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mardi, 10 novembre 2015

Evola e la critica dell’americanismo

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Evola e la critica dell’americanismo

Ex: http://www.centrostudilaruna.it

  evola-oltre-il-muro-del-tempo   Dalla casa editrice romana Pagine sono stati pubblicati recentemente (giugno 2015) gli atti di un convegno tenutosi nel 2014 nella capitale e dedicato al tema “Julius Evola oltre il muro del tempo. Ciò che è vivo a quarant’anni dalla morte”. Il volume, dal medesimo titolo, comprende tutte le relazioni presentate all’epoca, cioè quelle di de Turris, Veneziani, Malgieri, Fusaro e Scarabelli. Qui mi occuperò soltanto del testo di Fusaro, avente come oggetto “Evola e Heidegger critici dell’americanismo”, ed esclusivamente della parte riguardante Evola.

     L’impostazione metodologica di Fusaro è indubbiamente condivisibile: “in filosofia il solo modo di rendere onore a un autore consiste nel discuterne criticamente le tesi, a distanza di sicurezza dai due atteggiamenti – apparentemente opposti e, in verità, segretamente complementari – dell’elogio agiografico e della demonizzazione preventiva” (p. 27). Altrettanto condivisibile, anche se per nulla originale, è l’approccio di Fusaro all’esame evoliano dell’americanismo, in quanto prende giustamente le mosse dal celebre scritto del 1929, Americanismo e bolscevismo, uscito sulla rivista “Nuova Antologia”. Ulteriore aspetto da sottolineare è l’insistenza, corretta, sul ‘maggior pericolo’ rappresentato, agli occhi di Evola, dall’America rispetto all’Unione Sovietica. Ma con ciò si esauriscono, a parere di chi scrive, gli spunti positivi presenti nel testo di Fusaro.

     Questo perché, innanzitutto, va criticata l’impostazione generale dello scritto, dato che Fusaro, insistendo sempre e solo sul parallelismo americanismo/bolscevismo, finisce col perdere completamente di vista le analisi ben più ricche e articolate riservate da Evola alla ‘civiltà americana’. Detto altrimenti, dallo scritto di Fusaro vien fuori un Evola che praticamente dagli anni Venti sino alla sua morte avrebbe letto l’americanismo servendosi di un’unica chiave interpretativa, quella appunto della sua equipollenza con il bolscevismo, con l’ovvia conseguenza di dar vita a una lettura in fondo astorica e iperschematica, del tutto avulsa dai cambiamenti economici, politici, sociali, culturali, nel frattempo intervenuti. Fusaro infatti passa sistematicamente sotto silenzio, non si comprende se per scarsa conoscenza delle fonti o per superficialità analitica, tutti gli scritti in cui Evola non solo rivede, seppur parzialmente, il suo giudizio negativo sull’America, ma dimostra anche di seguire con attenzione i nuovi fenomeni che nello scorrere del tempo prendevano piede oltreoceano, dalla Beat Generation alle tesi di Burnham, dalle posizioni politiche di Barry Goldwater e George Wallace ai testi di Kuehnelt-Leddhin, e così via.

     Non solo, perché anche le critiche rivolte a Evola da Fusaro si rivelano, a mio parere, inconsistenti. Nel dettaglio: Fusaro accusa Evola di incoerenza per aver giustificato la scelta del MSI di votare a favore del Patto Atlantico, pur sottolineando, a ragione, che l’accettazione evoliana del Patto non dipendeva da “un mal celato filoatlantismo” (p. 45) ma si spiegava “unicamente in ragione antisovietica” (p. 45). L’incoerenza consisterebbe nel fatto che essendo, per esplicita ammissione dello stesso Evola, più pericoloso e insidioso l’americanismo, sarebbe in ogni caso contraddittorio schierarsi con quest’ultimo contro il bolscevismo. Qui a me pare che Fusaro non tenga minimamente conto del contesto ‘geopolitico’, pur accusando, al contempo, Evola di essere caduto in contraddizione proprio per aver trascurato il medesimo fattore. La posizione evoliana, infatti, se pure criticabile in astratto, assume forza e coerenza una volta inserita nel concreto contesto di quegli anni, quando la minaccia comunista era avvertita non solo come imminente ma soprattutto capace di condurre all’annientamento persino fisico dello schieramento ‘nazionale’. Basti il rimando ad un importante scritto evoliano apparso nel luglio del 1960 su “L’Italiano”, intitolato C’è un “democratico” con una spina dorsale?, in cui si chiedeva la messa al bando del partito comunista e si auspicava un diretto intervento delle “forze sane” del paese in difesa dello Stato minacciato dal comunismo.

     La seconda obiezione mi sembra ancora più infondata. Fusaro (p. 46) cita estesamente un passo evoliano tratto da un articolo del ’57, Difendersi dall’America, apparso su “Il Popolo italiano”[1], dove viene lucidamente adombrata la progressiva americanizzazione cui stava soggiacendo l’intero continente europeo, aggiungendo subito dopo che, alla luce di questa consapevolezza, suonerebbe decisamente contraddittorio l’appellarsi, da parte di Evola, a una possibile reazione ‘antiamericana’ avente l’Italia come centro propulsivo. A sostegno della sua tesi, Fusaro (p. 47) cita due passi evoliani, uno in cui viene detto che la nazione italiana “più di ogni altra è l’anti-Russia e l’anti-America”, l’altro in cui tale ruolo dell’Italia si spiegherebbe grazie alla sua eroica “tradizione mediterranea, ed in ispecie classica e romana”. Per la fonte di entrambe le citazioni, Fusaro rimanda alla pagina 30 della silloge Civiltà americana, ma il punto è che sarebbe fatica sprecata cercarvi tali citazioni e per la semplice ragione che non ci sono. Lo scritto da cui infatti sono tratte le due frasi di Evola è il già ricordato Americanismo e bolscevismo del 1929[2]. Mi sembra pertanto evidente che pensare nel 1929 ad una realistica contrapposizione nei confronti dell’America non avrebbe nulla di contraddittorio rispetto a quanto sostenuto nel 1957, e questo già solo per l’abissale differenza di contesto storico. Non concordo con Fusaro neanche quando afferma che Evola a tale necessaria reazione in senso antiamericano “rimarrà sempre legato” (p. 47), visto che l’idea di tradizione mediterranea verrà abbandonata dallo stesso Evola già nei primissimi anni Trenta, ragion per cui non si comprende davvero come potesse essere ancora considerata, a distanza di decenni, un credibile argine all’americanismo.

     Per chiudere: Fusaro afferma che l’antiamericanismo di Evola andrebbe epurato “dalle inaccettabili sfumature razziste” (p. 48). Però Fusaro dovrebbe sapere che l’indignazione morale avrà pure molti pregi ma di sicuro non quello di accrescere la comprensione di ciò che è oggetto di riprovazione. Pertanto, piuttosto che usare la solita ‘clava morale’ antirazzista, sarebbe stato molto più proficuo, a mio modo di vedere, chiedersi se l’avvento anche in Europa della società multirazziale di stampo statunitense abbia contribuito o meno, e in che eventuale misura, alla sempre più pervasiva americanizzazione del nostro continente.

* * *

ottobre 2015

[1] Fusaro cita dalla silloge evoliana, Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti 1930-1968, pubblicata, a cura di Alberto Lombardo per i tipi di Controcorrente nel 2010. Lo stesso articolo si può leggere nella raccolta completa dei contributi evoliani usciti su Il Popolo italiano, curata da Giovanni Sessa per la Pagine Editrice nel 2014.

[2] Saggio volutamente non inserito nella silloge Civiltà americana. Per la corretta individuazione delle due citazioni si veda J. Evola, “Americanismo e bolscevismo”, in Id., I saggi della Nuova Antologia, Edizioni di Ar, Padova 1982, p. 53, ora anche in Id., Il ciclo si chiude. Americanismo e bolscevismo 1929-1969, a cura di G. de Turris, Fondazione Evola, Roma 1991.

vendredi, 30 septembre 2011

Contra Yanquilandia

Contra Yanquilandia

TdE/NOVEDAD en ENR

Selección de textos y prólogo de Juan Antonio Llopart

1ª edición, Barcelona, 2011

21×15 cms., 160 págs.

Páginas interiores con fotografías.

Cubierta a todo color, con solapas y plastificada brillo

PVP: 15 euros


 

 

 

 

Orientaciones:

“Nacida de una ruptura con el pasado (europeo), Norteamérica no puede imaginar un futuro diferente a la línea indefinidamente prolongada de un ‘progreso’ utópico: carece del soporte necesario para tal ’imaginación’. Frente al devenir histórico, Norteamérica vive en un eterno presente, en una sucesión irreversible de momentos presentes que constituyen el cuadro de esa ‘búsqueda de la felicidad’ (pursitit of happiness) a todos garantizada por la Declaración de Independencia.

Su pensamiento implícito consiste en reducir a la unidimensionalidad la tridimensionalidad del tiempo; su objetivo social, en hacer coincidir al máximo de hombres en una misma dimensión de simultaneidad.

El inconsciente norteamericano, como tan a menudo se ha constatado,

se funda en una mística del espacio (la idea de que, más allá de la frontera, siempre hay un espacio a explotar), por oposición a la mística del tiempo. De ahí la importancia de la ‘conquista del espacio’, como sustituto a la ‘conquista del tiempo’ característica de toda cultura tradicional…”

[Alain de Benoist]

Índice

Prólogo [Juan A. Llopart]

América y la Nueva Izquierda [Alain de Benoist)

Civilización americana [Julius Evola]

Romper con la civilización occidental [Guillaume Faye]

“Europa” y “Occidente”: dos conceptos antagónicos [Claudio Finzi]

Qué es el antinorteamericanismo? [Roger Garaudy]

La influencia de América en Europa [Thomas Molnar]

El Amblimoron antifascista o la extrema-izquierda pro americana [Claudio Mutti]

Carta a John F. Kennedy [Juan Domingo Perón]

El enemigo americano [Robert Steuckers]

Dinámica histórica del liberalismo: del mercado total al Estado total [Tomislav Sunic]

La colonización sutil: “American Way of Life” y Dinámica Social [Marco Tarchi]

Pedidos:

enrpedidos@yahoo.es

Tlf: 682 65 33 56

Pagos por Paypal en ENR

jeudi, 04 février 2010

Dix clefs pour combattre l'Amérique

uncle_sam_riddell.jpgDix clefs pour combattre l’Amérique

par Jean de Lothier

1/La stratégie du retournement

Il est primordial d’utiliser les armes de l’ennemi afin de lutter contre lui. C’est à dire conserver son identité, sa façon d’être au monde, tout en utilisant le dynamisme du modèle US et sa technologie, sans l’idéologie qui la structure. Ainsi, en guise de modèle, le réseau Internet devient un instrument de guerre que l’on retourne contre ses concepteurs. Il est un gigantesque forum où se préparent au quotidien les opérations intellectuelles, culturelles et politico-militaires contre la Pax Americana.

2/L’appel au boycott

L’appel au boycott des produits « made in Usa » est une entreprise de décontamination à grande échelle. Il s’agit de se démarquer (dans tous les sens du terme), de se singulariser, de s’identifier et de se libérer de la macule servile de la serpillière étoilée. Cette mesure implique la désertion des mangeoires bétaillères Mc Do, le refus de la coca-colonisation, et de toutes les autres formes d’aliénation culturelle aux couleurs de l’Amérique. S’affranchir du goût américain, c’est déjà rentrer en dissidence !

3/L’esprit partisan

Il importe de prendre fait et cause pour les guérillas, les rébellions, les résistances contre l’ordre américain. Les émules de Unabomber, les indépendantistes du Texas et d’Alaska, les zapatistes du Chiapas, les héritiers de Tupac Amaru, les spectres des fedayins disparus et les fils du « Vent divin » (kamikaze) sont nos frères d’armes dans la lutte contre l’américanisation du monde. A chacun d’apporter l’étincelle qui fera s’embraser les volontés et allumer les feux de la bataille finale contre l’odieux Uncle Sam.

4/Le rire armé

L’ennemi paraît d’autant plus indestructible qu’il impressionne. Dès l’instant où se dévoilent sa faiblesse, son inconséquence et sa niaiserie, sa crédibilité se décompose. L’étalage de l’imbécillité comique des artisans de l’hyperpuissance états-unienne indique une faiblesse. La libidineuse affaire Lewinski, l’attentat du bretzel étrangleur, les gesticulations du gouvernator Conard le Barbant donnent la juste mesure d’un pays où le ridicule est roi, et où triomphent le toc et le vulgaire. Derrière les gesticulations simiesques de la force brute, se révèle le néant par lequel un rire dévastateur peut s’engouffrer.

5/La démythification de l’histoire US

« L’Amérique ! Ses grands espaces de liberté, son idéal de justice,… ». Foutaises que tout cela ! Il est vital de dire, d’écrire, de proclamer inlassablement que l’histoire états-unienne est une litanie d’usurpations et de crimes : du génocide originel à Wounded Knee ; de la guerre hispano-américaine, premier acte militaire contre l’Europe, au bombardement des populations civiles du Havre, de Dresde et de Belgrade ; de l’atomisation des villes japonaises aux bombardements à fragmentation et à uranium appauvri contre l’Irak. Les Etats-Unis ou l’histoire d’un prédateur insatiable.

6/L’anti-american way of life

L’Amérique incarne un mode de vie placé sous le signe de l’utilité marchande, de la rentabilité économique et de l’intérêt matériel. A cela, il convient d’opposer une façon d’être au monde qui affirme le sens de l’acte gratuit, l’intelligence du cœur, la force de l’âme. Aux Etats-Unis, il faut savoir se vendre pour exister. En Europe et partout ailleurs, les ressources de l’âme doivent se mobiliser afin de renverser l’idole matérialiste états-unien.

7/La voie eurasienne

Trop longtemps habitués à regarder vers l’Ouest, les Européens doivent désormais regarder à l’Est où pourrait se lever demain l’aurore d’une Europe renaissante. La Russie dispose d’un potentiel identitaire et énergétique non négligeable. Elle partage avec l’Europe des racines communes Cette voie euro-sibérienne doit impérativement s’articuler autour d’un axe Paris-Berlin-Moscou. La maison commune eurasienne participerait alors à la construction d’un monde multipolaire qui ne soit plus écrasé par la domination amerloque. Les fils de l’Imperator Karolus Magnus doivent unir leur force à celles des enfants du Czar Pierre le Grand pour partir à l’assaut de la forteresse états-unienne qui enténèbre le continent européen.

8/La désotanisation de l’Europe

Il y a à ce jour 114 000 militaires US en Europe. C’est 114 000 de trop ! Une mesure symbolique et stratégique prise par les citoyens européens (lancement d’une campagne d’information, mettant en exergue le scandale de la présence américaine sur la terre d’Europe) devrait aboutir, par voie de manifestation populaire, au démantèlement de la présence militaire américaine en Europe, établissant de fait une doctrine Monroe européenne (« L’Europe aux Européens ! ») mettant un terme à la permanente ingérence états-unienne dans les affaires continentales.

9/L’alliance euro-arabe

La phobie auto-entretenue et les idées courtes qui circulent à propos de l’Islam (tous les musulmans ne sont pas salafistes !) nous font perdre de vue que l’Europe et le monde arabo-musulman partagent des intérêts géopolitiques communs. L’espace méditerranéen offre la possibilité d’une alliance culturelle et stratégique euro-arabe face à l’impérialisme militaire et marchand des Etats-Unis. La Méditerranée doit redevenir la mer intérieure (Mare Nostrum) qu’elle était dans l’Antiquité, en se libérant prioritairement de la VIe flotte US qui souille ses eaux. Cela ne peut être que si est établie une paix juste entre Israël (dont on n’oubliera pas qu’elle est historiquement et culturellement reliée à la civilisation européenne) et les pays arabes. Les intérêts de l’Etat hébreu ne sont pas ceux des USA[1] [1].

10/L’anti-américaine attitude

Adoptons un comportement qui nous change la vie de tous les jours et améliore notre style (désaméricanisons notre langage), notre connaissance du monde (désorientons les voyageurs yankees demandant leur chemin), notre forme physique (cassons la gueule aux missionnaires illuminés et endiablés qui, harnachés dans leurs costards classieux arpentent les villes d’Europe, le sac en bandoulière, en dégainant à chaque rencontre the holy bible version New World), nos compétences techniques (piratons les autoroutes de l’information états-unienne). Pour cela, levons-nous chaque matin avec la flamboyante maxime de Unabomber : « une société est un système dans lequel les parties sont en interaction, et vous ne pouvez pas changer de façon permanente un élément sans que les autres éléments en soient simultanément affectés ».


[1] [2] Certains oublient l’activité des agents du Mossad aux Etats-Unis (notamment le cas de Jonathan Pollard, ancien analyste au service des renseignements militaire de la marine US – et agent israélien infiltré – incarcéré depuis 1986 pour avoir fourni, entre 1983 et 1984, les codes d’accès et de cryptage de la National Security Agency ainsi que des informations vitales à l’Etat hébreu, entre autre, sur le potentiel biologique, chimique et nucléaire de la Syrie, de la Libye ou de l’Iran). (Cf « Un réseau d’espionnage israélien démantelé aux Etats-Unis », Le Monde, 05.03.2002). De plus, les rapports troubles entre l’Oncle Sam et la dynastie Saoud ont créé une marge critique entre les orientations israéliennes et américaines. Cf. Frédéric Encel, François Thual, Géopolitique d’Israël : Dictionnaire pour sortir des fantasmes, Paris, Seuil, 2004. Enfin, quoi qu’en pense le sous-Farrakhan hexagonal Dieudonné, ce n’est pas l’arabophobie ni l’islamophobie qui anime les soldats de Tsahal mais plutôt l’esprit de défense des combattants antiques de Massada ou des insurgés héroïques du ghetto de Varsovie. Israël doit vivre comme la Palestine !

 

Source : Livr’arbitres [3]


Article printed from :: Novopress Québec: http://qc.novopress.info

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[2] [1]: http://srv07.admin.over-blog.com/index.php?module=admin&action=publicationArticles:editPublication&ref_site=1&nlc__=541261870011#_ftnref1

[3] Livr’arbitres: http://livr-arbitres.over-blog.com/article-dix-clefs-pour-combattre-l-amerique-41865362.html

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jeudi, 11 juin 2009

"Barrez-vous, les Américains!"

« BARREZ-VOUS LES AMERICAINS ! »

 

Editorial du numéro 36 de Rébellion ( bientôt disponible)

 

* Propos tenu par un prolétaire de l’usine Molex à Villemur-sur-Tarn


Cela est désormais clairement dit ; la rhétorique médiatique ne prenant le soin que de présenter la chose sous le mode interrogatif : la classe ouvrière serait-elle devenue xénophobe ? Qu’a-elle fait ? Elle proteste contre les délocalisations… La suspicion est lancée et comme on le sait, le traitement réservé à ceux que le pouvoir a choisis arbitrairement de qualifier comme tels, est la marginalisation et surtout la répression. Toute velléité de défense un peu vive, de la part des prolétaires victimes des licenciements massifs et quotidiens, est d’emblée qualifiée de « violences faites aux biens et aux personnes ». Il s’agit en fait des « séquestrations » de dirigeants d’entreprises dont usent les travailleurs afin de se faire entendre et non d’actes de vandalisme et de violence illégitime comme le laisse entendre le gouvernement. Ainsi, grâce à la terminologie juridico-politique dominante, est neutralisé le sens de l’action concrète conduite par ceux qui sont acculés par le capital dans l’ultime réserve de la protection de leur simple existence et survie économique et sociale, de même qu’est corrélativement brouillée, occultée, la forme de la lutte de classe que peut prendre cette autodéfense du prolétariat. Un étau répressif et idéologique, est de ce fait constitué, entre d’un côté, le pôle « xénophobie » et de l’autre, « violence illégitime ». Seul, le discours idéologique du capital et de ses représentants gouvernementaux, institutionnels et médiatiques - dans sa parfaite transparence neutralisante, instrumentalisante - aurait la légitimité de dire la vérité objective dans son unicité, gommant par là même les aspérités des contradictions les plus vives, les plus exacerbées, qui naissent pourtant, de manière bien réelle sur le terrain de la vie sociale. Car ce qu’il faut cacher est le secret le plus profond, le plus inavouable : le capitalisme est un système agonisant ; aucune thérapie ne viendra à bout de son pourrissement inéluctable. Sa contradiction originelle le mine toujours mais de façon toujours plus exacerbée, plus ample et intense : accumulation de richesses à un pôle de la société, paupérisation, précarité, insécurité sociale à un autre. Satisfaction, jouissance indécente et aliénée d’un côté, inquiétude permanente, lutte quotidienne pour continuer son existence de l’autre.

Cette situation a l’avantage – vécu douloureusement par le prolétariat – de poser clairement à la conscience des travailleurs, la question de l’absence de réponse à la crise dans le cadre du capitalisme. Cette crise dont les « spécialistes » nous disent qu’elle ne sera qu’un mauvais souvenir dans quelques mois ou une année et qui nous est ainsi présentée comme une fatalité naturelle, certes d’ampleur inégalée mais comme, somme toute, il peut y en avoir dans l’histoire naturelle climatique. Météorologie, économie politique même combat ! Il serait d’ailleurs intéressant d’étudier sous cet angle, l’usage idéologique quotidien du message météorologique adressé aux citoyens par les nouveaux prêtres médiatiques commentant celui-ci. Zeus supplanté par Météo France : que pouvons-nous faire de notre vie alors que le ciel nous tourmente quotidiennement ? Osciller entre fatalisme et reconnaissance impuissante des déterminismes naturels. La vie sociale serait du même ordre et de même niveau. Pourtant les prolétaires commencent à prendre des initiatives et c’est bien cela qui inquiète la classe dominante. La mobilisation contre les licenciements est importante et certains ont même l’idée de traverser les frontières afin de soutenir leurs camarades en Allemagne, par exemple, victimes des mêmes mesures, le trop fameux « plan social » (encore une entourloupe de vocabulaire, que de rhétorique de la part de la bourgeoisie ! C’est tout ce qui lui reste depuis qu’elle ne pense plus). Leur action exprime bien un internationalisme en acte (et non verbeux comme celui des gauchistes) articulé à la préoccupation de la conservation locale de leurs conditions de travail dont se moquent bien les actionnaires et dirigeants des entreprises capitalistes (1) : le capital n’a pas de patrie. De là, la parole de dépit- que nous citons en exergue - du prolétaire de Molex à la suite de la « libération », grâce à la présence des forces de police, du dirigeant « séquestré » de cette usine, (« Barrez-vous les américains ! ») mais qui n’en révèle pas moins une compréhension intuitive de la condition faite aux travailleurs par les multinationales toutes puissantes. Dans sa simplicité, la formule va bien plus loin que toutes les arguties proposées par les têtes « pensantes » de la politique qui ne voient là qu’impudence xénophobe. Elle touche du doigt la violence faite aux exploités par la mondialisation impérialiste du capital sur tous les continents. Cette violence faite aux économies locales de subsistance où s’effondre la simple possibilité de se nourrir modestement dans les pays du Sud, engendrant les bidonvilles des mégalopoles et l’émigration de désespoir, la violence faite de guerres locales où s’affrontent des bandes armées par le capital afin de se partager des territoires soumis à la rapine, la violence déclenchée par les interventions américano-otanesques à visées géostratégiques et géoéconomiques (Irak, Balkans,Afghanistan, déstabilisation du Pakistan, etc.), la violence enfin que subissent les prolétaires des nations relativement plus nanties mais qui voient leurs acquis sociaux et vitaux se réduire comme peau de chagrin. Ainsi le rejet de ce système par les travailleurs commence à se faire entendre et c’est cette parole qu’il s’agit d’étouffer sous la calomnie voire la répression.

 

Il restera un long chemin à parcourir, pour les plus humbles, afin de comprendre la portée et la nature des enjeux qu’il leur faudra affronter. Ils n’auront pas d’alliés parmi les partis politiques électoralistes (2), de faux amis au sein de ceux se proclamant « anticapitalistes », pèsera la chape de plomb du clivage droite/gauche et pour finir, en Europe, ils seront sous surveillance du cheval de Troie de l’OTAN. Pour autant, le capital se nourrit de leur travail (3) et de ce point de vue il dépend d’eux. La seule perspective qui vaille, alors, est le socialisme ; lorsque les prolétaires forgent les instruments politiques leur permettant de renverser le rapport de force entre les classes sociales.

 

 

Notes :

 

1.« L’intérêt exprime une fraction de la plus-value ; un simple quota du profit classé sous un nom particulier ; le quota qui revient au simple propriétaire du capital, qui est intercepté par lui. Mais cette partition simplement quantitative se transforme en partition qualitative qui donne aux deux fractions une forme concrète métamorphosée dans laquelle ne semble plus battre la moindre artère de leur être originel. […] L’intérêt en soi exprime donc précisément l’existence des conditions de travail en tant que capital dans leur opposition sociale au travail et leur métamorphose en forces personnelles exerçant leur pouvoir sur le travail. Il résume le caractère aliéné des conditions de travail par rapport à l’activité du sujet. Il représente la propriété du capital ou la simple propriété capitaliste, en tant que moyen de s’approprier les produits du travail étranger, comme une domination s’exerçant sur du travail étranger. Mais il représente ce caractère du capital comme quelque chose qui lui revient en dehors du procès de production lui-même, et n’est en aucune façon le résultat de la déterminité spécifique de ce procès de production. Il ne le représente pas en opposition au travail, mais, au contraire, sans rapport avec le travail et comme un simple rapport entre un capitaliste et un autre capitaliste. » Karl Marx. Théories sur la plus-value. Tome III. P.580.81.82. Editions Sociales. Lorsque le fétichisme du capital se reflète de manière inversée dans la conscience des actionnaires et des financiers sous la forme de l’inquiétude pour leur taux d’intérêt ce sont les affres du chômage et des délocalisations que vivent concrètement les prolétaires.

  1. Dont les représentants européens élus ont montré, une fois de plus, leur servilité envers une idéologie impérialiste en quittant la salle lors du discours du Président iranien à la conférence dite Durban II.

  2. Ceux qui cherchent à dépasser le faux clivage droite/gauche devraient trouver là matière à réflexion, c’est-à-dire dans la dynamique du rapport entre classes sociales et dans la recherche adéquate des moyens politiques et doctrinaux, nécessaires à une intervention dans les luttes politiques et sociales. D’après les derniers chiffres disponibles et d’après les extrapolations rationnelles que l’on peut faire, il y a environ, aujourd’hui, entre 8 et 10 millions de personnes vivant sous le seuil de pauvreté. Cela s’appelle la prolétarisation. Potentiellement, l’explosion sociale guette le système. Le mouvement théorique et pratique auquel nous appartenons est l’expression de cette potentialité.

 

samedi, 04 avril 2009

A. Latsa: entretien avec A. Douguine

Alexandre DOUGUINE par Alexandre LATSA

 

*

1 - Alexandre DOUGUINE, je doute que mes lecteurs ne vous connaissent pas et renvoie sinon à vos écrits et à la biographie complète de Métapedia à votre sujet. Néanmoins pouvez vous présenter et synthétiser votre combat politique et géopolitique jusqu'à ce jour ?

Je suis né le 7 janvier 1962 à Moscou, dans une famille de militaires. Mon père était officier et mère médecin. Au début des années 80 en étant dissident et ayant l'aversion pour le système communiste en peine décadence, j'ai fait connaissance des petits groupes traditionalistes et des cercles politico-littéraires de Moscou, où participaient le romancier Youri Mamleev, qui émigrera par la suite aux Etats-Unis, le poète Evgueni Golovine et l’islamiste Gueydar Djemal, fondateur en 1991 du Parti de la renaissance islamique. C’est aussi à cette époque que j'ai découvert les écrits d’Evola, de Guénon, de Coomaraswamy et de bien d’autres auteurs (en 1981, j'ai traduit en russe le livre de Julius Evola Impérialisme païen, qui sera diffusé clandestinement en samizdat).

Après la désintégration du système soviétique, au début des années 1990, j'ai crée l’association Arctogaia et le Centre d’études méta stratégiques, après les revues Milyi Angel et Elementy, qui paraîtront jusqu’en 1998-99. Mes idées ont été influencées a partir des années 80 par la Nouvelle Droite européenne et au premier lieu par Alain de Benoist que je tiens en plus grand estime jusqu'à présent. Je le considère un des meilleurs intellectuels français actuels – peut être même le meilleur.

Dernièrement je m’intéresse beaucoup à la philosophie de Martin Heidegger, à la sociologie de M.Mauss, L.Dumont, P.Sorokin et surtout à Gilbert Durand (récemment découvert par Alain de Benoist), mais également à l’anthropologie de G.Dumézil et de Claude Levy-Strauss. J’ai écrit plusieurs textes sur l’économie – entre autres sur les idées de Friedrich List, sur Schumpeter et F.Brodel.

A l’Université de l’Etat de Moscou, j’ai donné des cours de la Postphilosophie étudiant la philosophie de la postmodernité etc. Maintenant je suis professeur à la faculté sociologique et dispense les cours de Sociologie structurelle (sur la base des idées durandiennes sur l'imaginaire)

Si j'étais obligé de définir mes positions philosophiques je les décrirais comme appartenant au "traditionalisme".
Au premier lieu, je suis le disciple de René Guenon et de Julius Evola.

Dans la grande publique en Russie et dans quelques autres pays (Turquie, Serbie, le monde arabe etc) mes écrits géopolitiques sont très connus.

Mon idée est simple: il faut combattre l'impérialisme américain, le monde unipolaire et l'universalisme des valeurs libérales, marchandes et technocrate. Comme Alternative cela devrait être l'organisation du monde multipolaire comme ensemble de grandes espaces – chacun avec ses systèmes des valeurs propres – sans aucun préjugés.

Pour réaliser ce projet il faut créer le projet eurasien – commun pour l'Europe et la Russie mais avec les alliances stratégiques avec d'autres forces et cultures qui rejettent le mondialisme américain et la dictature libérale planétaire. L'eurasisme que je défends c'est le pluralisme absolu des valeurs.

2 - Les bruits ont courus que vous seriez en quelque sorte un "conseiller" (plus ou moins proche) de Vladimir Vladimirovitch Poutine. Pouvez vous le confirmer ? Et est ce que cela a changé depuis la présidence Medvedev ?

Je travaille avec les gens qui sont assez proches de Poutine et de Medvedev.
Je crois que pour l'instant Medvedev suit la même direction que Poutine.

3 - La Russie semble sortir d'une longue hibernation et se préparer a être un acteur de premier plan. Pensez vous que ce pays est les moyens de surmonter les défis en cours ? (démographie, santé, provocations militaires occidentales, immigration très forte.. etc etc). Comment jugez vous la situation en Russie en 2009, avec la crise financière mondiale ?

L'histoire est ouverte. Personne ne connais l'avenir. Je crois que la Russie va a entrer dans la période cruciale de son histoire. La crise va avoir un grand impact sur l'économie russe qui reste, hélas, libérale.
Mais cela va peut être guérir les illusion du pouvoir quant a l'efficacité des préceptes libéraux.

4 - L'unilatéralisme totalitaire décrété en 1991 par l'Amérique semble être arrivé a son terme. On assiste à une sorte de renaissance de grands espaces auto-centrés en Asie (Chine, Inde), dans le monde musulman (Turquie, union panafricaine ..), en Eurasie (Russie ..), en Amérique du sud (Brésil, Vénézuela ..), pensez vous que l'on doive s'en réjouir et pourquoi ?

Je voudrais que cela soit ainsi, mais il est trop tôt pour fêter la victoire. Un jour les États Unis tomberont mais pas maintenant. Je crois qu'ils vont faire LA guerre – Une Troisième Guerre mondiale pure et dure – qui causera d'immenses peines a l'humanité. Les États Unis ne peuvent plus gouverner le monde c'est sur, mais ils ne peuvent pas non plus se résigner – Cela serait pour eux une catastrophe. Leur seule solution – essayer de transposer leur problèmes sur les autres. Ca veut dire la guerre. Sans la fin previsible.

 

5 - L'Europe semble totalement absente de cette renaissance géopolitique, tellement elle est inféodée au parapluie Américain, quelle est votre opinion sur l'Union Européenne et sur la place que devrait avoir l'Europe dans le monde, et avec avec la Russie ?

Je crois que il y a deux Europe. L'Europe continentale (Franco-Allemande) et l'Europe atlantiste (Nouvelle Europe inclue). Ces deux Europes sont géopolitiquemet opposées en tout. Cela explique le blocage. Avec Sarkozy et Merkel la position des forces continentales est devenu plus faible. Je n'ai aucune recette pour l'Europe. C'est l'affaire des européens – quoi choisir.

 

6 - Vous êtes membre du mouvement eurasien, pouvez vous nous présenter ce mouvement (et sa structure jeune) et en définir le projet politique ?

Quelles sont ces ramifications en Europe, et ailleurs ? Pensez vous que ce "projet Eurasien" est proprement Russe ou est adaptable et conciliable avec la pensée pan-européenne (une europe libérée des chaînes Américaines) ?
Alexandre DOUGUINE ayant eu l'amabilité de détailler le programme global du mouvement Eurasien, je renvoie mes lecteurs à ce texte extrêmement intéressant ici.

7 - Pour beaucoup de Français la Russie est un modèle pour sa capacité à proposer un contre modèle civilisationnel, autre que le modèle libéral anglo-saxon et capitaliste. Cela dépasse le clivage droite-gauche, et réunit autant des communistes que des gaullistes historiques ou encore des nationalistes. Des voix s'élèvent même pour que la France intègre l'organisation de la coopération de Shanghai et quitte l'OTAN.
Pourtant au même moment, l'administration Sarkosy semble jouer sur deux tableaux : l'adoucissement avec la Russie (cf avec la guerre en Georgie) tout en réintégrant le commandement armé de l'OTAN ! Jugez vous cette double orientation crédible, et quel en est d'après vous le sens profond ?

Je la juge non crédible et contradictoire.
Quant a la Russie il est un peu naïf de croire que notre économie fonctionne bien. Il manque chez nous le secteur réel et le développement des technologies nouvelles. La Russie a besoin de l'Europe comme l'Europe a besoin de la Russie pour avoir des économies mutuelles garanties par les ressources nécessaires et l'accès aux technologies nouvelles.


8 - Pour les Européens, les grandes inquiétudes du futur sont le plausible leadership économique Chinois et l'explosion démographique des populations musulmanes, notamment à l'intérieur de l'Europe. Comment estimez vous compatible / incompatible ces deux éléments ? Il apparaît que le sujet de l'Islam, ou celui des "relations" avec la Chine par exemple n'est pas abordé de la même façon en Europe et en Russie.
On a les mêmes soucis géopolitiques. Mais on doit commencer par hiérarchiser les dangers.

Premièrement il faut se débarrasser des américains et de la dictature de la pensée unique, et seulement après s'occuper des chinois et de musulmans. Ils faut proposer aux musulmans le modèle de l'intégration dans la culture européenne mais pour cela il faut garder – parfois sauver – cette culture-la. Les chinois sont très sympathiques quand ils vivent en Chine.

Mais pour régler cette affaire de contrôle des vagues migratoires il est de nouveau – nécessaire de se débarrasser des mondialistes, libéraux et des atlantistes. Ce cercle vicieux ne peut être brisé qu'en commençant par la lutte antiaméricaine. Les musulmans et les chinois sont des défis secondaires. C'est pareil que cela soit pour l'Europe et pour la Russie.


9 - L'amérique de Obama "semble" vouloir faire la paix avec le monde entier, j'ai lu son programme, celui ci est pourtant largement plus offensif que celui de McCain notamment en Afghanistan/Pakistan pour poursuivre la lutte contre les "Talibans". Comment jugez vous cette élection et quels changements peux on attendre d'après vous dans les relations avec la Russie ?

Vous avez raison. Obama dépend du consortium politique et géopolitique américain. Donc il n'est pas libre de faire quoi que ce soit. Il va faire la guerre exactement comme le ferrait Mac cain.
C'est la logique des lois géopolitiques et non les opinions personnelles qui comptent dans les affaires réelles globales.

10 - Le pentagone semblait vouloir aspirer l'Ukraine dans l'OTAN (après l'échec Georgien) et installer sa flotte dans la mer noire. Ajouté aux remous politiques en cours et aux échéances électorales proches en Ukraine, peut on d'après vous imaginer un "conflit" proche dans ce pays et une scission en deux ou trois entités, a la manière yougoslave ?
En Ukraine habitent au moins deux peuples avec des orientations géopolitiques, stratégiques, culturelles et religieuses contraires. Il n’y a pas un peuple ukrainien. C’est l’appellation générale basée sur le critère territorial – les Ukrainiens ce sont littéralement « les habitants d’Ukraine » (en slave, ça veut dire « provence »). Ethniquement on les appelle « malorossy » -- « petits russes » littérairement. La langue ukrainienne a été créée artificiellement dans XIX siècle par les Polonais qui ont stylisé plusieurs dialectes « malorosses » avec les formes artificielles et assez affreuses imitant maladroitement le Polonais. En créant ce monstre linguistique, on a L’Ukraine actuelle est profondément divisée. L’élite politique est orange, orientée envers OTAN, l'UE et se base sur l’appui des habitants de l’Ouest ukrainien. Cette zone n’entre pas dans l’espace eurasien, il faut le reconnaître. Mais cette élite orange veut imposer sa volonté sur les masses de l’Est où la population se considère russe, rejette l'UE et l'OTAN et veut exister dans le grand espace commun avec les Russes de la Russie. Cette masse forme le second peuple (ou le premier) de l’Ukraine. Ce peuple est chrétien orthodoxe, malorosse (petit-russe) ou velikorosse (grand-russe), il consiste pour la plupart en des descendants des cosaques, et s’identifie à l’Empire eurasien. Ce peuple vote régulièrement pour le « Parti des régions » et en faveur de Yanoukovitch. La carte électorale de l’Ukraine montre comment ce pays est devisé en deux parts.
Dans le cas de l’Ukraine les eurasistes russes et ukrainiens agissent en logique avec leur vision du monde. Nous sommes contre l’Etat-Nation ukrainien parce qu’il est pro-américain, atlantiste et anti-eurasien. Mais aussi parce que le régime du néo-nazisme orange c’est une des parts du "système à tuer les peuples".
C’est le peuple de l’Ukraine de l’Est et de Crimée qui est maintenant en danger d’être oppressé, épuré et anéanti.

 

11 - L'agitation est également grande autour de l'arctique, cette zone énergétique essentielle. Récemment, les pays de l'OTAN ont organisé des manoeuvres militaires à grande échelle en Norvège (7.000 soldats de 12 pays) pour simuler une invasion de l'arctique et une sécurisation des champs pétroliers. Pensez vous que l'arctique puisse devenir la zone de conflit essentielle du 21ième siècle comme le pensent certains spécialistes en géopolitiques ?

Je pense que l'Arctique devient la place centrale de la stratégie d 'encerclement de la Russie – pour des raison stratégiques et pour la raison des ressources naturelles.

 

12 - Pensez vous plausible, ou souhaitable une alliance de l'hémisphère nord (amerique- europe - russie), comme l'a évoqué Dmitri Rogozine récemment pour parer à une éventuelle anarchie dans l'hémisphère "sud" ?

Je considère Rogozine comme atlantiste, opportuniste et neo-nazi antisémite. Il discrédite l'idée nationale russe et travaille toujours pour les américains. Il participait en Kiev à la révolution orange au cote des oligarques Berezovski et ses valets (tel Belkovsky).

13 - Comment voyez vous la situation mondiale en disons 2020 ? Et la Russie (alors que le Kremlin a développé ce fameux plan 2020) ?

Le plan 2020 ne vaut rien. Il n'existe pas. Je crois qu'au Kremlin maintenant prévalent les idées tactiques.
Donc j'attends la guerre et je crois que dans les prochaines années la situation changera trop pour faire quelques prévisions que ce soit.

14 - Le 24 mars dernier, c'était l'anniversaire des bombardements de 1999 sur la Serbie, que vous inspire cet évènement ?

La haine contre les américains et la solidarité avec le peuple serbe héroïque qui a eu assez de dignité de lancer ce "défi" au monstre américain.


samedi, 14 février 2009

Defensa del antiamericanismo

Defensa del antiamericanismo

Augusto Klappenbach

Público

En estos tiempos políticamente correctos suele decirse que las críticas a Estados Unidos no hay que interpretarlas como antiamericanismo sino como cuestionamientos a la política de algunos de sus gobernantes, como sucedió especialmente durante el mandato de Bush. Así, el pueblo español –y muchos otros pueblos– no sería antiamericano sino enemigo de una política concreta, de la cual la guerra de Irak sería el mejor ejemplo. Con la llegada al poder de Barack Obama este prejuicio habría desaparecido y se iniciaría una época de entendimiento entre culturas que comparten los mismos valores.

Creo, sin embargo, que esta concesión a la corrección política es excesiva: las reservas antiamericanas de muchos –entre los cuales me incluyo– no se limitan a rechazar determinadas decisiones políticas del gobierno de Estados Unidos, sino que incluyen el rechazo a una forma de vida, a una determinada jerarquía de valores en muchos sentidos opuesta a nuestra manera de concebir la vida social.

Es conocida la tesis, desarrollada hace tiempo por Max Weber, acerca de la ética protestante y el capitalismo. La riqueza es señal de predestinación: la prosperidad material indica que Dios ve con buenos ojos a quien triunfa en este mundo, triunfo que preludia la bienaventuranza eterna. Probablemente ningún país ha tomado más en serio esta tesis: dos de los rasgos característicos del american way of life son precisamente la religión y el éxito económico. No es casual la inscripción del lema In God we trust en los billetes de dólar. Y este éxito económico, que conlleva la correspondiente superioridad científica, tecnológica y militar, trae consigo otra característica cultural que se sigue de las anteriores: su conciencia de pueblo elegido.

De este modo, tres notas distintivas de su cultura se articulan entre sí y se refuerzan recíprocamente: la riqueza, la religión y el patriotismo. Tres valores muy discutibles tomados por separado, pero sumamente peligrosos cuando se juntan y que explican buena parte de las actitudes antiamericanas. La prepotencia en su gestión de las relaciones internacionales, sustentada en el formidable poder nacido de sus posibilidades económicas y militares, resulta sacralizada por la creencia de que han recibido una misión de la que sólo a Dios –o, en su versión secularizada, a la Historia– deben rendir cuentas. Todo lo cual es compatible con una moral privada que en ocasiones roza el puritanismo: una moral sexual que ayuda a mantener actitudes de autocontrol y culpabilidad sumamente útiles para el control social, así como la pena de muerte vigente en varios Estados, que cumple la función ideológica de limitar la responsabilidad al ámbito individual y su eliminación definitiva por la desaparición del sujeto culpable.
La prosperidad económica que hace posible esta prepotencia se sustenta a su vez en una concepción
darwinista de la historia, compatible con la interpretación protestante de la prosperidad material. La historia humana debe imitar el modelo de la selección natural si quiere seguir avanzando, lo cual constituye una manera de adecuar la estructura social a los signos de la predilección divina: los triunfadores son los elegidos. La sociedad se concibe así como una continua competencia entre individuos que, como toda competencia, produce vencedores y perdedores, estableciendo un principio según el cual los individuos más fuertes y hábiles tienen más derecho que los débiles incluso a la satisfacción de sus necesidades básicas. De tal modo que, por ejemplo, un individuo de escasos recursos económicos no puede permitirse un tratamiento médico de alto coste o una buena educación. Por supuesto que en Europa no somos ajenos a estas desigualdades, pero lo que aún queda del estado de bienestar permite matizar ese darwinismo social, al menos en lo que se refiere a las necesidades básicas.

Esta exaltación de la competencia entre individuos genera una ideología que desconfía sistemáticamente de lo público y deposita su confianza en la iniciativa privada. Es decir, que pone las decisiones que atañen a la sociedad en manos anónimas que concentran el poder económico, hurtándolas a la posibilidad de publicidad y crítica que ofrece, si bien limitadamente, la gestión pública. Esa desconfianza hacia lo público desvía a la iniciativa privada a actividades que en el modelo social europeo son competencia de los Estados, como muchas tareas asistenciales y de seguridad.
Aun cuando se advierten en Europa muchas tendencias afines al modelo americano, el europeo medio tiene una concepción de la vida pública mucho más laica y menos mesiánica: no se le ocurre vincular el destino de su nación a valores religiosos o a misiones históricas. Si prescindimos de los brotes nacionalistas, que requieren un tratamiento aparte, su tipo de patriotismo, cuando lo tiene, es mucho más secular y abierto a la crítica de su propio país. Por otra parte exige una presencia mucho mayor del Estado en la vida social: la sanidad, la educación, las pensiones de jubilación, la atención a los mayores son temas que el europeo incluye en la esfera de los deberes públicos y resultan decisivos en la elección de sus gobernantes, aun cuando individualmente prefiera en ocasiones la oferta privada de esos servicios.

La llegada de Obama a la presidencia abre la posibilidad de que algunas de estas cuestiones se revisen y se acorte la distancia cultural entre Estados Unidos y el resto del mundo. Sin embargo, habría que evitar las excesivas ilusiones que conducen a desilusiones tan excesivas como aquellas. La manera de “estar en el mundo” de una nación no se cambia radicalmente por un proceso electoral.

Augusto Klappenbach es Filósofo y escritor

http://blogs.publico.es/dominiopublico/1070/defensa-del-antiamericanismo/

lundi, 19 janvier 2009

La "Nouvelle Revue d'Histoire" n°40 / USA: la fin du rêve?

En vente en kiosque - à ne pas manquer !

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vendredi, 21 novembre 2008

Flash Magazine n°2

Le No. 2 en kiosque le samedi 22-11-2008
Le no. 3 rendez-vous le jeudi 04-12-2008
Flash : Journal gentil et intelligen

lundi, 08 septembre 2008

Une critique visionnaire du dérèglement économique mondial

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Une critique visionnaire du

dérèglement économique mondial

George FELTRIN-TRACOL

sur: http://www.europemaxima.com/

Au début de la décennie 1930, quand la crise de 1929 commençait à toucher la France, deux jeunes penseurs courageux et originaux, Robert Aron et Arnaud Dandieu, rédigèrent Le cancer américain.

Ces deux noms ne sont pas inconnus pour qui s’intéressent à cet extraordinaire foisonnement intellectuel de la France de l’Entre-Deux-Guerres que Jean-Louis Loubet del Bayle désigna dans un livre magistral et fondateur sous le terme générique de « non-conformistes des années 1930 ». Avec Denis de Rougemont et Alexandre Marc, Robert Aron et Arnaud Dandieu animèrent la revue L’Ordre Nouveau et le groupe éponyme. Situé entre la revue personnaliste Esprit d’Emmanuel Mounier, de sensibilité « progressiste » (ou au moins « humaniste intégral »), et la Jeune Droite d’extraction maurrassienne, L’Ordre Nouveau ne cessa de dialoguer avec elles, occupant ainsi un espace central de la pensée française d’alors sans pour autant renoncer à sa radicalité intrinsèque.

Cette radicalité se manifeste pleinement dans Le cancer américain que L’Âge d’Homme vient enfin de rééditer. À la différence des écrits des autres non-conformistes qui traitent de philosophie, de politique, de moral, Robert Aron et Arnaud Dandieu nous livrent une réflexion économique sur la transformation profonde, capitale, du monde à laquelle ils assistent horrifiés. « Nous voici au changement des temps où il nous faudra choisir entre les routines oppressives d’une tradition faussée et le travail révolutionnaire qui mène à un ordre nouveau. Ce livre sans portée constructive et sans valeur doctrinale, n’a été écrit que pour inviter à ce choix. »

Le cancer américain critique en des termes fort rudes les politiques déflationnistes de l’Étatsunien Hoover et du Français Tardieu. Mais, par delà cette critique conjoncturelle implacable, l’ouvrage dénonce impitoyablement la diffusion de nouveaux modes de production standardisés, la rationalisation des méthodes de travail qui ne se limite pas au seul secteur industriel, le taylorisme et le fordisme qui envahissent les esprits. Il s’en prend aussi au principe de l’assurance et à l’idéal philanthropique des sociétés occidentales qui minent et sapent les communautés humaines. Il en résulte que « pour tous ceux, Français ou étrangers, Américains ou Asiatiques, qui sentent, au sens le plus médiocre comme au plus élevé du mot, leur “ avenir ” menacé et leur existence compromise par des crises qu’ils subissent sans parvenir à les comprendre, pour les peuples qui voient disparaître leurs traditions essentielles, — pour les individus opprimés dans leur bien-être et dans leurs joies — ce livre est un cri d’alarme ». Les auteurs se révoltent donc contre le monde moderne puisqu’ils estiment « le mal dans lequel se débat le monde moderne est bien, comme un cancer, lié à la nature même de ce monde ». En observateurs lucides et soucieux, ils constatent que « le cancer du monde moderne a pris naissance bien loin des charniers de la guerre, en un terrain bien abrité, mieux même qu’on ne le croit souvent. C’est le cancer américain ».

Ce livre, on s’en saurait douté, vitupère contre le système yankee d’autant que « les États-Unis doivent apparaître comme un organisme artificiel et morbide » ! Cependant, les auteurs se nuancent et précisent que « les U.S.A. que nous mettons en cause, c’est une méthode, ce n’est pas un peuple, encore moins une terre. Méthode qui a bien pu se greffer sur tout un groupe humain, comme une maladie ; mais qui n’en garde pas moins sa liberté de propagation et son existence indépendante… ».

Considérant néanmoins que « l’impérialisme américain à base économique et mystique, est l’héritier direct de la tradition coloniale européenne », que « l’esprit américain [est] cancer et détournement de l’esprit véritable » et qu’il « se ramène à une double crise : crise de conscience d’abord, et crise de virilité », Robert Aron et Arnaud Dandieu, doués de prescience, s’indignent de la mise en tutelle des banques européenne par la Federal Reserve Banks via la Banque des Règlements Internationaux, et s’élèvent contre la mise en place d’un système monétaire international qui préfigure et annonce les accords calamiteux de Bretton Woods en 1944.

Comme leurs « homologues » révolutionnaires-conservateurs allemands, Robert Aron et Arnaud Dandieu déplorent le plan Dawes et rejettent le scandaleux plan de remboursement Young qui fragilise les économies européennes. On a tendance à l’oublier aujourd’hui : si les États-Unis ne ratifièrent pas en 1920 le traité de Versailles et choisirent l’isolationnisme, Washington n’en continua pas moins d’exiger de ses débiteurs le paiement complet des prêts de guerre et de leurs intérêts… L’isolationnisme politique yankee s’accorda sans problème avec une solide attention financière intéressée au Vieux Monde. C’est par ce biais que les États-Unis parviennent à s’imposer. « Cette colonisation américaine de l’Europe est évidemment que plus elle devient dangereuse, moins elle est apparente. Et ici se confirme une fois de plus le caractère profondément abstrait de cette colonisation. C’est sur le terrain financier et particulièrement celui du crédit que cette constatation se montre la plus éclatante. À ce titre, et bien qu’il soit bousculé par les événements, le plan Young demeure un objet d’études particulièrement révélateur : son importance subsiste entière et 1929 apparaît comme une étape particulièrement grave dans la colonisation de l’Europe par l’Amérique. Pour la première fois, au moyen d’un organisme bancaire, un protectorat secret sur l’ancien monde était établi de façon assez discrète, pour que nul ne s’en aperçût. Machine admirablement montée, mais encore mieux camouflée, et sur laquelle il faut nous arrêter quelque peu. Véritable charte du colonialisme américain ! » Cette invasion subtile et insidieuse prend des formes surprenantes, que « de la colonisation concrète ayant un but matériel, voire territorial, elle est passée progressivement à ce que l’on pourrait appeler la colonisation abstraite, c’est-à-dire à la colonisation par le commerce, puis par le crédit, puis enfin par le prestige ».

Les auteurs du Cancer américain considèrent par conséquent que la prospérité étatsunienne des « Années folles » s’est bâtie sur les ruines et la reconstruction de l’Europe meurtrie. Or la crise de Wall Street et ses conséquences ne font qu’accentuer ce parasitisme d’une manière dangereuse, car, « que l’Amérique le veuille ou non, c’est à la guerre que mènent inévitablement sa prospérité et ses crises, à la guerre… en Europe », avertissent-ils prophétiquement.

Ils récusent toutefois la solution belliciste. « Ce livre n’est pas un appel à l’on ne sait quelle guerre sainte. La guerre ne peut rien contre les maux de l’esprit, et le cancer américain est avant tout un cancer du spirituel. Ce n’est pas à la guerre contre l’Amérique qu’au-dessus des nationalités il faut appeler l’Europe ; non seulement les canons ne peuvent rien contre le cancer, mais la guerre est un contact plus dangereux que n’importe quel autre, et l’on s’américanise contre l’Amérique plus vite encore que pour elle. Nous n’appelons donc à la guerre, mais à la conjuration. » Ce complot, cette insurrection des cultures populaires enracinées doit aller à l’encontre de l’air du temps et de ses engouements superficiels. Déjà « le rôle que nous nous assignons, dépassant les questions de frontière ou le problème même de race, est d’écrire le Discours contre les excès de la Méthode (1), c’est-à-dire contre les abus d’une méthode jadis bienfaisante, le Discours contre la technique qu’attend notre génération ». Comment ? « Contre l’esprit américain, ce cancer du monde moderne, il n’est aujourd’hui qu’un remède. Pour échapper à l’engloutissement dont nous menacent les déterminismes matérialiste et bancaire, c’est avant tout le mythe de la production qu’il faut attaquer et détruire : c’est avant tout une révolution spirituelle qu’il est de notre devoir de susciter. » MM. Aron et Dandieu suggèrent donc de décoloniser les imaginaires…

Cette « révolution spirituelle » nécessaire, indispensable, vitale même, ne peut que se fonder sur l’idée européenne. Et on comprend mieux tout ce qui sépare la Jeune Droite, restée nationaliste, de L’Ordre Nouveau, véritablement européiste, qui perçoit l’Europe en rempart salutaire au déferlement destructeur de la modernité. « Dans sa Révolution nécessaire, elle rejettera avec indignation tous les colonialismes étrangers ou internes, qui partout, dans les métropoles comme dans les terres d’outre-mer, ne cherchent qu’à brimer les modes d’existence et de pensée indigènes au profit d’autres cancers conçus à l’instar de l’Amérique. » Mieux, l’Europe, pour les auteurs, ne dément pas la juste affirmation des peuples à préserver leurs identités, bien au contraire ! « Diversité et unité peuvent en elles s’appuyer l’une sur l’autre, parce que c’est la diversité des patries et des cultures qui y a lentement, contre la volonté des États et des diplomates, promu au rang de valeur suprême la puissance d’un esprit créateur, spécifiquement humain. Puisque aujourd’hui on s’en prend à ta diversité comme à ton unité, à ta peau comme à ton âme, Europe, réveille-toi ! » Le propos résonne d’une tonalité singulièrement actuelle.

Sorti après Décadence de la nation française (qu’il serait bien que l’éditeur le republie) et avant La Révolution nécessaire (2), Le cancer américain étudie en temps réel la mainmise du système bankstère sur les vieilles nations européennes. Trois quarts de siècle avant la « mondialisation », cet essai signale que loin d’apporter le bonheur et la plénitude individuels entiers, le dérèglement volontaire du capitalisme libéral et sa généralisation virale plongeraient le monde dans un chaos dont l’homme du début du XXIe siècle pâtit encore des affres. Saluons donc L’Âge d’Homme pour cette réédition et méditons les avertissements visionnaires de Robert Aron et d’Arnaud Dandieu afin d’édifier au final cet ordre nouveau souverain, libérateur et européen.

Notes

1 : En 1974, Robert Aron publia chez Plon Discours contre la Méthode, préfacé par Arnaud Dandieu.

2 : La Révolution nécessaire, Grasset, 1933, réédition, Jean-Michel Place, 1993, préface de Nicolas Tenzer.

• Robert Aron et Arnaud Dandieu, Le cancer américain, L’Âge d’Homme, préface de Pierre Arnaud, coll. « Classiques de la pensée politique », 2008, 141 p., 24 €.

mercredi, 21 mai 2008

L'idéologie liberticide de la Maison Blanche

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Daniele Petraroli :

L’idéologie liberticide de la Maison Blanche

 

La théorie paranoïaque du “New American Century.

Les quatre composantes fondamentalistes de la Maison Blanche.

Une stratégie brutale mais claire : “la guerre préventive au monde entier”.

L’Europe est le premier ennemi de l’impérialisme WASP

Si on se laisse vivre au jour le jour, il n’est guère facile  de comprendre que des changements fondamentaux sont en train de s’opérer aujourd’hui plus que jamais dans l’histoire, et, personnellement, j’ai vraiment la sensation d’être le témoin d’événements qui, par la force des choses, sont voués à  avoir des conséquences très lourdes sur les destinées politiques du globe. En fin de journée, le mardi 11 septembre 2001, bon nombre de commentateurs s’affairaient à expliquer que le monde était entré dans une époque d’”insécurité globale”, due au terrorisme, aux “Etats-voyous”  (pour utiliser la terminologie de l’administration américaine) et, en ultime instance, à la pauvreté et à l’instabilité définitive des pays du tiers et du quart-monde. Aujourd’hui, un an et demi après la pulvérisation des Twin Towers, nous pouvons dire que le 21ième siècle, qui devait être une époque de paix et de bien-être, a commencé sous le signe de la peur et du chaos international.

Nous devons cependant bien dire que cette situation n’est pas due à Al Qaeda, comme on le craignait au lendemain du 11  septembre 2001, ni à un détournement d’avion, ni à des kamikazes obligés de se faire sauter, bourrés d’explosifs, au milieu des foules en Europe ou en Amérique, mais à un nouveau dessein politique, théorisé plusieurs années avant l’attentat et réalisés, après celui-ci, par l’administration Bush, au cours de ces derniers mois : il s’agit du  dessein néo-impérial.

La guerre préventive

De puis l’effondrement de l’Union Soviétique, les Etats-Unis sont devenus l’unique superpuissance encore existante et, forts de cette unipolarité acquise dès 1991, ils ont aligné ouvertement les théoriciens de la droite néo-conservatrice, qui sont rapidement devenus les conseillers les plus écoutés du Président Bush. Ils sont nombreux : nous avons Kagan, Ledeen, Podhoretz, pour ne citer que quelques noms. Ces idéologues ne sont pas sortis subitement, comme du chapeau d’un magicien, au lendemain de l’effondrement des deux tours. Bien au  contraire : ils ont préparé le scénario qui se déroule aujourd’hui sous nos yeux depuis au moins dix ans. En fait,la première théorie de la “guerre préventive” se manifeste en 1992, c’est la “Defence Policy Guidance” de Dick Cheney, aujourd’hui vice-président des Etats-Unis, de Paul Wolfowitz et, accessoirement, de Rumsfeld. Les deux premiers ont théorisé l’utilisation de tous les atouts américains contre tout pays en mesure de devenir une “menace”. A l’époque, les temps n’étaient pas encore mûrs et Bush-le-père a mis un terme au projet. Il faudra donc attendre dix longues années et la tragédie providentielle du World Trade Center pour que les divers groupes de pression issus de la droite du parti républicain, après des parcours divers, s’unissent dans le fameux “Project for the New American Century” (PNAC), dont l’idéologue est Wolfowitz lui-même. Il réussira à déterminer en tout et pour tout la politique extérieure du Président.  

La bande des quatre

Il nous paraît utile de faire un peu de clarté sur les origines de cette “nouvelle droite” américaine. A l’intérieur de l’ensemble qu’elles forment, nous pouvons distinguer quatre grands filons. Le premier, qui est le plus important car il est aussi le plus visible, est celui des “faucons”, partisans de  la manière forte en politique étrangère. On inclut généralement, à ce courant des “faucons” les penseurs et intellectuels du  néo-conservatisme : Richard Perle, conseille de Rumsfeld en matières de stratégie, Elliott Abrams ainsi que Norman Podhoretz et Robert Kagan, que nous venons de citer. Ils  s’appuient sur les journaux suivants : le “Weekly Standard”, de Murdoch, et le “Wall Street Journal”. C’est William Kristol leur éminence grise et le fondateur en 1997 du PNAC.

Le second filon est constitué d’hommes de gauche très marqués, qui ont piloté le démantèlement du Welfare State dans les années 80, sous l’administration Reagan; parmi eux, il faut compter Rumsfeld et Cheney. Ensuite, nous avons les fondamentalistes catholiques, connus pour leur actions anti-avortement, qui sont dirigés par le Ministre de la justice, John Ashcroft; et, enfin, l’ ”American Enterprise Institute”, étroitement lié à la droite israélienne, dont le représentant de pointe est Ledeen. Ces “extrémistes marginaux”, comme on les appelait encore en 1998, sont arrivés au  pouvoir en 2000, avec Bush-le-fils, en profitant par la suite du refrain “nous sommes tous des Américains”, qui a uni derrière son antienne l’immense majorité des Occidentaux, immédiatement après l’effondrement des tours jumelles. Cette prise du pouvoir discrète, puis les événements de New York, ont permis de lancer un scénario conçu quelques années auparavant mais que l’on n’imaginait pas pouvoir se concrétiser de sitôt.

Aujourd’hui, grâce à cette conjecture, les Etats-Unis peuvent envisager, tout simplement, d’exercer très bientôt un contrôle total sur le globe, sans plus avoir l’obligation de dissimuler leurs intentions réelles. Les néo-conservateurs partent d’un principe différent de celui de l’isolationnisme traditionnel de la droite américaine. Ils parlent ouvertement d’un “empire américain” et des “intérêts stratégiques vitaux” qu’il faut à tout prix défendre. Le masque est tombé. Plus personne ne croit encore aux historiettes moralisantes sur les droits de l’homme et la démocratie “qu’il fallait exporter”. Par conséquent, forts de leur triple suprématie économique, technologique et militaire, les théoriciens, qui se profilent derrière l’administration Bush, ne raisonnent plus qu’en termes de pouvoir, aujourd’hui plus que jamais. Unique concession à l’Amérique “patrie des libertés” : la conviction que l’hégémonie américaine est la meilleure des alternatives  possibles pour les pays du tiers et du quart-monde, même s’ils doivent, pour cela, revenir au statut de “colonie”, soit à un  état de semi-souveraineté.

Une obsession : Rome

La référence idéale de ces idéologues est Rome, mais il faudrait plutôt dire que l’empire forgé par l’Urbs est leur obsession. Les néo-conservateurs s’inspirent en effet del a grandeur de l’Empire Romain pour justifier leur propre politique et leurs propres idées. La guerre en Irak est gagnée, malgré les pronostics de quelques commentateurs qui prévoient un nouveau Vietnam; cette victoire a été rapide et facile, mais elle n’est que la deuxième étape, après l’Afghanistan, d’un projet qui vise à pacifier par la force des armes, l’ensemble du Moyen Orient, et non pas le dernier épisode. Après viendra le tour de la Syrie, de l’Iran et, plus tard, de la Corée et du Soudan.

Désormais, l’Amérique n’attend plus de solutions diplomatiques dans les situations potentiellement à risque; les Etats-Unis veulent désarmer tous leurs ennemis potentiels. Au vu de tout ce que nous venons d’écrire, il convient de se pencher une nouvelle fois sur les motivations qui ont poussé à l’intervention contre le régime de Saddam Hussein. Certes, le pétrole est important, mais ne constitue qu’un motif insuffisant. L’objectif réel de l’administration Bush est plus clairement d’ordre géopolitique  et géostratégique : il s’agit de contrôlerune zone de grande effervescence sur la planète, pour en faire le premier tremplin qui conduira à l’hégémonie définitive des Etats-Unis sur le globe tout entier.

L’Europe est l’ennemi principal

Dans toute cette agitation, le véritable ennemi des Etats-Unis, dans un futur proche, n’est autre que l’Europe, comme le laissent deviner les nombreux articles de Kagan. C’est l’évidence : en défendant toujours leurs seuls intérêts, les Etats-Unis finissent par fouler aux pieds les intérêts des autres puissances. Pourtant, malgré l’exposition explicite du projet impérial américain, très peu de voix isolées se sont élevées sur le vieux continent pour mettre les esprits en garde contre l’hyperpuissance à la bannière étoilée. Seuls quelques intellectuels venus d’horizons très divers comme Cardini, Hobsbawn et Massimo Fini ont formulé des analyses justes. Mais, parmi ces voix discordantes, il n’y a pas un seul homme politique, car, finalement, ni Chirac ni Schroeder n’ont pris de positions claires, qui soient diamétralement opposées aux vues de l’Amérique. En Europe, il manque un intellectuel de la trempe de Kagan, prêt à défendre nos propres intérêts avec la même rigueur, la même vigueur et la même verve.

Daniele PETRAROLI.

Article extrait d’Orion, n°224, mai 2003

Liste des articles déjà publiés sur la même thématique :

- Catherine OWERMAN : Les mouvements américains pour la paix, in Au fil de l’épée/Arcana Imperii, Recueil n°40, décembre 2002.

- Catherine OWERMAN : Bellicisme et pacifisme chez les conservateurs américains, in Au fil de l’épée/Arcana Imperii, Recueil n°41, janvier 2003.

- Helmut MÜLLER : Les éminences grises de Bush, in Au fil de l’épée/Arcana Imperii, Recueil n°42, février 2003.

- Prof. Paul GOTTFRIED : Les deux écoles de la politique extérieure américaine : “Straussiens” et “Réalistes”, in Au fil de l’épée/Arcana Imperii, Recueil n°48, août 2003.