Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

vendredi, 22 novembre 2013

Elementos n°58: Critica de la sociedad de consumo

ELEMENTOS Nº 58. CRÍTICA DE LA SOCIEDAD DE CONSUMO: DE SIMMEL A BAUDRILLARD

 
Descargar con issuu.com

Descargar con scribd.com


Descargar con docs.google.com


Descargar con pageflip-flap. com


Sumario


El fin del Pacto con el Diablo,
por Jean Baudrillard

Teorías del consumo simbólico: del consumo estatutario al consumo identitario,
por Roberto Munita

La dictadura del signo o la sociología del consumo del primer Baudrillard,
por Luis Enrique Alonso

Simmel y la cultura del consumo,
por José Miguel Marinas

Consumismo y sociedad: una visión crítica del homo consumens,
por Susana Rodríguez Díaz

El Consumo como Cultura. El Imperio total de la Mercancía,
por José Antonio Zamora

El Imperio del Consumo,
por Eduardo Galeano

El consumo como signo en Baudrillard,
por Carlos Valdés Martín

Thorstein Veblen y la tiranía del consumo,
por Guillaume Faye

Consumismo-Capitalismo, la nueva religión de masas del siglo XXI,
por Pedro A. Honrubia Hurtado

Del mundo del consumo al consumo-mundo. Lipovestky y las paradojas del consumismo,
por José Francisco Durán Vázquez

La fábula del bazar. Orígenes de la cultura del consumo,
por Carlos Soldevilla

dimanche, 30 octobre 2011

Dittatura dell'economia e società mercantilistica

Stefano Vaj

Dittatura dell'economia e società mercantilistica

 

Predominio della sotto funzione mercantile – Determinismo economico - Lo spirito di calcolo - La priorità del benessere economico individuale - La decadenza dello Stato

 

3-hanson.jpgLa società in cui viviamo la nostra esistenza conosce oggi come carattere qualificante quella situazione di unidimensionalità che si è convenuto chiamare “dittatura dell'economia” e che può essere ricondotta all'ipertrofia patologica di una funzione sociale nel quadro di un predominio culturale degli ideali bor­ghesi. Caratteristica a sua volta distintiva di questa ipertrofia nell'insieme dei suoi effetti secondari, è la tendenza a fagocitare successivamente le varie espressioni della realtà umana. Nietzsche scriveva già, in una pagina di Aurora: “La nostra epoca che parla molto di economia è ben soffocante; essa soffoca lo spirito”.

Non è nuovo del resto come le classi politiche di tutte le nazioni europee pongano oggi al centro del proprio interessamento il problema dei consumi, in vista della creazione di un'immensa classe media ipergarantita comprendente tutta la popolazione ed unificata dal livello di vita. La cultura, in questo mo­dello sociale, deve necessariamente spogliarsi di quei caratteri che possono ostacolarne la distribuzione consumistica generalizzata, mentre la politica viene ridotta alla gestione. È superfluo sottolineare il carattere estraneo all'autentica civiltà europea di questa centralità del fatto economico nella sfera sociale.

Le tre funzioni sociali millenarie delle culture indoeuropee, funzione politi­co-sacrale, funzione guerriera, funzione produttiva, presupponevano infatti un ordinamento gerarchico tra le stesse; ordinamento che in particolare compor­tava un predominio dei valori inerenti alle prime due funzioni. Ora, non sol­tanto la funzione produttiva si trova oggi dominata da una delle sue sottofun­zioni, l'economia, ma quest'ultima è ancora a sua volta dominata dalla sua sot­tofunzione mercantile. Così che tutto l'organismo sociale è patologicamente sottomesso ai valori espressi dalla funzione mercantile.

Il liberalismo, storicamente, non ha altro significato che l'aver gettato le basi teoriche per questa usurpazione della sovranità da parte del dato economi­co. Ideologicamente esso si configura, similmente al marxismo stesso, come uno degli svariati riduzionismi contemporanei. Gli uomini all'interno della specula­zione neoliberale moderna non possono essere compresi, se non ridotti a fattori astratti che intervengono su un mercato: clienti, consumatori, unità di mano d'opera, ecc...

Le specificità culturali, etniche, politiche, umane, tutto ciò che si oppone all'intercambiabilità, costituiscono altrettante “anomalie provvisorie” in vista del progetto da realizzare: il mercato mondiale, senza frontiere, senza razze, senza singolarità. Quello che Julius Evola chiamava americanismo, la fine della storia in una visione commerciale planetaria, costituisce probabilmente oggi la principale minaccia, in quanto questa utopia è ancora più estremista di quella dell'egualitarismo “comunista”, e più realizzabile perché più pragmatica. Si può dire sotto questo aspetto che la società americana è più democratica di quanto l'Unione Sovietica non sia comunista, e che questo democratismo mon­dialista, nella sua versione europea, costituisce per noi veramente l'ultimo fla­gello.

La nostra quindi è la “società dei mercanti”, ma non bisogna pensare che sia particolarmente basata sullo scambio ed il commercio. Quando noi parliamo oggi di “società dei mercanti” ci riferiamo non solo e non tanto a strutture socio-economiche, ma a una mentalità collettiva , un insieme di valori che carat­terizza oltre all'economica tutte le altre istituzioni. I valori del “mercante”, utili ed indispensabili al suo solo livello, determinano il comportamento di tutte le sfere sociali e dello Stato stesso.

Non intendiamo con questo lanciare anatemi contro il denaro ed il profitto e non siamo certo moralizzatori in preda all'odio per l'economia, o fautori di un nuovo riduzionismo opposto pregiudizialmente alla funzione mercantile in quanto tale.

Noi sosteniamo semplicemente che i valori e la funzione economica sono da accettarsi, ma in quanto subordinati ad altri valori; e significativo è anche come il privilegiare sistematicamente l'economia ed il benessere individuale porti a breve termine, oltre che all'instaurazione di un sistema inumano ed alla deculturalizzazione dei popoli, persino ad una cattiva gestione economica.

“società dei mercanti” significa quindi società dove i valori non sono che mercantilistici. A scopo di chiarezza possiamo, con Guillaume Faye, Segretario del Dipartimento Studi e Ricerche del G.R.E.C.E., classificare schematica­mente in tre grandi partizioni i principi che di questi valori si fanno ispiratori: la mentalità determinista, lo spirito di calcolo, la sistematica priorità del benessere economico individuale.

La mentalità determinista è utile solo in campo economico, in quanto serve a massimizzare gli utili con l'agganciare la propria attività, come variabile di­pendente, ad alcune regole e funzioni: curve dei prezzi, leggi di mercato, con­giunture, andamento monetario, ecc... Ma, adottata dall'insieme complesso di una società tende inevitabilmente a diventare un alibi per non agire, per non rischiare. Quando l'insieme dell'economia nazionale e, ancora peggio il potere politico, si sottomettono e si lasciano condurre da sistemi teorici deterministici costruiti all'uopo, rinunciando ad osare e a ricercare soluzioni creativamente, la società si “gestisce” solo a breve termine, e resta irrimediabilmente sotto l'e­gemonia di previsioni economiche pseudoscientifiche ritenute ineluttabili (la mondializzazione della concorrenza internazionale, l'industrializzazione pro­gressiva del terzo mondo, la necessaria evoluzione verso la “crescita zero”, ecc). Tutto ciò mentre paradossalmente non si tiene conto delle più elementari tra le evoluzioni politiche a medio termine: per esempio l'oligopolio dei deten­tori del petrolio.

Le nazioni mercantilistiche rinunciano così alla loro libertà politica e le gestioni liberali degli stati non sanno andare che nel senso di ciò che esse cre­dono essere meccanicamente determinato, in quanto razionalmente formulato, dimenticando che alla fine è l'uomo a stabilire le regole del gioco. Nel secolo della prospettiva, della previsione statistica e informatica, ci si lascia andare all'immediato e si è più ciechi dei monarchi dei secoli passati. Si procede come se le evoluzioni sociali, demografiche, geopolitiche non avessero alcun effetto. Così la società mercantilistica, sottomessa alle evoluzioni ed alle volontà esterne, per il fatto di credere al determinismo storico, rende i popoli europei oggetti della storia .

 

Un'altra chiave interpretativa della mentalità mercantilistica è lo spirito di calcolo, anch'esso adatto alla funzione mercantile ma inapplicabile alla totalità dei comportamenti collettivi. Lo spirito di calcolo non afferma, come potrebbe sembrare, che il denaro è diventato la norma generale, ma più semplicemente che ciò che non si può misurare non “conta”più, ha solo una “realtà” par­ziale. Egemonia quindi del quantificabile sul qualificabile, sostituzione sistema­tica del meccanico all'organico che applicano a tutto l'unica griglia del costo economico teorico. Si pretende di “calcolare”tutto: si programmano le ore di lavoro, il tempo libero, i salari, la frequenza dei rapporti sessuali, i consumi, la produzione artistica. In infortunistica si calcola persino un preciso “costo della vita umana”, legato alla produttività ipotetica unitaria media lungo l'arco della esistenza personale.

Ma tutto ciò che sfugge al calcolo dei costi, ovvero a nostro avviso le cose più importanti, è trascurato. Gli aspetti non quantificabili economicamente della vita umana e dei fatti socioculturali, come le conseguenze sociali dello sradicamento dovuto ai movimenti migratori, diventano indecifrabili e vengono quindi ritenuti insignificanti. L'individuo “calcola” la propria esistenza ma, perdendo di vista le sue radici, non ha più il senso della propria identità. Gli stati non prendono in considerazione che gli aspetti “calcolabili” della loro azione. Una regione muore di anemia culturale? Che importa, se per il turismo di massa il suo tasso di crescita è positivo.

Questa superficialità appartiene principalmente a quella “gestione tecno­cratica”, che costituisce la grottesca caricatura mercantilistica della funzione sovrana, e che tende ad assimilare le nazioni a grandi società anonime (vera definizione delle società per azioni) di cui i governi costituiscono il consiglio di amministrazione. In questa ottica, ogni politica estera che non ha lo scopo di procurare sbocchi commerciali immediati, ad esempio la difesa, non ha senso. Persino l'economia vi si trova danneggiata in quanto questo mercantilismo a breve termine non è certo in grado di sostituire una vera politica economica.

Terzo aspetto infine della società mercantilistica è, come dicevamo, la prio­rità sistematica del benessere economico individuale che ingenera direttamente un “ deperimento politico dello stato” attraverso la sua trasformazione in stato-­provvidenza, stato dolcemente tirranico. Arnold Gehlen, definisce la “dittatura del benessere individuale” come la situazione in cui l'individuo, costretto a entrare nel sistema provvidenzialista dello stato, vede la sua personalità disinte­grarsi nell'accerchiamento consumistico, in cui perde ogni padronanza del pro­prio destino. Il neoliberalismo opera così un doppio riduzionismo: da una parte lo stato e la società non sono ritenuti dover rispondere ad altro che ai bisogni economici della gente; d'altro lato questi sono ricondotti esclusivamente al “tenore di vita” individuale - cosa peraltro già molto diversa dal concetto di “qualità della vita”. E da qui discende anche la preminenza, in seno alla fun­zione economica stessa del “sociale” e del “consumistico” sulla produzione e sull'innovazione creatrice.

In questo quadro emerge chiaramente quindi come, per un liberale, la sola ineguaglianza tra i popoli e tra gli uomini è la differenza circa il potere di ac­quisto: per cui sarà sufficiente, per raggiungere l'“égalité”, diffondere nel mondo l'idea mercantilistica. Ed ecco riconciliarsi l'umanitarismo universalista e gli “affari”, la giustizia e gli interessi, “Bible and business”, secondo una frequente espressione di Jimmy Carter. Il fatto che i particolarismi culturali, etnici, linguistici siano degli ostacoli per questo tipo di società spiega il motivo per cui l'ideologia moralizzatrice dei liberalismi politici spinga all'internaziona­lismo, alla mescolanza dei popoli e delle culture, all'integrazione razziale ed alle diverse forme di centralismo antiregionalista.

La società mercantilistica ed il modello americano minacciano dunque tutte le culture della terra. In Europa ed in Giappone la cultura è stata ridotta ap­punto a un way of life , che è l'esatto opposto di uno stile di vita. La personalità dell'uomo è “cosificata”, ovvero assorbita dai beni economici posseduti, che soli strutturano la sua individualità; si cambia di “personaggio” quando cam­bia la moda e non si è più caratterizzati né dalle origini (commercializzate nel folklore ) né dalle opere, ma solo dal consumo. Nel sistema contemporaneo i tipi dominanti sono il consumatore, l'assicurato, l'assistito, neppure il produttore o l'imprenditore, giacché il mercantilismo diffonde un tipo di valori per cui ven­dere e consumare appare più importante che produrre. E non vi è niente di più livellatore che la funzione del consumo: il produttore, o l'imprenditore, si dif­ferenzia per le sue azioni, mette in gioco delle capacità personali; il consumo invece è l'attività passiva , la non attività per eccellenza, a cui tutti possono in­differentemente accedere.

Ma un'economia di consumo non può alla fine che risultare inumana per­ché l'uomo è un essere attivo, un costruttore. Fanno in questo senso sorridere amaramente le accuse di sapore biblico di certa sinistra culturale sull'essere e l'avere, sulla “maledizione del danaro” e sulla “volontà di potenza” della civiltà europea. La società contemporanea, pur conservando a tratti una vitali cancerogena e decadente, per noi solo preoccupante, non afferma assoluta­mente nessuna volontà, né a livello di destino globale, come neppure sul mero piano di una vera strategia economica.

Stefano Vaj

 

samedi, 30 mai 2009

"Le bonheur paradoxal" de Gilles Lipovetsky

Le bonheur paradoxal, essai sur la société d'hyperconsommation

 

                  La bibliothèque NextModerne, interview Gilles Lipovetsky par Denis Failly           Gilles Lipovetsky, Editions Gallimard, 2006

Ex.: http://nextmodernitylibrary.blogspirit.com/

Une nouvelle modernité est née au cours de la seconde moitié du XXème siècle : la civilisation du désir, portée par les nouvelles orientations du capitalisme de consommation. Mais ces deux dernières décennies, un nouveau séisme est apparu qui a mis fin à la société de consommation, une nouvelle phase du capitalisme de consommation s'est mise en place : la société d'hyperconsommation.



Quelques mots de l'auteur, Gilles Lipovetsky


Denis Failly - Gilles Lypovetsky, Pourriez nous brièvement nous définir l'hypermodernité

Gilles Lypovetsky -medium_lipovetsky.jpg "La modernité s'est construite au 18ème siècle en mettant en place trois grands systèmes les droits de l'homme et la démocratie, le marché, et enfin la dynamique de la techno-science, le problème c'est que pendant deux siècles et demi ces 3 systèmes ont été fortement attaqués par des systèmes qui les rejetaient, par exemple le totalitarisme qui rejetait à la fois le marché et la démocratie. Aujourd'hui se fait sentir moins le besoin d'un contre modèle qu'une nouvelle régulation qui met au centre l'individu."

 

Denis Failly - "En quoi le bonheur est - il paradoxal ?

Gilles Lypovetsky - L'hédonisme, la consommation promet des bonheurs, de l'évasion, c'est une société qui stimule une marche au bonheur dans ses référentiels, mais la réalité c'est que l'on voit la multiplicité des anxiètés, la morosité, l'inquiétude, le ras le bol, l'insatisfaction quotidienne. Donc voilà, l'idée de bonheur paradoxal est : que plus la société marche au bonheur plus montent les plaintes, les récriminations, les insatisfactions.


Denis Failly - Quelles sont les grandes tendances de la société que vous appelez «hyper consommative» dans votre ouvrage ?

Gilles Lypovetsky- L'équipement, non plus centré sur les biens mais sur les personnes, par exemple le téléphone avant c'était semi collectif, ou bien on avait une télé par ménage...
- les cultures de classes s'érodent, le fait d'appartenir à un groupe social ne détermine plus strictement les modes de consommation parce que les cultures de classes se sont effondrées, à cause de l'information, à cause de la pub, de la diffusion des valeurs hédonistes, à partir de là, le consommateur devient un hyper consommateur, c'est à dire volatile, infidèle, qui échappe au quadrillage de classe d'autrefois.
- Une consommation émotionnelle, une satisfaction pour soi ou ses proches, soit par ce que dans la consommation on cherche par exemple à fuir un malaise, c'est une sorte de thérapeutique, soit par ce que les gens ont envie de vivre des expériences nouvelles, dans le sport, le tourisme... pour connaître des sensations nouvelles, donc la consommation devient beaucoup plus émotionnelles ou expérientielles. - On a des consommations de plus en plus clivées entre le haut de gamme et le low cost, ce sont les deux segments de marchés qui se développent le plus, le moyen de gamme décline, les extrêmes se renforcent.


Denis Failly - Comment aujourd'hui les jeunes construisent leur identité à travers la consommation ?
Gilles Lypovetsky- Comme les jeunes sont aujourd'hui éduqués dans l'idée d'être eux mêmes, d'être plus autonomes, du coup ils cherchent au travers de la consommation ce qui leur permet d'afficher leur personnalité même si c'est en copiant le modèle de leur camarade, donc au travers du conformisme, du culte des marques, ils construisent leur identité.

Denis Failly - Que vous inspirent Internet comme nouvelles manières de faire lien ?

Gilles Lypovetsky- Oui avec Internet beaucoup de choses sont liées à la consommation on entre dans l'hyperconsommation puisqu'il n'y a pas plus de limites, il n'y a plus de barrières spatio – temporelles. Il y a une information beaucoup plus ample avec un consommateur plus reflexif qui est capable de comparer de juger les offres...Internet favorise le low cost, départ dernière minute...tarifs préférentiels.
Le succès des blogs, c'est une certaine défiance envers les médias traditionnels au profit de l'expression des individus qui montrent qu'il y a une limite à la consommation et que les gens ont envie aussi de devenir acteur, de s'exprimer, de passer à côté des circuits ou des réseaux tradiitionnels.
C'est sympa comme phénomène mais il peut y avoir des dérives du n'importe quoi, il n'y a plus de filtrage, c'est un peu comme les cafés philos c'est parfois un peu de la bouillie pour le dire simplement.

Denis Failly - Par rapport à certains sociologues qui postulent l'existence de tribus, de communautés...est ce que l'hyperconsommateur est un hyper - individualiste et en quoi les deux s'opposent ?

Gilles Lypovetsky - C'est une question en fait conceptuelle, empiriquement les tribus existent mais c'est purement descriptif maintenant il faut les penser et c'est là ou la notion de tribu ne va pas, car la tribu c'est clos c'est fermée, hors, ce qui caractèrise le moment, c'est que les gens changent et à part les adolescents les gens sont dans une tribu, dans une autre... et ils peuvent mélanger, ils ne sont pas fait d'une pièce, les punks ou les goths c'est un tout petit monde mais ça représente pas le monde des adultes. Pour définir un adulte qu'elle est sa tribu exact, il peut aller faire du camping, faire de la musique classique etc, alors à quelle tribu appartient-il ? si il n'y plus d'homogéneïté c'est difficile. Ce sont des tribus tellement perméables tellement fugitives que la notion de tribu ne me paraît pas correcte, la tribu, on peut l'observer à des signes, mais on ne peut pas la penser parce que ce qui pense le tribalisme d'aujourd'hui c'est l'hyper-individualisme justement, les individus ne sont plus incrustés, incorporés dans quoi que ce soit puisque ce qui les caractérise c'est leur labilité, leur capacité à ne pas être intégrés, mais de choisir leur groupe d'appartenance.

Denis Failly - Gilles Lypovetsky, Vous sortez un nouvel ouvrage en septembre, pouvez-vous nous en dire plus ?

Gilles Lypovetsky - Oui, ca va s'appeler la « société de déception », j'essaie de voir comment l'expèrience de la déception fait partie de la condition humaine, les hommes sont déçus car ils ont des désirs et les désirs correspondent rarement à ce que l'on a, mais la modernité lui donne un poids, une surface beaucoup plus importante qu'autrefois. On le voit dés le 19ème siècle avec Durkheim, Tocqueville notamment. La notion d'égalité fait monter les aspirations, avant nous étions enfermés dans notre monde aujourd'hui c'est ouvert. Le livre monte que ce phénomène n'a fait que s'exacerber, avec le recul du religieux qui n'encadre plus les comportements, avec l'école qui ne répond plus aux promesses d'ascenseur sociale, avec la fin de la croyance dans le progrès, les gens sont méfiants envers la technique, ils ont peur des OGM, ils ont peur du réchauffement de la planète.. La technique déçoit, l'école déçoit, la politique déçoit on est dans une période de désillusion...

Denis Failly - Gilles Lypovetsky, je vous remercie


NB :  cette interview de Gilles Lipovetsky a été réalisée par téléphone

 
Bio : Gilles Lipovetsky est Professeur agrégé de philosophie à l'université de Grenoble, Membre du Conseil d’analyse de la société (sous l’autorité du Premier Ministre), Membre du Conseil national des programmes (Ministère de l’Education Nationale), Consultant à l’Association Progrès du Management. il est l'auteur d'une dizaine d'ouvrages :
L'Empire de l'éphémère, Le Crépuscule du devoir, La Troisième femme, édition Gallimard, L'Ere du vide, La société de déception, Métamorphoses de la culture libérale, Le luxe éternel, Les temps hypermodernes, etc.