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mardi, 31 janvier 2012

Francis Puyalte, le journalisme et Céline

Francis Puyalte, le journalisme et Céline

par Marc Laudelout

 
Francis Puyalte et Saphia Azzedine ont un point commun : leur livre comporte une épigraphe extraite de Bagatelles pour un massacre. Thème identique de surcroît : « C’est toujours le toc, le factice, la camelote ignoble et creuse qui en impose aux foules, le mensonge toujours ! jamais l’authentique... » (Puyalte) et « Les peuples toujours idolâtrent la merde, que ce soit en musique, en peinture, en phrases, à la guerre ou sur les tréteaux. L’imposture est la déesse des foules. » (Azzedine). La comparaison s’arrête là. Car, pour le reste, l’univers décrit par la beurette (« Guerre des boutons version al-Qaida », dixit un critique) ¹ et celui de Puyalte sont bien différents. Journaliste à Paris-Jour, puis à L’Aurore et au Figaro, Francis Puyalte est aujourd’hui à la retraite. Cela lui confère la liberté de dénoncer sans fard ce qu’il nomme l’inquisition médiatique, et ce à travers des exemples concrets. De l’affaire de Bruay-en-Artois au procès d’Omar Raddad, Puyalte montre comment la presse d’aujourd’hui fabrique des innocents ou des coupables et surtout comment elle parvient à imposer ce qu’il convient de penser. Jamais auparavant un journaliste n’avait aussi franchement révélé ce qui se passe dans les coulisses du quatrième pouvoir. Dans ce livre, il ne traite donc pas d’une autre de ses passions – Céline – qui lui a notamment permis de rencontrer Lucette dont il a recueilli les propos dans deux articles mémorables ². Dans Bagatelles, le mot « imposture » est l’un de ceux qui revient le plus souvent. C’est précisément ce que dénonce Puyalte dans cet ouvrage salué par un (autre) esprit libre : « Une incroyable liberté de ton, de pensée, de critique et de démolition. Un pamphlet vif, argumenté, salubre et dévastateur sur le journalisme, ses dérives, ses conforts intellectuels, ses paresses et ses préjugés. (…) Ces dysfonctionnements et vices du journalisme ont parfois été dénoncés mais jamais avec cette verve... » ³. Savoureux aussi, le premier chapitre consacré à ses débuts dans le journalisme. Il rappelle – ce n’est pas un mince compliment – les pages analogues de François Brigneau dans Mon après-guerre. Voyez plutôt : « Le lecteur ? J’apprendrai vite que ce n’est pas le principal souci de la rédaction en chef, qui planche, dès la fin de la matinée, sur la manchette de la Une. Ce qui importe, c’est un titre accrocheur, vendeur, selon le terme si souvent entendu. Il est vrai qu’un journal est fait pour être vendu, même lorsque l’actualité est pauvre. Alors, faute d’un événement d’intérêt, on va en gonfler un autre qui n’en a aucun. Au départ, il faisait hausser les épaules. À l’arrivée, il fait la manchette. Drôle de situation pour le reporter. À lui la débrouille et non la bredouille. ». On aura compris que c’est un livre décapant, très célinien dans la démarche (« Tout dire ou bien se taire »). Raison pour laquelle, on s’en doute, Francis Puyalte ne sera pas invité dans les médias. Peu importe, son livre existe et fera date.

Marc LAUDELOUT
Le Bulletin célinien n°337, janvier 2012

• Francis Puyalte. L’Inquisition médiatique (préface de Christian Millau), Éd. Dualpha, coll. « Vérités pour l’Histoire », 2011, 338 p., 38 € frais de port inclus aux Éd. Dualpha, Bte 30, 16 bis rue d’Odessa, 75014 Paris.


1. Saphia Azzedine, Héros anonymes, Éditions Léo Scheer, 2011.
2. Francis Puyalte, « Les confidences de la femme de Céline », Le Figaro, 20 mai 1992 & « Les souvenirs de la femme de Céline », Le Figaro, 30 décembre 1992. Articles repris dans Le Bulletin célinien, n° 123 et n° 127.
3. Philippe Bilger, « Au journalisme inconnu », Justice au singulier. Le blog de Philippe Bilger [http://www.philippebilger.com], 10 décembre 2011. Repris sur le site http://www.marianne2.fr

La visione del mondo atomista e oggettivista getta l’uomo moderno in una disperata solitudine

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La visione del mondo atomista e oggettivista getta l’uomo moderno in una disperata solitudine

di Francesco Lamendola

Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

L’uomo moderno è in preda a una crisi di valori senza precedenti; e, a monte di essa, di una crisi di senso complessiva, che investe ogni singolo aspetto della sua esistenza e lo rende perplesso, confuso, incapace di discriminare e di decidere, vittima di una sconfortante sensazione della vanità e dell’inutilità di qualsiasi cosa, di qualunque eventuale scelta.

Tale situazione è dovuta all’azione concomitante di due forze apparentemente diverse e perfino opposte, ma in realtà originatesi dalla stessa temperie culturale e spirituale: il meccanicismo scientifico, sviluppatosi dalla Rivoluzione scientifica del XVII secolo in poi, che tende ad imporre una visione atomistica della realtà e, quindi, anche dell’uomo; e l’oggettivismo, anch’esso di matrice scientifica, secondo il quale l’uomo, o meglio lo scienziato, può e deve porsi in maniera distaccata davanti al mondo, osservarlo, misurarlo, catalogarlo.

L’atomismo fa sì che gli esseri umani tendano a sentirsi  isolati e separati gli uni dagli altri e, quindi, terribilmente soli e incapaci di comunicare, sia sul piano del pensiero, sia su quello delle emozioni e dei sentimenti; l’oggettivismo tende a recidere il legame necessario fra essi e il mondo, a proiettarli in una dimensione diversa da quella degli altri enti e della natura tutta, in una atmosfera rarefatta e artificiale, ove smarriscono il senso dell’unità con il tutto.

Entrambe queste forze provocano, o accentuano, il senso di estraneità, di alienazione, di disperata solitudine dell’uomo: egli non si ritiene più capace né di gettare dei ponti verso i suoi simili, né di sentirsi parte di una unità organica; e l’effetto di questi due orientamenti è, da un lato, l’accentuarsi della durezza dei rapporti umani, dall’altro l’abuso nei confronti della natura, senza che all’uomo appaiano chiare le terribili conseguenze, anche per lui stesso, di un tale abuso.

Partiamo dal primo aspetto. Le cosiddette scienze umane sono state le prime a teorizzare, sul modello delle scienze naturali, il grossolano meccanicismo di derivazione illuminista e positivista: l’anima è stata ridotta alla psiche e la vita spirituale degli esseri umani è stata ridotta all’insieme delle loro manifestazioni mentali: nessun mistero, nessun senso di riverenza per la dimensione interiore dell’uomo; tutto è spiegabile ed, eventualmente, curabile, partendo da una analisi rigorosa delle quantità in gioco (anche se poi, specialmente nella psicanalisi, questa pretesa “scienza” non esita a ricorrere a dei metodi che ricordano, in tutto e per tutto, un basso cerimoniale di magia nera).

Ma una volta negato il mistero della condizione umana, il suo insopprimibile bisogno di trascendenza, attestato dalla originarietà e dalla universalità del fatto religioso; una volta negata la vita dell’anima, anzi, la stessa esistenza di quest’ultima; una volta ridotto l’essere umano alle sue componenti chimiche, neurologiche, comportamentali, un po’ come nello schema del cane di Pavlov, che cosa ci resta fra le mani, se non un manichino svuotato della sua reale sostanza umana, della sua specifica dimensione ontologica?

Anche nel secondo aspetto si nota l’influsso devastante di una concezione scientista e neopositivista: se, infatti, l’uomo è un osservatore distaccato della realtà (e si noti che le ultime acquisizioni della fisica subatomica, come il principio di indeterminazione di Heisenberg, negano recisamente un tale modello scientifico: ma i divulgatori dello scientismo a un tanto il chilo non lo sanno, e continuano a diffondere i più vieti luoghi comuni del positivismo), allora viene a  cadere la cosa più importante di cui lo scienziato dovrebbe essere dotato: la compassione.

Così come, ne «Il Saggiatore», Galilei descrive la vivisezione di una cicala senza tradire il benché minimo rammarico, la benché minima pietà verso la bestiola sacrificata in nome della ricerca scientifica, allo stesso modo il moderno psicologo e il moderno psichiatra si guardano bene dal provare la minima empatia per l’essere umano sofferente che si è rivolta a loro per ricevere aiuto: si limitano a formulare la loro diagnosi, a somministrare farmaci, a prospettare percorsi terapeutici in nome di un sapere che essi credono asettico e imparziale, mentre è, nove volte su dieci, la prona sottomissione ad una nuova fede religiosa, anzi ad una nuova setta, che non prevede la possibilità di sbagliare e che, cosa più grave ancora, non ha nulla da dire all’uomo quanto al bene ed al male, ma solo quanto alle tecniche di adattamento e di sopravvivenza in un mondo assurdo, allucinato, dominato da forze incomprensibili.

Ma il mondo è davvero così assurdo e allucinato, così incomprensibile, come afferma questa pretesa scienza moderna, oppure è essa che lo vede così e che formula le sue leggi e i suoi princìpi a partire da una percezione del reale che nasce dalla sua incapacità di porsi in maniera armoniosa, costruttiva e fiduciosa nei confronti del mondo?

Siamo sicuri che i vari Newton e i vari Freud non abbiano descritto il mondo a partire dai loro pregiudizi, dalle loro ossessioni, dal loro disperato pessimismo, e che la loro scienza altro non sia che il delirio di una intelligenza arida, fredda, disumana, incapace di cogliere la bellezza e del tutto priva di compassione per la sofferenza altrui?

Così Danah Zohar e Ian Marshall in «La coscienza intelligente» (titolo originale: «SQ, Spiritual Intelligence. The Ultimate Intelligence», 2000; traduzione italiana di Valeria Galassi, Sperling & Kupfer, Milano, 2001, pp. 27-30):

«In Occidente, la cultura tradizionale e tutti i significati e i valori da essa preservati cominciarono a disgregarsi in seguito alla rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo e alla relativa ascesa dell’individualismo e del razionalismo. Il pensiero di Isaac Newton e di suoi colleghi diede impulso non solo alla tecnologia, che poi portò alla Rivoluzione Industriale, ma anche a una più profonda erosione delle convinzioni religiose e della visione filosofica che avevano fino ad allora caratterizzato la società. La nuova tecnologia apportò molti vantaggi ma spinse anche le popolazioni ad abbandonare le campagne per le città, smembrò comunità e famiglie, soppiantò tradizioni e artigianato e rese quasi impossibile una vita basata su usi e costumi. I valori sociali vennero sradicati dalla terra in cui si erano formati, così come la rivoluzione che ne seguì sradicò l’animo umano.

I princìpi fondamentali della filosofia newtoniana possono essere riassunti con le parole “atomismo”, “determinismo” e “oggettività”. Pur apparendo astratti e remoti, i concetti insiti in questi termini hanno toccato fino in fondo il nostro essere.

L’atomismo è l’idea che il mondo consista, in ultima analisi, di frammenti: particelle isolate nello spazio e nel tempo. Gli atomi sono compatti, impenetrabili: non potendo entrare l’uno nell’altro, interagiscono mediante azione e reazione. Si urtano o si evitano. John Locke, fondatore nel diciottesimo secolo della democrazia liberale, usò gli atomi come modelli per gli individui, considerandoli le unità di base della società. La società come un tutto unico, affermava, era un’illusione:; i diritti e le esigenze degli individui erano la priorità. L’atomismo è altresì il fondamento della visione psicologica adottata da Sigmund Freud, nella sua “Teoria delle relazioni fra gli oggetti”.

Secondo questa teoria, ciascuno di noi è isolato all’interno degli impenetrabili confini dell’ego. Voi siete un oggetto per me e io sono un oggetto per voi. Non potremo mai conoscerci a vicenda in nessun modo fondamentale. L’amore e l’intimità sono impossibili. “Il comandamento di amare il prossimo come se stessi”, disse Freud, “è il più impossibile che sia mai stato scritto”. L’intero mondo dei valori, egli riteneva, era una mera proiezione del Super Io e consisteva nelle aspettative di genitori e società. Simili valori sovraccaricavano l’Io di un impossibile fardello e lo rendevano malato, o “nevrotico”, come diceva Freud. Un uomo veramente moderno, secondo lui si sarebbe liberato da aspettative tanto irragionevoli e avrebbe seguito principi del tipo: ognuno badi a se stesso, la sopravvivenza del più forte, e via dicendo.

Il determinismo newtoniano insegnava che il mondo fisico era governato da leggi ferree: le tre leggi del movimento e della gravità. Tutto, nel mondo fisico, è prevedibile e quindi in ultima analisi controllabile. A uguali condizioni seguirà sempre B. Non possono esserci sorprese. Freud inserì anche il determinismo nella sua “psicologia scientifica”, affermando che L’Io indifeso è manovrato dal basso dagli impulsi delle oscure forze dell’istinto e dell’aggressività situate nell’Es, mentre dall’alto riceve le pressioni delle impossibili aspettative del Super Io. I nostri comportamenti, nel corso di tutta la vita, sono totalmente determinati da queste forze in conflitto e dall’esperienza vissuta nei primi cinque ani di vita. Siamo vittime delle nostre esperienze,  come miserabili comparse di un copione scritto da altri. La sociologia e il moderno sistema giuridico hanno rafforzato questa sensazione.

Benché la maggior parte della popolazione sappia ben poco del determinismo newtoniano, dell’Es e del Super Io di Freud, l’idea che siamo vittime isolate e passive di forze più grandi di noi, che sia impossibile cambiare la nostra vita, figuriamoci poi il mondo, è endemica. Siamo preoccupati, ma non sappiamo come assumerci le responsabilità. Un ragazzo di circa vent’anni mi ha detto: “Mi sentivo confuso di fronte a questo mondo frammentario, e siccome ero incapace di ricavarne un senso o di farci qualcosa, sono scivolato nell’apatia e nella depressione”.

L’oggettività newtoniana, o “oggettivismo”, come io preferisco chiamarlo, ha rafforzato questo senso di isolamento e di impotenza. Nel fondare il suo nuovo metodo scientifico, Newton tracciò una profonda spaccatura tra l’osservatore(lo scienziato) e ciò che egli osserva. Il mondo è diviso tra soggetti e oggetti: il soggetto è “qui dentro”, il mondo ”là fuori”. Lo scienziato newtoniano è un osservatore distaccato che guarda semplicemente il mondo, lo soppesa, lo misura e  conduce esperimenti su di esso. Quello che fa è manipolare e controllare la natura.

L’uomo medio moderno vede se stesso semplicemente nel mondo, non come pare del mondo. In questo contesto “il mondo” include gli altri, comprese le eventuali persone intime, nonché le istituzioni, la società, gli oggetti, la natura e l’ambiente. La spaccatura di Newton tra osservatore/osservato ci ha lasciato la sensazione di essere semplicemente qui per vedercela meglio che possiamo. Anche in questo caso non sappiamo assumerci le responsabilità e abbiamo solo una vaga idea di chi o di che cosa potremmo essere responsabili. Non c’è senso di appartenenza verso i nostri rapporti, né sappiamo come riappropriarci della nostra possibile efficienza.

Infine, il cosmo ritratto dalla scienza newtoniana è freddo, morto e meccanico. Non c’è posto, nella fisica di Newton, per la mente o la coscienza, né per nessun aspetto della lotta umana. Paradossalmente le scienze biologiche e sociali sviluppatesi nel diciannovesimo secolo si sono molto ispirate a questo schema, inserendo gli esseri umani, mente e corpo, nello stesso paradigma meccanico. Siamo macchine mentali o macchine genetiche, il corpo è una collezione di parti, il comportamento è condizionato o prevedibile l’anima un’illusione del linguaggio religioso arcaico il pensiero una mera attività delle cellule cerebrali. Come è possibile trovare il significato dell’esperienza umana in un quadro del genere?»

 

Il soggettivismo estremo, che nasce dallo scetticismo e conduce al senso di isolamento, e l’oggettivismo estremo, che nasce da una ipervalutazione della scienza meccanicista, materialista e riduzionista, che conduce al senso di impotenza e di sconforto, sono, dunque, manifestazioni di una stessa incapacità di porsi in maniera serena, accogliente, armoniosa, davanti alla bellezza del mondo; sono il portato di una maniera arrogante, utilitarista e aggressiva di rapportarsi con gli altri enti, e, in ultima analisi, anche di rapportarsi con se stessi.

Lungi dal poter guidare il cammino dell’uomo moderno, la cultura ereditata dalla visione del mondo atomista e oggettivista è il frutto di una distorsione, di uno squilibrio, di una vera e propria malattia dell’anima: malattia che colora a fosche tinte le lenti con le quali guardiamo il mondo, senza renderci conto che quelle fosche tinte non appartengono alla realtà.

I ciechi non possono condurre altri ciechi, senza che tutti cadano, prima o poi, nel fossato; solo dei vedenti possono condurre i ciechi: ma, perché ciò avvenga, bisogna che i ciechi riconoscano di non essere in grado di vedere e bisogna che si affidino alla guida di coloro che vedono, posto che ve ne siano e posto che siano disposti a sobbarcarsi un tale onere. E coloro che vedono, son divenuti tali perché sanno vedere il Tutto e non solo le singole parti: la loro coscienza, infatti, si è risvegliata…

lundi, 30 janvier 2012

Inquisition et autocensure médiatique

Inquisition et autocensure médiatique

Ce lundi revient au Sénat la boîte de Pandore des crimes non-niables

Michel Lhomme
Ex: http://www.metamag.fr/

burning-17.jpgChesterton disait que le sens commun ne consistait pas à répéter ce que tout le monde piaille, de ci de là, sans ton ni accent, dans l’ignorance béate de ce qui nous entoure. Mais qu’il consistait à retrouver ce que tous savent (ou ce que tous, nous savons entre nous), mais que personne ne se risque à déclarer, la plupart du temps, par autocensure individuelle et auto-répression personnelle.

Le problème du manque de liberté d’expression, dans la société moderne, ne se trouve pas dans la censure qui, pratiquement, n’existe plus; on peut blasphémer sans scrupules sur la Sainte Famille ! Le problème réside dans une mise sous le boisseau volontaire, une intériorisation de l’inquisition médiatique. Or, dans ce tribunal, ce dont on ne parle pas, n’existe tout simplement pas.

Le plus grand succès de l’inquisition médiatique, de la "nouvelle inquisition", demeure l’intériorisation de Torquemada chez tous les journalistes. Il y a bien, officiellement, la liberté d’expression, mais personne n’en use vraiment, ou si peu et, disons-le brutalement, par autocastration.

La liberté d'expression soumise à une loi anticonstitutionnelle

Cependant, en France, il nous faut rappeler une situation d’exception. Depuis la loi Gayssot, l’expression, comme telle, est verrouillée. Cette loi considère comme un délit la négation de la Shoah ou, plus exactement, qualifie de délit toute contestation des crimes définis par le tribunal international de Nuremberg. La loi Gayssot a, ainsi, créé abusivement une « vérité » obligatoire en matière de recherches historiques. Une loi anti constitutionnelle est légale .

Mais, les politiques français sont pris à leur propre piège. En dénonçant l’inopportunité de la loi sur la négation du génocide arménien, Dominique de Villepin a qualifié d’« erreur » le fait de légiférer sur la mémoire. Pourtant, alors qu’il est en campagne électorale, il s’est bien gardé, hypocritement, de dénoncer la loi Gayssot proprement dite. Pire, comptant sans doute sur quelques voix de la communauté juive pour augmenter un score qui, de toutes façons, ne sera guère brillant, il a tenu à défendre le principe même de la loi, en soulignant qu’elle avait cherché, selon lui, à « agir sur le terrain de l’antisémitisme et du racisme à un moment où il y avait le risque d’une montée de l’antisémitisme et du racisme en France ».

On a les fantasmes sur le Front National que l’on peut. Mais Jack Lang, en service commandé, a immédiatement emboîté le pas, pour défendre la loi Gayssot. Seul, Robert Badinter a reconnu que ce texte n’était pas conforme à la Constitution puisqu’il entravait, dit-il, la liberté d’expression. Nonobstant, la loi Gayssot restera en vigueur. On préférera sans doute parler, à l’Assemblée, du mariage homosexuel ou de la libéralisation du cannabis.

Quant on commence à censurer, on ne peut plus s’arrêter

En ce qui concerne la question polémique du génocide arménien, on aurait presque envie de dire qu’« il ne fallait pas commencer » ! Sinon, il faudrait, en effet, nous expliquer pourquoi, on ne pourrait pas nier le génocide nazi, sous peine de sanctions, mais on pourrait occulter le génocide arménien. La France s’est donc retrouvée prise au piège des lois mémorielles. Une fois validé, le terme de "génocide", pour les massacres de 1915,  ce qui a été le cas en France depuis la loi du 29 janvier 2001, la suite était logique et même inéluctable. La "boîte de Pandore" des crimes "non-niables" a été ouverte et la Turquie a eu beau jeu de répliquer en dénonçant les tortures et les exécutions françaises sommaires en Algérie.


Les arméniens en France : un enjeu politique

Quant on commence à censurer, on ne peut plus s’arrêter. Erdogan a accusé la France d’«avoir exterminé 15 % de la population algérienne« à partir de 1945 » et, il a même ajouté que « les Algériens ont été brûlés objectivement dans les fours ». La manœuvre est habile et facile à entendre. Mais ne voudrait-elle pas dire aussi qu’à un mensonge grossier, on opposerait un autre mensonge plus subtil ? Israël n’a, curieusement, pas réagi et a, presque, laissé faire ce sous-entendu embarrassant. Quant à la France, elle a été renvoyée à la défensive, mais s’est refusé de contre-attaquer.

Pourtant, en Turquie, ce ne sont pas les motifs d’attaque qui manquent ! La France aurait très bien pu dénoncer, par exemple, l’interpellation récente de nombreux journalistes kurdes. En effet, dans le cadre d’une enquête sur des liens présumés entre militants kurdes et éléments séparatistes armés, la Turquie a arrêté au moins 38 personnes, pour la plupart des journalistes.

La France plus silencieuse sur les Kurdes que sur les Syriens

Quelques 70 journalistes sont déjà emprisonnés en Turquie. Mais les autorités assurent qu’ils ne sont en détention que pour des délits ou des crimes sans rapport avec leur profession ! Vingt-cinq autres personnes, encore et surtout des journalistes, ont été arrêtées récemment à Istanbul. Plus de dix journalistes de l’agence pro-kurde, Dide, ont aussi été interpellés. Une avocate représentant Dide a dit qu’il ne restait, au bureau stambouliote de l’agence, que des policiers occupés à copier des documents et des disques durs d’ordinateurs. Elle a dit ne pas connaître le nombre exact de journalistes en état d’arrestation. Dans le cadre de la même enquête, lancée il y a deux ans, des centaines de personnes sont en procès pour leurs liens avec le Parti des Travailleurs du Kurdistan.

La Turquie a toujours soutenu que les chiffres des morts arméniennes ont été multipliés par trois et souligné –ce qui est vrai– que ces massacres sont survenus dans un contexte de guerre mondiale, où la Turquie se défendait contre un ennemi de l’intérieur. La reconnaissance du génocide arménien, défendu en particulier par le clan Devedjian qui avait joué un rôle non négligeable dans l’ascension politique, à ses débuts, de Nicolas Sarkozy aujourd’hui aux abois, n’a pas que froissé les Turcs, elle a sérieusement agacé les Juifs.

Le fait n’est pas sans intérêt  puisque, pendant longtemps, il était entendu que le seul génocide officiellement reconnu, officiellement susceptible de sanctions vis-à-vis de ses négateurs, était le génocide juif. En fait, la loi Gayssot en France avait voulu verrouillé la mémoire, en réservant toutes ses foudres à la négation de l’Holocauste. Aujourd’hui, une commission parlementaire israélienne serait à la veille de mettre le massacre d’un million et demi d’Arméniens sur un pied d’égalité comparable.

La réaction n’a pas tardé : dés le lundi 26 décembre, le Ministre des Affaires étrangères israélien mettait en garde ses parlementaires, en soulignant le différent franco-turc, face à une initiative qui aurait pourtant, cette fois, à la Knesset des chances d’aboutir, après un premier raté en 2007.

Le génocide vendéen aurait-il sa conférence de Wannsee?

La Turquie n’ignorait pas, soit dit en passant, ce calendrier parlementaire israélien. Et la surenchère turque contre la France n’était, sans doute, qu’une bonne occasion de gêner le processus israélien qui, d’ailleurs, gêne les deux pays. Le Premier ministre turc Erdogan ne peut pas sous-estimer le poids des nationalistes laïcs qui tiennent l’armée à laquelle il lui faut, sans cesse, apporter des gages. Notons, au passage, que les Turcs nationalistes ont répondu à l’aplomb français par des attaques informatiques ciblées. C’est une belle leçon d’un nationalisme vivant et branché. Il est cybernétique, cyberguerrier.


Génocide vendéen

En France, lors du débat sur la loi, personne n’a vraiment relevé la proposition d’amendement de Dominique Souchet. Le député de la Vendée a demandé, en toute logique et sans succès, que le génocide vendéen soit inscrit dans la loi votée sur le génocide arménien. Cela n'empêche pas la vérité sur ce drame de faire son chemin.

En fin s'année, Reynald Secher,  le grand spécialiste de la Vendée, hier censuré et licencié de l’Education nationale, a publié un livre incontournable, "Du génocide au mémoricide". Sans doute un événement historique. Il y montre le caractère légal, systématique et organisé du génocide vendéen, dénoncé à l’aide d’archives du Comité de Salut Public et de la Convention jusqu’alors inexploitées et découvertes, par hasard.

A cet égard, la volonté française de reconnaître et de protéger la mémoire du génocide arménien est à la fois hypocrite et aberrante. Il faut, en effet, d’abord nettoyer devant sa porte : la Vendée, la guérilla napoléonienne contre l’Espagne, la Guerre d’Algérie, le Rwanda (responsabilité partielle de la France), sans oublier l'esclavage. Au lieu de se gargariser de lois mémorielles, dont le seul but, inavoué, est, en fait, de limiter la liberté d’expression sur la question juive. L’affirmation du génocide vendéen est, aujourd’hui, non punie par la loi, en en plus, officiellement rejetée, ignorée ou ridiculisée. 

A New Call of the Wild: The American Third Position Party

A New Call of the Wild: The American Third Position Party

Tom Sunic

 

Merlin Miller, A3P candidate for President of the United States

The following is an English translation of an article published in the French magazine RIVAROL (published by  Jérôme Bourbon) on the A3P and it’s presidential candidates.

In the hustle and bustle of the various right wing currents inAmericait is fascinating to observe the recent birth of the American Third Position Party (A3P), a new political party dedicated to the preservation of European cultural, racial and ethnic heritage. The A3P has recently launched a political and cultural program that could make lots of waves at the upcoming presidential elections in America. The silent majority of American citizens is fed up; it is tired of the two-party system of East Coast ‘banksters’ and West Coast culture destroyers, both ruining the country with their destructive ideology of multiculturalism and causing dangerous mutual racial mistrust amidst the American body politic. Everybody wants something new.

The A3P offers a patriotic alternative to the two parties which, similar to subprime shams, have also mortgaged the future of America. Over the last forty years, American politics has been shaped by the plutocratic system and by the two identical political machines, under the guise of the Republican Party and the Democrat party respectively. It is always the Same and its Double poorly mimicked — if we were to   borrow some words from the French philosopher of postmodernity, Jean Baudrillard. Both parties seem to be united in the ruthless dogma of the “third excluded”, as well as in the defamation of those who reject the media swamp of “political correctness.”


The A3P has chosen for its presidential candidate, Mr. Merlin Miller, a graduate of West Point, a U.S. Army veteran and an accomplished filmmaker. His vice presidential candidate is Dr. Virginia Deane Abernethy, a renowned anthropologist, and a professor emeritus at Vanderbilt University. The A3P stands resolutely for the Republic: it is the only political party that represents Americans of European descent and that is strongly opposed to any notion of the American- Empire. On the Board of A3P directors one comes across some heavyweights, such as Mr. Don Wassall, editor in chief of The Nationalist Times, Mr. William Johnson, a well knownLos Angeles lawyer, Professor Kevin MacDonald, a renown American sociobiologist, Mr. James Kelso, an activist well known in nationalist circles in the USA and Europe, and Dr. Adrian Krieg, a writer and scientist. No other party in the American political landscape can boast such an impressive number of scholars of the highest order.

The A3P rejects  the current discourse of the American political class whose double talk resembles the Soviet-inspired locutions, such as  “ethnic awareness training,” “politically correct”, “hate speech”, “positive discrimination “,” diversity, ” etc. This boring palaver of the Establishment can be observed daily on all wavelengths when one listens to its “newspeak”, which, during the last half a century, has transformed the institutional and educational process in Americainto high commissions of political correctness, and whose aim is the criminalization of the legacy of the White man. Americans are being duped and deceived by the power and by the media in the same way of the old Sovietized and communized masses in the former Eastern Europe. At least the old communist nomenklatura knew it lived the historical lie. By contrast, the current American elites seriously think that they live the historical truth, which needs now to be exported by force to all corners of the world.

America today resembles theThird World, with 30 percent of its citizens being of non-European origin. White Americans are in the process of becoming a suspicious minority, ridiculed and increasingly discriminated against by the political-media apparatus. Without some firm political action, as put forward by the A3P, White Americans will soon become a vanishing species, isolated in their tiny ‘camps of the saints,’ which in turn are also bound to perish in the endless process of White Man’s  self-flagellation and self-hatred.

The A3P positions itself against the current U.S.policy, which through a fancy communist -inspired euphemism “affirmative action,” excludes bright white intellectuals, students and professionals. As a new political party, the A3P is well aware that it speaks on behalf of the American heartland and the vast majority of white American citizens.

Through the manipulation of the masses and by means of media decerebration the “Republocrats” have managed to keep themselves forever in power. They have managed to “divide and conquer” the ranks and files of the traditionalist Right,  while spreading in the media and motion pictures the image of some weird, phantasmagorical White racialists and by ceaselessly projecting a right-wing caricature of  toothless mountain hicks in the company of violent, tattooed, swastika-carrying skinheads. Over the past fifty years this false media- inspired imagery of ridicule and defamation of all patriotic parties has successfully suppressed the awakening of national, racial and patriotic sentiments, particularly among young and white Americans. Hence, the only “Right” acceptable today in the mainstream media of America (with a free passage to the glitz, glamour and glitter of inside-the-beltway DC) is embodied by the so-called neoconservatives, whose founding myths revolve around the profane notion of the Sacred–called Israel.

The current presidential system, compared to all previous regimes, has ruined the ideals and institutions of the founding fathers of America. If such policies continue Americans of European descent are slated to become a minority in their own country — within a few decades.

The spirit of the people depends on those who compose it. In the same vein a state is the product of the people who compose it. If the European population inAmericais to be replaced by a non-European population, the character of the country will change. The A3P believes that the times have come for a political party that must vigorously defend the interests of white European Americans. Every nation has the right to maintain and safeguard the identity of its forefathers.  The advantage of the A3P is the right choice of the right presidential candidates who are morally, ethically and intellectually above the candidates chosen by the Democrats and the Republicans.

The A3P proposes a moratorium on immigration and the immediate expulsion of illegal immigrants. Of course, similar plans were once promulgated by President Roosevelt during the Great Depression (1930) and by President Eisenhower in the 1950s — but they were short-lived. They failed — due to the pressure from special interest groups and especially as the result of the propaganda which in turn brought about the tsunami of Freudo-Marxian egalitarian scholasticism. In addition, the A3P emphasizes “fair trade” as opposed to vague notion of “free trade”; yes to private enterprise, but always serving the common good. The A3P also wishes to promote good environmental policies and be a faithful custodian to US energy resources, while always promoting the “America First” in foreign policy, which means, of course, the cessation of military interventions and economic aid to foreign countries.

Today’s America has become a highly balkanized system that functions more and more like the old Soviet system in which primeval, egotistic and narcissist forms of ‘survivalism ‘ of each ethnic and racial group will likely trigger latent interracial wars. The A3P is well aware that stormy weather is lurking on the horizon and that it therefore needs to distinguish between the true enemy and the true friend. Where there is a will there is always a way!

Le rêve d’une Libye “libérée” s’évanouit comme neige au soleil...

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Billy SIX:

Le rêve d’une Libye “libérée” s’évanouit comme neige au soleil...

Des milices s’affrontent et menacent la paix précaire et le pouvoir du gouvernement de transition

Le Général Youssef Mangouche ne doit certainement pas être envié, vu le boulot qu’il doit prester. Ce chef d’état-major, fraîchement promu, de la nouvelle armée libyenne a pour tâche de désarmer les milices qui sévissent dans le pays. Cette mission est désespérée comme le prouvent les féroces combats qui ont eu lieu ce mois-ci à proximité de la capitale. Depuis des mois, ces troupes irrégulières mais puissamment armées s’affrontent pour obtenir pouvoir et influence. La seule chose qui unit encore les révolutionnaires vainqueurs, c’est leur haine inassouvie contre Mouammar el-Kadhafi.

Il n’est guère étonnant, dès lors, que les nouveaux dirigeants s’efforcent en permanence de maintenir en vie l’image de cet ennemi pourtant terrassé. Toutes les explosions de violence, que l’on ne parvient pas à expliquer de manière satisfaisante, sont attribuées au “Tabhour Hams”, que l’on définit comme une “cinquième colonne” composée de nostalgiques du régime de Kadhafi. Plusieurs anciens dignitaires du gouvernement seraient ainsi empêchés de participer aux élections qui devront se tenir cet été. La banque centrale du gouvernement de transition, elle aussi, poursuit la lutte contre l’ancien dictateur disparu: progressivement, tous les billets de banque à l’effigie de Kadhafi devront être mis hors circulation.

Tout ce qui ressemble à une poursuite logique de la révolution a sa “face sombre” car la figure de Kadhafi unit amis et ennemis. L’alliance des rebelles d’hier est bel et bien en train de se fissurer. Les armes des arsenaux pillés sont depuis longtemps réparties sur l’ensemble du territoire. Le 3 janvier 2012 des milices antagonistes se sont mutuellement canardées dans une rue commerçante de la capitale. Six combattants ont été tués. Le président du gouvernement de transition, l’ancien ministre de la justice Moustafa Abdoul Djalil (59 ans), a prononcé de sombres paroles: “Ou bien nous nous montrons sévères à l’endroit de tout dérapage et nous amenons ainsi les Libyens au beau milieu d’une confrontation militaire ou nous nous séparons et cela conduira à la guerre civile”. Au début de l’insurrection, on disait encore, avec jubilation, à Benghazi: “Nous sommes un seul pays”. On laissait l’Occident penser que les conflits qui avaient opposé jadis les 140 clans familiaux que compte le pays étaient des “reliques du passé”. L’engagement gratis et pro deo de petites gens avait généré une ambiance extrêmement positive. On se donnait l’illusion qu’arrivaient enfin dans les sables de Libye la tolérance entre factions religieuses et l’amitié pour l’Occident. L’avènement de la liberté était dans l’air. Entretemps, la magnifique promenade le long de la Méditerranée à Benghazi, citadelle du mouvement protestataire, est désertée. La nuit, on n’y voit plus que des drogués et des hommes armés. La masse des gens s’affaire à la gestion du quotidien, à chercher une place dans la nouvelle Libye.

Quoi qu’il en soit: tout l’Est du pays est effectivement demeuré à l’abri des violences. Surtout parce que la structure de la société y est plus mûre, parce que les tribus claniques de tempérament conservateur y ont imposé un consensus, avec l’aide des dignitaires musulmans. C’est surtout la majorité des citoyens dans l’Ouest de la Libye qui a beaucoup à perdre: cette région occidentale du pays avait bénéficié d’aides sous Kadhafi, grâce aux milliards du pétrole. L’élimination du régime du colonel, par l’intermédiaire de l’engagement de l’OTAN, a laissé un grand vide, rapidement comblé par des rebelles venus d’autres régions du pays. Dans ces bandes, on trouve beaucoup de têtes brûlées totalement indisciplinées et de toxicomanes patentés. Les pères de familles locaux, qui ont combattu dans les rangs rebelles, préfèrent généralement sécuriser leur région natale.

Ce que l’on remarquera surtout dans les affrontements entre factions rivales, représentant l’“ordre nouveau”, c’est que de nouvelles milices arrivent sans cesse de la ville de Misrata, en bordure de la Méditerranée. Dans cette ancienne métropole de marchands d’esclaves se concentrent aujourd’hui industrie et argent. Plus de cent bandes armées viennent de Misrata, ce qui est frappant. Bon nombre de ces bandes sont financées par des parrains très riches, qui, déjà, sous Kadhafi avaient fait fortune. Sans doute faudra-t-il trouver un compromis politique. Que ce soit ouvertement ou clandestinement, personne ne paie ici en pure perte 3000 dollars américains pour une seule Kalachnikov.

Billy SIX.

(article paru dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°4/2012; http://www.jungefreiheit.de/ ).

Syrie, Egypte: les guerres civiles menacent

Syrie, Egypte: les guerres civiles menacent

Entretien avec Peter Scholl-Latour

Propos recueillis par Bernhard Tomaschitz

Q.: Lors des élections législatives égyptiennes, la parti radical islamiste “Nour” sera le deuxième parti du pays, immédiatement derrière les Frères Musulmans. En êtes-vous surpris?

PSLarabien.jpgPSL: Que les Frères Musulmans allaient constituer le premier parti d’Egypte, ça, nous le savions dès le départ. Ce qui m’a surpris, c’est la force des mouvements salafistes; elle s’explique partiellement par deux faits: d’abord, les petites gens, surtout dans les campagnes, adhèrent à une forme rigoriste de l’islam; ensuite, les salafistes reçoivent appui et financement de l’Arabie Saoudite.

Q.: Les Frères Musulmans ont annoncé qu’ils organiseront un référendum populaire sur le traité de paix avec Israël; cette consultation amènera une majorité d’Egyptiens à rejeter ce traité de paix. Quelles vont en être les conséquences?

PSL: Pour israël, cela créera une situation entièrement nouvelle, où l’état de guerre sera restauré en pratique. Cela signifie que l’armée israélienne devra à nouveau se renforcer le long de la frontière du Sinai: c’est une charge supplémentaire et considérable. Et surtout l’Egypte ira soutenir le Hamas dans la Bande de Gaza, ce qui créera une situation très lourde à gérer pour Israël, surtout si, en Syrie, le régime d’El-Assad tombe et que, au Nord aussi, la frontière cessera d’être plus ou moins sûre.

Q.: Récemment, vous étiez à Damas et vous y avez rencontré El-Assad: quelle est le situation que vous avez observée en Syrie?

PSL: Lorsque j’étais à Damas, tout était absolument calme. Je suis allé me promener et j’ai pu voir quelques manifestations organisées pour soutenir El-Assad. Dans une autre partie de la ville, se déroulait, paraît-il, une manifestation contre El-Assad, où il y aurait eu trois morts. Mais ce genre d’incident est à peine perceptible dans une ville qui compte six millions d’habitants: les magasins étaient ouverts et les Syriens sirotaient comme d’habitude leur café aux terrasses. L’impression que donnait la ville était absolument pacifique; surtout, on ne voyait pas d’uniformes, sans doute parce la police secrète patrouillait en civil.

Q.: La guerre civile menace-t-elle en Syrie, comme le pense la Ligue Arabe?

PSL: Pour partie, on peut dire que la guerre civile sévit déjà, mais elle se limite aux régions frontalières du Nord, le long de la frontière turque. A Homs, la frontière libanaise est toute proche et, au-delà de celle-ci, un mouvement radical islamiste est très actif et offre un appui aux rebelles syriens. La guerre civile, qui éclatera probablement à l’échelle du pays entier, est indubitablement téléguidée depuis l’étranger.

Q.: Et qui incite à la guerre civile en Syrie, et pour quels motifs?

PSL: Dans le fond, l’enjeu n’est pas tant la Syrie. Ce pays est certes géré par une dictature qui n’hésite jamais à faire usage de la violence, mais ni plus ni moins que d’autres dictatures de la région; cependant, il faut savoir que la Syrie a amorcé une certaine coopération avec l’Iran et l’objectif de la manoeuvre en cours est d’empêcher les Iraniens de bénéficier d’un lien territorial, via l’Irak et la Syrie, avec le Hizbollah libanais et de créer ainsi de facto une zone chiite entre l’Afghanistan et la Méditerranée.

(entretien paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°3/2012 – http://www.zurzeit.at ).

Krantenkoppen Januari 2012 (4)

Krantenkoppen
Januari 2012 (4)

RUSLAND: DE GEOPOLITIEKE INZET:
"Onze denkrichting had al (...) resoluut gebroken met de dominante visie in het westen, van de ultraconservatieven tot de ultraliberalen en trotskisten, die de Sovjetunie voorstelde als vraatzuchtige wolf die likkebaardend klaarstond om zich op die arme liberale en democratische schaapjes te storten. Deze lasterlijke houding ten opzichte van de USSR had te maken met het feit dat zij (...) de erfgename van het eeuwige Rusland was, dat van de tsaren die de Mongolen en de Tataren uit Europa hadden verdreven. Tegenwoordig moeten we vaststellen dat diezelfde krachten zich opnieuw verenigen om de hernieuwingspolitiek van president Poetin aan de kaak te stellen. Ze geven zich daarbij in het media-universum zonder enige gêne over aan (...) een 'metapolitieke oorlog' (...), teneinde een meerderheid van de burgers in alle landen van de wereld en bij alle mogelijke politieke strekkingen braafjes één of andere variant van het door de Amerikaanse desinformatie-industrie gepopulariseerde discours te doen aannemen. Het is de wil van deze cenakels om de wereld te laten zien en vatten volgens (...) de hegemoniale politiek van Washington. Met andere woorden, het op de hele planeet doen aanvaarden van een politiek die 1) erop gericht is om alle 'gevaarlijke' machten aan de kusten van Azië of Europa (...) uit te schakelen en 2) [Rusland] in te dammen en te verstikken":
http://euro-synergies.hautetfort.com/archive/2012/01/24/rusland-de-geopolitieke-inzet.html
 
 
EEN HETE WINTER IN SICILIË:
"In Sicilië kwamen sinds half januari 2012 meer dan een half miljoen manifestanten op straat. Havens en spoorwegen zijn versperd, autostrades geblokkeerd door misnoegde vrachtwagenchauffeurs, de rekken van nagenoeg elke supermarkt zijn leeg en tankstations hebben geen druppel benzine meer. In de hoop nog brandstof te kunnen bemachtigen slapen mensen op straat. Zo ver het oog reikt zit het verkeer... vast, zelfs wie niet mee staakt, geraakt vaak niet op het werk.
De brandstofprijzen klommen op korte tijd naar een historisch hoogtepunt door torenhoge taxaties, een stijging van 50 eurocent zorgde ervoor dat de Siciliaan momenteel zo’n 1,72 euro per liter betaalt, een onmogelijke uitgave voor het merendeel van de arme bevolking. Samen met de draconische maatregelen die Mario Monti, de kersverse eerste minister van Italië, doorvoert, was dat de druppel die de emmer deed overlopen voor een groot deel van de bevolking":
http://www.apache.be/2012/01/25/een-hete-winter-in-sicilie/?utm_source=De+Werktitel+Nieuwsbrief&utm_medium=email&utm_campaign=dbe5c27a07-RSS_EMAIL_CAMPAIGN
 
 
LA SARDAIGNE, POUBELLE DE L'OTAN ET DU COMPLEX MILITARO-INDUSTRIEL:
"En Sardaigne, un territoire d'une superficie de 35.000 hectares est loué aux installations militaires. Sur l'île, on trouve des polygones de tir (Perdasdefogu), des exercices de feu (capo Teulada), des polygones pour exercices aériens (capo Frasca), des aéroports militaires (Decimomannu) et des dépôts de carburant (dans le cœur de Cagliari, alimentés par une conduite qui traverse la ville, sans compter de nombreuses casernes et sièges de commandement militaire (Aéronautique, marine) Il s'agit d'infrastructures des forces armées italiennes et de l'Otan. (...) 
Que découvre-t-on ? La vallée de Quirra, l'une des zones les plus belles et encore sauvages de la Sardaigne, a été transformée en coffre-fort de poisons à ciel ouvert. Pendant des années on a mis le couvercle sur la marmite des 'poudres de guerre' qui a décimé nombre d'habitants et militaires qui vivaient et travaillaient dans le polygone et les villages des environs. Mais maintenant, grâce à un Procureur, Domenico Fiordalisi, déterminé à suivre les plaintes des nombreuses victimes, la vérité commence à percer. Les 'secrets' sont enfin en train de se dévoiler à la lumière de la justice. (...)
Tout a commencé en 1956, lorsque le gouvernement italien décida d'installer, au beau milieu d'une zone d'incomparable beauté, où poussent les vignes, le myrte, les orangers et qui se termine sur une plage encore épargnée par les constructions, un polygone de tir, centre d'expérimentation de missiles, théâtre de 'war games' grandeur nature et de destruction à ciel ouvert d'armes obsolètes des dernières guerres. Le polygone est aussi loué à des firmes d'armement privées, à l'Otan, et à des armées diverses du monde entier, notamment Israël. Pendant des années, les habitants affirment avoir vu de mystérieux camions, venant de «l'étranger», entrer dans le polygone, et y déverser de l'armement obsolète qu'on fait ensuite exploser à ciel ouvert. Pendant des années, des gardes forestiers, ont constaté les maladies des bergers et du bétail, les brebis qui sautaient sur des armes, encore en état de fonctionnement, éparpillées partout dans les champs et sur la plage. (...)
Toutes ces constatations devraient être replacées dans le cadre réflexif plus vaste, comme celui de la militarisation de la Méditerrané par l'Otan à des fins stratégiques, l'intérêt financier du complexe-militaro industriel, le déficit démocratique (secret d'état, mépris des populations locales etc.), le contrôle de la population civile et plus précisément des migrants, la corruption, le mépris de l'environnement, le manque de vision politique à long terme, la loi du profit, les préparatifs actuels des guerres futures et le maintien des guerres actuelles (Afghanistan)."
 
 
PETROLE, DOLLAR, OR, IRAN: QUI ISOLE QUI?
By trading in gold, New Delhi and Beijing enable Tehran to bypass the upcoming freeze on its central bank’s assets and the oil embargo which the European Union’s foreign ministers agreed to impose Monday, Jan. 23. The EU currently buys around 20% of Iran’s oil exports. The vast sums involved in these transactions are expected, furthermore, to boost the price of gold and depress the value of the dollar on world markets":
http://www.dedefensa.org/article-petrole_dollar_or_iran_qui_isole_qui__25_01_2012.html
 
 
GADAFFI'S GREEN FLAG RAISED IN LIBYAN TOWN AFTER BLOODY UPRISING:
"The collapse of NTC authority in [Bani Walid], one of the most die-hard bastions of pro-Gaddafi sentiment (...), could not come at a worse time. Growing discontent about the NTC has spread across the country - with the biggest demonstrati...on taking place in Benghazi, the birthplace of last year's uprising. Abdel Hafiz Ghoga, vice-president of the NTC, resigned on Monday after a series of violent protests in the eastern port city. (...)
The [NTC] is also under increasing pressure (...) over Gaddafi’s influential son Saif. (...) The case has become an unlikely rallying point for global human rights advocates. The NTC have been criticised for failing to tell him what he is charged with or give him access to a lawyer.
Saif, who lost his right thumb and forefinger during the civil war, is also denied visitors, television, radio and the internet at his compound in Zintan, 100 miles from Tripoli. Libyan leaders insist the country will hold a trial. But Donatella Rovera, an Amnesty International official, said the NTC had failed to put in place a trial system with independent judges and skilled prosecutors."
 
 
LIBYANS STORM NTC HEADQUARTERS:
"Two weeks of protests in the city of Benghazi (...) came to a head when protestors used grenades to blow the gates off the National Transitional Council (NTC) compound housing the interim government. (...) Tensions mounted when the NTC passed a series of laws determining how parliamentary elections would be conducted this June – making no mention of how seats in the new legislature would be divv...ied out between different cities and regions. Seeing that the allocation of legislative seats will ultimately shape the distribution of the country’s vast oil wealth, many demonstrators contend the NTC is not seeking to fulfill (...) democratic aspirations. (...)
However, calls for greater freedoms belie the actual situation on the ground in post-Gaddafi Libya. According to a November report by the UN Secretary General, at least 7,000 men, women and children were illegally detained by rebel militi...as in Libya. Many of them (...) have been subjected to torture and other systematic forms of mistreatment. Clashes between rival militia factions have also become an increasingly common sight in the streets of Tripoli. 
­Radio host and author Stephen Lendman believes the crowds are unhappy with the new, Western-backed government: 'A couple of 100 former rebel fighters stormed the Parliament in Benghazi. (...) The new election was drawn up and the people were promised they would have a say, but the people have had no say whatsoever – everything has been secretive. And the NTC government – let’s face it – is the puppet of Western governments serving Western interests, having absolutely no interest in ordinary Libyans.'
It's Iraq all over again, says international consultant Adrian Salbuchi, with the flag of democracy brought in to guard Western geopolitical interests and pump oil while the 'invaded' nation’s needs are ignored."
 
 
NATO VS. SYRIA:
"NATO is already clandestinely engaged in the Syrian conflict, with Turkey taking the lead as US proxy. Ankara’s foreign minister, Ahmet Davitoglu, has openly admitted that his country is prepared to invade as soon as there is agreement among the Western allies to do so. The intervention would be based on humanitarian principles, to defend the civilian population based on the 'responsibility to protect' doctrine that was invoked to justify Libya. Turkish sources suggest that intervention would start with creation of a buffer zone along the Turkish-Syrian border and then be expanded. (...)
Unmarked NATO warplanes are arriving at Turkish military bases close to Iskenderun near the Syrian border, delivering weapons from the late Muammar Gaddafi’s arsenals as well as volunteers from the Libyan Transitional National Council who are experienced in pitting local volunteers against trained soldiers, a skill they acquired confronting Gaddafi’s army. Iskenderum is also the seat of the Free Syrian Army, the armed wing of the Syrian National Council. French and British special forces trainers are on the ground, assisting the Syrian rebels while the CIA and US Spec Ops are providing communications equipment and intelligence to assist the rebel cause, enabling the fighters to avoid concentrations of Syrian soldiers."
 
 
PRESIDENCY OF ARAB LEAGUE SEEKS TO BURY OWN EXPERTS' REPORT:
"Since the outbreak of the events that have cast a dark shadow over Syria, 2 interpretations stand in opposition to each other: for the West and their Gulf allies, the regime crushed the popular revolution in blood, while for Syria and its BRICS allies, the country is assailed by armed groups coming from abroad.
To shed light on these events, the Arab League created an Observer Mission composed of persons appointed by each Member State (...). This diversity of experts constituted a guarantee against the possible manipulation of the outcome (...). 
The problem is that the report confirms the version of the Syrian government and demolished that of the West and the Gulf monarchies. In particular, it demonstrates that there were no lethal crackdowns on peaceful demonstrators and that all the commitments made by Damascus have been scrupulously honored. It also validates the important fact that the country is in the grips of armed groups, who are responsible for the death of hundreds of Syrian civilians and thousands among the military, as well as for hundreds of acts of terrorism and sabotage.
For this reason, Qatar now seeks to prevent the dissemination of the report by any means. Indeed, it is a real bomb that could explode in Qatar’s face and against its communication device. (...) The presidency of the League has decided not to circulate the report of the Observer Mission, nor to translate, and not even to post the original in Arabic on its website.
The Wahhabi emirate is up against a huge risk. If by chance the Western public were to gain access to the report, it is Qatar and its proxies that could be held accountable in terms of democratic deficiencies and involvement in the killing of people."
 
 
HOMS (SYRIA): EVIDENCE OF ASSAD SUPPORT IN DIVIDED CITY:
 
 
VLADIMIR POUTINE DENONCE LES IDENTITAIRES RUSSES:
"Vladimir Poutine, a dénoncé lundi 23 janvier la mouvance identitaire russe qui cherche à détruire la base multiethnique du pays, faisant un parallèle avec les nationalismes qui ont abouti en 1991 à l'implosion de l'URSS: 
'Je suis profondément convaincu que les tentatives de professer un 'nationalisme russe' dans un Etat multiethnique sont en contradiction avec notre histoire millénaire. (...) Des provocateurs de toutes sortes et nos adversaires cherchent à arracher à la Russie cette base (multiethnique) avançant des arguments entièrement faux comme le droit des Russes à l'autodétermination, la 'pureté de la race'."
 
 
AFSCHEID VAN DE VLAAMSE BEWEGING. WE HEBBEN NOOD AAN FRISSE LUCHT:
 ‎"De Vlaamse beweging zoals die vandaag de dag bestaat is een pijnlijke karikatuur van ‘het grote streven’ dat er 175 jaar geleden aan ten grondslag lag. Net als de rest van de samenleving ligt ze plat op de buik voor de geldmoloch. Dat maakt dat de staat die de Vlaamse beweging nastreeft er in wezen niet anders zal uitzien dan het huidige België. Wie niet aan het primaat van de economie wil raken, stemt ermee in dezelfde machthebbers, dezelfde machtsverhoudingen te handhaven.
De taak van een emancipatorische beweging, zoals de Vlaamse beweging er één was, is de ontvoogdingsstrijd. Dat betekent in de huidige context dat men zich niet alleen moet bevrijden van de Belgische omknelling, maar ook van een politieke klasse die elke voeling met het volk verloren heeft. Van een systeem waarin de noden van mens en gemeenschap volledig ondergeschikt worden aan het belang van a- en dus anti-sociale economische machten. Of is het misschien zo vanzelfsprekend dat de Antwerpse haven gedomineerd wordt door een rederij in Singapore; dat het rioleringsnetwerk in handen komt van een Amerikaans bedrijf; dat onze bedrijven worden uitverkocht aan anonieme kapitaalgroepen? Maar de Vlaamse Beweging zwijgt. De welvaart weet u wel. En de Vlaamse eenheid mag niet gebroken worden door levensbeschouwelijke twistpunten nietwaar?
Het enige wat deze Vlaamse beweging nog aan vijanden weet te ontwaren, zijn Walen en/of islamieten. Elke regio heeft natuurlijk recht op de vruchten van zijn arbeid en opgelegde solidariteit is zonder twijfel een kwalijke zaak. Maar of dat afdoende is om stelselmatig te spreken van ‘Waalse dieven’... Arm, arm Vlaanderen.
In het Vlaamse bewegingsverhaal staat het afscheid van Wallonië centraal. Maar wat er verder met deze regio aan de voordeur van Vlaanderen moet gebeuren, is een open vraag. Het lijkt wel alsof voor Vlaamsgezinden Wallonië niet bestaat. (...) Een onafhankelijk Wallonië is gezien de grote heterogeniteit van deze regio - Luxemburg vormt bijvoorbeeld een entiteit op zich - allicht een illusie. Maar wat moet er dan mee gebeuren? Willen de Vlaamsnationalisten mischien een Frankrijk dat zich uitstrekt tot aan de voordeur van Vlaams-Brabant?
Een Vlaamse beweging die zich blindstaart op de onafhankelijkheid zonder het staatsdenken, het machtsdenken of het primaat van de economie in vraag te durven stellen, voert een schijnvertoning op. Een Vlaamse overwinning op België, zal zo altijd een Pyrrusoverwinning zijn. (...)
We zijn het beu om in de Vlaamse beweging steeds tot dovemansoren te spreken. We zijn het beu om steeds weer die meewarige blik te krijgen, wanneer we het over Doel, het milieu of Bomspotting hebben. We zijn de ééndimensionaliteit beu waarbij élk probleem steevast herleid wordt tot een Vlaams-Waalse tegenstelling. (...) 
Misschien moeten we er (...) maar ‘ns over nadenken of ons streven zich niet beter laat samenvatten in een term als ‘regionalisme’. (...) Al te vaak moeten we vaststellen dat in onze discussies, met andersdenkenden maar ook intern, het woord nationalisme tot misverstanden aanleiding geeft. (...) Misschien moeten we toch eens even stilstaan bij de eigenlijke betekenis [van het begrip 'regionalisme'] (...) zoals deze in Van Dale staat:
1. Het cultiveren van de aparte tradities (...) van een bep. gewest, tegenover de nivellering die van de moderne staat uitgaat
2. Het streven naar verkrijging of behoud van gewestelijke autonomie
(...) De clubjes, groeperingen en partijen die voortkomen uit die Vlaamse beweging zouden mogen beseffen dat we nu op nieuwe kruispunten staan, nieuwe wegen moeten inslaan. Je kan niet meer louter ‘Vlaamse Beweging’ zijn. Bondgenootschappen zullen onherroepelijk veranderen, misschien dat vroegere ‘vijanden’ nu ‘compagnons de route’ zullen worden, vroegere medestanders zullen tegenstanders worden. Daar is niks mis mee, dat is goed zo: het is de dynamiek van de ideeën. Niks zo erg als verkeerd begrepen loyaliteit: het is niét omdat je met iemand een stuk weg hebt afgelegd, dat je ten eeuwigen dage aan elkaar hoeft gekluisterd te zijn. Alle oude ideologieën smeken om een herformulering, gaan op zoek naar nieuwe verbanden. Alleen de Vlaamse beweging blijft met gesloten ogen verder fietsen op een niet bestaand élan, zonder te zien dat het aantal renners in het peloton steeds verder slinkt."

http://www.vvb.org/doorbraak/152/194
 
RUSSIA IN COLOR, A CENTURY AGO:
"An extraordinary collection of color photographs taken between 1909 and 1912. (...) The high quality of the images, combined with the bright colors, make it difficult for viewers to believe that they are looking 100 years back in time - when these photographs were taken, neither the Russian Revolution nor World War I had yet begun":
http://www.boston.com/bigpicture/2010/08/russia_in_color_a_century_ago.html
 
 
PRO-REGERINGSMANIFESTATIE TREKT IN BOEDAPEST BIJNA 100.000 DEMONSTRANTEN:
"De Orban-manifestanten van vandaag kwamen uit alle hoeken van het land. Er waren zelfs bussen ingelegd vanuit de buurlanden Slovakije en Roemenië, waar een omvangrijke Hongaarse minderheid leeft. De betogers droegen Hongaarse vlaggen en spandoeken met 'We houden van ons land, we houden van Viktor' en 'Handen af van Hongarije. We willen geen kolonie zijn'.":
http://www.demorgen.be/dm/nl/990/Buitenland/article/detail/1383236/2012/01/21/Pro-regeringsmanifestatie-trekt-in-Boedapest-bijna-100-000-demonstranten.dhtml
 
 
LE PEN ZIT SARKOZY OP DE HIELEN IN PEILING:
"Marine Le Pen (...), de leidster van de partij Front National profiteert van een golf van ongenoegen over de economie. (...) Le Pen zou 21% van de stemmen krijgen in de eerste ronde eind april, nog slechts 2 procentpunt achter Sarkozy. De socialistische leider François Hollande leidt de peiling met 27%":
http://www.rtl.nl/(/actueel/rtlnieuws/buitenland/)/components/actueel/rtlnieuws/2012/01_januari/20/buitenland/le-pen-zit-sarkozy-op-de-hielen-in-peiling.xml
 
 
 
CONTROL OF INTERNET SPEECH BY THE US GOVERNMENT:
Internet Controll

Céline au bout de la nuit - Entretien avec Dominique de Roux – 1966

Céline au bout de la nuit

Entretien avec Dominique de Roux – 1966

Ex: http://lepetitcelinien.blogspot.com/

 

Il y a cinq ans, mourait d’une rupture d’anévrisme, à 57 ans, « l’écrivain maudit » Louis-Ferdinand Céline. Le 1er juillet 1961, on le portait en terre. Au cimetière, douze personnes, parmi lesquelles : Roger Nimier, Claude Gallimard, Arletty, Gen Paul (le compagnon de la Butte), Lucette Almanzor (sa femme, qui l’avait protégé jusqu’au bout). Une poignée de fidèles, pour celui dont Henri Miller disait : « J’ai adoré les œuvres de Céline, et je lui dois beaucoup. Céline vit en moi. Il y vivra toujours. Voilà l’important. » Tandis que Jouhandeau proclamait : « En lui, je vénérais la Pauvreté et le prestige du Martyre. » Le prophète de la décadence occidentale exerce-t-il, par-delà la tombe, une influence sur les moins de trente ans ? L’un d’eux, Dominique de Roux, trente ans justement, vient de lui consacrer un témoignage véhément, stèle en forme de poème, sous le titre : La mort de L.-F. Céline (éditions Christian Bourgeois).
 
Il vivait quand je me suis intéressé à lui, mais je ne suis jamais allé le voir. A travers lui, je retrouve la passion et l’idée que je me fais de la Littérature, en y retranchant un anti-sémitisme que je ne puis justifier.
 
En 1963, Dominique de Roux lui consacrait le n°3 des Cahiers de l’Herne, qui groupait des inédits, des extraits de la correspondance de Céline, des essais, études, témoignages, photographies, et une bibliographie très complète des livres et articles du disparu, complété en 1965 par le n°5 des mêmes Cahiers de l’Herne, encore consacré à Céline.
 
Si des écrivains de trente ans vouent un culte au prophète maudit, il n’est donc pas complètement enfoui sous la terre ?
J’ai choisi Céline, parce que je considère qu’il est, avec Marcel Proust, le second pilier des prosateurs français, à une époque où les jeunes écrivains sont obsédés par la linguistique et la théorie. Céline a créé son propre langage : il voulait la beauté, un ordre et des assonances nouvelles.
Il hésite un instant.
On ne peut enseigner Céline. La perspective où il entraîne est d’ordre poétique. En vingt ans, la littérature s’est soustraite à la vie, l’Europe s’est engourdie, avec une société sans littérature, des gens de lettres qui s’avilissent. C’est son lyrisme qui permet à Céline d’assumer, dans son intégrité, la génération qui disparaît.
Dominique de Roux rejette une mèche en arrière.
Il refusait de jouer le jeu : dédaignait l’intendance des lettres, les préfaces, les petits fours chez la duchesse, les regards obliques, dès quarante ans, versl’Académie. C’était un homme de l’Ancien Testament : Jérémie, son carcan autour du cou, lançant l’anathème.
 
En 1932, Céline (ce Dr Destouches qui soignait gratuitement dans la banlieue parisienne) remet un manuscrit à Denoël : Voyage au bout de la nuit. Le monde est condamné à mort : Bardamu, le héros, doté d’une sensibilité aiguë, prend à sa charge une souffrance que nous sommes incapables de ressentir. Ses semblables s’acharnent sur lui. Il ne lui reste qu’à les fuir. Au rendez-vous de Samarcande, la souffrance l’attend. Elle rôde des champs de bataille à l’asile d’aliénés. La seule fuite n’est-elle pas celle qui permet d’échapper à la lucidité, celle qui bascule vers le rêve et la folie ?
Les Goncourt récusent le brûlot, en lui préférant un roman de Guy Mazeline. Leur refus rend le vaincu célèbre. Il reçoit le Renaudot, et le Voyage atteint 500 000 exemplaires, dans un tourbillon d’injures littéraires.
Les journalistes le harcelaient, dit Dominique de Roux, les salonnards le traquaient. Il fuit à Bruxelles, Varsovie, Prague, Cambridge ; en Suède, en Finlande, en Europe Centrale. Il fait le tour de la terre, sûr de l’Histoire fatale, bien avant ses contemporains.
Dominique de Roux cite une lettre de Céline : « N’avertissez personne de mon passage à Anvers ! Tout ce qui ressemble à un accueil spécial fige la vie tout autour de soi… Un livre est déjà de la mort, et souvent de la mort ratée. » Le 24 mai 1933, Céline écrit : « Toute la vie que nous menons est fausse et viciée, et abominablement contraire à nos instincts dès l’origine. »
 
Essayait-il d’anesthésier son angoisse par ces errances ? Il semble qu’il ait été hanté par la prémonition de la catastrophe.
Il était de ceux qui annoncent la fin du monde, et il la croyait, il la voyait prochaine. Pour faire entendre sa protestation, il écrit des pamphlets inouïs, il abandonne la vie pour la littérature.
 
Durant cette période d’entre les deux guerres, Jérémie-Céline annonce des calamités que ses contemporains effacent d’une pirouette et d’une pichenette :
« Nous allons vers la violence. Elle est tout près. Il faut parler de l’ensemble de ce que nous ferons quand nous serons bien fixés : dans quelque temps. » Dans une autre lettre, écrite aux Baléares, l’écrivain avoue son impuissance à s’opposer au cours des événements. La Seconde Guerre mondiale, si proche, les camps de concentration, la campagne de Russie, les bombardements, les nappes de phosphore, Hiroshima…
Il commence à souhaiter une apocalypse de destruction.
 
Jacques Deval le voit, une nuit, surgir dans son bungalow d’Hollywood et, nu, continuer d’écrire dans l’été californien. Il croise au large de Cuba, traînant le formidable manuscrit de Mort à crédit : 800 pages de mort et de négation, une puissance d’invective sans égale. Comment écrivait-il ?
A la main, d’une écriture angulaire, sur de grandes feuilles retenues par des pinces à linge. Comme Flaubert, comme tout grand écrivain, il composait des milliers depages, dont il retirait ensuite la quintessence.
 
Marie Canavaggia, sa secrétaire, raconte qu’il exigeait d’elle ce que Molière attendait de sa servante. Chargée de surveiller la frappe de la dactylo, elle devait « repérer les petites bêtes ». Fallait-il remplacer un « que je fis » par « que je fisse » ? « La faute est à maintenir, pour la cadence », répondait l’auteur. Et s’il décidait de changer un mot, il recomposait entièrement sa phrase, comme les phrases voisines.
Parfois, il revenait à la charge, des heures, une nuit, quelques jours après. Il téléphonait : « Relisez-moi cette phrase… », et opérait une nouvelle métamorphose. Un mot dans le même livre changeait d’orthographe, et aussi bien un mot du petit Larousse ou du Chautard qu’un mot de son invention.
- « mais, quelques pages plus haut, vous l’écrivez autrement ?
- Et alors ? Si on a plusieurs femmes, pourquoi coucherait-on toujours avec la même ? »
- Que ce soucie de créer fond et forme entraînerait de tortures !
Il revenait trente fois à l’œuvre, recopiant, corrigeant, angoissé, lisant sa copie à voix haute, pour dépister les retouches à effectuer.
 
Un an avant de mourir, il a confié à Jean Guénot, au magnétophone, que Proust était un grand écrivain, le dernier, le plus grand de notre génération : « Proust était maniaque, c’est à dire que, au fond, il était pas bien dans la vie… C’est l’histoire de tous les gens qui écrivent. Quand vous jouissez de la vie, pourquoi la transformeriez-vous, hein ? C’est ça qu’on se demande. Faut déjà être détraqué, hein ! Quand vous vous amusez à raconter des histoires, c’est que vous fuyez la vie, n’est-ce pas, que vous la transposez… »
 
En 1960, malade, abandonné dans une maison délabrée, sur la colline de Meudon, entouré de sa compagne et ses chiens, Céline fait penser à Léautaud. Toléré en France, après s’être réfugié à Sigmaringen puis au Danemark, il paie les positions qu’il a prises durant l’Occupation.
Il attribuait au poète le pouvoir de changer le monde. Avant la guerre, il était parti pour l’URSS en croyant à la Révolution d’Octobre, et il en revint désabusé. A Moscou, il avait rédigé 50 pages de son Mea Culpa. Quelque chose allait arriver. La destruction de l’Europe la rendrait inutilisable pour un plus grand destin.
Il avait annoncé, à Médan, en prononçant l’éloge de Zola : « Notre civilisation semble bien coincée dans une incurable psychose guerrière. Nous ne vivons plus que pour ce genre de redites destructrices. »
 
En dix jours, Céline, au comble de la rage, termine Mea Culpa.
Pour lui, dit mon interlocuteur, le marxiste est devenu un despote, le nazisme une inquisition. Rien n’est plus rien. La stratégie n’est plus la stratégie, l’amour l’amour, l’Amérique l’Amérique. L’Histoire elle-même n’est plus. La littérature n’a plus d’importance quand elle n’est que pure théorie. Les écrivains devraient tenter d’expliquer Hitler, Staline, Mao-Tsé-Toung, l’actualité-mère : ces ombres mortelles sur le dormeur occidental…
 
Je veux bien que ce visionnaire ait dépassé sa pensée, mais s’agit-il d’un délire verbal ? Son antisémitisme…
C’était un homme engagé, répond Dominique de Roux. Il reproduit assez parfaitement le déchirement de son époque, dont il représente à la fois la grandeur et l’égarement. Pour lui, le mot juif n’a pas le sens habituel. Il ne désigne pas un groupe ethnique ou religieux particulier. Le mot à ses yeux tient du magique. Il y loge toute sapeur. Le juif, pour lui, c’est le marchand de canons, les deux cents familles. Il n’aurait jamais toléré la moindre persécution raciale, puisqu’il ne pouvait supporter la douleur chez les autres.
 
Céline a-t-il joué les apprentis-sorciers, ou était-il conscient de la charge de dynamite qu’il déposait ?
Il avait le dessein de conjurer le mal présent et à venir. En prononçant le mot Juif, il croyait fixer toute une charge maléfique. Himmler traquera des innocents, tandis que Céline, hanté par ses visions, proclamait : « Nous sommes dans un monde de génération et de mort et il faut nous en débarrasser. »
 
Il souhaitait faire exploser la planète. Nul ne sait ce qu’il a pensé du soleil mortel d’Hiroshima. Dominique de Roux redresse la tête.
Il a vécu la fin des Temps Modernes, de l’ère « clausewitzienne », qui s’arrête en 1945, au moment où nous sommes entrés dans l’ère de l’atome et de la stratégie. Plus que ses hantises, ses personnages, l’humanité déchue dont il capte les cris, ont exercé une influence profonde.
 
Certains écrivains font vieillir d’un seul coup les livres qui les ont précédés. Après eux, il n’est plus possible d’écrire comme autrefois. Céline est de ceux-là. Ses clochards ont chassé les bourgeois préoccupés par leurs aventures sentimentales, dans les romans de l’entre-deux-guerres. Ils ont sonné le glas d’une esthétique périmée.
Il a surtout bouleversé le style, murmure Dominique de Roux, en introduisant les cadences du langage parlé dans l’écriture. L’ortographe phonétique, la multiplication des néologismes, l’emploi de l’argot, d’un vocabulaire technique, de locutions étrangères ramassées au cours de ses voyages. Un monde vivant, grouillant, qui a révolutionné le microcosme des salons littéraires, un gros pavé dans la mare, comme Joyce, comme Borgès…
 
Quels sont les écrivains influencés par Céline ?
Ceux qui explorent la fosse aux serpents, qui trouve « autant d’art dans la laideur que dans la beauté » : Queneau, Audiberti, Beckett, Boris Vian, Jean Genêt, et, sur un autre plan, Roger Nimier.
Il se met à rire.
Nous sommes dans une époque où les écrivains de trente ans sont des gens de lettres désuets. Une certaine maffia constitue à Paris un club d’admiration mutuelle, un cénacle privilégié. La plupart des regards des jeunes écrivains sont vides. « Le poncif d’avant-garde ennuie autant que le poncif académique », écrivait Aragon à Ezra Pound. Or, écrire, ce n’est ni faire carrière, ni prolonger ses humanités. Il faut avoir la force, ne servir que sa vision.
 
Et si Céline était mort avant d’avoir écrit ses pamphlets ?
Dominique de Roux a un geste éloquent.
Il n’aurait été question que de son génie. La guerre l’a pris de court, au moment même de son outrance. La Sorbonne l’aurait reconnu, il figurerait dans les anthologies…
 
Propos recueillis par Thérèse de SAINT PHALLE.
Le Spectacle du Monde, décembre 1966
 


A lire :

Dominique de Roux, La mort de L.-F. Céline, La Table Ronde, 2007.
Jean-Luc Barré, Dominique de Roux : Le provocateur (1935-1977), Fayard, 2005.
Dominique de Roux, Il faut partir : Correspondances inédites (1953-1977), Fayard, 2007.
Philippe Barthelet, Dominique de Roux, Coll. Qui suis-je, Pardès, 2007.

A voir :
Dominique de Roux (1935-1977)