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samedi, 20 octobre 2012

La democrazia dell'oppio

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La democrazia dell'oppio

di Giulietto Chiesa


Fonte: lavocedellevoci

   
   
Nei giorni scorsi ho ricevuto un'informazione molto interessante, direi perfino curiosa, se non fosse che e' anche tragica. Pare - ma e' sicuro - che Hamid Karzai, il presidente dell'Afghanistan, nelle ultime settimane abbia segretamente sottoposto i 34 governatori delle province afghane a una prova di scrittura e lettura, verificando che ben 14 tra essi sono analfabeti. Non mi e' stato detto chi fossero i 14 tapini, ma la curiosita' e' cresciuta. Perche' mai Karzai ha improvvisamente sentito il bisogno di conoscere il livello d'istruzione dei suoi governatori? Che gli e' successo (intendo dire, a Karzai)?

A me e' venuto il sospetto che lo abbia fatto per toglierne di mezzo alcuni. Segnatamente, magari, quelli che non desiderano che egli si ricandidi (non essendo Karzai ricandidabile, a termini di costituzione, per una terza volta). Non si sa mai. Metti caso che i governatori disposti ad appoggiare un cambio costituzionale siano in numero attualmente insufficiente: ecco che gli analfabeti, che forse non sono cosi' tanti, o cosi' pochi, potrebbero essere accompagnati alla porta e sostituiti.

Insomma la prova di alfabetismo potrebbe essere nient'altro che un trucchetto per cambiare la costituzione afghana - del resto molto giovane - e restare al potere ancora qualche annetto.

Niente stupore. Se fosse cosi' potremmo solo dire che Karzai sta imitando le gesta di George Bush, quello che lo ha portato al potere. Anche Bush il giovane trucco' le elezioni: sia quelle del 2000, sia quelle successive del 2004. Dunque, perche' non imitarlo?

Poi ho ricevuto un'altra informazione, anch'essa attendibile ma un tantino diversa. Ve la trasmetto. Karzai ha licenziato 10 governatori. Non so se fossero dieci analfabeti, ma pare che fossero "morosi". Il che e' peggio. Morosi nel senso che ciascuno di loro deve pagare, e ha pagato, circa 30.000 dollari al mese personalmente al presidente in carica. Fatti un po' di conti vorrebbe dire che Karzai incassava e incassa 12 milioni 240 mila dollari l'anno di tangenti. Pare che uno dei governatori cacciati via in malo modo, quello della provincia di Helmand, avesse lasciato ridurre la produzione di oppio nel suo territorio addirittura del 40%. E come paghi il boss se non vendi droga? Cosi' mi sono fermato a riflettere sul significato della presenza dei militari italiani in Afghanistan in questi anni. Eravamo la' per fare che cosa? Per rendere molto bene imbottito il conto americano di Karzai. Qui finisce un ragionamento e ne comincia un altro. Mi ricordo di Emma Bonino, che fu mandata dal Parlamento europeo a certificare la validita' delle elezioni afghane in un lontano momento tra il 2004 e il 2005 (non ricordo bene, ma non importa). Torno' tutta contenta e spiego' al colto e all'inclita che quelle elezioni erano un trionfo democratico. Tutto era andato benissimo, non c'erano stati brogli, le schede elettorali erano chiarissime e tutti erano andati disciplinatamente a votare pur essendo nella stragrande maggioranza analfabeti (ma questo la Emma nazionale non lo disse).

I parlamentari europei, per meta' distratti, per l'altra meta' del tutto incapaci di valutare e per l'altra meta' ancora assolutamente convinti della giustezza della linea americana che quelle elezioni aveva voluto, applaudirono.

Lo so che non ci possono essere tre meta' di una unita', ma in quel parlamento europeo dominato dalla destra e da un discreto livello di stupidita' maggioritaria vi garantisco che potevano esserci anche cinque meta' di una unita'.

Era l'epoca trionfale della guerra al terrore. Osama bin Laden era morto soltanto tre volte e, dunque, gliene restavano ancora sei, giusto fino al maggio del 2011, e dunque bisognava tenere duro sul tema dell'esportazione della democrazia. La signora Emma Bonino era stata mandata a celebrare l'esportazione democratica in Afghanistan e, dunque, la questione era chiusa prima ancora di venire aperta. E qui viene il terzo ragionamento. Ma che diavolo significa questa democrazia? Non ho ancora trovato nessuno che sia in grado di spiegarmi come si puo' considerare democrazia una situazione in cui la maggioranza della popolazione, che non ha mai messo una scheda in un'urna, viene spinta a fare gesti di cui non puo' nemmeno comprendere il significato. Per la semplice ragione che non sa leggere quella scheda.

KABUL, ITALIA

Poi mi sovviene che mi trovo in un paese molto civile e moderno, nel quale milioni di persone, che pure sanno leggere le schede, non vanno a votare dopo avere visto i nomi su quelle schede e averli sentiti parlare in televisione. E altri milioni vanno a votare senza conoscere i loro programmi, pur potendo leggerli, in quanto non e' in base a quei programmi che votano i candidati, ma per i favori che sperano di ottenere da quei candidati. E tutti quei pochi che vanno a votare non possono decidere niente comunque perche' quei nomi altri li hanno fatti stampare sulle schede senza nemmeno consultarli, e dunque debbono prendere per buono quello che passa il convento. Allora mi viene in mente quello che scriveva Michael Ledeen, uno dei neocon cruciali che organizzarono la guerra contro l'Afghanistan e contro l'Irak, in un suo libro intitolato "La guerra contro i mostri del terrore"

Scriveva che l'America ha come obiettivo quello di disfare (undo) le societa' tradizionali. E aggiungeva che loro hanno paura di noi perche' non vogliono essere cancellati. Per cui ci attaccano perche' vogliono sopravvivere, cosi' come noi dobbiamo distruggerli per andare avanti nella nostra missione storica.

Subito ho pensato che si riferisse agli afghani, o agli iracheni. Ma poi ho avuto un'illuminazione: si riferiva a noi. L'unica differenza sta nel fatto che loro reagiscono per non essere cancellati, mentre noi ci lasciamo docilmente cancellare.


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vendredi, 09 décembre 2011

Afghanistan-Krieg: US-Militär gibt zu, lukrativen Opiumhandel in Afghanistan zu schützen

Afghanistan-Krieg: US-Militär gibt zu, lukrativen Opiumhandel in Afghanistan zu schützen

Ethan A. Huff

Mit einem Marktanteil von 92 Prozent am globalen Opiumhandel ist Afghanistan das mit Abstand größte Anbau- und Exportland für Opium. Viele sind wahrscheinlich schockiert darüber, dass das US-Militär ausdrücklich beauftragt war, die afghanischen Mohnfelder, von denen das Opium stammt, zu bewachen, um die milliardenschwere Drogenindustrie zu schützen, an dem die Wall Street, die CIA, der MI6 und viele andere Gruppen in großem Stil verdienen.

Vor den tragischen Ereignissen vom 11. September 2001 gehörte Afghanistan nicht zu den Global Playern im Anbau von Mohn, dem Ausgangsstoff sowohl von illegalem Heroin als auch von Morphium für pharmazeutische Zwecke. In dem Bemühen, die Pflanze im Land auszurotten, hatten die Taliban sogar aktiv Mohnfelder zerstört, wie die Pittsburgh-Post-Gazette am 16. Februar 2001 in einem Artikel mit dem Titel »Opiumproduktion des Landes praktisch ausgerottet« berichtete.

Doch nach dem 11. September betrieb der militärisch-industrielle Komplex der USA die Invasion in Afghanistan und unterstützte umgehend den Wiederaufbau der Mohnindustrie im Lande. Nach Angaben des Drogenbekämpfungsprogramms der Vereinten Nationen (UNDCP) stieg der Opiumanbau in Afghanistan 2002, nach der Invasion amerikanischer Truppen unter Führung des damaligen US-Präsidenten George W. Bush, um 657 Prozent.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/ethan-a-huff/krieg-gegen-das-rauschgift-als-schwindel-entlarvt-us-militaer-gibt-zu-den-lukrativen-opiumhandel-.html

mardi, 11 mai 2010

Troisième guerre de l'opium

Troisième Guerre de l’opium

Certains critiques, particulièrement sarcastiques, affirment que la guerre en Afghani­stan est certes sans espoir, mais qu’elle protège pour le moins la culture du pavot [sur] l’Hindou Kouch. C’est ne voir cette culture que comme une conséquence de la guerre, alors qu’il apparaît clairement qu’il s’agit d’un des objectifs de guerre des Etats-Unis.

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Carte par provinces, combinant risques pour la sécurité (plus la couleur est foncée, plus le risque est élevé) et culture du pavot à opium (en hectares). Source : ONU

93% de l’opium cultivé dans le monde, servant à la production de morphine et d’héroïne, viennent d’Afghanistan.

En 2007, il s’agissait de 8.200 tonnes, l’année suivante on en était à 8.300 ; la récolte de l’année dernière fut moindre, du fait d’une mauvaise récolte, il n’existe pas encore de données chiffrées.

Selon les Nations Unies, 95% de l’opium afghan sont transformés en héroïne, donnant ainsi 80 tonnes d’héroïne pure. Près de la moitié, soit plus de 35 tonnes, fut introduite en 2009 en Russie (selon des sources convergentes de l’ONU et de la police des stupéfiants russe). On peut supposer – car il n’existe pas de données concrètes – qu’une bonne partie est transportée plus loin, notamment dans les centres urbains de la Répu­blique populaire de Chine.

Il est donc déposé, rien qu’en Russie, trois fois autant d’héroïne qu’aux Etats-Unis, au Canada et en Europe. Victor Ivanov, directeur du Service fédéral de contrôle de la drogue (en russe : FSKN) déclara au Conseil OTAN-Russie (COR), le 23 mars à Bru­xelles, que le déferlement de drogue venant d’Afghanistan dépasse tout ce qu’on peut imaginer.

Un million de personnes auraient succombé depuis 2001 (lorsque la guerre fut déclenchée et l’Afghanistan occupé par les troupes des Etats-Unis et de l’OTAN) du fait des produits opiacés venant de l’Hindou Kouch. Selon Ivanov : «Toutes les familles sont touchées directement ou indirectement.» 21% de l’héroïne répandue dans le monde, venant d’Afghanistan, ont été déposés sur les marchés noirs de Russie, et malgré tous les efforts entrepris par Moscou, la tendance est croissante.

Si l’on ajoute à ces 21% les données concrètes de l’ONU (production mondiale de 86 tonnes d’héroïne), on peut estimer que les consommateurs russes auraient con­sommé 18 tonnes de drogue, venues de l’héro­ïne – que 17 autres tonnes de l’héroïne pure déversée en Russie auraient été transportées en Chine.

On comprend pourquoi Moscou et Pékin conclurent, il y a trois ans, un accord de coopération transfrontalière dans la lutte contre le déferlement de drogue. Le com­merce de la drogue menace la santé publique, de même que la stabilité économique et de politique intérieure des deux Etats.

Le directeur du service de la santé russe, Dr Gennadij Onichtchenko, a déclaré qu’en Russie mouraient chaque année, du fait de la consommation de surdoses d’héroïne, entre 30.000 et 40.000 jeunes gens. A cela il fallait ajouter 70.000 décès dus aux mala­dies collatérales provoquées par une surcon­sommation de drogue (Sida, septicémie, etc.). On estime à 2 millions, voire 2 millions et demi, d’individus des jeunes générations entre 18 et 39 ans étant accrochés à la drogue, 550.000 sont enregistrés officiellement. Chaque année, 75.000 nouveaux toxicomanes apparaissent, essentiellement des étudiants et de jeunes diplômés.

Peut-on déjà parler d’une décapitation de l’élite intellectuelle de la Russie ? Les toxicomanes russes dépensent chaque année l’équivalent de 17 milliards de dollars pour se procurer de l’héroïne, selon l’agence de presse RIA Novosti. La police a démantelé, rien qu’en mars de cette année, 200 laboratoires servant à préparer l’héroïne pour la vente à ciel ouvert.

Les républiques d’Asie centrale et le Pakistan ont à souffrir des mêmes maux que la Russie. Dans ces pays, on assiste à une connexion entre la contrebande de drogue et la dissémination du sida, comme c’est le cas en Iran depuis des décennies.

L’héroïne destinée à la Russie, venant d’Afghanistan, passe par le Tadjikistan ou par l’Ouzbekhistan (les deux pays se trouvant sous l’influence des Etats-Unis).

On se permet de supposer que les services secrets américains organisent eux-mêmes ce trafic. Il est vrai qu’Ivanov avait proposé au Conseil OTAN-Russie, à Bruxelles, de faire détruire au moins 25% des surfaces afghanes de cul­ture de l’opium. Cependant, l’OTAN, dominée par les Etats-Unis, refusa. James Appathurai, porte-parole de l’OTAN, s’exprima cyniquement envers les journalistes: «Nous ne pouvons pas anéantir la seule source de revenus pour des gens qui vivent dans le deu­xième pays le plus pauvre du monde, alors que nous n’avons pas d’alternative à leur offrir.»

Un mensonge effronté. Les Etats-Unis et leurs vassaux, non seulement mènent une «guerre contre le terrorisme» dans l’Hindou Kouch (dans un intérêt géostratégique et en vue de matières premières et de transfert d’énergie), mais en plus, ils soutiennent ouvertement les bases de revenus des paysans afghans cultivant le pavot.

Avant la guerre, sous le régime des Talibans, la culture du pavot en Afghanistan était étroitement contrôlée. Le pavot n’était autorisé que comme aliment. Qui le transformait en drogue, et diffusait celle-ci, risquait la peine de mort. La part de vente d’héroïne sur le marché mondial ne dépassait pas les 5%. Cela étant, les paysans afghans n’étaient pas plus pauvres qu’aujourd’hui.

Il en alla de même lors de l’attaque soviétique et du gouvernement communiste en Afghanistan, la production de drogue étant réduite à sa plus simple expression. Elle ne prit son élan que lors de la subversion causée par les Etats-Unis (soutien et armement des Moudjahidin du peuple, ce qui donna plus tard les Talibans).

Le marché afghan vendit, l’année der­nière, du pavot pour 3,4 milliards de dollars US (source : J. Mercille de l’Université de Dublin). Les paysans n’en gardèrent que 21% ; les 75% restant furent encaissés par les alliés corrompus des Etats-Unis et par l’OTAN : des fonctionnaires gouvernementaux, la police locale, des marchands régionaux et des transitaires. 4% revinrent, comme de bien entendu, aux Talibans, sous l’œil bienveillant de l’OTAN. Car l’ennemi doit être maintenu en vie – dans l’intérêt d’une présence sans faille des Etats-Unis. Comprenne qui pourra !

La Russie en appelle en vain aux décisions de l’ONU, qui contraignent tous les Etats de s’engager contre le marché noir de la drogue. On comprend alors la colère d’Ivanov envers le secrétaire général de l’OTAN, Anders Fogh Rasmussen, à Bruxelles, l’OTAN s’étant tout simplement refusé d’entreprendre quoi que ce fût contre la culture du pavot en Afghanistan.

Cela rappelle, en plus moderne (menée cette fois-ci par les Etats-Unis), la «Guerre de l’opium», menée dans les mêmes buts que ceux des Anglais lors des première et deuxième Guerres de l’opium (1839–1842 et 1856–1860) contre l’empire chinois de la dynastie des Qing. L’imposition de l’opium à l’Empire du Milieu provoqua, comme on le sait, la désintégration totale de la société chinoise et une instabilité politique à l’intérieur du pays, dont le résultat fut la Révolte des Boxers en 1900 – la révolte souhaitée par les Européens, leur donnant le prétexte pour l’invasion.

Les Nations Unies pourraient maintenant mettre en route leur mandat FIAS, par lequel ils ont légitimé, après coup, l’intervention de l’OTAN en Afghanistan, afin de renforcer la lutte contre la culture du pavot et d’offrir une véritable alternative, par des cultures dans le sens d’une vraie aide dans la reconstruction. Cela contraindrait les forces d’occupation des Etats-Unis et de l’OTAN à faire cesser la production d’opium. Jusqu’à présent, on n’a pas vu une telle résolution. Ce qui laisse aussi rêveur.

L’opium, et son dérivé l’héroïne, attaquent les êtres humains jusque dans leurs tréfonds génétiques. Comme à l’époque dans l’empire de Chine, cela se passe aujourd’hui en Russie, dans la République populaire de Chine et chez leurs voisins. Washington et l’OTAN utilisent l’arme de la drogue, un poison qui a fait ses preuves, contre leurs deux principaux concurrents, Moscou et Pékin. C’est un combat fondamental dans la guerre d’Afghanistan, mais dont on ne parle pour ainsi dire pas ouvertement.

Horizons et débats

mardi, 30 mars 2010

Afghanistan, narcotrafficanti sotto contratto Nato?

Afghanistan, narcotrafficanti sotto contratto Nato?

di Enrico Piovesana

Fonte: Peace Reporter [scheda fonte]



us_opium.jpgImpresa privata tedesco-albanese che da anni fornisce servizi logistici alle basi Isaf in Afghanistan, sospettata di traffico internazionale di eroina

In Germania è scoppiato uno scandalo - subito silenziato - che rafforza i sempre più diffusi sospetti sul coinvolgimento delle forze d'occupazione occidentali in Afghanistan nel traffico internazionale di eroina - di cui questo paese è diventato, dopo l'invasione del 2001, il principale produttore globale.

Ecolog, servizi alle basi Nato e traffico di eroina. Un servizio mandato in onda a fine febbraio dalla radio-televisione pubblica tedesca Norddeutsche Rundfunk (Ndr) ha rivelato che la Nato e il ministero della Difesa di Berlino stanno investigando sulle presunte attività illecite della Ecolog: multinazionale tedesca di proprietà di una potente famiglia albanese macedone - i Destani, di Tetovo - che dal 2003 opera in Afghanistan sotto contratto Nato, fornendo servizi logistici alle basi militari Isaf dei diversi contingenti nazionali (compreso quello italiano) e all'aeroporto militare di Kabul. E che, secondo recenti informative segrete e rapporti confidenziali ricevuti dalla stessa Nato, sarebbe coinvolta nel contrabbando internazionale di eroina dall'Afghanistan.
"C'è il rischio che sia stata contrabbandata droga, quindi valuteremo se la Ecolog è ancora un partner affidabile per noi", ha dichiarato alla Ndr il generale tedesco Egon Ramms, a capo della Nato Joint Force Command di Brussum, in Olanda.
"Siamo al corrente della questione e stiamo investigando con le autorità competenti", ha confermato un portavoce della Difesa tedesca ai microfoni dell'emittente pubblica.

Dietro l'impresa, il clan albanese-macedone dei Destani. Il servizio della Ndr spiega che già nel 2006 e poi nel 2008, dipendenti della la Ecolog sono finiti sotto inchiesta in Germania con l'accusa di traffico di eroina - centinaia di chili - dall'Afghanistan e di riciclaggio di denaro sporco. E che nel 2002, quando la Ecolog operava in Kosovo al servizio delle basi del contingente tedesco della Kfor, i servizi segreti di Berlino avevano informato i vertici Nato che il clan Destani, strettamente legato ai gruppi armati indipendentisti albanesi (Uck e Kla), controllava ogni sorta di attività e traffico illegale attraverso il confine macedone-kosovaro: dalla droga, alle armi, al traffico di esseri umani.
La Ecolog, che ha la sua sede principale a Düsseldorf (con filiali in Macedonia, Turchia, Emirati Arabi, Kuwait, Stati Uniti e Cina) è stata fondata nel 1998, ed è oggi amministrata, dal giovane Nazif Destani, figlio del capofamiglia Lazim, già condannato a Monaco di Baviera nel 1994 per dettenzione illegali di armi e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Il 90 per cento dei quasi quattromila dipendenti della Ecolog sono albanesi macedoni.

La Ecolog smentisce e fa rimuovere il servizio giornalistico. L'esplosivo servizio della Ndr è stato subito ripreso e amplificato dai mass media tedeschi: dall'emittente nazionale Deutsche Welle al settimanale Der Spiegel.
La reazione della Ecolog è stata immediata e durissima. Thomas Wachowitz, braccio destro di Nafiz Destani, ha bollato come "assurde" e "completamente infondate" le accuse contenute nel servizio, in quanto basate su una "confusione di nomi", e ha chiesto l'intervento della magistratura.
Il 4 marzo, il tribunale federale di Amburgo ha accolto l'esposto della Ecolog, emettendo un'ingiunzione che, senza entrare nel merito del contenuto del servizio giornalistico, impedisce all'emittente Ndr di "sollevare ulteriori sospetti" sull'azienda. La Ndr, dal canto suo, ha dichiarato di ritenere false le argomentazioni della Ecolog e ha annunciato un ricorso contro l'ingiunzione.

 


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mercredi, 10 mars 2010

Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden - oder für Opium und Uran...

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Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden – oder für Opium und Uran …

F. William Engdahl / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Bei der »Operation Moshtarak«, einer vorab angekündigten massiven NATO-Offensive in der Stadt Marjah in der afghanischen Provinz Helmand, ging es offensichtlich nicht in erster Linie darum, die »Taliban« »auszulöschen« oder die versprengten Überreste einer angeblichen »Al Qaida« zu zerschlagen – die ohnehin immer mehr das Fantasieprodukt amerikanischer schwarzer Propaganda zu sein scheint. Welches Ziel hatte dann aber die Tötung so vieler unschuldiger afghanischer Zivilisten, darunter auch Frauen und Kinder?

Die Operation Moshtarak begann damit, dass Ort und mehr oder weniger die genaue Zeit des Angriffs in einer bizarr anmutenden Erklärung bereits vorab bekannt gegeben wurden. Bei ernsthaftem militärischem Vorgehen zeugt es nicht gerade von brillanter Taktik, den Gegner zuvor davon in Kenntnis zu setzen. Die Bombenangriffe umfassten den Einsatz ferngesteuerter amerikanischer Drohnen und anderer Flugzeuge, sie waren begleitet von einer Bodenoffensive von etwa 6.000 US-Marines, britischen und anderen NATO-Soldaten sowie Truppen der afghanischen nationalen Streitkräfte, insgesamt waren in der kleinen Stadt Marjah ca. 15.000 Soldaten im Einsatz. Das Weiße Haus spricht von der größten gemeinsamen US-NATO-afghanischen Militäroperation der Geschichte, die erste Großoffensive von Einheiten, die zu der von Barack Obama angeordneten »Aufstockung« um 30.000 Soldaten gehören.

Wie die New York Times berichtete, sind in den ersten Tagen der Offensive, die von der Propaganda des Pentagon als »humanitäre« Militärmission bezeichnet wird, fünf Kinder beim Einschlag einer Rakete in ein Gelände getötet worden, auf dem sich »afghanische Zivilisten aufhielten«. Insgesamt kamen bei dem Angriff bis zu zwölf Zivilisten ums Leben. Die computergesteuerten Raketen wurden von einer mehr als zehn Meilen entfernten Basis abgeschossen.

»Wir versuchen, dem afghanischen Volk zu vermitteln, dass wir die Sicherheit in ihrem Wohnumfeld erhöhen«, erklärte US-General Stanley McChrystal.

 

»Lächerliche Militärstrategie«

Zunächst einmal wird – wie viele zuverlässige Berichte aus Afghanistan bestätigen – der Begriff »Taliban« von den Militärplanern in Washington als Begründung für jede Form amerikanischer militärischer Besetzung des Landes ins Feld geführt. Viele, die da als Taliban bezeichnet werden, sind in Wirklichkeit lokale Aufständische, die das Land nach über 30-jähriger ausländischer Besetzung endlich von den Besatzern befreien wollen.

Malalai Joya, eine gewählte Abgeordnete des afghanischen Parlaments, hat den jüngsten Militärschlag offen als »lächerliche Militärstrategie« bezeichnet. Im einem Interview mit der Londoner Zeitung Independent erklärte sie: »Einerseits fordern sie Mullah Omar auf, dem Marionettenregime beizutreten. Andererseits führen sie diesen Angriff, dem vor allem schutzlose, arme Menschen zum Opfer fallen. Wie in der Vergangenheit werden sie bei Bombenangriffen der NATO getötet und dienen den Taliban als menschliche Schutzschilde. Die Menschen in Helmand leiden seit Jahren und Tausend von Unschuldigen sind bereits ums Leben gekommen.«  

Joya betont, das Ziel der USA und des McCrystal-Plans seien nicht die Taliban. Es gehe vielmehr um die Sicherung der Kontrolle über die wertvollen Rohstoffe in der Provinz Helmand, nämlich um Uran und Opium.

Die Polizeikräfte in Afghanistan bezeichnet Joya als »die korrupteste Institution in Afghanistan. Bestechung ist an der Tagesordnung, wer das Geld hat, um die Polizei von oben bis unten zu bestechen, der kann praktisch tun, was er will. In weiten Teilen Afghanistans hassen die Menschen die Polizei mehr als die Taliban. So haben beispielsweise die Menschen in Helmand Angst vor der Polizei, die gewaltsam gegen sie vorgeht und Unruhe schürt. Die meisten Polizisten in dieser Provinz sind opium- oder cannabisabhängig.« Zu der jüngsten multinationalen Afghanistan-Konferenz in London war Joya nicht eingeladen, sie gilt als »wandelndes Pulverfass«, weil sie zu offen über die Wirklichkeit in Afghanistan spricht. Berichten zufolge hat sie genau deswegen in Afghanistan sehr viele Anhänger.

Nach Angaben im neuesten Afghanistan-Gutachten der UN ist die Provinz Helmand mit 42 Prozent der Weltproduktion die größte Opium produzierende Region der Welt. Hier wird mehr Opium hergestellt als in ganz Burma, dem zweitgrößten Opiumproduzenten nach Afghanistan. Über 90 Prozent des weltweiten Opium-Angebots stammt aus Afghanistan. Wenn Washington nun einerseits behauptet, die Taliban hätten sich die Kontrolle über die Opiumproduktion in Helmand verschafft, um ihren Aufstand zu finanzieren, oder wenn sich andererseits die Opium-Warlords weigern, mit den amerikanischen und anderen NATO-Geheimdiensten zusammenzuarbeiten, die selbst im Verdacht stehen, den weltweiten Opiumhandel zu kontrollieren, um mit den Einnahmen ihre schwarzen Operationen zu finanzieren, dann geht es bei der derzeitigen Militäroffensive eindeutig nicht darum, Afghanistan dem Frieden näher zu bringen oder die ausländische militärische Besetzung zu beenden.

Dienstag, 02.03.2010

Kategorie: Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik, Terrorismus

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