Harukichi, lillipuziano nel corpo ma titano nello spirito, è in Italia da tempo e a Fiume ci va più che volentieri. Già da studente in Giappone si era innamorato della nostra cultura, della nostra lingua, della nostra storia, e quindi sceglie di venire da noi, a studiare Dante. L’Italia è sua seconda Patria, e la ama tantissimo. Si stabilisce a Napoli dove ha una cattedra all’Istituto Universitario Orientale, antico tempio del sapere europeo, dedicato alla ricerca e allo studio di culture orientali ed extracontinentali. Naturalmente parla benissimo l’italiano, con un simpatico accento partenopeo. All’ombra del Vesuvio nel 1920 fonda e cura la rivista di poesia Sakura prima rassegna moderna europea dell’arte e della poesia dell’Estremo Oriente. Già il nome stesso è poesia: fior di ciliegio, simbolo di bellezza e rinascita, di rigenerazione. Che personaggio, Harukichi, tappo coltissimo pieno di vita, occhi a mandorla e dialetto napoletano. Ma non pensiamo ad una macchietta! Ad un uomo buffo! Sorridiamo piuttosto, a quel nano gigantesco dalle sopracciglia enormi, uomo scalmanato e dotato di curiosità vorace, appassionato di poesia e lui stesso poeta, seguace di D’Annunzio e successivamente ammiratore del fascismo, di cui sarà acceso sostenitore all’estero, quando rientrerà a Tokyo.

Bushido: la via del guerriero. Codice di cavalleria, codice samurai. Onestà, sincerità, lealtà, giustizia, pietà, gentilezza, compassione, rispetto, educazione, dovere, onore. Fino alla morte. Harukichi Shimoi trova un naturale punto di contatto con il fascismo mussoliniano e il retaggio bushido, Sol Levante e Mediterraneo si abbracciano. Harukichi racconta storie della sua patria lontana, e affascina. A Mussolini, che gli è amico, narra le avventure dei vecchi Shogun, di tradizioni secolari, di cappa e spada samurai, del sucidio seppuku delle Tigri Bianche, guerrieri di un reggimento agli ordini del daimyō Katamori Matsudaira, che quando videro il castello del loro signore avvolto dalle fiamme e credendo il daimyō morto, decisero di uccidersi in massa. Il Duce rimane impressionato. Tutt’oggi, nelle vicinanze della città di Aizu, dove c’è il cimitero delle Tigri Bianche,  c’è una colonna di epoca romana e sotto di essa, una targa: Allo spirito del Bushido. È un omaggio commemorativo che Mussolini invia nel 1928, dopo aver ascoltato il racconto di Shimoi.

Facciamo un passo indietro, prima del fascismo, siamo nel mezzo della prima guerra mondiale. Il professore giapponese si arruola come volontario tra le fila del Regio Esercito. Entra nel corpo speciale degli Arditi. Sono gli atleti della trincea, corrono a dare e ricevere la morte. Abili con le bombe a mano, sperimentatori di lanciafiamme, insuperabili con il pugnale. Occhio alla gola, austriaco. Gli Arditi sono esperti nel corpo a corpo e Shimoi fornisce il suo contributo impartendo lezioni di karate, disciplina che possiamo ritenere più che utile nella lotta cattiva di quella guerra. Nel grande carnaio, conosce Gabriele D’Annunzio e i due stringono amicizia. Assieme avrebbero dovuto intraprendere il raid aereo Roma-Tokyo, ma altri eventi irrompono in scena. Li rivediamo infatti assieme, pochi anni dopo, non nei cieli ma a Fiume, durante l’Impresa. Ribellione! I legionari con alla testa il Poeta hanno preso la città del Carnaro, vogliono renderla all’Italia perché è stata rubata, e la colpa del furto è dell’americano, il presidente Wilson che dice no, no, no.

Fiume, 1919-20, sedici mesi di insonnia, che esperienza deve esser stata per chi l’ha vissuta. Altro che Sessantotto, tsè. Baraonda di libertà e festa, ma anche e soprattutto fucina di idee, arti, politica. Harukichi Shimoi ci arriva a febbraio del ’20. Poche sono le informazioni sulla sua permanenza fiumana. Ma allora che queste righe si prendano la licenza di uscire dalla serietà della ricerca storica e che introducano un elemento di fiction per infrangere liberi le leggi della corretta cronologia: ci interessa capire l’ambiente. Gli occhi a mandorla del nostro amico letterato sono il mezzo fiction con cui si vuole raccontare quello che a Fiume è successo per davvero. Harukichi Shimoi passeggia per le strade e le piazze della città, piccolo ma fiero nella sua divisa d’ardito con il pugnale e il nero fez, e i suoi occhi curiosi sotto le sopracciglia enormi osservano e ci riportano episodi. Corri corri generale: tutti sotto il balcone del Palazzo del Governo, il Comandante Governatore parla alla folla: “In questo folle e vile mondo Fiume è oggi un simbolo di libertá; nel mondo folle e vile vi è una sola cosa pura: Fiume; vi è una sola verità …” D’Annunzio arringa, bravissimo, e sotto il tripudio. Ma da chi è composta la folla? È una ressa multiforme, multicolore, multiculturale. Lista disordinata di individui: arditi, alpini, bersaglieri, carabinieri, avventurieri, cittadini, signore, puttane, marinai, aviatori, eroi, artisti, poeti, futuristi, fasciopionieri, studenti, anarchici, libertini, bohémien, dandy, imperialisti, sognatori, pirati, sbandati, nazionalisti, sindacalisti, socialisti, monarchici, repubblicani, stranieri, rivoluzionari, pazzi. È il marasma magnifico di individui, pensieri e intenti; episodio unico ed irrepetibile.

Gli occhi del giapponese scrutano affamati di cose, uomini, azioni, e si riempiono. Laggiù al porto, i ragazzacci del UCM – Ufficio Colpi di Mano, festeggiano la caccia fortunata, hanno arrembato un mercantile, molte le provviste di bottino. Sono gli uscocchi, i corsari di D’Annunzio, vanno in missione di guerriglia marina, assaltano per rifornire la città. In corso Dante è l’ora dell’aperitivo. Fa il suo quotidiano ingresso trionfale, con la corte di ammiratori e fanciulle, in bombetta e bastone, il futuruomo Marinetti. Cammina svelto, ha l’attenzione di altri passanti, dunque si ferma e declama: “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!” Volano le bombette, pure qualche sedia dei caffé. Il clima è orgiastico, i postriboli incassano, il sesso è mercenario, certamente,  ma anche donato perché gli amori sbocciano molti e liberi, l’euforia è afrodiasiaca, e altresì l’appartamento del Principe D’Annunzio ha la sua porticina segreta, vecchie e nuove fiamme  rendono omaggio al poeta armato quando cala la notte.

Il Camerata Samurai nella Fiume delle ore piccole, continua la sua esplorazione della nostra Storia, che ora è fantastica. Dalle osterie esce chiasso, il vino scorre, sempre, dai bordelli escono i legionari che sorridono, contenti. Un drappello furtivo s’infila in un portone poco illuminato. Vanno a comprare cocaina. Ce n’è parecchia, va di moda. Sono stati gli aviatori, con le loro scatoline d’oro dove custodivano la polvere pestifera, a far tendenza malandrina. La usavano in azione durante voli estenuanti, adesso la fiutano anche a terra. Pure il Vate prende il vizio, a 57 anni suonati si farcisce  le narici golose. In un angolo, una rissa: son cose che capitano quando c’è grande concentrazione di animi surriscaldati. Dopotutto, sono tanti i reduci; è gente che quieta non sa più stare; è gente per sempre scossa dal massacro, gli abiti borghesi stanno stretti. Succede anche in Germania con i Freikorps, oppure anche in Stati Uniti, nel secondo dopoguerra, con i veterani dell’aria che si aggregano in bande di motociclisti, come gli Hells Angels. Il soldato in guerra impara la vita guerriera e l’orrore, ma quando la guerra finisce? Non tutti vogliono o riescono a rientrare nei ranghi civili, nella moderazione, nella quiete. Anche nel primo dopoguerra italiano, è così.

Me ne frego! Il motto è coniato a Fiume. In esso tutto un universo di volontà individualiste, turbolente, di rendere la vita una fiamma che arde. Nessun futuro, viviamo adesso, da leoni.  E un leone coraggioso anche se strambo e indisciplinato è Guido Keller, con cui Harukichi si ferma a fare due parole, sotto un lampione, prima dell’alba. Esistono gli uomini “normali” e poi esistono i Keller. Keller è un Keller. Asso dell’aviazione di guerra, non sta mai fermo, lui è edonista, eccentrico, nudista, tritone adriatico, primo corsaro di Fiume ed è amico di una bellissima aquila addestrata con cui certe volte dorme appollaiato in cima agli alberi: che sia voglia incontrollabile di cielo, mal di nuvole, il richiamo delle stelle? Li raggiunge Giovanni Comisso, legionario e scrittore. Comisso e Keller si spingono oltre, danno vita a il Gruppo Yoga, con tendenze esoteriche, e scelgono simboli raccolti dall’Oriente misterioso come la svastica (è inutile stropicciarsi gli occhi, siamo nel 1920, il nazismo è solo un feto, anzi nemmeno feto, solo seme) e la rosa a cinque petali.

Sulla rivista “YOGA” c’è scritto: Unione libera di spirti di Fiume: Grifone Italico! Lo stile e la forma dell’azione sono elette dalla bellezza, e vi obbediscono. Quante altre cose potremmo far vedere agli occhi di Harukichi Shimoi, il Camerata Samurai di Fiume, scomodato per l’occasione per una veloce testimonianza sugli aspetti più colorati dell’Impresa di fiumana, esplosione di orgoglio nazionale, militare e allo stesso tempo ribelle.

Rientrando nei ranghi della Storia per bene e severa, come va fatta, scopriamo che Shimoi, capitano degli Arditi, è scelto da D’Annunzio come suo personale messaggero per l’odiato amico Mussolini. Il giapponese fa da collegamento, porta e riceve messaggi, s’intrufola tra le linee che stringono la città insonne, viaggia per la causa degli italiani, la sua causa. Non andiamo oltre, il tempo scorre, seguono altre storie, nuovi ordini, un’altra guerra. Diamo ancora un ultimo sguardo all’Impresa. La giovinezza è al potere, a Fiume, luogo fuori dal tempo, esperimento storico, laboratorio di quello che verrà, alchimia di passioni. La Storia diviene arte.