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mercredi, 19 novembre 2008

De meerwaarde van mythologie: Ovidius

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De meerwaarde van mythologie : Ovidius

samedi, 25 octobre 2008

Flavius Claudius Julianus

Flavius Claudius Iulianus

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Luigi Carlo Schiavone (ex: http://www.rinascita.info) stampa
Flavius Claudius Iulianus

La storiografia cattolica non ha mai mancato, nel corso dei secoli, di trattare con dileggio personaggi dall’elevato significato storico, rei solamente di non essersi piegati alla regola temporale e spirituale originata dal soglio di Pietro. Tra le vittime, tra i vari “anticristi” illustri, riconosciuti da quella che Benito Mussolini considerava una setta orientale che aveva avuto la fortuna di assurgere a religione universale solo dopo essersi impiantata a Roma, ricordiamo Flavius Claudius Iulianus assurto alla dignità imperiale nel novembre del 361 d.C.
Ultimo guardiano della tradizione pagana, che fu nerbo dell’istituzione politica dell’Impero romano nel periodo di suo massimo splendore, Giuliano, che noi preferiamo ricordare come “il Filosofo” e retto amministratore anziché come “l’Apostata”, divenne, per gli storici cristiani, la perfetta incarnazione del male e presentato, per tutto il medioevo, come il persecutore di cristiani. Tale affermazione, però, rappresenta già una prima forzatura visto che la visione pagana posta da Giuliano alla base del suo regno fu garanzia di rispetto per tutti i culti presenti nell’Impero al contrario del cristianesimo, che divenne religione di stato con Costantino I, aspramente criticato dall’Imperatore-filosofo attraverso le sue opere.
L’esistenza terrena di Giuliano ebbe inizio nel 331 d.C. a Costantinopoli. Figlio di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino, scampò, grazie alla giovane età, alle epurazioni attuate, alla morte di Costantino, dai figli Costantino II, Costanzo II e Costante che, divenuti imperatori nel 337 d.C., diedero vita a tali misure al fine di estirpare ogni residuo della discendenza di Teodora. Morto Giulio Costanzo, quindi, per i figli Giuliano e Gallo si aprì la strada dell’esilio; per una sottile ironia della sorte e a causa degli obblighi imposti dal rango, il futuro Apostata, in esilio a Nicomedia, fu affidato alle cure del vescovo Eusebio. Qui, il futuro Imperatore conobbe Mardonio, tutore di sua madre Basilina, che, seppur cristiano, adorava la letteratura classica. Nicomedia, tuttavia, risultò essere solo l’inizio del pellegrinaggio del giovane Giuliano; nel 342 d.C., infatti, egli venne trasferito a Macellumm, in Cappadocia, per essere posto sotto la tutela del vescovo di Cesarea, Giorgio. Da Macellum, e dalla biblioteca zeppa di testi neoplatonici del vescovo Giorgio, Giuliano andò via solo nel 348 d.C., anno in cui, col termine dell’esilio, fece ritorno a Costantinopoli. Qui, sotto la supervisione di due maestri, Nicola, pagano, ed Eusebio, cristiano che si convertì al paganesimo nel momento dell’ascesa dell’imperatore salvo far ritorno alla “casa madre” dopo la dipartita dell’allievo, l’ormai sedicenne Giuliano continuò i suoi studi. Il comportamento tenuto da Giuliano a Costantinopoli, però, non risultò gradito alla corte imperiale, che, insospettita dai suoi atteggiamenti, si espresse nuovamente a favore dell’esilio. Tornato a Nicomedia, come molti anni prima, Giuliano fece la conoscenza del filosofo neoplatonico Libanio. A Pergamo, tappa successiva del suo vagare, fu allievo di Edesio, successore di Giamblico alla guida della scuola neoplatonica. Tappa finale del suo pellegrinaggio fu, infine, Efeso dove, in qualità di allievo del filosofo e teurgo Massimo, venne iniziato ai misteri del Dio Mithra.
Una nuova fase della vita di Giuliano stava per avere inizio. Nel 354 d.C., infatti, il fratello Gallo, Cesare d’Oriente dal 348 d.C., venne accusato di cospirazione e giustiziato a Milano; l’imperatore Costanzo II, inoltre, nutrendo sospetti anche su Giuliano decise di imprigionarlo a Como. Liberato per intercessione dell’imperatrice Eusebia, Giuliano conobbe nuovamente il carcere in quanto accusato d’aver ordito un complotto in combutta con il Comandante delle Gallie, Silvano.
Grazie ad una nuova intercessione dell’Imperatrice Eusebia, tuttavia, nella primavera del 355 Giuliano fu di nuovo scarcerato. I favori dell’Imperatrice, però, non erano destinati ad esaurirsi con quest’ultimo atto; fu proprio Eusebia, infatti, a caldeggiare presso l’Imperatore, nel’autunno del 355 d.C., la nomina di Giuliano a Cesare delle Gallie. Questo titolo era sì carico di onori, ma non esente da oneri, visto che a Giuliano ora toccava l’ingrato compito di difendere un territorio costantemente in subbuglio a causa dei continui attacchi degli Alamanni. Non vi era, quindi, redenzione in Costanzo II, ma solo la volontà di veder perire in una impresa difficile un potenziale concorrente verso il quale i sospetti non si erano mai attenuati. Tale ipotesi può trovare facile conferma nel fatto che a Giuliano venne concesso di condurre in Gallia solo quattro collaboratori fidati (tra cui il medico Oribasio, autore, tra l’altro, di un’importante Enciclopedia medica), mentre il resto del seguito del nuovo Cesare era composto da elementi al soldo di Costanzo II col compito di “monitorare” l’attività di Giuliano.
I nemici di Giuliano, tuttavia, s’annidavano anche in settori differenti dalla sua corte; basti pensare che, nel 356 d.C., all’inizio dell’offensiva contro gli Alamanni, Marcello, comandante militare della Gallia fedele a Costanzo II, decise di dare inizio alla riconquista di Colonia informandone Giuliano solo dopo che le sue truppe s’erano messe in marcia. Ma il Cesare delle Gallie decise di non perdersi d’animo e dimostrare di che pasta era fatto; nei pressi di Augustodunum (odierna Autun), infatti, coadiuvato solo da poche centinaia di cavalieri, decise di attaccare le armate germaniche. Una vittoria, questa, che gli consentì d’essere ammesso da Marcello nel suo comando. Nonostante ciò, i dissidi tra i due erano lungi dall’essere appianati. Il dissapore di Marcello verso Giuliano, infatti, divenne palese durante l’assedio di Senonae (odierna Sens). Giuliano, in forte inferiorità numerica, dovette tener testa ad un esercito germanico più numeroso e molto determinato; Marcello, stanziato con le sue forze nelle vicinanze della battaglia decise di non intervenire covando la segreta speranza che Giuliano fallisse. Marcello pagò cara questa sua defezione e venne destituito dal comando, che fu affidato a Severo.
Nel 357 d.C. ad Argentoratum (odierna Strasburgo) si tenne la prima delle battaglie volta a minare definitivamente le speranze germaniche sulla conquista della Gallia. Forte solo di tredicimila uomini contro le molte migliaia di avversari, Giuliano decimò le armate degli Alamanni ed imprigionò il loro Re. Altri tentativi di attaccare la Gallia vi furono negli anni successivi ma sia i Franchi (358) che gli Alamanni (360) vennero fiaccati nelle loro volontà di conquista.
Il periodo che seguì fu, per la Gallia, prospero e felice; Giuliano, insediatosi a Lutetia Parisorium (odierna Parigi) attuò una serie di manovre volte a ridurre la pressione fiscale. Non mancò, inoltre, di perseguire, efficacemente, la corruzione serpeggiante tra i ranghi dei funzionari imperiali.
I suoi successi, però, suscitarono, ben presto, le invidie di Costanzo II. Queste, legate anche a probabili volontà espansionistiche, furono le ragioni che si trovano alla base dell’ordine emesso dall’Imperatore nel gennaio del 360 d.C. in cui chiede, al Cesare delle Gallie, di stanziare metà delle sue truppe, volte a salvaguardare il confine da nuovi attacchi germanici, in Siria da cui avrebbe avuto inizio l’attacco contro la Persia. Tale ordine, però, fu mal accolto dai legionari di Giuliano, i quali erano stai arruolati con la garanzia d’essere impiegati esclusivamente nel territorio d’origine e per questo decisero di ammutinarsi e conferire al loro Cesare, nel febbraio del 360, il titolo di Imperatore. Giuliano, che dapprima si mostrò restio ad una simile ipotesi, decise, in seguito ad un sogno premonitore, di accettare, in assenza di diadema, la corona di ferro barbarica offertagli dalle sue legioni che non mancarono di portarlo in trionfo sugli scudi in omaggio alla tradizione gallica.
Ora non restava che comunicare la decisione a Costanzo II; con due lettere, una ufficiale e l’altra confidenziale, in cui oltre a riconfermare la sua fedeltà all’Imperatore lo accusava apertamente dei massacri sopraggiunti alla morte di Costantino, Giuliano cercò di raggiungere un’intesa con Costanzo II che, mostratosi restio ad accogliere le proposte concilianti presenti nelle missive, da Antiochia fece macchina indietro con le sue truppe lanciandosi a caccia di Giuliano; ma a Mopsucrene, nei pressi di Tarso in Cilicia, Costanzo II fu colpito da una grave malattia che lo condusse alla morte il 3 novembre 361. Come suo legittimo successore indicò Giuliano che, l’11 dicembre 361, all’età di 28 anni poteva fare il suo ingresso trionfale a Costantinopoli.
Memore dell’esperienza come Cesare in Gallia, Giuliano si mostrò un buon amministratore dell’Impero; sebbene avesse instaurato dei tribunali per punire coloro che si erano macchiati di crimini nel corso del regno di Costanzo II, nel gennaio del 362, alla conclusione dei processi che videro come protagonista l’establishment del vecchio Imperatore si poterono contare solo poche condanne a morte. Altre furono le misure che val la pena di menzionare, dall’eliminazione di ogni lusso dalla corte imperiale, alla soppressione, eccezion fatta per il primo giorno dell’anno, di feste e spettacoli dalla corte, alle coraggiose misure in campo fiscale ed amministrativo. Consapevole che le tasse non dovessero essere estorte, ma che fosse necessario affidarsi alla buona volontà dei cittadini, infatti, Giuliano promosse una dilazione per le imposte arretrate oltre a concedere ampia autonomia alle città cui venne affidata la gestione del potere civile e religioso e vennero riconsegnate le terre precedentemente confiscate dallo Stato e dalla Chiesa. Molti poteri, inoltre, furono restituiti al senato di Costantinopoli.
Ma la fama di Giuliano, come accennato in precedenza, va legata indissolubilmente alle manovre attuate in campo religioso. Nel 361 egli si era dichiarato apertamente pagano e, ampiamente convinto che “la verità è unica e allo stesso modo la filosofia è una e tuttavia non c’è motivo di stupirsi se seguiamo strade completamente diverse per raggiungerla”, decise di emanare il 4 febbraio 362, in conformità alla tolleranza propria dello spirito pagano, un editto in cui, oltre ad essere autorizzate tutte le religioni, vennero eliminate tutte le misure restrittive emesse da Costanzo II nei confronti di ebrei, cristiani e pagani che decidevano di non appoggiare la sua linea volta a rilanciare il credo ariano.
Questo documento è di importanza fondamentale in quanto, dopo il regno di Giuliano, l’occidente dovrà attendere più di mille anni prima di poter riparlare di libertà religiosa. Coadiuvato dai maestri neoplatonici Massimo e Prisco decise di riaprire i templi pagani e di ricostruire il tempio di Gerusalemme. Dipinto come il persecutore di cristiani per antonomasia, l’unico atto veramente discriminatorio che Giuliano compì nei confronti di questi fu l’editto del 17 giugno del 362 con cui impediva ai professori cristiani di insegnare la retorica. Questa, infatti, era parte integrante della tradizione classica e per Giuliano, il quale, secondo Libanio, considerava lo studio delle lettere e il culto degli dei come fratelli, era “assurdo che coloro che devono commentare gli autori classici disprezzino gli dei da loro onorati”. A parte ciò il “demoniaco” Giuliano attuò alcuna persecuzione ma si limitò, esclusivamente, ad eliminare qualsiasi sovvenzione concessa alle chiese cristiane e obbligò chiunque si fosse macchiato di aver distrutto chiese avversarie a ricostruirle a proprie spese e permettendo, inoltre, il ritorno in patria a tutti coloro che ne erano stati allontanati in quanto eretici.
Se queste furono le misure adottate contro i cristiani nella veste di Imperatore, maggiormente carichi di significato possono essere considerati i passaggi, in cui, nelle sue opere, Giuliano, vestendo l’abito del filosofo, critica la confessione cristiana. Considerata come religione contraria alla logica e al buon senso e del tutto refrattaria dalla ricerca di verità e rettitudine, Giuliano non manca di identificare tale fede, nell’opera “Contro i Galilei”, come un prodotto spurio opera di una minoranza di ebrei che distaccatisi dalla propria tradizione avevano fatto confluire in essa elementi propri della tradizione greca. Questi “apostati del giudaismo”, infatti, secondo Giuliano: “raccolsero i vizi di entrambe queste religioni: la negazione degli Dei dall’intolleranza ebrea, la vita leggera e corrotta dall’indolenza e dalla volgarità nostra: e ciò osarono chiamare la religione perfetta”.
Ma le accuse mosse da Giuliano riguardavano l’intero complesso di un credo che egli aveva conosciuto a fondo; ne dileggiò le innumerevoli contraddizioni e non mancò di condannare le molteplici manifestazioni di intolleranza verso gli eretici e le divinità pagane a cui i fedeli del “Dio dell’amore” s’erano abbandonati fin dalle origini della loro confessione. Al costrutto delle “finzioni mostruose”, proprie della religione cristiana, l’Imperatore opponeva la bellezza dei vecchi culti. La concezione di un mondo divino “perfettamente bello” fu esaltata da Giuliano negli inni ad Helios Re e alla Madre degli Dei venendo, quindi, a contrapporsi apertamente sia alla misera storia contingente del “profeta crocifisso”, giustamente punito, secondo l’Imperatore, come tutti gli altri perturbatori dell’ordine pubblico, sia alla più povera visione del mondo tipica della concezione cristiana. Non meno vivace, inoltre, fu la polemica che l’Imperatore Giuliano instaurò con i filosofi cinici, da lui osteggiati in quanto considerati, per molti aspetti, simili a cristiani e rei per l’Imperatore, “di non aver saputo riproporre, nell’impero, l’antica cultura greco-romana”, secondo una visione che sarà ripresa anche da Michel Foucalt nel suo “Discorsi e verità”. Nel maggio del 362 Giuliano decise di lasciare Costantinopoli per stabilirsi in Asia Minore cercando di attuare una serie di manovre che dessero corpo al vecchio sogno di Alessandro Magno ossia unire l’Oriente all’Occidente. Antiochia, ancora una volta, venne eletto come il luogo da cui l’Impero avrebbe mosso contro quella Persia ancora scossa dalle recenti azioni intraprese da Costanzo II.
Il 5 marzo del 363, dopo aver diviso l’esercito in due tronconi ed elaborato una strategia che li vedeva muoversi in direzioni differenti, Giuliano mosse da Antiochia verso l’Eufrate; in maggio l’esercito imperiale ottenne, nei pressi della capitale persiana Ctesifonte, una grande vittoria ma Giuliano, assaporando l’idea di una battaglia campale contro il Re Persiano Sapore quale atto ultimo della tenzone, decise di non metterla sotto assedio. Dopo aver risalito il Tigri inflisse, a Manrosa, una nuova sconfitta all’esercito persiano. La sua marcia sembrava inarrestabile finché, il 26 giugno 363, nel corso di un attacco posto in essere dai persiani nei confronti dell’esercito in marcia, Giuliano, che s’era posto frettolosamente al fianco dei suoi uomini dimenticando di indossare la corazza, fu colpito al fegato da una lancia.
Amorevolmente assistito dai filosofi Massimo e Prisco, con cui aveva passato molte ore a discutere di filosofia, l’Imperatore Giuliano perì, serenamente, nella notte. Due le versioni che interessano il destino delle sue spoglie mortali: per alcuni il cadavere dell’Imperatore fu portato a Tarso dove venne bruciato e sepolto di fronte la tomba dell’imperatore Massimo Daia mentre, secondo Libanio la salma fu traslata ad Atene e sepolta accanto a Platone.
“Avrebbe senza dubbio modificato il corso della storia, se il colpo di un arciere sconosciuto non gli avesse trafitto il fianco all’età di trentadue anni, come dimostra lo sforzo accanito con cui, subito dopo la morte immatura, si cercò di demolirne la figura: distrutti i suoi scritti, dichiarate decadute le sue leggi, cancellate a colpi di scalpello le epigrafi che ricordavano le sue imprese. Fu il primo tentativo meditato per radiare un capo di Stato dalla pagine della storia e impedire che le generazioni future ne serbassero memoria. Ma non ebbe successo. La personalità di Giuliano, che si proponeva di rigenerare il politeismo, era troppo spiccata e testimonianze a lui favorevoli vennero di continuo alla luce, così furono sistematicamente falsate le notizie sul suo carattere, i suoi atti, le sue opinioni”. Con questa nota si apre l’edizione italiana della biografia di Giuliano redatta dal francese J. Benoist-Mechin e con essa riteniamo doveroso chiudere questo articolo dedicato all’Imperatore. Condannato alla damnatio memoriae dagli adepti di quella setta per cui è ancora difficile accettare che la terra è tonda e gira intorno al sole, la figura di Giuliano assunse tratti d’attualità durante l’illuminismo quando individui come Voltaire lo innalzarono a simbolo della lotta contro l’oscurantismo religioso.
Vestito, durante il Romanticismo, come un eroe romantico ante litteram l’esempio dell’Imperatore Giuliano merita d’essere ricordato anche in questo mondo contemporaneo sempre più dilaniato da nuovi conflitti dei quali si tende sempre più ad evidenziare i tratti religiosi al solo scopo di giustificare la legittimità di quella torbida teoria dello scontro di civiltà ed alimentare la paura, mentre volutamente si dimenticano e si omettono i reali interessi politici, economici e finanziari che reggono gli attuali teatri di guerra.
Qualunque governante che abbia oggi reale interesse nel tutelare il proprio paese dovrebbe seguire l’esempio dell’amministratore Giuliano e non lasciarsi trascinare in vortici di violenza che hanno il solo scopo di difendere un sistema-mondo ormai desueto e votato al crollo. Crollo che avverrà comunque, anche se benedetto da chi si considera da sempre il custode di una verità nel cui nome molti innocenti sono stati massacrati. Peccato, tuttavia, che nessuno dei moderni gestori del potere sia pronto ad accettare e far sua la lezione dell’Imperatore Giuliano. In attesa di un rinnovamento spirituale e politico, insomma, non ci resta altro da fare che assistere quotidianamente allo sgradevole spettacolo offertoci da tanti emuli di Enrico II incapaci, per compiacenza e convenienza, di sottrarsi alle robuste nerbate inflitte sulle loro flaccide natiche dagli inquilini indesiderati della città di Roma; noi, d’altro canto, incuranti di scomuniche ed anatemi non esitiamo rendere omaggio a Giuliano Imperatore.

19:39 Publié dans Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : antiquité, antiquité romaine, rome, méditerranée, italie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

jeudi, 25 septembre 2008

Citation de Jean Brun

Pythagore.jpgNous pourrions dire qu'un des drames essentiels de notre époque se trouve dans ce "règne de la quantité" qui ne nous donne plus du nombre qu'une conception résiduelle. Nous affirmons volontiers que "comprendre c'est mesurer", nous nous rendons maître et possesseurs de la nature", nous développons une puissance technique de plus en plus considérable mais, si nous savons bien de quoi la science et la technique nous libèrent, nous oublions de nous demander en vue de quoi elles nous rendent libres. Nos mesures sont de plus en plus privées de Mesure et nous vivons chaque jour davantage sous le joug de violences techniques qui, pour douces et insidieuses qu'elles soient, n'en sont pas moins des plus dangereuses. En outre, notre conception résiduelle de la quantité s'exerce dans un nouveau domaine : celui de la statistique. Celle-ci nous amène à confondre la moyenne et la norme, ce qui se fait et ce qui devrait se faire, la quantité et la qualité; c'est ainsi que nous pensons volontiers qu'un bon livre est celui qui se vend à des centaines de milliers d'exemplaires, que la vente d'un disque dépassant le million d'exemplaires nous indique que nous sommes en présence d'une oeuvre de qualité. Le culte du record et de la performance envahit tous les domaines et se détache sur un fond de gratuité tel que l'homme d'aujourd'hui, à qui l'on propose de tous cotés des explications de plus en plus nombreuses empruntées à la science, à l'histoire ou à la politique, se reconnaît bien volontiers dans les héros de l'absurde qui montent en haut de pentes de plus en plus escarpées, des rochers de plus en plus lourds sans savoir en vue de quel but a lieu un tel déploiements de forces. Le "désenchantement des sociétés techniciennes" dont parle Max Weber, vient de ce que l'homme des pays surdéveloppés possède aujourd'hui une infinité de moyens qu'il est impuissant à mettre au service d'une fin digne de ses efforts et capable de leur donner un sens.

Il est donc toujours temps de nous souvenir que Pythagore conseillait à ses disciples de se demander chaque soir: " Quelle faute ai-je commise ? Quel bien ai-je fait ? Quel devoir ai-je oublilé ? " Le règne de la quantité et celui de la puissance ne devraient pas nous faire croire que nous sommes désormais dispensés de nous poser quotidiennement ces trois questions.

Jean Brun, Les présocratiques