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lundi, 18 octobre 2010

Henry de Monfreid

Henry De Monfreid, il fascista che ispirò Hergé e Pratt finalmente pubblicato in Italia 

di Massimo Carletti
 
 
Dal Secolo d'Italia di giovedì 23 settembre 2010
 
 
Monfreid%20Pa.jpgDi Henry De Monfreid in Italia si sa poco o niente e sono scarse le traduzioni, disponibili tra l'altro solo da qualche anno. «L'ultimo vero filibustiere della letteratura europea» lo ha invece definito Stenio Solinas. «Ho avuto una ricca, irrequieta e magnifica» dichiarò lo scrittore alcuni giorni prima di morire all'età di 95 anni nel 1974. Prima che autore fu uomo di mare e d'avventure e iniziò a scrivere passati i cinquant'anni. Una seconda vita la sua, quella da scrittore. Anzi la terza. Perchè quando nasce, a La Franqui-Leucate (Aude), sulla costa mediterranea il 14 novembre 1879, c'è solo il mare a presagire che tipo di vita sceglierà.  
È figlio di George-Daniel de Monfreid e di Amèlie Bertrand. Il padre è un pittore-incisore, amico e rappresentante legale di Paul Gauguin. C'è da dire che se il destino è anche nei nomi, l'Henry è segnato nel suo come pochi altri. Il cognome "De Monfreid" è il nome d'arte scelto dalla nonna, Marguerite Barrière. Sposata, separata e conscia che la carriera di cantante lirica le lasciava poche speranze per il futuro, si fece amante di un ricco gioielliere americano, tale Gideon Reed. Ne rimase incinta e il facoltoso per non correre troppi rischi, le fece avere una nuova identità e poche preoccupazioni, mantenendola a vita.
 
Henry cresce tra le visioni di luoghi esotici nello studio parigino, e il mare di Cap Leucate, dove grazie al padre sarà iniziato alla navigazione a vela. Sono gli anni in cui conosce Victor Segalen, entrato in contatto con il padre in virtù dell'amicizia di quest'ultimo con Paul Gauguin.
Abbandonati gli studi il giovane Henry, dopo esser riuscito a evitare il servizio militare, pensa che è giunto il momento di metter su famiglia, prole compresa. Prende infatti con se Lucie d'Auvergne, ragazza già madre di un bambino al qual deciderà di dare il suo nome. Fa il venditore di caffè porta a porta. Poi torna a Parigi dal padre trovando impiego come lavamacchine e come autista. Nel 1907 e si stabilisce a Fécamp. Nel 1905 aveva avuto intanto il suo primo figlio da Lucien, Marcel. Nel 1908 lascia la ditta Maggi e investe in una fattoria. Poi lascia Lucien e con i due figli si trasferisce dal padre a Saint-Clement, ai piedi dei Pirenei. Vi passa un'intero anno di convalescenza, conoscendo tra l'altro la sua futura seconda moglie Armgart Freudenfeld, figlia dell'amministratore tedesco dell'Alsazia occupata. Riabilitatosi prende consapevolezza che la sua vita ha bisogno di una svolta e la fortuna vuole che un amico gli propone un impiego presso la ditta Guignony in Abissinia. È il 1911, ha 32 anni.
 
Accetta e da Marsiglia s'imbarca sul bastimento Oxus. Subito fraternizzerà con gli arabi. Rompe con la Guignony e assistito dal somalo Abdi che gli sarà sempre fedele ingaggia un equipaggio di dancali e inizia a esplorare il Mar Rosso dedicandosi alla pesca delle perle. Nel 1913 torna in Francia, in agosto sposa la seconda moglie. In ottobre riparte per Gibuti e con un carico d'armi percorre in largo e in lungo il Mar Rosso. Sopravvissuto a una tempesta si converte all'Islam prendendo il nome di Abd el Hai, "schiavo della vita", uno dei 99 nomi di Allah secondo i musulmani. Nel mese di dicembre viene arrestato per traffico d'armi e violazione dei codici doganali. Uscirà di galera tre mesi dopo, nel marzo del 1915. È l'anno in cui soffiano i venti della prima guerra mondiale, e lui si rende utile compiendo alcune missioni di spionaggio contro l'impero ottomano.
 
Nel 1916 chiama la moglie e la figlia a vivere con lui a Obock, dove nasceranno Amélie nel 1921 e Daniel nel 1922. Quello stesso anno trasportando lavoratori ad Aden nello Yemen, forza il blocco inglese, iniziando la sua personale guerra con l'amministrazione britannica. La quale nel 1917 lo dichiara "ospite indesiderato" e nel 1918 lo imprigiona a Berbera. Il suo "status" di collaboratore dei francesi gli vale però la "grazia". Finita la guerra continua i suoi traffici con l'Altair, il nuovo veliero che ha personalmente costruito, e mette a segno un colpo da maestro piazzando 12 tonnellate di hascisc contrabbandate dall'India all'Egitto sotto il naso degli inglesi. Con il ricavato compra una centrale elettrica e un mulino a Dire Dawa, in Etiopia. È il 1923 e a Gibuti arriva la giornalista americana Ida Treat, in viaggio di nozze con il marito Paul Valliant Couturier. Un veliero all'ancora nel porto attrae la loro attenzione: «Un europeo era a poppa. Difficile prenderlo per un somalo, ma non avrei saputo dire se era un arabo. Muscoloso, il suo corpo aveva il colore del tabacco. A testa scoperta, sotto il sole equatoriale, i piedi ben piantati, una fiera al sole. Una barca di somali gli passò vicino e i marinai lo salutarono con un grido ritmato: Addl-el Hai… Abdl-el Hai!». Era De Monfreid e i novelli sposi restano affascinati da quest'uomo che si nutre esclusivamente di thè. La giornalista ne narrerà le gesta, rendendolo una leggenda. Nel frattempo De Monfreid è a sua volta affascinato da quel che succede in Italia. È un estimatore di Mussolini e degli italiani in Etiopia. Nel 1926 incontra il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, ne diviene amico e lo accompagna durante i suoi scavi archeologici. Due anni dopo accompagna Joseph Kessel in un suo reportage. E anche l'autore di Belle de jour resta affascinato dal personaggio De Monfreid, e parlerà ampiamente del suo caro «vecchio pirata». Ma fa di più, convince De Monfreid che deve raccontare la sua vita. E così De Monfreid passati i cinquant'anni comincia a scrivere e l'anno succesivo, nel '31, pubblica il suo primo libro, I segreti del Mar Rosso. È un successo e la sua fama diviene tale che Hergé lo fa diventare un personaggio delle storie di Tintin.
 
Ne I sigari del faraone appare infatti uno scaltro trafficante d'armi del Mar Rosso che salva Tintin dal mare. Due anni dopo esce Verso le terre ostili d'Etiopia, con critiche feroci a Haile Selassie. Il Negus non gradisce e lo espelle dal paese. Vi rientra però nel '36, con i suoi amici italiani che accompagna in quanto corrispondente di guerra per France Soir. È ora una vera celebrità, in Francia viene invitato alle serate di gala e vi si presenta in smoking e espadrillas, avendo un'odio viscerale per le scarpe. Nella prima metà degli anni Trenta pubblica una quindicina di romanzi e trova anche il tempo, nel '37, d'interpretare stesso nel film tratto dal suo primo libro.
 
Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo coglie in Africa. Lui in Etiopia si mette a disposizione degli italiani. Nel '42 gli inglesi lo catturano. Viene rinchiuso con gli italiani in un campo di prigionia in Kenia. Quando nel '45 ne esce si ritira in una capanna alle pendici del Monte Kenia vivendo di caccia, scrivendo e dipingendo. Tornerà in Francia solo nel 1947, stabilindesi a Ingrandes. Lui ama andarsene in giro con un corvo sulla spalla destra. Per hobbies alleva manguste e si esibisce come chansonnier al Vieux Colombier. I suoi libri vengono sempre pubblicati per quella Grasset cui collabora ora anche Hugo Pratt, il futuro papà di Corto Maltese.
 
Pratt disegnerà le copertine dei romanzi di De Monfreid, già conosciuto probabilmente in Africa durante la guerra e ne farà uno dei personaggi nella serie a fumetti Gli Scorpioni del deserto. È plausibile inoltre che la vita e le vicende esotiche di De Monfreid abbiano non poco determinato quelle che saranno le caratteristiche di Corto Maltese. De Monfreid intanto, in quegli stessi anni entra nel dizionario francese e nel 1958, all'età di 79 anni, viene dato per morto quando assieme al figlio Daniel sparisce per dieci giorni nel tentativo di raggiungere le isole Mauritius su di un piccolo cutter. È ormai un arzillo ottantenne, caro amico di Jean Cocteau, il quale assieme ad altri spingerà per farlo eleggere all'Accademia di Francia. Ma non viene accettato per il suo passato "fascista". De Monfreid non ne fa un dramma e ultraottantenne collabora alla realizzazione di una serie di telefilm ispirata ai suoi romanzi. Va ancora in barca e la morte lo coglie solo nel '74 a 95 anni. Ha lasciato oltre 70 scritti e un gran numero di lettere, oltre a quadri e fotografie che raccontano tutta la sua vita. In Francia è una leggenda, mentre qui da noi è misconosciuto nonostante i legami con l'Italia. Solo negli ultimi anni una casa editrice specializzata in opere legate al mare, la Magenes, ha pubblicato i suoi primi due romanzi, I segreti del Mar Rosso (pp. 277, € 14,00) e La crociera dell'hascish (pp. 315, € 14,00).
Esce ora Avventure di mare (pp. 256, € 15,00): sarà un altro piccolo tassello nella conoscenza di un uomo straordinario, che ha attraversato un intero secolo, il più tumultuoso, tutto di corsa e senza mai voltarsi.

dimanche, 26 septembre 2010

De la mer et de sa stratégie

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1986

De la mer et de sa stratégie

 

à propos d'un livre de Philippe Masson

 

par Ange Sampieru

 

 

 

Deux pensées géopolitiques

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La réflexion sur la stratégie maritime, à l'heure du retour de la géopolitique en politologie, participe de cette volonté des hommes de mieux intégrer dans leur intelligence du jeu des Etats les éléments de la géographie planétaire. Carl SCHMITT le faisait remarquer: nous vivons sur une planète que nous avons appelé la "Terre"; or, les 2/3 de la surface de cette "Terre" sont composés d'étendues marines!! L'école traditionnelle de géopolitique se compose dès lors de deux courants: le courant "continental", très répandu dans les milieux européens (HAUSHOFER, mais aussi CLAUSEWITZ) et le courant "océanique", mis en valeur dans l'aire culturelle anglo-saxonne (MAHAN) mais aussi, paradoxalement, en France, avec l'Amiral CASTEX, le Contre-Amiral SANGUINETTI ou l'Amiral Pierre LACOSTE.

 

Pour Philippe MASSON, l'école des stratèges européens, dont CLAUSEWITZ fut le maître à penser, révèle deux lacunes: la première, c'est de ne pas tenir suffisamment compte, dans sa théorie des guerres de partisans, de la guerilla comme force armée populaire (l'écrivain Ernst JüNGER est le seul, avec sa fameuse théorie du partisan à avoir abordé ce thème, encore que ce soit sous une forme moins directement militaire que guerrière et philosophique). La seconde lacune concerne précisément la puissance maritime. Philippe MASSON souligne en effet l'absence totale, chez CLAUSEWITZ, de réflexions construites sur le rôle des océans dans la guerre ni sur le poids pourtant réel des escadres dans les rapports de force entre Etats.

 

Dans cette pensée, la "frontière" stratégique reste essentiellement terrestre et l'absence de spéculations relatives aux thalassocraties apparaît générale dans la grande majorité des théories stratégiques en Europe (GUIBERT, JOMINI, von der GOLTZ, FOCH, LUDENDORFF). Cette ignorance oppose ce courant continental-européen au courant océanique, dont le plus illustre représentant fut l'Amiral américain MAHAN. Son ouvrage fondamental, paru en 1890 et intitulé "La puissance maritime dans l'Histoire", constitue une révolution dans le sens où la place accordée à la mer dans la stratégie militaire acquiert désormais une importance considérable. Le Times anglais a comparé d'ailleurs cette révolution à celle de NEWTON en astronomie. De telles réactions sont indices de l'intérêt immédiat que les théories de MAHAN connurent dans les milieux dirigeants de son époque, surtout en Grande-Bretagne et aux Etats-Unis. Contrairement au "Vom Kriege" de CLAUSEWITZ, le livre de MAHAN s'est révélé déterminant dans les décisions concrètes prises par les Etats maritimes, en matière de stratégie. La politique internationale des Etats-Unis, notamment, en a été constamment imprégnée et le demeure.

 

Les bases du Sea-Power selon Mahan

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La question que pose MAHAN, et à laquelle il apporte une réponse cohérente, est la suivante: quelles sont les bases du "Sea Power", autrement dit de la puissance maritime? L'étude de l'histoire lui fournit les matériaux d'une réponse complète. Il dégage d'abord les facteurs déterminants:

1) La position géographique d'abord. La position en bordure des routes maritimes fréquentées par exemple; un découpage des côtes favorables à l'établissement de ports, avec ressources suffisantes en "gens de mer" et base arrière industrielle à forte capacité productive pour soutenir l'activité maritime (construction et entretien d'une flotte de guerre).

2) Un facteur social ensuite. La pauvreté d'un pays côtier, tant du point de vue des ressources du sous-sol (richesses en matières premières ou en ressources alimentaires) que de la population (esprit d'aventure). MAHAN juge d'ailleurs les médiocres prestations maritimes françaises dues à la relative richesse des terres et à la clémence du climat.

3) Un facteur psycho-culturel aussi. La mentalité de "boutiquiers" des Hollandais et des Anglais est à l'origine de leur réussite maritime. La France, tournée vers une économie de nature "colbertienne", construite sur un mépris catholique de la profession commerciale, est exclue de cette philosophie mercantiliste, propice à l'économie d'échanges.

4) Un facteur institutionnel enfin: l'Etat peut réellement jouer un "rôle d'entraînement", appuyé en cela par les opinions dominantes de la société, prise au sens le plus large.

 

Bien entendu, chacun de ces facteurs cités peut être sujet à contestation. Ainsi, par exemple, nous pourrions évoquer le développement remarquable de l'activité maritime sous le règne de Louis XIV où les négociants bordelais, malouins ou nantais tenaient une place importante dans le commerce maritime mondial (toiles, draps, céréales).

 

Les stratégies des années 80

 

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A partir de ces constatations de départ, Philippe MASSON développe son étude en quatre points: après une analyse des théories stratégiques maritimes, il compare, dans une seconde partie, les différents types de stratégies développés et leurs enjeux. Dans une troisième partie de son travail, intitulée "La bataille", MASSON introduit ses lecteurs aux principes généraux de la bataille navale, à l'histoire des tactiques navales ainsi qu'à une typologie du personnel maritime. Il conclut par une étude aussi courte que concise sur le thème du "Chef et du hasard". Dans une quatrième partie, la stratégie maritime est replacée dans l'environnement moderne, celui du nucléaire et des missiles.

 

Nous nous intéresserons tout particulièrement à cette quatrième partie, dans la mesure où elle contient des implications directes sur la situation mondiale des années 80. L'invention de l'arme atomique a profondément modifié les règles de la stratégie maritime. Mais elle a aussi modifié la composition et la physionimie des flottes de combat.

 

Dans une première période, l'arme nucléaire est le monopole de fait d'une et une seule puissance mondiale: les Etats-Unis d'Amérique. Forte de ce monopole, cette dernière suit une stratégie répondant à l'absence de forces nucléaires chez son principal adversaire soviétique et cette stratégie sera celle des représailles massives. La maîtrise de l'arme atomique, à partir de 1955, en URSS, modifie la politique d'emploi de cette arme. Face à ce rétablissement de "l'équilibre" stratégique, on passe à une nouvelle stratégie, celle de la "destruction mutuelle assurée" (ou "Mutual Assured Destruction"; en abrégé, "MAD"), encore appelée "équilibre de la terreur".

 

Plus tard, de nouveaux pays entreront dans ce "club atomique" des possesseurs de l'armement nucléaire. Bien entendu, les forces navales de ces puissances n'échapperont pas aux mutations qu'induit ce phénomène, tant sur le plan de la réflexion stratégique que sur l'évolution de l'équipement. Les navires de la nouvelle flotte de guerre seront dotés de toute la gamme des missiles modernes, tant les classiques que ceux munis de charges nucléaires.

 

Suivant en cela les enseignements traditionnels, le porte-avion constitue toujours le pivot de toute flotte de combat (les Anglais parlant à son sujet de "capital ship"). Le meilleur exemple d'utilisation de ce type de navire est le porte-avion américain Nimitz. Avec ses 325 m de long et ses 41 m de large, ce porte-avion déplace une charge de 91.000 tonnes. Grâce à ses deux réacteurs nucléaires, il développe une puissance de 260.000 chevaux, soit une vitesse de croisière supérieure à 30 noeuds et un rayon d'action quasi illimité.

 

De plus, il peut emporter à son bord un arsenal impressionnant d'appareils de l'aéronavale: de l'intercepteur Tomcat à l'avion d'assaut Hornet ou Phantom, en passant par les hélicoptères Seaking, les avions de guerre électroniques Prowler ou encore l'appareil de veille et d'exploration Hawkeye. Chacun de ces porte-avions est par ailleurs accompagné d'une flotille de protection, allant du croiseur au destroyer, en comptant les frégates aptes à la lutte anti-sous-marine et à une riposte aux attaques aériennes; ces dernières sont équipées en général de missiles air-mer (dont la portée est de plus de 100 km), venant compléter une DCA plus classique. On a pu néanmoins constater au cours de la Guerre des Malouines la relative faiblesse de ces moyens de protection, notamment face à des chasseurs armés de missiles de type air-mer Exocet AM 39 qui, lancés en vol rasant, sont assez difficiles à intercepter. Dans la même catégorie, on peut signaler le danger que représente, pour les forces navales, le bombardier soviétique Backfire qui dispose d'un rayon d'action de 9000 km à une vitesse de 1 à 2,5 mach et dont l'armement, redoutable pour un navire de gros tonnage même bien protégé, se compose de missiles AS4 "Kitchen", à autodirecteur actif, munis de charges nucléaires et d'une portée impressionnante: 300 km.

 

Les autres bâtiments de surface de ces flottes possèdent aussi les missiles surface-surface, éventuellement équipés en charges nucléaires. Le premier essai d'utilisation opérationnelle de ce type de missile fut la destruction en juin 1967 de la vedette israëlienne "Elath" par un engin "Styx" de fabrication soviétique. Depuis, de nombreux modèles ont été mis au point, comme l'Exocet français, le Harpoon américain ou le Saab suédois. Les Américains ont même réussi à améliorer les performances de cette catégorie de missiles par le lancement d'un missile de croisière appelé Tomahawk. Ce dernier peut être mis en oeuvre aussi bien à partir d'un avion que d'un navire de surface ou d'un sous-marin. Il vole à une vitesse de 800 km/h à basse altitude avec un rayon d'action de 1300 km.

 

Les nouvelles générations de submersibles

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A cette famille de missile, souvent nucléaires, destinés à la destruction des navires de surface, il faut ajouter les nouvelles générations de submersibles. Inauguré en 1955 avec l'apparition du sous-marin américain Nautilus, les submersibles modernes possèdent des caractéristiques exceptionnelles: vitesse élevée, supérieure aux navires de surface, rayon d'action pratiquement illimité, affranchissement total vis-à-vis de la surface. La seule limite est en fait la résistance psychologique des équipages, séparés de tout durant les périodes longues de plongée. On trouve aujourd'hui deux types d'unités à propulsion nucléaires: 1) les sous-marins nucléaires lance-engins (SNLE), instruments très fiables dans le cadre d'une politique de dissuasion; ils sont armés de missiles ballistiques (entre 16 et 24) dont la portée a été régulièrement augmentée depuis les années 60... En 1960, les missiles américains Polaris avaient une portée de 1500 miles nautiques; les futurs Trident II D5 auront, eux, une portée de 6000 miles nautiques! L'Union Soviétique possède les missiles SS N8 d'une portée de 4500 miles nautiques, les nouveaux SS20 étant en cours d'élaboration. Quant aux cinq SNLE français, ils sont armés de missiles M20 (portée: 3000 km), en attendant la nouvelle génération des M4 ayant une portée de 4000 km.

 

Ajoutons à ces performances de longue portée et de vitesse, celle de la précision. Le "cercle d'erreur probable", autrement dit la dispersion des engins, varie de 1200 mètres pour les anciens missiles américains Poséidon à 500 mètres pour les Tridents I4. Tous ces missiles sont d'autre part améliorés dans le sens d'une multiplication des ogives portées et d'une réduction de leur puissance. Les missiles américains possèdent de 8 à 14 têtes de 50 à 100 kilotonnes qui, de surcroît, sont "marvées". C'est-à-dire qu'ils assument eux-mêmes leur trajectoire, de façon à éviter les risques d'interception et à faciliter la pénétration. La flotte soviétique est demeurée, quant à elle, au stade des missiles dits "mirvés", c'est-à-dire non guidés et lancés en grappe. Les nouveaux SSN20 seront sans aucun doute "marvés" et prêts à recevoir de 7 à 9 têtes marvées.

 

2) La seconde catégorie de sous-marins est celle des sous-marins nucléaires d'attaque (SNA). D'un tonnage moins important que les SNLE, ils peuvent atteindre 40 noeuds en plongée et 450 m d'immersion. Leur armement est à la fois très sophistiqué et très varié. A la base, une panoplie de torpilles filo-guidées ou auto-guidées, ainsi que des missiles aérodynamiques (type Subharpoon ou SM39, dérivé de l'Exocet français). La mission des SNA est plutôt d'ordre stratégique, de "mission stratégique". Repérer, pister et éventuellement détruire les SNLE adverses. D'où la constante amélioration en matière de silence et de discrétion des SNLE pour échapper aux recherches des SNA. Leur deuxième mission est l'attaque des forces de surface. Durant le conflit des Malouines, le SNA Conqueror a torpillé le bâtiment de surface argentin "General Belgrano", prouvant ainsi le danger de ce type de submersible mais aussi le caractère indispensable, dans une flotte moderne, de posséder des moyens réels et efficaces de lutte anti sous-marine. Le SNA est en outre armé de missiles qu'il peut lancer en immersion, à des distances variant entre 30 et 300 miles nautiques. Une troisième mission est celle, plus classique, d'action contre les lignes de communication. Le SNA peut aussi assurer, mission nouvelle, l'attaque contre des objectifs continentaux, soit situés sur le littoral soit franchement à l'intérieur des terres.

 

Face à cette diversification des tâches confiées à l'arme navale, l'Europe semble ne pas avoir répondu. Si, en 1939, ses flottes de guerre représentaient la majorité en terme de tonnage (60%), en 1980, elle n'est plus que de 15%! Les marines européennes, en dépit de capacités technologiques et industrielles élevées, ne peuvent plus répondre à l'éventail des missions exigées, à l'éventail des menaces potentielles ni même au maintien d'ensembles homogènes. Le cas le plus frappant est celui des pays nordiques, notamment en ce qui concerne un éventuel affrontement en Mer Baltique. Face aux forces du Pacte de Varsovie, en général bien adaptées aux conditions hydrographiques locales, les forces navales des pays riverains (RFA, Norvège, Danemark,...), englobés dans le système de défense occidental, ne pourraient pas aligner des qualités au moins égales aux forces qui leur font face.

 

La stratégie navale soviétique

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Une évolution remarquable est celle de l'Union Soviétique. A l'origine puissance continentale, elle est devenue aujourd'hui une véritable puissance navale. D'où une politique efficace où la géostratégie joue un rôle majeur. Les mutations technologiques ont été intégrées par ailleurs dans une politique mondiale où l'engagement naval tient une place prépondérante. Cette œuvre historique est, en partie, le résultat des efforts de l'Amiral GORTCHKOV qui a quitté son poste en 1986. La mission actuelle de la marine soviétique apparaît double. En période de paix, "elle constitue la projection de la puissance de l'URSS au-delà des mers" (p.310), autrement dit, elle assure la présence physique de la volonté politique soviétique sur les cinq continents (visites amicales, surveillance des "points chauds", etc.). Elle constitue aussi un vecteur de la propagande et de l'action révolutionnaires dans le monde. Comme le déclarait l'Amiral GORTCHKOV lui-même: "La marine soviétique marque et neutralise les forces navales américaines et facilite les processus révolutionnaires en Occident". Par là même, l'arme navale retrouve sa place dans une vision clausewitzienne de la politique extérieure d'un Etat. En outre, elle s'inscrit dans une approche traditionnelle des relations entre les forces armées et le pouvoir politique. La célèbre dichotomie proposée par le stratège allemand entre finalité politique et objectif militaire stratégique est implicitement restaurée dans la doctrine militaire de l'armée et de la marine soviétiques. Cette mission de présence et d'action "subversive" (nous préférons écrire "politique") est réservée à la flotte de surface, en liaison avec des navires "civils" soviétiques (flotilles de pêche, navires océanographiques, etc.) dont les missions complètent celle de la première (surveillance, observation, etc.). En temps de guerre, la mission de la marine soviétique est plus "traditionnelle". Elle assure la défense des approches maritimes de l'URSS, mais surtout participe directement aux actions de destruction du "potentiel militaro-économique" de l'adversaire. Pour le chef de la marine soviétique, il s'agit là de l'objectif majeur de son arme. Le but est moins le contrôle de la mer en soi que la participation à la guerre contre la terre adverse. La marine, ici, ne joue pas un rôle préventif mais préemptif, c'est-à-dire qu'elle devance une action d'offensive générale contre l'ennemi. Dans ce cas, elle a pour objectif la destruction des forces navales ennemies, autrement appelée dans le langage soviétique "bataille de la première salve", suivie d'opérations de plus grande ampleur contre les territoires ennemis en liaison étroite avec les forces de terre et de l'air. Les SNA soviétiques pourraient ainsi détruire le potentiel industriel ennemi situé en bordure du littoral au moyen de missiles aérodynamiques.

 

Nous nous devons donc de signaler la double nature de l'Union Soviétique en tant que grande puissance mondiale: elle est à la fois continentale et maritime. En dépit de certaines erreurs d'appréciation (comme la prétendue supériorité des transports terrestres sur les transports maritimes), le géopoliticien britannique MACKINDER a trouvé, a posteriori, dans le jeu mondial de l'URSS, une éclatante confirmation de ses théories. L'Union Soviétique est bien en effet le Heartland  identifié par le théoricien MACKINDER. Sa politique extérieure consiste bien en une destruction ou un affaiblissement réguliers des "croissants extérieurs", des cordons surpeuplés et sur-industrialisés, qui, par leur puissance économique et l'attraction qu'ils exercent, pourraient menacer à terme la sécurité et l'expansion de l'URSS. L'exportation de la révolution communiste comme soutien à l'objectif géopolitique jette un éclairage nouveau sur l'histoire des quarante dernières années, rejettant comme superficiel et schématique les analyses des anti-communistes professionnels.

 

En conclusion

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Philippe MASSON, en près de 350 pages, où les annexes assurent une fonction importante dans l'analyse des stratégies maritimes (notamment les cartes), nous démontre que, loin de disparaître, les marines tendent à jouer un rôle croissant dans la politique extérieure des Etats. Par l'intégration intelligente des progrès technologiques, les forces navales conjuguent une certaine autonomie vis-à-vis des points fixes (aérodromes et pistes terrestres) à une souplesse d'adaptation aux missions qui lui sont imparties. L'invulnérabilité des SNLE et autres SNA, totalement invisibles et irrepérables dans les fonds marins, permet une quasi efficacité de la politique de dissuasion, notamment dans le cadre de la doctrine de la seconde frappe.

 

Le seul handicap est la lenteur de leurs interventions. Aujourd'hui, les mers ne sont plus seulement des soutiens aux conflits terrestres; elles jouent désormais un rôle "à part entière" que personne ne peut plus leur contester. Aux Européens de prendre en compte cette nouvelle dimension de la politique, la dimension planétaire.

 

Ange SAMPIERU.

 

Philippe MASSON, De la mer et de sa stratégie, éditions Tallandier, Paris, 1986, 120 FF.