guerra fredda, ossia l’URSS, era scomparso negli ultimi anni, identificato su misura con quello del “fondamentalismo islamico”, il quale è passato a rimpiazzare il comunismo internazionale.
Ma questo cerchio pericoloso non si è chiuso così e il già scomparso Samuel P. Huntington riformulò la sua idea dello scontro delle civiltà in un altro libro: Chi siamo: le sfide all’identità nazionale americana, apparso nel 2004, nel quale s’individuava un nuovo “pericolo” per gli Stati Uniti, poiché, secondo lui, era in gioco: “L’identità nazionale americana e la possibile minaccia rappresentata dall’immigrazione latinoamericana su grande scala, la quale dividerà gli Stati Uniti in due popoli, due culture e due lingue”, giacché Huntington afferma che gli Stati Uniti storicamente sono stati un paese di cultura protestante anglosassone. E che l’arrivo in massa degli immigranti latini negli USA attentano contro il sogno americano, il quale, secondo le sue parole, è il “sogno creato da una società anglo-protestante”, e aggiunge che i messicani-americani possono “partecipare a questo sogno e a questa società solo se sognano in inglese”. Queste idee si sono intrise in profondità e in maniera molto notevole nei settori più reazionari della destra americana, soprattutto adesso quando gli ispano parlanti formano il segmento della popolazione che negli ultimi anni più si è sviluppato negli USA, secondo i dati resi noti dall’Ufficio del Censimento americano. E questo nuovo “pericolo” offre argomento, in epoche di crisi, allo spuntare negli USA di movimenti politici di estrema destra conservatrice come è il caso del cosiddetto Tea Party, “espressione ultraconservatrice che si è formata un anno fa in protesta al progetto di stimolo economico e che, in termini di visibilità, si è sviluppato nella campagna contro la riforma della salute voluta dal governo di Barack Obama. Questo movimento nella sua maggioranza è conformato da uomini bianchi repubblicani maggiori di 45 anni, i quali si considerano arrabbiati o furiosi nei confronti di Washington”. E sono anche causa: “Di manifestazioni d’ira popolare di destra che si registrano quando s’informa della presenza di maggiori crimini per odio razziale o per l’aumento dei gruppi xenofobi di estrema destra (2). I gruppi di civili armati sono cresciuti esponenzialmente (denominati milizie “patriottiche”, formate da uomini bianchi, anglosassoni e protestanti), secondo quanto comunicano all’opinione pubblica le agenzie federali sulla sicurezza negli USA. E che nella frontiera con il Messico si dedicano a “cacciare” immigranti privi di documenti, ad esempio, i fine settimana. È la rinascita del nazionalismo conflittuale.
Per questa ragione, con un altro giro di vite, e facendo riferimento a questa idea forza, lo stato dell’Arizona ha emanato la legge di Immigrazione, applicazione della legge e popolazione sicura, che costituisce un affronto alla dignità umana e che dimostra che non è per tutti “l’era della globalizzazione” e, in particolare, per gli immigranti latini che si trovano negli USA.
Evidentemente, le notizie quotidiane sul fenomeno del narcotraffico e la violenza in Messico sono alla base di questa legge, ma dobbiamo mettere in chiaro alcuni punti: Messico è socio degli USA, insieme a Canada, del NAFTA (stramba società questa, solo pensata in termini di affari, ma non per il libero movimento dei suoi cittadini all’interno del blocco), un altro aspetto è quello che il fenomeno del narcotraffico è una conseguenza del fatto che gli USA sono il principale mercato mondiale del consumo di droghe, il quale non è riuscito a combattere con efficacia le mafie operanti sul suo territorio, facendo ricadere al Messico la causa del problema ( così come anche alla Colombia, la Bolivia e il Perù ), attualmente il Messico si trova in una gravissima situazione di violenza senza precedenti e che nei circoli di potere americani ha sollevato il problema di intervenire sul suo territorio militarmente. L’ex presidente Clinton ha pubblicamente preso in considerazione che, per quanto concerne il Messico, si devono gettare le basi di un accordo simile a quello del “Plan Colombia” (il che trasformerà questo paese in uno stato fallito); e un dettaglio da non tralasciare è quello rappresentato dalle gravi conseguenze economiche e sociali cagionate dall’incorporazione di questo paese nell’accordo di libero commercio con gli USA (NAFTA). Per questa serie di ragioni, la teoria dello scontro delle civiltà rappresenta un argomento fallace e crudele nei confronti del popolo messicano.
Iberoamerica e, in particolare, l’America meridionale deve continuare con l’approfondimento di un proprio modello d’integrazione e di sviluppo, di fronte al nuovo ordine mondiale che si sta conformando, partendo da un processo strategico autonomo e diverso da quello che cerca d’imporre la superpotenza declinante e che, diciamocelo di una buona volta, nei nostri paesi conta ancora con l’appoggio di numerosi settori di potere vincolati a quel tipo di dipendenza, giacché se vediamo di là dei discorsi e delle buone intenzioni come quella di Obama nell’ultimo summit con i paesi del continente, la veduta e la strategia di Washington non si è modificata nei confronti del continente. Concretamente, si continua a scommettere sulla militarizzazione e la segregazione dei popoli latinoamericani, stabilendo una specie di diplomazia di “vicini lontani”, poiché ciò che solo interessa è preservare i propri privilegi conquistati durante la guerra fredda e impedire l’entrata di paesi extracontinentali concorrenti. Per questo motivo il fatto di irrobustire strutture come l’UNASUR o il MERCOSUR, la creazione di un organismo regionale che soppianti l’OEA e che escluda la partecipazione americana, rilanciare la Banca Sudamericana, un proprio sistema difensivo e avere come orizzonte la costruzione di uno stato continentale industrializzato, rappresentano i mezzi concreti e reali per consentirci di uscire dalla nuova dipendenza che si cerca di mettere in pratica nel secolo XXI e, in questo modo, consolidare i propri percorsi che sono diversi da quelli della potenza del Nord. Perché nella pratica concreta un rapporto asimmetrico e individuale nei confronti degli USA da parte di ogni singolo paese solo impedisce la nostra crescita e sviluppo e ci introduce in conflitti che questo ha generato, dei quali non abbiamo nulla da spartire, poiché sono diversi e distanti dai problemi reali che i latinoamericani dobbiamo affrontare in questo nuovo secolo. Così come anche il fatto di denunciare la xenofoba teoria dello scontro delle civiltà deve impedire che la stessa si applichi su scala globale.
* Carlos Pereyra Mele, politologo argentino e membro del Centro de Estudios Estratégicos Suramericanos, collabora con la rivista “Eurasia”.
Fonti:
- Hu Tsintao, El viaje al occidente de Washington hasta Brasilia por Roman Tomberg,
http://licpereyramele.blogspot.com/china-y-el-nuevo-orden-mundial.html
- Noam Chomsky, Alerta sobre el auge de la ultraderecha en EE.UU
http://licpereyramele.blogspot.com/2010/04/la-crisis-en-usa.html
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Los hispanos marchan contra la xenofobia
(trad. di V. Paglione)Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it
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Nagorno-Karabakh: une éventuelle médiation iranienne?

Nagorno-Karabakh: une éventuelle médiation iranienne?
Dans le conflit du Nagorno-Karabakh, qui oppose l’Arménie à l’Azerbaïdjan, Moscou ne s’opposerait nullement à une éventuelle médiation de Téhéran
Dans l’urgence, toute aide est la bienvenue: Moscou ne s’opposerait donc pas à l’offre que vient de faire Téhéran. Les Iraniens ont en effet proposé d’organiser un sommet des ministres des affaires étrangères de l’Azerbaïdjan, de l’Arménie et de l’Iran pour régler le conflit du Nagorno-Karabakh qui oppose depuis 1988 Erivan à Bakou. Le porte-paroles de la diplomatie russe, Andreï Nesterenko, a fait connaître cette proposition iranienne le 30 avril 2010. Mais ce sera seulement si la rencontre aura bel et bien lieu, et sur base des résultats atteints, que l’on pourra parler d’une éventuelle médiation iranienne dans le règlement du conflit, a précisé Nesterenko.
(note parue dans “Rinascita”, Rome, 1 mai 2010; http://www.rinascita.eu ).
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Pays-Bas, 1945: Opération "Black Tulip"
Willem De Prater / “’ t Pallieterke”
Pays-Bas, 1945: Opération “Black Tulip”
Le soixante-cinquième anniversaire de la libération des Pays-Bas a été un peu particulier cette année. La journée de la “libération nationale”, commémorant le jour où les Allemands ont capitulé en Hollande, soit le 5 mai 1945, a été un jour férié officiel en 2010. Ce n’est le cas que tous les cinq ans mais la loi qui régit l’ouverture des magasins permet toutefois que ceux-ci demeurent ouverts. En maints endroits ce ne fut pourtant pas le cas. Bref, cela fit désordre. De surcroît, il y avait partout des “fêtes de la libération” où l’on pouvait danser, boire et bouffer tant et si bien que certaines villes comme Utrecht et Zwolle ont failli disparaître dans un chaos indescriptible. Pour couronner le tout, il y eut ce fameux incident sur le “Dam”, où il fut une fois de plus prouvé que les Néerlandais “si sobres et si sérieux” sont des forts en gueule mais prennent la poudre d’escampette sitôt que quelque chose pète. Ce fut aussi le cas en mai 1940; et la fuite peu glorieuse des troupes néerlandaises lors de l’entrée des Serbes à Srebrenica demeure une plaie ouverte dans la conscience de soi des Néerlandais. Pourtant, rendons-leur justice, les Néerlandais, fiers d’eux-mêmes, savent aussi fort bien pratiquer l’auto-critique. Ce n’est donc pas un hasard s’il m’a fallu attendre cette “fête de la libération” pour apprendre quelque chose sur l’opération “Black Tulip”. Celle-ci a consisté en une volonté d’épuration ethnique, celle de purger les Pays-Bas de tous les ressortissants allemands qui y résidaient.
Après l’hiver 1944-45, qui fut marqué par une famine éprouvante pour la population néerlandaise, surtout dans les grandes villes de l’Ouest, la volonté de se venger tenaillait la plupart des Hollandais. Tous estimaient que les Allemands allaient devoir payer pour les maux qu’ils avaient fait subir. Le gouvernement néerlandais commença par établir une facture délirante. Officiellement, il exigea la rétrocession d’un territoire allemand de 6000 km2 pour n’en obtenir finalement que 69, qui furent rendus ultérieurement. Le gouvernement néerlandais exigea ensuite des dommages et intérêts s’élevant à la somme astronomique de 25 milliards de florins. Cette somme correspond à dix fois le volume du dommage infligé, car on connaît bien l’esprit mercantile de nos amis du Nord. Les Britanniques, qui occupaient le territoire allemand jouxtant les Pays-Bas, haussèrent les épaules. Mais ils cessèrent de sourire lorsqu’ils apprirent que les Néerlandais avaient l’intention de chasser du pays tous ceux qui possédaient encore la nationalité allemande. Ils craignaient que tous les autres pays occidentaux allaient imiter les Hollandais et venir déposer leurs Allemands ethniques dans leur zone d’occupation marquée par les destructions et réduite à la plus effroyable des pauvretés. Les Britanniques étaient d’accord, certes, pour récupérer les Allemands de souche qui, pendant la guerre, auraient appuyé avec trop de zèle leurs compatriotes occupants. Ce sont donc les Britanniques qui ont baptisé l’opération prévue par le gouvernement néerlandais d’ “Operation Black Tulip”.
Le gouvernement néerlandais n’a pas tout de suite compris les réticences britanniques. Il fit dresser dans chaque commune des listes noires où figuraient les noms de personnes, voire de familles entières, qui possédaient encore la nationalité allemande; au total, il y avait quelque 25.000 citoyens allemands résidant aux Pays-Bas au lendemain de la seconde guerre mondiale. Bien évidemment, parmi ces 25.000 personnes, il y en avait très peu qui étaient arrivées après 1940. Parmi elles, au contraire, beaucoup de mineurs, venus à l’appel des gouvernements néerlandais d’avant-guerre. Une bonne partie de ces Allemands étaient de surcroît des réfugiés politiques qui s’étaient établis en Hollande après la prise du pouvoir par Hitler. De plus, il y avait un bon nombre de Juifs parmi eux. La plupart de ces Allemands étaient de simples ouvriers ou des servantes venus aux Pays-Bas après l’effondrement du Reich en 1918 et suite à l’inflation calamiteuse qui avait sévi en Allemagne au début des années 20 ou qui avaient été recrutés par des Néerlandais pour pallier au manque d’ouvriers ou de personnel domestique. La plupart d’entre eux s’étaient d’ailleurs mariés à des hommes ou des femmes de nationalité néerlandaise, parlaient le néerlandais à la maison avec leurs enfants (les enfants nés d’un père allemand demeuraient automatiquement allemands, même s’ils ne connaissaient plus la langue allemande). Ces gens ne possédaient donc pas la nationalité néerlandaise, tout simplement parce qu’à l’époque on ne la distribuait par encore gratuitement. Le processus de naturalisation était long et pénible: il fallait remplir une flopée de documents et cela coûtait beaucoup d’argent.
En septembre 1946, environ un an et demi après la fin de la guerre, les opérations d’explusion commencèrent. Les Allemands pouvaient demander à recevoir une “déclaration de non inimitié”, qu’ils recevaient s’ils pouvaient prouver avoir appartenu à un groupe de résistance. Le bon sens, appuyé par des protestations souvent véhémentes, fit que les Juifs allemands aussi purent rester. Cependant le ministre catholique de la justice ne se soucia guère de la démarche entreprise par le Cardinal de Jong, qui réclamait clémence et mansuétude: il fallait que les Allemands quittent le pays (“Duitsers raus”), à commencer par ceux qui étaient le plus récemment venus aux Pays-Bas. Plus l’établissement de la personne dans le pays était récente, plus vite devait-elle être expulsée. Mais les Pays-Bas ne seraient pas les Pays-Bas, s’il n’y avait cet esprit pragmatique et mercantile chez leurs ressortissants. Tous les Allemands qui exerçaient une profession utile et nécessaire pouvaient rester mais tous ceux qui n’avaient pas bénéficié d’une longue scolarité ou étaient peu qualifiés professionnellement devaient partir. La police se présentait au milieu de la nuit et emmenait hommes, femmes et enfants. Les déportés pouvaient emporter cinquante kilos de bagages et une somme de 100 florins. Tout devait se passer “vite, très vite” car la police craignait la réaction de voisins néerlandais furieux qui savaient que ces Allemands étaient parfaitement innocents. Les meubles ou objets que les déportés ne pouvaient emporter étaient chargés sur des camions et déposés dans des remises appartenant au “Nederlands Beheersinstituut” (“Institut Néerlandais de Gestion”). Celui-ci vendait le tout car il s’agissait de “propriétés de sujets ennemis”.
La police néerlandaise conduisait les personnes arrêtées dans toutes sortes de camps situés le long de la frontière néerlandaise. Parfois, les policiers les emmenaient au-delà de la frontière et les déposaient dans la première rue venue. Les Britanniques exigèrent alors des Néerlandais qu’ils n’expulsent vers leur zone d’occupation que les seuls Allemands possédant encore un logement en Allemagne. En guise de représailles, les Anglais arrêtèrent quelques Néerlandais vivant dans leur zone et les déposèrent au-delà de la frontière sur le territoire des Pays-Bas. A la suite de cette mesure de rétorsion, les Néerlandais n’expulsèrent plus qu’une infime minorité de citoyens allemands mais le choix des victimes n’en fut que plus arbitraire. Les curés et les pasteurs organisèrent des comités de voisins qui résistèrent de plus en plus efficacement à la police et au gouvernement. L’opération cessa en 1950. Au total, 3691 Allemands résidant aux Pays-Bas furent effectivement expulsés.
Wille De Prater.
(article paru dans “ ’ t Pallieterke”, Anvers, 12 mai 2010).
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Les "pouvoirs publics" belges: plus chers et moins efficaces que leurs équivalents grecs!
Les “pouvoirs publics” belges: plus chers et moins efficaces que leurs équivalents grecs!
Les pouvoirs publics belges sont parmi les plus chers du globe mais, comparativement, ils ne procurent à leurs citoyens qu’un taux fort réduit de “qualité de vie”, en échange des institutions qu’ils déploient et qui s’avèrent toutes fort chères. C’est un constat qu’a posé la société Petercam sur base des chiffres communiqués par l’OSCE. Dans le palmarès des pouvoirs publics, la Belgique, en matière d’efficacité, arrive juste avant l’Italie et la Hongrie mais se place loin derrière la Grèce!
Ce palmarès se base sur le rapport entre les sommes d’argent qu’absorbent les pouvoirs publics et la qualité de vie telle que l’établit le “Human Development Index” de l’OSCE. Les pouvoirs publics belges s’emparent de 44,3% du PNB. La Belgique, en matière d’imposition, se situe donc bien au-dessus de la moyenne européenne. Mais en matière de qualité de vie, elle claudique en queue de peloton. Les investissements effectués par les pouvoirs publics grecs sont plus efficaces que leurs équivalents belges. Ensuite, on doit constater que les Grecs paient beaucoup moins d’impôts que les Belges: leur taux d’imposition est inférieur au tiers du PNB.
(note parue dans ’t Pallieterke, Anvers, 12 mai 2010).
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Entretien avec Maurizio Blondet (2004)
Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004
Entretien avec Maurizio BLONDET
http://www.comedonchisciotte.luogocomune.net/
Le journaliste et écrivain Maurizio Blondet nous a accordé un entretien téléphonique pour qu’il passe en direct sur une radio libre de Vénétie, la Radio Gamma 5 (94,00 MHz). Nous publions ici les extraits les plus significatifs de cet entretien.
Propos recueillis par Marcello PAMIO
Q: On parle de plus en plus de technologies capables d’intercepter les télécopies, les conversations sur portable et les courriers électroniques. Il existe actuellement des satellites militaires qui sont à même de photographier tout et, devant cet extraordinaire déploiement de technologies, l’ennemi public numéro un dans le monde reste introuvable. Car où est Oussama Ben Laden, qu’a-t-il fait depuis le 11 septembre, comment mène-t-il son existence, ponctuée de proclamations sur vidéo?
MB: C’est plus qu’évidemment maintenant : Ben Laden a été un agent de la CIA, au moins jusqu’à la fin de l’année 1999. On le soupçonne d’avoir fait assassiner, sur ordre de la CIA, en août 2001, environ un mois avant le 11 septembre, le général afghan Massoud, un homme capable d’unifier l’Afghanistan. Il est probable que Ben Laden travaille toujours pour les services secrets américains aujourd’hui, en faisant semblant d’être un ennemi des Etats-Unis.
Aujourd’hui, Ben Laden n’envoie plus que des vidéocassettes et n’aurait plus donné un seul coup de téléphone cellulaire depuis deux ans, puisque toute conversation ou toute autre communication peut être contrôlée. De même que tout mouvement financier. Les Américains possèdent un logiciel, qui s’appelle Promis, servant à contrôler toutes les formes de mouvements financiers suspects et, a fortiori, aussi tous ceux qui ne sont pas suspects. Ils prétendent qu’ils ne l’utilisent pas, mais en réalité, puisqu’ils l’ont, je ne comprends pas très bien pourquoi ils ne s’en serviraient pas.
Alors, me demanderez-vous, Ben Laden dirige al-Qaeda sans utiliser le moindre moyen de communication? Dans mon livre; intitulé “Oussama Ben Mossad”, j’ai formulé une hypothèse: à la fin, après une quinzaine d’années de guerre, on verra réapparaître Ben Laden dans le rôle de Grand Calife de La Mecque, dans une Arabie Saoudite divisé en deux morceaux : la partie pétrolière et démocratique (comme l’Irak!) et l’autre partie, mecquoise, intouchable parce que lieu saint.
Aujourd’hui, ses proclamations vidéo ont pour but de maintenir vivante cette perception d’un terrorisme ubiquitaire. Il y a un livre qui explique tout cela, c’est le fameux “1984” de Georges Orwell, où l’on évoque une guerre qui n’existe pas et n’a jamais existé, mais qui maintient toute la population sous l’empire de la terreur et rend nécessaire un gouvernement autoritaire, une gestion secrète des affaires de l’Etat, etc. Il faudrait que nous le relisions tous attentivement car le monde de ce livre nous l’avions pris pour une métaphore de l’empire soviétique; aujourd’hui, à coup sûr, il est une métaphore de l’empire de Bush!
Q: Dans votre livre “11 settembre: colpo di stato in USA” [« 11 septembre : coup d’Etat aux Etats-Unis »], vous parlez d’un véritable coup d’Etat à l’intérieur même de l’appareil américain et vous apportez les preuves de ce que vous avancez. Depuis ce jour, les médias répètent à satiété que le « monde n’est plus comme avant ». Quel est donc ce « coup d’Etat » qui a tout changé ?
MB: Si quelqu’un vous avait dit en 1997 que les Etats-Unis dispooseraient de bases militaires permanentes en Afghanistan, en Azerbaïdjan, en Géorgie (dans le jardin en face de la “Maison Russie”), vous auriez traité cette personne de folle. Or, c’est en 1997 précisément que sort de presse le livre de Zbigniew Brzezinski (Conseil près la sécurité nationale, homme clef de la Commission Trilatérale et du CFR). Il avait pour titre : “Le grand échiquier”. Dans ce livre, il a dit exactement ce qui allait se passer. Par exemple, que les Américains devaient s’emparer de la zone centre-asiatique, sous influence russe, et je dis bien “russe” et non soviétique, car les Tsars l’avaient conquise et la possédaient. L’objectif de cette gigantesque manoeuvre était de soustraire cette zone-clef de la géopolitique à l’influence russe afin de réduire la Russie au statut de petite puissance asiatique.
L’Ukraine, elle, est le trait d’union entre l’Occident et l’Orient, le lieu de passage de tous les oléoducs venus d’Asie centrale. Pour cette raison, il fallait la soustraire à l’influence russe. Tout ce que Brzezinski a annoncé, c’est effectivement produit! Pour déclencher cette vaste opération de contrôle, l’Amérique avait besoin d’un prétexte, d’un événement–choc capable d’affoler et de mobiliser la population américaine. Ce prétexte, ce sera le 11 septembre 2001. Il était d’ailleurs prévu dans les documents émanant des néo-conservateurs, écrits au moins cinq années auparavant. Ces documents évoquaient la nécessité d’un nouveau Pearl Harbour... Et, effectivement, ce “Pearl Harbour” est arrivé, grâce au travail d’un agent de la CIA qui s’appelle Ben Laden !
Ce qui est incroyable, c’est que l’on vous traite de “conspirationniste”, de “complotiste”, quand vous démontrez cela. Dans mes livres, pourtant, je mentionne des faits et j’aimerais bien être contredit, si je me trompe...
Q: En novembre dernier, nous avons assisté à la victoire électorale de George Walker Bush contre son « frère-en-loge » John Kerry. On pourrait dire bien des choses sur le vote électronique en Ohio, mais je ne comprend pas pourquoi Kerry ne l’a pas emporté. Car lui aussi aurait fait le jeu des multinationales, des lobbies bellicistes et d’Israël. Quelles manigances se dissimulent-elles derrière cette présidentielle ?
MB: A mon avis, Kerry n’a même pas tenté de gagner les élections, dans la mesure où cette attitude lui a été ordonnée par la centrale qui orchestre les agissements des deux candidats-clowns (Kerry et Bush ne sont que des figurants). Tout s’est passé comme si l’on cherchait encore à véhiculer l’idée que l’Amérique reste une démocratie. On a demandé à Kerry de jouer le rôle du challengeur (démocratique). Mais on a vu qu’il a fait tant bien que mal une campagne électorale de trois semaines seulement, avec un message de ce type : “Je ferai mieux les mêmes choses que Bush”. C’est-à-dire la guerre. Les Américains n’ont donc pas compris pourquoi il fallait voter pour lui!
A l’évidence, tout ce cirque électoral était télécommandé: les deux candidats font partie de la société secrète “Skull & Bones”, recrutant dans l’Université de Yale, d’où sont issus les fonctionnaires et les responsables du gouvernement secret des Etats-Unis. Tout est dès lors fiction; Poutine est lucide quand il dit qu’il préfère Bush à Kerry, parce que Bush fait les choses de manière si burtale qu’il s’aliène des sympathies partout dans le monde. Pour l’Europe, si Kerry l’avait emporté, il aurait été plus difficile de dire “non”; nous aurions dû envoyer plus de troupes en Irak et, plus tard, en Iran... Car il est clair que les ambitions américaines ne se limitent pas à l’Irak, mais s’étendent à l’Iran, à la Syrie et à l’Arabie Saoudite.
Q: Je vous ai posé cette question parce qu’à Stresa, sur les rives du Lac de Côme, en juin dernier, le « Groupe Bilderberg » s’est réuni et, me semble-t-il, il s’était prononcé en faveur de Kerry et du vice-président qu’il aurait nommé, Edwards…
MB: George Soros était en faveur de Kerry. Ce qu’il dit est parfaitement vrai. Le groupe Bilderberg est composé d’Américains et d’Européens: c’est une sorte de commission bilatérale pour formuler des politiques communes. Le Groupe Bilderberg s’inquiète dès lors des tiraillements qui existent aujourd’hui entre l’administration Bush et les Européens. Il voudrait faire ce que fait Bush, mais avec la participation de l’Europe. Celle-ci veut avoir une part du gâteau, car, en ultime instance, l’enjeu est la possession des sources de pétrole. Les Américains du Groupe Bilderberg ne veulent pas que l’Europe deviennent une sorte de satellite des Etats-Unis, car il n’est pas complètement inféodé aux néo-conservateurs, qui, eux, sont “messianiques” et ne voient pas l’utilité des alliances, estimant qu’ils bénéficient des “faveurs divines”.
Q: Il y a quelques jours, Colin Powell a dû céder la place à la « panthère noire », alias Condoleeza Rice. Je ne crois pas me tromper en disant que Powell, la « Colombe de Washington » avait l’intention de faire donner son crédit international pour mettre un petit peu la politique extrémiste de Sharon sur la sellette. Est-ce la raison de son licenciement ? Ou bien y en a-t-il une autre ?
MB: En effet, il me semble que cela soit la raison de son limogeage. Colin Powell a accepté de jouer les figures humiliées en faisant son tour du monde, mais il aurait très bien pu devenir le héros d’une autre Amérique, qui se serait opposée à Bush; mais dans les fait, Powell a servi le régime. Certains l’appelaient l’ “Oncle Sam”. Mais maintenant l’équipe Bush, et ce qui se profile derrière elle, est sûre de gouverner encore pendant quatre ans, alors elle s’est débarrassé de Powell, parce qu’il ne servait plus à rien. C’est grave parce que ses attributions vont à Condoleeza Rice qui est la femme à tout faire de Bush. Il faut savoir que Bush est un homme qui souffre de graves problèmes psychiatriques: c’est un ancien alcoolique, un ancien cocaïnomane, et qu’il est donc un homme que l’on peut aisément manipuler et manoeuvrer. Il n’est ni l’acteur ni le protagoniste de quoi que ce soit : il n’est qu’un figurant. Les vrais chefs de l’Amérique semblent être Dick Cheney (vice-président) et Donald Rumsfeld (chef du Pentagone). S’il y avait un homme qui aurait dû être licencié après les élections, ce devait être Rumsfeld, parce qu’il est responsable des désastres militaires en Irak... Cette situation indique un durcissement et nous verrons se dérouler des choses encore plus terribles dans les années à venir...
Q: Quel est le rôle du père George Herbert Walker Bush, maçon du 33ième degré du rite écossais ancien et accepté ?
MB: Bush-le-Père est probablement l’initiateur des événements; il n’est pas “messianiste” mais cynique. Il dirige un fond d’investissement très spécial, qui, avant le 11 septembre, achetait les actions des entreprises militaires, tant américaines qu’européennes. Ce sont ces entreprises qui gagnent le plus grâce aux guerres menées par Bush-le-Fils. C’est là un autre aspect du gigantesque conflit d’intérêts qui se déploie aujourd’hui: chaque fois que le fils fait la guerre, le père gagne de l’argent!
Q: L’Iran est aux premières loges dans la liste des « Etats-voyous ». Depuis l’an 2000, l’Iran stocke des euros plutôt que des dollars, ce qui a causé de nombreuses difficultés à l’économie américaine, pour ne pas parler de la fourniture de gaz naturel pour 100 milliards de dollars à la Chine, en contravention avec les lois sur l’embargo. Quelle politique l’administration américaine mettre-t-elle en œuvre contre l’Iran ?
MB: C’est Sharon qui veut que les Etats-Unis attaquent l’Iran. Mais la raison n’en est pas simple parce que les Américains s’essoufflent en occupant l’Irak. Nous verrons quelles mesures ils prendront : vont-ils réintroduire la conscription? Pourront-ils faire la guerre dans ces conditions sans provoquer une révolte des citoyens américains? Pour convaincre le peuple, devront-ils mettre en scène un nouvel attentat d’Al-Qaeda, encore plus sanguinaire, comme on peut le craindre, afin d’entraîner l’ensemble du pays dans une guerre contre l’Iran?
Or, l’Iran est un pays difficile à envahir : il a 70 millions d’habitants; il est beaucoup plus vaste que l’Irak et peut compter sur une certaine couverture militaire, certainement russe mais aussi chinoise, vus les rapports économiques très étroits qui se sont noués entre la Chine et l’Iran. Par le biais d’un méga-contrat de 100 milliards de dollars, portant sur la fourniture de gaz pendant 25 ans, la Chine s’est ainsi dotée d’une sécurité énergétique. Donc, si une puissance agresse l’Iran, elle agresse automatiquement les intérêts de la Chine. Il ne faut pas oublier que toute l’opération en cours en Ukraine est une opération téléguidée par Washington, exactement comme l’était l’opération de Soros en Géorgie. Si, en pratique, cette opération vise à priver Poutine de toute espèce d’hégémonie dans la région, car tant la Russie que l’Ukraine sont dotées d’armes nucléaires. Les armes atomiques ukrainiennes sont aujourd’hui sous le contrôle des Etats-Unis. Mais que se passera-t-il si le pays est secoué par une guerre civile?
Q: Je voulais vous le demander : que se passe-t-il exactement en Ukraine aujourd’hui ?
MB: En pratique, il s’agit d’inclure l’Ukraine dans la sphère d’influence américaine. Je dis bien “américaine” et non “européenne” ou “occidentale”! Cela pose de très graves problèmes à Poutine. Un exemple: Poutine dispose d’une flotte en Mer Noire; si l’Ukraine lui devient hostile, il n’a plus de liens territoriaux directs avec cette flotte. Ne parlons même pas des nombreux oléoducs russes, qui fournissent aujourd’hui du pétrole à l’Europe et qui passent justement par le territoire ukrainien! L’intérêt des Américains est de contrôler ces oléoducs, parce que, dans cette zone, le pétrole n’a pas d’accès direct à la mer. L’opération vise proprement à exproprier Poutine. Dans cette conjoncture, il est l’agressé et non pas l’agresseur.
De même, l’attentat si sanguinaire de Beslan contre les enfants d’une école a été évalué correctement par Poutine (qui fut un agent du KGB et qui sait pertinement bien comment ce genre de choses se déroulent...): les terroristes sont les instruments de la “Rome” qui a ses bases sur la Tamise et sur le Potomac et qui veut diviser pour régner, exactement comme le voulait la Rome antique. Ce sont les pouvoirs pétroliers de Londres et de Washington qui manipulent et déploient les terroristes “islamistes”. Il suffit de suivre la trajectoire du chef de ces terroristes tchétchènes, Bassaïev. Il a été auparavant le chef des gardes du corps du plus importants et du plus riches des oligarques russes, Boris Berezovsky, celui qui s’était emparé de toutes les richesses minières de la Russie. Poutine les lui a reprises tout simplement parce qu’il ne les lui avait pas payées. Songeons aussi à la Ioukos, qui est la propriété de l’oligarque Komarovsky et qu’il a achetée pour 200 millions de dollars au temps des privatisations, avec des fonds prêtés par la famille Rothschild. Aujourd’hui, la Ioukos vaut 17 milliards de dollars en bourse!
Q: Changeons de discours : je suis curieux de savoir pourquoi vous avez écrit l’un de vos derniers livres, dont le titre est : “La strage dei genetisti” (« Le massacre des généticiens ») Qu’entendez-vous par « massacre des généticiens » ?
MB: Depuis le 11 septembre, plusieurs généticiens sont morts mystérieusement, dans des “accidents” variés, souvent des homicides; en tout 25, peut-être 26. Tous s’occupaient d’armes “génétiques”, bactériologiques et se penchaient sur la façon de manipuler l’ADN pour des raisons militaires. Personne ne comprend vraiment ce qui s’est passé, mais, très probablement, une guerre secrète a lieu, sur ces types d’armement; les recherches ne sont pas suffisamment avancées, si bien qu’il suffit de tuer quelques hommes compétents pour freiner le développement des armes chez l’ennemi. Si, par exemple, les Chinois éliminent cinq généticiens américains qui s’occupent d’un tel programme, il est peu probable que les Américains trouvent immédiatement cinq autres généticiens de même niveau pour reprendre les recherches. C’est une guerre secrète de ce type qui est en cours entre Etats qui tentent de mettre au point des armes dites génétiques. L’arme en question serait un microbe, une bactérie, un virus capable de frapper seulement un type spécifique de génotype! L’existence probable de cette arme génétique a été révélée par un membre du Parlement israélien. Ce parlementaire a fait une déclaration mystérieuse puis ne l’a plus jamais répétée... C’est une information très alarmante parce que les effets de cette arme ressemblenet à des maladies naturelles. Comme celle qui a frappé Arafat, par exemple. Le Président de l’OLP est mort à la suite de symptômes très étranges: des milliers de micro-hémorragies dans les vaisseaux de petites dimensions, ce qui ne correspond à aucune symptomatologie de maladies connues! D’où la suspicion d’un empoisonnement, mais d’un empoisonnement perpétré à l’aide d’une arme très sophistiquée et braquée spécifiquement sur un type de cible...
Propos recueillis par Marcello Pamio; Source: www.disinformazione.it , 05 décembre 2004.
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lundi, 17 mai 2010
De crisis van het humanisme
De crisis van het humanisme
Ex: http://yvespernet.wordpress.com/
Onlangs ben ik een paar interessante boeken tegengekomen die een gezonde kritiek geven op het (atheïstische) humanisme. Een kritiek die geen reactionaire bedenkingen bevat en durft stellen dat het humanisme ook goede dingen heeft voortgebracht. Denken we maar aan het vallen van de absolute vorsten, de vooruitgang in de geneeskunde en het algemeen onderwijs. Maar we moeten eerlijk zijn, tegenover die verwezenlijkingen staat een grote “MAAR”.
In één van die boeken “Onbehagen met het modernisme”, later meer over deze boeken, staat een mooie anekdote over Georges Sorel. De man zelf was een orthodoxe marxist en trok dan ook ten strijde tegen de gevestigde orde, inclusief tegen God. Rebelleren tegen de Almachtige is immers simpel en atheïsten gedragen zich dan ook vaak als de ongelovige versie van de Taliban. Tegenover God plaatsen zij daarboven ook nog eens de verheerlijking van de wetenschap. Een menselijk gegeven dus dat faalbaar is. Het perfecte en het Allerhoogste wordt dus niet langer als streefdoel, met het volle besef dat het onbereikbaar is, gezien, maar wel het feilbare en het middelmatige. Generaties humanisten en atheïsten hebben dan ook geprobeerd om hun visie te funderen op sterke menselijke voorbeelden, maar mensen als George Sorel (maar ook Nietzsche) beseften dat ze daarin jammerlijk begonnen te falen:
“Sorel [bestudeert] in ‘Le système historique de Renan’ de deelname van het christendom aan het ontstaan van een nieuwe cultuur: martelaars en monniken hebben door hun geloof en hun voorbeeld een nieuwe wereld helpen scheppen. Sorel, die een aandachtige lezer van Ernest Renan is geweest [...] was geobsedeerd door een vraag van de auteur ‘Vie de Jésus’ over het postchristendom: ‘De religieuze mensen leven van een schaduw. Wij leven van de schaduw van een schaduw. Waarvan zal men na ons leven?’ Die vraag drukte inderdaad op zeer acute en paradigmatische wijze de vrees van Sorel uit: welk geloof (welke mythe) zal de nodige morele en sublieme inspiratie geven na het verdwijnen van het christendom?“
“Onbehagen met de moderniteit“, Uitgeverij Pelckmans, Kapellen, 2001, p. 48
Ondertussen kunnen we wel zeggen welke mythe dat is geworden. De mythe van het materialisme, de massaconsumptie en de gecommercialiseerde maatschappij. Geen God, geen moraal. Atheïsme is een moordende wereldvisie. Niet zozeer omdat het streeft om God te doden, maar omdat het de moraal van de mens (al dan niet onbewust) doodt. Uiteindelijk zullen wij zonder God niet meer worden dan consumerende dieren. En als dat het kroonstuk moet zijn op duizenden jaren beschaving, dan kan ik enkel met een grote droefheid naar de geschiedenis kijken.
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Entretien avec le Prof. Claudio Risé: les Etats d'ancienne mouture ne contrôlent plus les flux de communication!

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997
Entretien avec le Prof. Claudio Risé:
Les Etats d'ancienne mouture ne contrôlent plus les flux de communication!
«Les hommes politiques italiens qui regardent vers l'avenir et constatent qu'inéluctablement une entité padanienne verra tôt au tard le jour enragent ou se désespèrent. Cette rage et ce désespoir sont pourtant en contradiction avec le sacro-saint droit à l'auto-détermination des peuples et avec l'Histoire, avec un “H” majuscule. Parce que le processus historique actuellement en cours depuis la chute du Mur de Berlin indique clairement que la survie des vieux Etats nationaux ne peut plus constituer un dogme. Nous nous trouvons aujourd'hui face à une affirmation globale des différences et des identités ethniques et culturelles qui se développent dans le monde entier. La myopie des politiciens romains les place en dehors de l'histoire». L'homme qui prononce devant moi ces paroles fortes n'est pas un militant de la Ligue lombarde de Bossi mais un universitaire tranquille qui vit au Sud-Tyrol et à Milan et enseigne à l'Université de Trieste une matière complexe que l'on nomme la “polémologie”, soit l'étude des guerres et surtout des guerres menées à l'époque dite “postmoderne” (de 1945 à nos jours).
Le Professeur Claudio Risé est aussi psychanalyste et auteur de nombreux livres nous permettant de méditer sur le destin et le passé des cultures traditionnelles et identitaires. Parmi ces ouvrages: Psicanalisi della guerre (Red Edizioni) et Misteri, guerra e trasformazione (Società Editrice Barbarossa).
Q.: Professeur Risé, qu'entendez-vous par “guerre postmoderne”?
CR: Si nous entendons par “moderne” l'époque qui a commencé par les révolutions bourgeoises de la fin du XVIIIième, qui se basaient sur les thèses de l'idéologie des Lumières et ont constitué l'origine à leurs avatars: le libéralisme, le marxisme et le fascisme, nous pourrions définir la “postmodernité” comme l'ère de la crise de ces sociétés, crise commencée immédiatement après la seconde guerre mondiale qui a atteint son maximum d'acuité après l'effondrement de l'empire communiste à l'Est. Nous noterons, dans cette optique, que la majeure partie des conflits qui ont éclaté au cours des cinquante dernières années a été déclenché au nom de principes considérés à tort comme “dépassés” par les mentalités matérialistes et illuministes: ces principes sont les droit à l'auto-détermination, la défense d'un territoire spécifique, la défense existentielle de sa propre nation, que l'on perçoit comme l'expression inaliénable d'une culture, de facteurs raciaux, de traditions, d'un héritage historique et non plus simplement comme un ordre juridique sec et codifié. Les guerres du XIXième siècle et les deux conflits mondiaux de notre siècle n'étaient pas du tout liés à de tels sentiments, à l'exception notable du monde germanique où l'on conservait intacte la notion d'une “Kultur” (c'est-à-dire l'essence des mythes fondant une communauté populaire) que l'on opposait volontiers à la “Zivilisation” (la dimension exclusivement matérielle et technique de l'écoumène humain, dimension que détestait Spengler).
Q.: Aujourd'hui, nous assistons effectivement à un réveil des ethnies, que les médias et le monde politique italiens minimisent, ridiculisent ou tentent de criminaliser, notamment quand il s'agit de l'idée de “Padanie”. Ce comportement ne se repère pas avec la même intentisé ailleurs...
CR: Telle est bien la question. Un Etat historiquement fort comme la Grande-Bretagne vient à son tour de reconnaître le Pays de Galles comme un Etat national (potentiel) et révise ses positions dans l'épineuse question irlandaise. Une vieille nation digne comme l'Espagne parle désormais d'autonomie et l'applique comme en Catalogne. En revanche, chez nous, les journaux italiens sont les seuls dans tout le monde civil à refuser de reconnaître comme un fait politique pertinent, de grande portée historique, l'émergence d'une entité padanienne. D'autre part, il faut souligner que les politiciens italiens ignorent les tenants et les aboutissants de cette question, car ils ne connaissent pas (ou feignent de ne pas connaître) la nature du problème. L'Italie étouffe dans le magma énorme de la bureaucratie étatique, dont le personnel est littéralement terrorisé à l'idée de perdre son travail. L'aversion à l'égard de l'idée padanienne chez beaucoup de fonctionnaires de l'Etat et de politiciens est ridicule, au-delà même de toute rhétorique de circonstance: elle est principalement motivée par leur instinct de survie, par le désir de maintenir des privilèges acquis. Le régime italien doit retrouver le calme en jettant un oeil sur les chiffres réels et non seulement sur les chiffres de propagande: depuis la fin de la guerre jusqu'à aujourd'hui, le nombre des Etats est passé d'une quarantaine à près de deux cents. Faire semblant de ne pas voir cette évidence, c'est de la sottise sinon de l'aveuglement.
Q.: Comment expliquez-vous que, dans une époque essentiellement marquée par le globalisme économique, ce sont justement ces tendances identitaires qui soient en pleine expansion et que l'on redécouvre ses racines ethniques?
CR: Le globalisme des marchés s'accompagne d'une informatisation globale: là réside, à mes yeux, la grande innovation positive. Grâce aux réseaux d'internet, par exemple, des modèles culturels différents et des mouvements ethniques se diffusent et peuvent s'affronter entre eux chaque jour vingt-quatre heures sur vingt-quatre: c'est là un phénomène sans précédent. L'ouverture sur Internet a ôté aux Etats le pouvoir de contrôler la communication de masse. Paradoxalement, nous nous apercevons que le globalisme aide formidablement les revendications ethniques des peuples.
Q.: Alors, Francis Fukuyama et les partisans du mondialisme, qui proclamaient qu'ils allaient mettre un terme à l'histoire et transformer la planète en un agglomérat d'individus sans racines se sont trompés dans leurs calculs?
CR: La théorie de Fukuyama a déjà été démentie depuis un certain temps, même s'il ne veut pas l'admettre. Les effets néfastes de la mondialisation sont déjà là, bien concrets, il suffit de garder les yeux ouverts. A leur grande stupeur, les potentats américains ont dû constater que les communautés redécouvraient peu à peu leurs cultures, leurs musiques, leurs littératures. Les forces traditionnelles sont revenues dans le circuit après l'hibernation due au bipolarisme USA/URSS (qui, par ailleurs, était un faux bipolarisme, vu les accords plus ou moins secrets entre les deux superpuissances). Ainsi, les marchés internationaux sont “relus” par les peuples spécifiques: ceux-ci acceptent de rentrer sur ces marchés, mais en n'abandonnant pas leurs caractéristiques particulières et sans s'aligner sur une idéologie exclusivement économiciste. En effet, nous devons être bien attentifs à ne pas confondre le mondialisme homologuant, ennemi des racines des peuples, et le globalisme des échanges. Ce dernier, je le répète, est l'“ami” de l'idéal d'auto-détermination.
Q.: Selon vous, Prof. Risé, l'entité padanienne en Italie du Nord finira pas s'imposer, puisque l'histoire va dans cette direction. Naîtra-t-elle pacifiquement ou y a-t-il des risques de tensions entre centralistes et indépendantistes, comme semble le prévoir le Prof. Miglio?
CR: Je ne suis pas en mesure de prédire l'avenir dans une boule de cristal, mais j'entrevois tout de même un grand danger pour l'Italie: sa faiblesse... Un individu qui possède un “moi” fort se montre plus tolérant que celui que ne possède qu'un “moi” faible. Si l'on reporte le “moi” individuel sur celui de l'Etat, le résultat est identique. On sait comment est née l'Italie (l'Etat italien): sous l'impulsion d'un complot anglo-français, car la France comme l'Angleterre sont les ennemies jurées de l'institution impériale (le Saint-Empire) et des puissances centre-européennes. Mais le résultat de ces manigances franco-britanniques a été un Etat faible qui ne manifeste aucun respect pour les cultures vivantes et réelles à l'intérieur de ses frontières. L'identité des peuples de Padanie et des régions alpines est historiquement liée à la culture du vénérable Saint-Empire romain d'une part, et aux racines celtiques et lombardes, d'autre part. Les cultures, les sociétés, les communautés charnelles et réelles de ces régions padaniennes et alpines ont entre elles des rapports féconds et profonds tandis que l'Etat italien est né au départ de principes tout-à-fait opposés voire antagonistes à ceux que la romanité antique, solaire et respectueuse de toutes les composantes de son Empire. La Rome antique n'a rien à voir avec la Rome actuelle. Valentin Moroz avait raison d'écrire, après sa condamnation en ex-URSS pour ses activités en faveur du nationalisme ukrainien: «Une nation ne peut exister que s'il y a des hommes prêts à mourir pour elle. Je sais que tous les hommes sont égaux. Ma raison me le dit. Mais en même temps, je sais que ma nation est unique... Mon cœur me le dit». Il me semble que de tels sentiments sont très éloignés de l'état d'esprit qui règne en Italie aujourd'hui.
(propos recueillis par Gianluca Savoini, pour le quotidien La Padania, 6 juin 1997).
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